| Capitolo 8 - Parte 4/4 - Fuga |

Brillo ritrovò i fuggitivi nel salone principale, in compagnia della servitù. C'erano parecchi cadaveri lignificati a terra e altri seduti attorno a un tavolo, a sorseggiare tazze di sangue come tè. Tenevano i mignoli ritti e ruggivano come se stessero parlando per davvero.
Un fremito paralizzò la spora quando riconobbe tra i commensali la tartarre che lo aveva rapito a Scultoria; frugava tra le viscere della moglie, la lucertola dal tacco mortale.

Avanzò, pensando a chissà quale tortura gli avesse inferto il Pallido.
Le mosche volavano ovunque, spensierati come i bimbi al parco divertimenti, o come Thelon il primo giorno di neve a Uma. Inseguivano la puzza di morte, saettando qua e là per la villa.

Seppur non riuscisse a comprendere il principio per il quale alcuni prigionieri venissero liberati e altri no, concordò sul risparmiarli. Lui non era stato in grado di farlo con la cuoca, ma l'aveva fatto col chihuahua. Si chiese se le due vite avessero lo stesso valore e concluse che sì, l'avevano. Ma lui non aveva il tempo di giudicare tutti, soprattutto quando volevano ficcarlo in un pentolone.

Il clima disteso lo convinse che non vi fosse più alcun pericolo imminente, eppure quella calma non gli dava pace. Si sentiva come uno dei tanti manicaretti di Thelon: a volte, anche se li allontanava dalla fiamma a cottura ultimata, li scordava in padella, dove finivano per bruciacchiarsi.

Lontano, davanti a un portone spalancato, il Pallido discuteva con una ragazza. Non riusciva a definirne le fattezze, coperta com'era da una tunica con cappuccio, ma era bassa e snella, come le avventuriere delle ballate più famose.  Portava stretto al braccio un secchiello, dal quale salivano effluvi di anatra fritta. Ogni tanto ne pescava uno, e lo divorava così bene da non lasciare un lembo di carne né di cartilagine. Gli impose quella stessa mano sulla fronte, ungendola di fritto e di magia. Quando il Pallido le strinse la mano, lei gli consegnò una lettera. Si salutarono e la ragazza si allontanò insieme a un'altra figura incappucciata, armata di un rossissimo maglio. Sparirono nella campagna, lasciandosi avvolgere dall'oscurità della notte.

Brillo drizzò le orecchie fintanto che riuscì a sentire i zoccoli dei loro cavalli, al trotto. Passeggiò fino al Pallido e si sdraiò al suo fianco a leccarsi le ferite.

«Bentornata mia cara spora» il mago lo aggiornò su quanto accaduto in sua assenza: la magione era presa, e i morti passeggiavano per le sue, ormai desolate, stanze. Gli parlò con genuino e pacato entusiasmo delle gesta dello gnomo serio e dello spettacolo al quale tutti avevano assistito. Il suo racconto venne arricchito dai commenti di tutti quelli che intuirono che si stesse parlando di quell'argomento.
«...Per non parlare di quando le budella sono schizzate per aria e uno di quei nobili vi si è impiccato» disse un fuggitivo.
«Fe-no-me-na-le dico io, fenomenale!» aggiunse un secondo.
«Perché, quando ha invocato il drago fantasma? Dieci di loro sono esplosi all'istante. Cadute sul posto, e sono ancora lì» un terzo fuggiasco indicò diverse paia di scarponi fumanti.
«Sono impressionato di come non gli sia venuto un infarto del mago
«Gli gnomi hanno una tempra fuori dal comune. Se n'è andato, ha detto che aveva ospiti per cena.»
«Mai far aspettare gli ospiti» continuarono a discutere dello gnomo serio e dell'importanza della puntualità per diverso tempo. Brillo, annoiato, seguì il Pallido, che controllava ogni cadavere con perizia.

«Pare che entrambi abbiamo ottenuto la nostra vendetta» disse il Pallido, notando il manto della spora, tinto di sangue fresco. Ai piedi del mago giaceva il corpo mutilo del capo delle guardie; le mosche passeggiavano dove un tempo erano attaccate braccia e gambe.
«Ha scelto lui di finire così: con uno stoicismo che non tutti possono vantare. Ha venduto i suoi uomini per avere salva la vita. Allora ho fatto decidere loro che sorte destinargli ed è andata come vedi... È stato un curioso esperimento sociale.»

