Il primo viaggio verso la Terra di Mezzo
Al termine dell'anno, Eärél dovette scegliere, secondo le tradizioni dei padri e la legge di Númenor, se preservare il nome che gli era stato attribuito dal padre alla nascita, oppure mutarlo con uno di suo gradimento. Alla cerimonia partecipavano i parenti del giovane uomo: non avevano facoltà alcuna nella scelta, ché era a discrezione del prescelto e non poteva più essere mutata. Uno scriba prendeva nota della decisione che in tale consesso era raggiunta e il cittadino di Númenor era registrato nei rotoli degli archivi di Elenna con il nome che sceglieva liberamente in tale occasione.
Il giorno della festa di Yestarë, dedicata ad Eru Ilúvatar e ad ogni sua creazione, Eärél, accompagnato dalle Dame e dai Signori dei Fedeli, si recò alla corte del principe Numendil, affinché questi ascoltasse quale sarebbe stata la sua scelta. Era opinione comune che egli non avrebbe preservato il nome paterno, ché non era amante del mare ed esso gli pareva estraneo: nessuno fra loro, tuttavia, avrebbe saputo presagire quale sarebbe stata la scelta di Eärél.
A lungo Numendil scrutò il volto del principe dell'Hyarrostar, infine, avvedutosi che la sua decisione era stata presa, così parlò:
"Giovane Eärél, dinanzi a questa corte riunita e all'Unico che è sopra i Reggenti di Arda, dovrai pronunziare il nome con il quale sarai d'ora innanzi noto alle Genti Libere e a coloro che seguono il vessillo dei seguaci di Morgoth; sia dunque la tua scelta libera e sincera, ché se così non fosse, possa l'ira di Ilúvatar abbattersi su di te".
Tosto, la chiara voce di Eärél echeggiò nella sala pronunciando il nome che aveva prescelto: "Mio signore, dinanzi alla maestà dei Valar e di Eru Ilúvatar, giuro solennemente che prenderò il nome di Erfëa e sarò Erfëa degli Hyarrostar, principe e signore di Númenor".
Stupiti, si levarono nella sala mormorii increduli, eppure i volti di quanti ascoltarono la profezia di Manëa non mostrano sorpresa alcuna, ché ben compresero quanto le parole della Veggente si fossero rivelate veritiere. Numendil, che era stato fra quanti avevano assistito alla nascita di Eärél, sospirò, infine parlò: "Sia dunque rispettata la tua volontà, Erfëa, figlio di Gilnar, principe dell'Hyarrostar e signore di Númenor: che la tua scelta si riveli lieta e che il tuo cuore non abbia da pentirsi per quanto la tua voce ha testé pronunziato".
Pronunciate queste parole, il signore di Andúnië si accinse ad abbandonare la sala, allorché echeggiò, per la seconda volta, la voce del figlio di Gilnar e le sue parole sorpresero nuovamente coloro che le ascoltarono: "In verità, Numendil della stirpe di Elros Tar-Minyatur, mi è parso che le vostre parole alludessero a quanto la mia mente ed il mio cuore ignorano; cosa temete, dunque? Cosa vi spinge a parlare in siffatto modo dinanzi all'erede di Gilnar? In nome dei Valar e dell'Unico, non nascondete i vostri pensieri a riguardo, ché vedo il dubbio rendere inquieto il vostro animo".
Non vi era arroganza nelle parole che Erfëa aveva adoperato; tuttavia, per lunghi mesi, coloro che assistettero a tale cerimonia ricordarono quale inquietudine dimorasse nel cuore di Numendil, mentre si accingeva a rispondere al figlio di Gilnar: "Invero, Erfëa di Númenor, sappi che innumerevoli sono i percorsi che i nostri animi intraprendono, gli uni dettati dal libero arbitrio, gli altri dalla necessità e non tutti conducono al medesimo luogo. Qualunque sia il mio pensiero in tale faccenda, non rivelerò nulla di quanto ho appreso sul tuo destino, né troverai in questa sala e fra codeste persone, alcuno disposto a divulgare simile notizie. Il tuo cuore è ancora giovane e non è bene che apprenda anzitempo ciò che riguarda il futuro".
