L'origine delle Palantiri

Nella seconda era della Terra di Mezzo, grande era il dominio che Numenor, l'isola ad Occidente di Endor, esercitava sui mortali: da molte contrade numerosi accorrevano, principi e maghi, mercanti e studiosi, per apprendere le conoscenze note solo ai discendenti degli Edain. Molteplici artefatti realizzarono in quei lontani giorni gli artigiani e i fabbri dei Dunedan: spade, la cui bellezza è superata solo da quelle create dai maestri elfici dell'Eregion e del Beleriand nei tempi remoti; armature, leggere come seta, ma capaci di respingere le lame degli aggressori, mandando in frantumi le lance e scalfendo le lame.

Tuttavia, tra le creazioni più celebri, il cui ricordo venne tramandato anche nelle epoche successive, le più note divennero le Palantiri, le pietre veggenti, guardiane del regno di Numenor; esse tuttavia, al pari di altri gioielli rinomati, non furono create da mano mortale, ché neanche i più esperti tra gli artisti Numenoreani avrebbero avuto la sapienza e la lungimiranza necessarie per realizzare simili artefatti.

Fu invece il più grande fabbro degli Eldar, Feanor, a crearle, nei giorni in cui la Luna e il Sole ancora dormivano e i due Alberi reggevano le sorti del mondo, nei Tempi Remoti. Ben poco di quelle antiche epoche è sopravvissuto, ora che i mari e le terre sono profondamente mutati e la prima profezia di Mandos si è avverata; tuttavia stando a quanto narrano gli antichi racconti di quell'era lontana, Feanor creò le Palantiri, ispirato da Lorien il Vala delle visioni, mentre lo spirito di fuoco del padre dei Noldor riposava tra gli alberi di Valinor. A lungo la divinità tenne fisso lo sguardo su Feanor, infine così si rivolse all'elfo: "Qual è il tuo disio maggiore, signore dei Noldor?" Molto tempo trascorse, fin quando l'Eldar non ebbe realizzato una risposta appropriata: "In verità, Signore dei giardini del Vespro, il mio spirito non trova riposo, ché sempre tende insoddisfatto a quanto si cela innanzi ai miei occhi". Silente, il dio tacque turbato, poi rispose pronunciando tali parole: "Suvvia, principe degli Eldar! Non v'è conoscenza che il tuo cuore brami che tu non possa apprendere, non v'è artificio che la tua lucida mente e la tua rapida mano non sappiano creare: limpida è ancora la vista degli elfi e possente la loro volontà. Sappi che innumerevoli sono i doni che alla tua stirpe sono stati riservati fin dalla creazione di Arda. Qualunque è l'oggetto del tuo disio, esso deve essere in Valinor".

"Ben dici, Lorien, quando affermi ciò; se tuttavia la volontà degli Eldar è forte, lo è perché brama di possedere gli arcani segreti che modellano il soffio vitale in Arda".

Reso inquieto da tali parole di sfida, così lo ammonì Lorien: "Bada, signore degli Eldar! Se il tuo desiderio fosse oggi soddisfatto, ecco che molti del tuo stesso popolo ne avrebbero a soffrire; molti danni arrecherebbe a Valinor il tuo gesto insano!"

Rabbrividì Feanor, ché in lui era ancora forte il rispetto e il timore per i Vala: "Se tale volontà è destino che muoia sul nascere, concedimi allora di mutarla". Tacque, riflettendo alcuni istanti, infine parlò: "O Vala, concedimi la vista sulle terre mortali! Dal momento che la mia stirpe e quella degli altri Eldar provengono dalle deserte lande di levante, permettimi di renderla visibile agli occhi di quanti desiderano mirarla".

Soddisfatto, di lì a poco Lorien inviò Feanor daAule, e i due lavorarono per molti anni, finché la Palantiri non furonorealizzate: sette erano, e apparivano come dei globi scuri memori di quanto ifigli di Eru avevano ormai obliato.



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