| Capitolo 7 - Parte 2 - Non per lei, per la missione |

La tenda del Dr. Pannetto aveva l'aspetto di un castello gonfiabile, con scivolo e pistole ad acqua pronte a sparare. Le quattro torri agli angoli sembravano braccia tese al cielo, guidate dallo spirare dei venti. Grande quanto un letto matrimoniale a tre piani, dentro era molto più spaziosa di quanto potesse sembrare all'esterno. Trenino sapeva essere molto ordinato.
Entrando calpestò la coda di un coccodrillo gonfiabile, saltando in aria per lo spavento.

Pannetto riposava su un letto a forma di automobile volante, con tanto di tettuccio estraibile e clacson personalizzato. Era legato stretto all'abitacolo e circondato da schermi che ne registravano la condizione. Fasci di tubi conficcati su braccia, gambe e petto pompavano liquidi arcobaleno sul suo corpo, drenando quelli in eccesso su cateteri e sacchetti.

Trenino lo guardò come si guarda il sacchetto della spazzatura del vicino di capsula.
«Promemoria: prima della missione assicurarsi che i partecipanti siano svezzati» disse.
«Viola il decreto d'accoglienza Be-Be 14.08» rispose Melanie dal suo avambraccio.
«Che vada all'ospizio il decreto d'accoglienza! La missione prima di tutto e questo genere di privazioni non fanno altro che comprometterne la riuscita!» alzò i toni, cosicché anche Pannetto potesse sentire. Ogni macchinario collegato al paziente registrò un picco dei valori, squillando, vibrando e disegnando presagi di morte sugli schermi piatti.

Controllò la temperatura del medico e si assicurò che il suo pannolino fosse pulito. Dormiva ancora: forse aveva esagerato con le botte in testa.
«Io e l'Ingegner Sonaglio, pace a lui, siamo già stati sottoposti a svezzamento programmato, il Dottor Pannetto a quanto pare no. Abbiamo scoperto solo al manifestarsi dei primi sintomi di astinenza la sua dipendenza dal latte materno. Contiamo di prelevare una puerpera una volta giunti a Scultoria così da quietare i sintomi dell'astinenza» disse, interrompendo la registrazione. Inserì la polvere gialla in una provetta, agitandola finché la soluzione acquosa non si colorò di rosa. Travasò il liquido nella flebo.

Non riusciva a capacitarsi di quell'errore di giudizio. Com'era potuto sfuggire ai software d'addestramento e ai reparti psico attitudinali? O il dottore aveva coperto la sua dipendenza o era stato aiutato da qualcuno che non aveva a cuore il recupero del Dubois. Non sapeva proprio cosa pensare: quella non era l'unica svista. Dov'era l'unità di supporto operativo? E i corpi Tiny? In quei giorni di marcia non aveva incontrato nulla di quello per cui si erano preparati. Risma era sì selvaggia e pericolosa, ma solo fuori dalle celle sperimentali e dai grandi parchi a tema.

Guardò il liquido bianco attraversare i tubicini fino a infilarsi nelle vene del dottore.
- Un problema per volta T – si disse.

I macchinari placarono il loro concerto, disegnando sugli schermi simboli di pace e armonia. I bip rallentarono, suonando come note di un pianoforte.
Pannetto aprì gli occhi.
«Sì, la ringrazio, Capitano, sì» disse il medico, afferrandogli e stringendogli la mano. Scandiva ogni parola, pensandola e pesandola. Le ingessature ai piedi erano così pasticciate da farle sembrare un elegante paio di stivali firmati.
«Necessitiamo di un mezzo di locomozione animale, la mucca unisce l'utile al necessario Dottore. Non la prenda sul personale, è solo per la missione».
«A ogni modo ce la metterò tutta».
«Cosa spera di ottenere, dottore?» ringhiò Trenino «è davvero un pediatra?»
«Sì, lo sono, sì. Pensavo di...» sospirò, mettendosi a sedere sul letto. «...pensavo che non avremmo avuto problemi a reperire del latte, invece siamo capitati in questo inferno...»
«È almeno cosciente dei rischi di questa dipendenza?»
«Lo sono» rispose.
«Lo spero» disse Trenino senza il minimo contatto, visivo ed emotivo. Mesceva il latte in polvere in uno scodellino d'acqua «Strana ironia: abbiamo delle tute in grado di resistere a raggi laser e impulsi mentali. Possiamo calarci giù per un vulcano ed esplorarlo senza sentire alcun calore o nuotare a migliaia e migliaia di chilometri di profondità senza che i nostri organi interni esplodano come uova al forno. I nostri campi di forza possono respingere qualsiasi ingiuria verbale o radiazione crepuscolare.
Eppure, eppure basta una freccia, una singola asticella di legno dalla punta in pietra o metallo per ricordarci che non siamo invincibili».

