| Capitolo 8 - Parte 1/4 - Fuga |

Quando una mano pallida e smagrita fiorì sul soffitto, Brillo meditava al centro della stanza.

Rifletteva su uno dei suoi sogni ricorrenti: si trovava in una casupola buia a intagliare boccali e bicchierini da grappa fino a tarda sera. Quando poi ne aveva fatti abbastanza li collaudava con tutto l'alcool di casa. Le mani grosse e tozze stringevano lame piccole come le unghie di un ratto. Le sue non erano abbastanza affilate e rischiavano di sporcare la legna di terriccio.
Scavava fosse e stringeva mani per professione, come il padre prima di lui e il padre di suo padre. Aveva ventun anni ed era stato un eroe di guerra per due volte. Aveva salvato tante vite e, per farlo, ne aveva spente altrettante. Poi aveva dovuto scavare fosse e stringere mani, come il padre prima di lui e il padre di suo padre.

Quei sogni non gli appartenevano, perché continuavano a fargli visita?

Seguì l'arto passeggiare su per il muro con l'eleganza di chi sa come muoversi con i tacchi. Le unghie picchiettavano la ruvida pietra come scalpelli, agganciandovisi per non capitombolare. Raggiunti i grani di tormalina, la mano recise il filo che li teneva uniti, salutando Brillo e appassendo in uno sciame di mosche. Le palle nero ebano caddero a terra, frantumandosi e desaturandosi. Le ombre reclamarono il loro spazio e si sparsero per le stanza.

La spora tese le orecchie al corridoio e, percependo dei passi rapidi dirigersi verso il suo stanzino, si immerse nell'oscurità, in attesa del cigolio della porta. Si legò al respiro spezzato della guardia in avvicinamento, ancorandovicisi; rimase all'erta piegato, teso, pronto a scattare alla gola del suo carceriere non appena questi avesse varcato la soglia della sua cella.

Avrebbe sfruttato la sua stessa ombra e da questa sarebbe sbucato come un gatto da una scatola. Così fece e se ne compiacque: il sapore delle sue membra aveva lo stesso gusto della vittoria. Gli squarciò la giugulare, bevendo il suo sangue caldo.

La guardia si divincolò, aggrappandosi a ogni lingua d'aria e spegnendosi nel giro di pochi minuti. Brillo lasciò che il sangue gli scaldasse le zampe. Attese il fischio dalla cella del Pallido per uscire nel corridoio; là fuori sentì il peso dell'attenzione dei prigionieri e le loro orecchie tese, o posate sulla porta come ventose.

La guardia si rialzò in piedi, trascinandosi fino alla cella del Pallido e aprendola con disinvoltura. Il sangue fluiva dalle ferite aperte, eppure riusciva ancora a stare in piedi. La spora ringhiò.
«Come ti ho detto, non ti farà nulla» la voce del Pallido vibrò da due labbra appiccicate alla parete.
«Eccoti arrivato mio buon amico.»

Uno smilzo figuro scrutava Brillo con piccoli occhi grigio nebbia, affossati in un cranio rugoso. La spora si soffermò su quel suo naso unto, spalmato sul volto come una pallina di gelato a terra.
Vestiva un sorriso gentile, che lasciava intravedere una dentatura corrosa da anni di privazioni e scarsa igiene orale; il viso stesso, glabro e ruvido di denutrizione, restituiva a Brillo l'immagine di un individuo che, nonostante l'atteggiamento gentile, negli anni aveva messo a dura prova, oltre che il proprio fisico, la propria salute mentale. Dove braccia e petto non erano colorate da neri tatuaggi, erano deturpate da cicatrici di vario genere e dimensione. Sembrava animato, nonostante la sua condizione attuale, da una certa febbrile e contagiosa serenità.

L'attenzione di Brillo non venne tanto attirata dalle catene e dai pesanti ceppi, quanto da una ciotola che bloccava i sigilli anti magia.
«L'ira istupidisce l'essere» sorrise nel notare che quel particolare aveva attirato l'interesse del mastino «Nasce nel cuore, ma muore davanti agli occhi: che sia proprio l'ira?» le folte sopracciglia verdi si inarcarono «No, si lega male.»

Quando la guardia lo liberò dall'ultima catena che, fissa al soffitto, gli stringeva il collo, il mago si riposò. Ne approfittò per godersi la posizione supina, poi quella subbetulla, e infine quella del loto.
«Bel lavoro. Sanguinolento sì, ma presumo di non poter chiedere di meno da uno come te. Atsisėsti» si rivolse alla guardia, e questa si mise, cigolando, a sedere. Brillo notò come la sua pelle si seccava con rapidità, diventando lignea come la corteccia d'un sughero. Senza mai aprire gli occhi, il Pallido si conficcò le affilate unghie sulla mano fino a farla sanguinare.

«Gėrimas» disse, e la guardia si chinò verso lui per leccare il sangue che fluiva dalla mano, protesa con carità. Il morto riprese vigore, alzandosi e attendendo istruzioni con le mani intrecciate dietro alla schiena. Brillo rimase stregato dal sangue che gli fluiva dalla giugulare: come poteva essere ancora in piedi? Cercò tra i suoi occhi appannati la presenza di qualcuno o qualcosa, ma non riuscì a trovarci nulla.

