La vendetta di Ar-Pharazon
Sul finire della Seconda Era, grande era divenuto il potere dei Númenóreani, stanziatisi lungo la costa Sud-Est della Terra di Mezzo. Ivi, avevano fondato numerose roccaforti e fortezze, sotto le quali prosperavano e si diffondevano sempre più, seguendo i corsi dei fiumi e le coste frastagliate di Endor, spinti però dalla cupidigia e non già dal desiderio di allietare le misere condizioni di vita dei mortali che abitavano in quelle terre. Simile a un colosso dai piedi d'argilla, così la potenza númenóreana iniziava a frantumarsi sotto i colpi della sua stessa arroganza e crudeltà, ché Sauron, il discepolo di Morgoth, aveva già impiantato con ferocia i suoi lunghi artigli nell'isola dell'Ovest. Ben pochi furono i Númenóreani che si sottrassero a tale corruzione, e questi furono a lungo perseguitati da sovrani avvizziti o vuoti, più simili a fantasmi che non a creature mortali. L'ultimo di questi re fu Ar-Pharazôn il Dorato, colui che nella sua follia immaginò di invadere la dimora dei Valar, Aman, lungi nell'occidente: notevole fu il suo seguito e numerosi i capitani che si posero sotto il suo vessillo.
Non tutti però lo seguirono, ché vi erano ancora molti spiriti liberi che si aggiravano nella Terra di Mezzo, esiliati per aver disobbedito al re, e dunque a Sauron. Fra questi massimo era Erfëa Morluin, il capitano, e famose e molteplici le sue avventure, che lo condussero a esplorare pressoché tutta Endor. Infatti, sebbene poche siano le canzoni e le storie sopravvissute alla caduta, quel poco che è rimasto, è fonte di grande meraviglia e stupore. Ché Erfëa Morluin non solo era un capitano valente, un signore tra gli Uomini, ma nei suoi occhi grigi come la spuma marina splendeva ancora la luce degli Eldar, che tanto tempo prima avevano istruito il suo popolo.
Erfëa da tempo viaggiava nella Terra di Mezzo, capitano di molte navi, al servizio di Tar-Palantir l'ultimo sovrano che avesse tentato di riconciliare Elfi e Uomini. In seguito, tuttavia, il Númenóreano aveva lasciato il suo incarico, con grande sgomento e ira del suo signore Ar-Pharazôn, che aveva in animo il desiderio di servirsene per guidare un massiccio attacco contro i popoli che ancora gli resistevano, fossero essi Elfi o mortali, ché grande era la sua ingordigia e la sua ambizione, e spesso egli si definiva signore del mondo intero. Furente per il rifiuto del suo miglior capitano, il sovrano di Númenor diede disposizione che Erfëa Morluin fosse esiliato fino alla fine dei suoi giorni dalla terra del Dono: "Ché ingrato davvero si è dimostrato – disse ai suoi consiglieri – quando gli fu offerto il comando". "Si è venduto al nemico – aggiunse rivolto al popolo, che sgomento per la notizia attendeva un responso ufficiale – il vostro capitano è un traditore e bene ho agito, condannandolo all'oblio eterno". Sebbene la maggior parte del popolo accettasse senza obiezioni le subdole parole del sovrano, tuttavia il gruppo dei Fedeli scosse la testa, presagendo grandi sventure: "Tale è il nostro destino – fece uno di loro, il cui nome era Amandil, della casa di Andúnië, rivolto al figlio primogenito Elendil – per cui avremo bisogno di campioni simili, se vorremmo superare le avversità della nostra epoca"; ma l'altro rispose: "Padre, Erfëa è il più forte tra noi, eppure temo che numerose difficoltà gli si presenteranno nel corso del suo lungo esilio. Ché non solo il male tende tranelli sulla strada dei giusti; è facile infatti che anche il cuore venga fatto prigioniero, e quando ciò accade, la vita di un Uomo si scinde in due dolori contrastanti". Stupito lo guardò Amandil, ché Elendil era ancora giovane e mai aveva parlato in modo così saggio; tuttavia non rispose e più parola pronunziò, fissando il Sole divenire rosso sangue, presagio di chissà quali sventure.
A ogni modo, Erfëa Morluin nulla aveva appreso di quanto era accaduto, ché si trovava lungi dalla sua casa, essendo in corso la stagione della navigazione. Sebbene dunque nessuna nuova fosse trapelata al comandante di Númenor, alcuni marinai, gente infida e gelosa degli altrui successi, ne erano stati informati precedentemente, ché anteriore al viaggio era il desiderio di Ar-Pharazôn di eliminare quello che considerava il suo più acerrimo nemico. Obbedendo dunque agli ordini degli emissari reali, tali marinai avevano sabotato la nave, simulando un incidente: non di rado, infatti, nelle acque che percorrevano, si verificavano naufragi di ogni sorta, dovuti all'arroganza degli Uomini, nonché a misteriose creature serve di Sauron. Tale sarebbe stata dunque la fine di Erfëa, e il popolo l'avrebbe di certo interpretata come un segno del volere divino, obliando dalla propria mente il ricordo del capitano, se egli non fosse stato salvato da un generoso delfino, riuscendo a raggiungere terra.
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