Gli inganni di Morwin

Trascorse alcune settimane, accadde che nuovamente Elwen e Morwin parlassero; da tempo, ormai, i due evitavano qualunque conversazione, ché un velo adombrava i loro visi quando si incontravano e parola non pronunciavano. Quella sera però Morwin si trattenne a lungo e ambigue furono le frasi che le rivolse: "Ti saluto, signora degli Eldar! Ecco il Sole che nuovamente si riposa oltre la coltre di nubi – e così dicendo le indicò il tramonto, rosso sullo sfondo dell'orizzonte – "Poiché ben di rado ci incontriamo in questi giorni, devo dunque dedurre che il tuo cuore sia diventato gelido, come la neve sulle alte vette. Tuttavia so bene quanto la prima impressione si dimostri spesso errata; eppure mi è nota la tua nuova passione che ti tinge di rosso il viso, simile al Sole che tramonta nel freddo Inverno, pur sempre caldo, ma troppo remoto per riscaldare i cuori che errino lontani sulla terra, sempre che essi non lo supplichino con vive preghiere. E anche allora egli non troverebbe nessuna ragione per dar loro ascolto, ma anzi deriderebbe la loro fragilità, ritenendo giusto concedere la sua calda luce alla Luna e non gia a misere creature terrestri. Ben m'avvedo quanto il Númenóreano ti abbia stregato al punto tale da obliare antiche promesse" e così dicendo egli fece per andare via, non avendo altro da aggiungere. "Infame davvero è ogni tua dichiarazione, e ora, ecco, la mia stima nei tuoi confronti diminuisce ulteriormente. No! Frena la tua ira, signore, ché io non ti sono debitrice di nessun giuramento. Dì piuttosto che il tuo risentimento nasce da codardia, più che da rabbia legittima". Dinanzi a quella affermazione, il viso del sire di Edhellond rimase impassibile: "Può essere – replicò in tono neutro – eppure anche tu riterrai che ben più grave della codardia sia l'infamia. Un cuore menzognero è simile a una pianta rigogliosa che abbia però radici divorate da vermi ciechi e feroci. Sei tu abbastanza saggia da individuare la prole di tali parassiti?" concluse, abban- donandola allo sconforto. Morwin si era a lungo informato sul misterioso Uomo, che così repentinamente era apparso all'orizzonte: emissari egli aveva inviato a Pelargir, dove voci crudeli e cuori codardi gli avevano riferito dell'editto emanato da Ar-Pharazôn il Dorato contro Erfëa. Mai avrebbe dovuto ascoltare la voce della menzogna, l'eco di quella di Sauron: perché anche questa era opera sua e invero difficile ignorarla quando si possiede un animo tormentato, come quello di Morwin.

Grave davvero fu il suo errore, ché pure egli sapeva benissimo quanto fosse malvagio e infido Ar-Pharazôn, così come era informato sull'attività dei servi di Sauron tra le genti númenóreane: eppure, malgrado tutto ciò, veritiera gli parve la notizia pervenutagli. "Bene – si disse – tale è dunque il suo destino, ed è un destino di morte, a meno che non ritrovi il senno e si penta. Grave atto è, infatti, tradire la propria famiglia": tale era stato l'inganno teso dai servi di Sauron, che il sire di Edhellond aveva creduto Erfëa assassino del proprio padre e della propria madre, e dunque punito giustamente con una grave pena; tuttavia egli non aveva il coraggio di affrontarlo, ritenendolo al di sopra delle sue forze, ché bene conosceva le imprese del Dúnadan contro le schiere di Mordor. Il sire di Edhellond intensificò dunque la sua opera di persuasione presso Elwen; e la fanciulla, che sulle prime si rifiutava di credere alle sue parole, alla fine ne fu succube, la sua mente fu oscurata e più non splendettero le stelle nei suoi grigi occhi. "Egli è un traditore e un assassino. Non ritieni che la vita di Elwen sia in pericolo con un Uomo così malvagio? Non credi più opportuno salvare l'onore della tua stirpe, piuttosto che un Uomo già condannato dal fato? Ricorda quanto la casa di tua madre soffrì per il comportamento subdolo degli Uomini; ché, se è forte è nel tuo animo il desiderio del mare, ancor più splendente è la luce dei Due Alberi, che si nutrono del tuo luminoso animo".


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