Il tradimento

Le voci del dissidio avvenuto fra i due giovani giunsero ad Akhôrahil, ché egli aveva spie ovunque ed erano poche le notizie che sfuggivano al suo udito. Allorché, dunque, il Nazgûl si avvide del rancore che il figlio di Gilnar provava nei confronti della figlia di Palantir, ne gioì, ché gli parve essere alla sua mercè; si rivolse dunque a Gilmor, dei cui favori aveva goduto, affinché seducesse Erfëa ed alimentasse l'odio che nutriva per colei che un giorno sarebbe divenuta regina.

Erfëa, provato dal dolore e dal desiderio per la donna a lungo amata, cedette alle lusinghe della principessa del Mittalmar: Gilmor, infatti, era graziosa ed abile nell'occultare i suoi inganni. Arthol, tuttavia, era riluttante a concedere la mano della sorella all'amico di un tempo: egli, infatti, diffidava di Gilmor, perché temeva che avrebbe rivelato ogni cosa al suo amante. Fu proprio questa esitazione, tuttavia, a provocare la sua rovina: Erfëa, infatti, non comprendeva per quale motivo Arthol fosse contrario all'unione con la sorella. Il timore nacque allora nel suo cuore, sebbene indugiasse e non osasse confessare ad alcuno le sue inquietudini.

Allorché erano trascorsi alcuni mesi da che giacque con Gilmor, Erfëa la scorse, non veduto, dialogare con Akhôrahil e con un'altra donna che si ergeva accanto a lui; bella era, eppure il suo sembiante e quello del suo compagno sembravano nascosti da un velo di oscurità. Una pesante cappa pendeva sulle sue spalle e sulla sua fronte era posto un rosso diadema, che rifulgeva di un sinistro bagliore. Erfëa provò una grande paura nel guardarla ed il suo cuore tremò. Attese alcuni istanti, indeciso sul da farsi: infine, un quarto individuo, anch'egli sconosciuto al figlio di Gilnar, si aggregò al terzetto. Erfëa vide con orrore Gilmor accasciarsi, come se un grande male fosse piombato su di lei: il suo cuore fu allora raggelato dalla paura, sicché non poté che accostare le mani alle tempie, mentre il suo respiro diveniva affannoso. Nelle atroci convulsioni che seguirono a tale visione, le sue tremanti mani sfiorarono l'elsa di Sulring e nuova forza fluì nelle sue vene, sicché riaprì gli occhi e gli parve che una grande ombra si fosse allontanata dal suo spirito. Erfëa non poteva saperlo, eppure l'uomo che aveva colmato di paura il suo cuore, altri non era che Er-Mûrazôr, il Signore dei Nazgûl, il più potente fra quanti servirono Sauron. Molti secoli erano trascorsi dacché aveva calcato con i suoi neri stivali le strade lastricate di Armenelos ed egli giungeva in quella che un tempo era stata la sua terra natia perché inviato colà dal suo oscuro padrone.

A lungo si intrattennero le tre figure con Gilmored essi appresero molto dalla sventurata fanciulla; questa non osò mai mirarnei volti, ché altrimenti la follia si sarebbe impadronita della sua mente eavrebbe perso il senno. Infine, rapidi com'erano giunti, essi si allontanaronosvanendo nell'ombra. Erfëa allora la raggiunse e le domandò chi fossero;Gilmor, tuttavia, non rispose ad alcuna delle sue domande e gli antichi timoriche erano sorti nel cuore del figlio di Gilnar, presero a destarsi nuovamente.Nei giorni successivi egli prese a sorvegliare la donna, sebbene osasse ancorasperare che non vi fosse alcun inganno: grande dolore l'avrebbe tuttavia colto,se egli fosse venuto a conoscenza della congiura che Arthol era intento aorganizzare. L'atteggiamento di Gilmor nei confronti di Erfëa mutò: lemacchinazioni del fratello erano ormai giunte a maturazione, sicché freddodivenne il suo letto e di rado il suo sguardo incrociò quello di Erfëa. Neirari momenti in cui accettava di vederlo, la donna dissimulava ogni cosa: dopoqualche tempo, convinta che il figlio di Gilnar avesse abbandonato ogni sortadi sospetto su di lei, iniziò a mostrarsi meno cauta.


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