Profondamente ferito nel suo acerbo orgoglio, Erfëa abbandonò la sala, senza pronunciare parola alcuna, essendo il suo spirito furente per l'umiliazione che credeva di aver subito. Non vi furono parole che placarono la sua insulsa ira ed egli trascorse alcuni giorni immerso in un profondo silenzio. Al termine di tale periodo, si presentò innanzi al padre e gli domandò consiglio:
"Padre, ben m'avvedo, ora che l'ira è scemata e la mia anima è nuovamente lieta, che le parole di Numendil furono sagge. Egli volle così mettermi in guardia contro l'arroganza che in talune occasioni si impadronisce dei nostri animi. Mi rendo conto, infatti, di essere privo di quella saggezza che terrebbe a freno la mia lingua: permettimi dunque di recarmi nella Terra di Mezzo, affinché i saggi consigli degli Eldar possano mitigare il mio carattere".
"Se tale è il tuo volere figlio mio – rispose Gilnar - non mi opporrò. Parti dunque, e reca i miei saluti all'Alto Re dei Noldor, Gil-Galad, figlio di Fingon".
Raggiante in volto, Erfëa si inchinò dinanzi al padre e non pronunziò più parola alcuna, ché i suoi pensieri erano volti alla partenza. Impaziente come lo sono solo tutti i giovani, prese a studiare le mappe e ogni altra pergamena fosse reperibile nella biblioteca paterna e che riguardasse la stirpe dei Primogeniti: avide, le sue mani accarezzavano i delicati rotoli racchiusi nei neri cilindri ornati di rune argentate, ché molto il suo cuore ambiva conoscere le nobili gesta della schiatta di Fëanor. Infine, allorché ogni cosa fu pronta, un vascello salpò da Númenor, recando a bordo Erfëa e Arthol, l'erede della casata del Mittalmar. Grande amicizia era sorta tra i due giovani, ché erano fratelli nel sangue e nelle armi, essendo discendenti di Elros Tar-Minyatur e scudieri del Regno.
Lunghe settimane trascorsero, né alcun evento infausto turbò il viaggio dei Númenóreani alla volta dei lidi rocciosi della Terra di Mezzo. Infine, all'alba del quarantesimo giorno dacché essi avevano abbandonato Rómenna, il marinaio che era di vedetta lanciò un grido ed essi scorsero, remote all'orizzonte, alte vette la cui cima pareva sfiorare il cielo. Affascinato da tale visione, Erfëa avanzò fino alla poppa e da lì poté scorgere uccelli, le cui sembianze il giovane Númenóreano aveva scorto solo in antichi tomi polverosi, prendere vita innanzi a lui, sostenuti dalla leggera brezza che spirava da occidente.
Il cuore del Númenóreano fu colto da grande emozione, ché mai avrebbe immaginato che luoghi a lui così estranei gli sarebbero sembrati familiari come le contrade di Andor: il suo animo e quello dei suoi compagni, colmati di euforia, si accinsero ad effettuare i preparativi per lo sbarco. Allorché ogni manovra fu compiuta e lo sbarco prossimo, alcuni fra i marinai più anziani, i quali erano stati ricevuti in passato alla corte di Gil-Galad, così parlarono ai giovani passeggeri: "Non abbiate timore! Alti signori dei Noldor, la cui maestà è tale che nessuno fra noi potrebbe eguagliarne lo splendore, dimorano in palazzi ricoperti d'oro ed argento; splendenti dame, le cui vesti leggiadre ondeggiano al ritmo di invisibili orchestre, allietano i banchetti che i magnanimi principi degli Eldar offrono a quanti di noi si recano presso le loro contrade".
Sbarcati dalla nave, i Númenóreani furono accolti da Elfi avvolti in chiari abiti; costoro si inchinarono loro, suscitando negli uomini sorpresa e confusione. Nessun giovane trovò o seppe solo immaginare parole tali che potessero sembrare degne degli eredi di Fëanor: meschine e superflue, infatti, sembravano loro le cortesi espressioni apprese durante l'infanzia. Gli Elfi, tuttavia, non parvero notare l'imbarazzo dei Dúnedain, consapevoli di quanto provavano nei loro cuori i giovani principi.
