L'incontro con Miriel, principessa di Numenor

Tali erano i suoi foschi pensieri che non si avvide di una fanciulla che gli si inchinò dinanzi; distrattamente, Erfëa replicò a tale gesto, eppure, grande fu il suo stupore allorché si avvide che era la figlia di Palantir: "Nobile capitano di Númenor, permettete alla principessa di Armenelos di congratularsi con voi? Avete ottenuto una magnifica vittoria su i vostri nemici, sicché immagino che il vostro cuore sia colmo di gioia".

Sorrise Erfëa nel risponderle: la voce della dama gli era familiare e sebbene non ricordasse più in quale luogo o in quale tempo l'avesse ascoltata, pure la trovava melodiosa. "Graziosa dama, gentili sono state le vostre parole, e non sarò io a negare la mia soddisfazione. Io però non anelo all'onore delle armi, né ai forzieri ricolmi di oro e argento che giacciono nelle dimore dei principi di questa contrada: i miei occhi, infatti, hanno scorto altre meraviglie, quali mai gli uomini e le donne qui presenti hanno visto".

Piacquero alla fanciulla le parole che Erfëa aveva pronunziato, sicché ella gli chiese di narrarle della dimora di Gil-Galad e degli Alti Elfi che dimorano al di là del mare. A lungo il figlio di Gilnar si intrattenne con Miriel, infine, allorché il suo racconto ebbe termine, ella parlò a sua volta:

"Ora comprendo per quale motivo i vostri occhi siano scuri, Erfëa di Númenor. Qualunque uomo sarebbe colmo di tristezza se non potesse più ammirare simili meraviglie, di beltà e luce intrise".

Amaro risuonò il riso di Erfëa: "Mia signora, se tale fosse il motivo per il quale provo dolore, non potrei che imputare a me stesso l'aver abbandonato il popolo degli elfi; colei che io rimpiango di aver perso, invece, rinunciò di sua volontà alla mia amicizia".

Stupore misto a commozione si dipinse sul volto della principessa, eppure Erfëa non poté notarlo, occultato com'era dalla maschera che indossava; nondimeno, il Dúnadan avvertì che la sua voce era incrinata e le chiese perdono per averla rattristata con simili storie.

"Mia signora, non era mia intenzione turbarvi. La dolce amica di cui vi ho parlato, infatti, appartiene alla mia infanzia".

"Non mi dolgo per la vostra sventura, giovane principe, ché, sebbene dolorosa, pure è comune a tutte le sorti umane. Se il mio cuore è triste, lo è perché teme la fine di questi giorni felici. Non vi è gioia più grande, infatti, che assaporare, come un dolce frutto proveniente dal lontano oriente, la letizia del tempo presente".

Erfëa l'osservò stupito e gli parve saggia e lungimirante; a lungo discorsero i due giovani, sicché grande fu il rammarico di entrambi allorché dovettero prendere congedo l'uno dall'altra.

"Mia signora – la salutò il figlio di Gilnar - avete allietato il banchetto e le danze; concedetemi, dunque di mirare il volto di colei alla quale porsi il mio calice".

Miriel, tuttavia, scosse graziosamente il capo: "Mio signore, voi siete ora avvezzo ai volti delle fanciulle elfiche, sicché trovereste disdicevole porre i vostri occhi su quelle mortali. Non sarò io a rivelarmi dinanzi a voi, né dovrete portarmi rancore per tale mia scelta, ché, ecco, molto ne avrei a soffrire. Sia dunque, codesto, un pegno presso il vostro cuore che rimembrerete ogni giorno".

Curiosa parve la risposta ad Erfëa ed egli non ne comprese appieno il motivo; pure, chinò il capo e si allontanò senza pronunciare parola alcuna. Una profonda stanchezza lo aveva avvolto ed il suo corpo desiderava il riposo.

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