Bastò un cenno del negromante a rimetterlo in moto: si trascinò verso tutte le altre celle, liberando ogni altro individuo tenuto prigioniero.
«Come avrai potuto tu stesso constatare mio buon amico, chi finisce in questo luogo, non è sempre colpevole di atti indegni. Non tutti sono dei delinquenti o delle cattive persone, e non tutti i delinquenti sono cattive persone.»
Si rivolse a Brillo senza mai aprire gli occhi o cambiare la sua posizione di meditazione. Il tono era paziente, imperturbabile, le emozioni assenti.

«Non tutti sono celebrità, né maghi, atleti o studiosi di talento.»
Dal corridoio si udivano i passi incerti dei prigionieri: la spora fiutò la riluttanza in alcuni, il gran desiderio di libertà in altri. Si chiese in quanti avrebbero aderito alla fuga, chi invece sarebbe rimasto nel proprio antro, impaurito o sfiduciato.
«Ben pochi qua dentro sanno brandire una lama o invocare una magia.»
Alla sua cella tornarono diversi sciami di mosche, passando per la porta o per la finestrella che dava al cortile.
«Partonsene amico mio» disse alzandosi e stiracchiandosi come un felino dopo una dormita.
Attraversarono quel corridoio in silenzio, sfilando come eroi di ritorno dalla guerra. I prigionieri rimanevano sull'uscio, riluttanti e tra loro pochi andarono incontro al mago, ringraziandolo con abbracci o vigorose strette di mano; li scansò finché poté ma, nonostante i suoi sforzi, venne travolto dal loro eccesso di gratitudine.

«Comprenderai perché preferisco accompagnarmi ai morti» sussurrò a Brillo «sono tra i pochi bipedi che rispettano la mia esigenza di spazio.»

-

«Non disperare cara spora: siamo abbastanza per trasformare questo tentativo di fuga in una gradevole sommossa.»

Poi si rivolse a tutti, parlando col cuore in mano: l'aveva strappato dal petto di una guardia che aveva provato a fermarli; molti, colpiti dal gesto tecnico, avevano pensato che seguire qualcuno in grado di maneggiare un organo senza il minimo sentimento, era cosa buona e giusta. Altri non ne comprendevano il periodare, a tratti inusitato, a tratti tecnico. Si era presentato come uno di loro: se era lui in quel momento a parlare era solo perché aveva avuto modo di farlo per primo.

«Miei cari compagni di prigionia, ci troviamo pertanto davanti a un bivio: possiamo rimanere nelle nostre celle a rimuginare su cosa non va nelle nostre vite, oppure uscire da questa prigione.

Tornare dai nostri cari o iniziare una vita nuova in questo bellissimo folle mondo. Almeno per ciò che mi riguarda so già cosa non va nella mia via, e essere tenuto prigioniero in questo imponente casolare fuori Scultoria, è ad oggi al terzo posto. Certo, stare qui con voi e aspettare il mio turno per essere schedato, misurato, valutato, agghindato, accoppato può anche essere piacevole - siete tutti molto deliziosi quando non cercate di toccarmi - ma il cibo qui è proprio qualcosa di immangiabile. E non perché è un orco» due pelleverde si imbronciarono «un orco del mare nero, a farci da mangiare, ma perché è proprio la materia prima a essere scadente. E il servizio, beh, avete visto e sentito anche voi...» picchiettò su una targhetta affissa fuori da una cella e ne commentò il messaggio ivi scritto «domani pomeriggio 15.00/16.15, orchi cari siete fortunati, per voi questa vacanza termina presto. Io non ho ancora una data a quanto pare, voi altri?» molti andarono a controllare «quello che posso consigliarvi, nel caso decidiate di restare, è di armarvi di quello che vi capita e barricarvi nella vostra cella. Oppure potreste far parte di questa impresa: più siamo, più abbiamo possibilità di sopravvivere e dare una lezione ai "grandi" artisti. Sapete tutti chi io sia, avete avuto modo di vedere di cosa sono capace» la guardia rianimata iniziò a danzare come un burattino, slogandosi ogni giuntura, schioccando e cigolando. 

Altre persone si radunarono. «Ma questa volta, carissimi, abbiamo dalla nostra parte il numero, le tenebre, un corpo di sorveglianza rinnovato e inesperto e un effetto sorpresa sul quale la prima volta non potevamo contare. Con noi c'è anche una spora d'ombra.»
Brillo intimorì qualcuno e intenerì qualcun altro «potete unirvi a noi, oppure restare qui e attendere il vostro destino. La scelta è vostra.»

Gran parte dei prigionieri superò la soglia della loro cella per unirsi ai rivoltosi.

«Statemi accanto, lasciate andare le guardie rianimate davanti. Spogliatele delle loro armature e delle loro armi.»
Il Pallido dispensò qualche altro consiglio tattico e s'avviò in testa a quell'eterogeneo manipolo di disperati e speranzosi. Brillo si stupì di come ogni prigioniero, suo malgrado, incarnasse nell'abbigliamento stereotipi e luoghi comuni universali: c'erano addestratori di scimmie misogine, ballerini omosessuali, vecchi pugili sul lastrico e ancelle gravide.

C'era una ragazzina che stringeva un palloncino rosso, segno di smisurata sventura. Si allungò verso una donna dalle braccia bruciate, le sorrise e sparì nel nulla, lasciandosi dietro una scia di dadi.

«Sono dei folli a essersi inimicati una maga di Mordan, ah! Ma lo sono anche a essersi inimicati me, o te, o quell'individuo lì, lo vedi?» Disse il Pallido e indicò uno gnomo serio; aveva trafugato una pipa e la fumava con la schiena contro al muro.
«Sta per fare qualcosa, sicuramente» disse il mago trattenendo il fiato fino che lo gnomo non smorzò uno starnuto.

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