La magione si svuotò, lasciando il Pallido e Brillo in quello stanzino in compagnia dei non-morti.
Se ne andò Rea insieme alla bimba; la teneva in braccio, infagottata. Consegnò al Pallido mele e grappa e salutò tutti con un occhiolino, accarezzando Brillo sulla fronte.
«Controllami Zoe» disse.

Si defilarono gli addestratori di scimmie misogine, a braccetto con le suore gravide. I ballerini omosessuali piroettarono verso l'uscita e i vecchi pugili si allontanarono in compagnia della servitù, trasportando vecchie tele e sacchi d'oro.

Brillo guardò il negromante dritto negli occhi: sembravano esplodere da un momento all'altro. Ora che erano soli, sulla villa il silenzio era calato come un giudizio divino.
«Come ti dicevo, io sono qui per una ragione» disse, e le sue parole risuonarono per tutto il salone. «Se la donna dei biscotti dice il vero, oggi potrò dire di essere un uomo soddisfatto. I bardi canteranno questa giornata come la più bella della mia vita, gli storici la studieranno e la designeranno come data d'inizio di una nuova era; qualcuno la temerà, qualcuno la accoglierà a cuor leggero. Le cose cambieranno e tu, cara spora, ne hai fatto parte. Ne stai facendo tutt'ora parte» camminò verso il mezzobusto di un fiero croccorillo.

Il viso squadrato della statua tradiva l'inettitudine dello scultore nel non saper disegnare le forme sferiche, o l'ironia del divino nel regalargli quell'aspetto. Eppure, nonostante quelle fattezze, Brillo sentì un certo brivido di timore nell'osservarlo troppo a lungo, come se quelle pupille lucide gli stessero scrutando la nudità dell'anima.
Abbassò le orecchie.

«Costui è Morne il Predestinato. L'eroe che ha salvato Risma dalla prima grande luce ed è diventato il protagonista» disse il Pallido, accostandosi senza timore. La statua indossava un monile, un sole stilizzato dai raggi tremuli come coltelli sacrificali.

«In tempi antichi, chiunque compisse delle gesta degne di rispetto prendeva il titolo di Morne. Morne potrebbe essere chiunque, potresti essere tu cara spora, o potrei essere io, povero negromante esiliato per aver troppo amato la sua terra. Io, uomo coraggioso e amante incompreso; io, mago talentuoso di modeste origini. Io, solo uno stupido Dubois.»

E allo scandire di quel nome il respiro di Brillo si arrestò. Era forse per quel motivo che sentiva di potersi fidare di quel pazzo negromante? Forse sotto sotto puzzava come tutti i Dubois che conosceva, come Thelon, Thalia e il vecchio Hansem.

«I Grandi Artisti hanno avuto tanti Morne tra le loro fila, hanno pagato per quei titoli. Li vedi tutti qua, intorno a te cara spora» indicò altre sei statue altrettanto squadrate, ma di pietra a marmo. Tre a sinistra e tre a destra di Morne, indicavano un preciso punto della stanza, coperto da un pesante tappeto rosso.
«Ne hanno avuto almeno uno per secolo.. e come immaginerai» caricò di sforzo fisico quell'ultima parola mentre si allungava per tastare la statua di Morne, in cerca di meccanismi nascosti «nessuna meritava tale ruolo, nulla da fare, il marchingegno non si muove.»

Strappò via il monile e, armeggiando su di esso, riuscì ad aprirlo in due, liberando un potere magico così forte da far prudere il naso alla spora. C'era un foglietto, una minuscola pergamena fitta di scritte e di simboli arcaici.
«Qui c'è il divino» disse, accostandosi a una candela e bruciando il foglio. Le fiamme della candela divennero blu, dissolvendo il foglietto in pochi istanti, fin troppo brevi di quanto ci si attenderebbe.