Alte guardie, i cui usberghi in maglia splendevano alla luce del Sole, fecero loro segno di seguirli presso la reggia di Gil-Galad, ché costui era impaziente di farne la conoscenza. Nel momento in cui essi furono dinanzi al sovrano elfico, egli rivolse loro cortesi parole di benvenuto:
"Le nostre stirpi, Dúnedain, sono sorelle, ché esse hanno diviso le medesime pene, né è mai venuta meno l'alleanza che i vostri padri strinsero con i nostri sovrani, allorché il mondo era giovane e l'Oscuro Nemico opprimeva i nostri popoli. Sia dunque piacevole il vostro soggiorno nelle nostre dimore". Terminato questo breve discorso, egli si rivolse ad ognuno di loro e con un cortese cenno del capo invitò i Númenóreani a prendere posto accanto a sé, ché era l'ora in cui gli Eldar erano soliti desinare.
In verità, sebbene i Dúnedain non avessero preso riposo dall'alba e fossero affamati, pochi fra loro riuscirono a mangiare: scarsa era l'attenzione che essi riservarono alle vivande riposte nei piatti d'argento, essendo i loro sguardi rivolti ai nobili signori e alle soavi dame che erano seduti al loro fianco. Erfëa, assorto dalla visione di simili Priminati, non pronunziò parola alcuna, né si mosse dal suo scranno finché non fu udito l'eco di una campana risuonare argentino. Lesti, i Signori degli Eldar si levarono allora dagli scranni ed invitarono i loro ospiti a seguirli in una vasta sala le cui finestre davano ad occidente; ivi si sedettero nuovamente e convocati bardi e menestrelli pregarono i Dúnedain di discorrere su quanto accadeva nell'Isola del Dono, ché, come riferì loro Gil-Galad, "ben poche erano divenute negli anni le visite degli eredi degli Edain alle aule dei Primogeniti".
A turno, i giovani principi di Númenor si levarono in piedi e raccontarono le vicende delle proprie casate e di quanto accadeva nei loro possedimenti: assorto nell'ascolto di tali parole, Gil-Galad annuiva sovente ed i suoi scribi annotavano su preziosi tomi ogni parola pronunciata dagli ospiti. Infine, dopo che molti ebbero parlato, Erfëa si levò dal suo scranno e si rivolse all'Alto Re dei Noldor con tali parole:
"Cosa vuoi che ti racconti, o re? Non dubito che i miei compagni abbiano rivelato alle tue orecchie quanto desideravi apprendere. Nessuna storia che narri le vicende degli uomini, tuttavia, mi pare adatta alle tue nobili sale, sicché io nulla dirò su tali eventi".
Curiosa parve invero al figlio di Fingon tale risposta ed egli domandò al suo ospite cosa volesse narrare, ché egli era stato il solo fra gli ospiti a non pronunciare parola ed il sovrano era ansioso di ascoltarne la chiara voce. Erfëa, tuttavia, scosse il capo e formulò tale richiesta: "Mio signore, giungemmo da Númenor per apprendere la scienza elfica e tale fu la ragione che spinse il mio spirito ad imbarcarmi sul nostro vascello; vorrei, dunque, che fosse la vostra voce a narrare una storia dei tempi remoti, quando la Luna ed il Sole dormivano e l'Oscuro Nemico del Mondo tesseva le sue tele di inganno nel periglioso settentrione. Ben dicesti, infatti, allorché affermasti che rade sono divenute le visite di noi Dúnedain alla tua dimora, sicché io ti prego di narrarci quanto i nostri cuori hanno obliato".
Mormorii di sorpresa si levarono da Elfi e dagli Uomini e molti si domandarono se le parole di Erfëa non fossero state troppo avventate; esse, tuttavia, piacquero al Signore dei Noldor, sicché egli raccontò ai suoi ospiti molte storie della Prima Era, le quali i Dúnedain avevano obliato o di cui nulla sapevano. Spentasi l'ultima nota del menestrello, Gil-Galad congedò i suoi ospiti con cortesi parole e si raccomandò ai suoi servitori affinché il loro riposo non fosse turbato da altro suono che non fosse quello dello stormire delle fronde degli alberi e dei canti che i Silvani intonavano fino a tarda notte.
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