«Vedi le altre statue, spora cara?» ognuna recava incisa quella frase che il mago non faceva altro che ripetere dalla sua prigionia e che tornava a monopolizzare i suoi pensieri quando quelli più impellenti venivano scacciati.
«Nasce nel cuore, ma muore davanti agli occhi» lesse, muovendosi subito in direzione del punto indicato dalle statue «muore perché è celato da questo tappeto?»
Arrotolò il pesante tappeto porpora e lo gettò via, come un sacco di spazzatura dal balcone.

«Tutti siamo un po' Morne, ma nessuno di noi lo è in assoluto. Forse il protagonista di qualcuno è l'antagonista di qualcun altro?»
Controllò a lungo il pavimento, arrivando infine, dopo quasi mezz'ora di analisi approfondita, a concludere che quelle sotto al suo naso erano, senza dubbio, mattonelle.  Ed erano anche di ottima qualità. Si intrattenne in quel particolare così a lungo che Brillo perse interesse: smise di seguire le mosse del mago e, annoiato, si adagiò ai piedi di una delle riproduzioni di Morne, smuovendola di poco.

«Cosa c'è, cara spora, cos'hai notato?» chiese, avvicinandosi a lei e notando che il pavimento mostrava segno di usura. I piedistalli delle statue erano mobili, potevano ruotare.
«Che mi venga il rigor mortis!» Esclamò.
Il mago li dispose in modo tale che tutte e sei le statue indicassero quella del predestinato «Solo Morne è Morne, era ovvio!»

Quel movimento fece scattare qualcosa nella statua del croccorillo: spalancò la bocca, abbassando la mascella come un ponte levatoio.

«C'è una sola risposta amico caro, ed è in bocca a Morne, ce l'ha sulla punta della lingua» disse. Si dovettere arrampicare per riuscire a impadronirsi di quel che custodiva: dei sassi lisci e neri, striati di blu.
Ognuno di loro aveva impressa una parola in linguaggio demoniaco. Il mago se li rigirò tra le mani ossute.

«Nasce nel cuore, ma muore davanti agli occhi» sussurrò prima di leggerle a una a una «Ciglia, Magia, Desiderio, Procioni del passo ardente. Blakstiena, Magija, Noras, Ugningo žingsnio meškinai. Oh, la rabbia non c'è, devo ammettere che ciò mi spiazza. Tu cosa risponderesti amico caro? Quale tra queste è la risposta?»

Brillo lo osservava col viso inclinato, riflettendo sull'indovinello: aveva una teoria tutta sua secondo la quale le ciglia potessero essere la risposta più logica, ma era altrettanto intrigato dalla magia che, in qualche modo, era collegata al flusso sanguigno e ai battiti del cuore.

«Vedi, rischio di morire all'istante se sbaglio risposta, perciò a inserire la runa sarà uno dei nostri nuovi collaboratori» disse sorridente, richiamando a sé un non-morto e consegnandogli la pietra che riportava il simbolo del desiderio. La inserì sulla lingua di Morne e questo tremò.
Il busto indietreggiò di qualche metro, scoprendo una teiera in porcellana.

Il negromante la raccolse, la tenendola in braccio come una madre stringe a sé il proprio pargolo. Soffiò via la polvere dalla sua superficie, ripulendola per bene col pollice, proprio come un genitore che si cura della pulizia del proprio figlio impolverato. Si assicurò che il manufatto fosse integro e funzionate, avvicinando narice e infine orecchio al beccuccio della teiera.

«Non puzza e non suona, ma se provassi a bussare?» tremava di commozione.
Picchiettò per tre volte sul manico e attese in silenzio, trattenendo il fiato.

Dal ventre della tazza si materializzò uno spioncino, e due occhietti scrutarono quelli del mago e il suo naso a patata. Brillo sentì gorgogliare dal suo interno e il coperchio della teiera tremare; dal beccuccio schizzò fuori una colonna di fumo azzurro che, sbattendo sul soffitto, rimbalzò diverse volte per la stanza, prendendo traiettorie inafferrabili. L'esalazione, che aveva un piacevole odore di frutti di bosco, si raccolse in un unico punto, addensandosi fino ad assumere dei vaghi contorni da felino. Un grasso e grosso leone dai lunghi baffi bianchi e una buffa capretta si palesavano davanti ai loro occhi increduli.

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