Travasò il latte in una tazza gialla.
«Siamo deboli, e questo ci impedisce di lottare con la maggior parte delle razze su questo pianeta, senzienti o meno; siamo lenti e questo ci rende impossibile la fuga. Crediamo di essere indistruttibili e invece siamo solamente degli involucri di carne molle che presto o tardi torneranno alla Culla» sospirò, «ma siamo dotati di una e una sola cosa che ci eleva: l'ingegno. La capacità di pensare, astrarre, costruire; la bravura nell'utilizzare la mente per stupire, persuadere, manipolare. E siamo anche molto carini, induciamo il prossimo ad abbassare la guardia, a non combatterci, a farsi abbindolare dalle nostre gote arrossate e dai piedini cicciotti. Certo, non tutti possono e non tutti ci riescono» Porse la tazza a Pannetto che, riconoscendola, sembrò apprezzare il gesto.
«Che mi si imbianchino i capelli! Sì, ci voleva proprio!» trangugiò il suo latte, riprendendo vigore. «Sì, quando si cresce crescono anche le preoccupazioni, ma sono le piccole che in genere ci uccidono. Quelle che non vediamo più o che per superbia non vogliamo più vedere.

Pensi all'essere umano: per millenni è stata la razza dominante. Ha conquistato, ucciso e derubato. Ha piegato le razze ostili e saputo trasmettere la sua cultura a quelle più mansuete; ma poi ha smesso di ritenere importante tutto quel che accadeva sotto al suo naso. Le rivolte hanno eroso le sue colonie, le guerre civili l'Impero galattico e ora l'uomo è solo l'ombra di se stesso, sì».

«Esatto. E lei, Dottore, che cos'è?»
«Io? Ritengo di essere un luminare, sì, uno scienziato d'azione, anche. Non ho mai trovato stimolanti né gli ospedali, né gli ambienti strettamente accademici. Amo i luoghi esotici, dove il disastro è palpabile. Penso che questo mi tenga vicino alla realtà, mi renda un po' meno umano, sì».

«Tutto ciò le fa onore, Dottore. Peccato che quel che ha detto non corrisponda esattamente a verità. Sappiamo entrambi quello che avrebbe potuto e dovuto fare la notte dell'atterraggio e questo è ben lungi da quelle che sono le mansioni di uno scienziato d'azione» agguantò uno degli ultimi sacchetti di polvere di lattosio e lo strinse, «ancora non mi capacito di come un marmocchio così intelligente possa essere anche così ottuso, superbo, umano.»

«La vita è fatta di regole, Capitano. E io ho scelto di seguirle fino in fondo, nella gioia e nel dolore. Quando il profeta Dentino abbandonò i vizi dell'Asilo si lasciò alle spalle la corruzione della crescita; per restare puri bisogna mantenersi quanto più vicini alle origini. È il mio credo Capitano, ed è solo mio, sì.»

Trenino si rese conto che non conosceva altri devoti al profeta.
«Con tutto il rispetto la sua fede, il suo credo, i suoi bisogni diventano anche i nostri quando si è in missione: la sua fame al momento è anche la nostra, così come la sua scelta di seguire i dettami del profeta Dentino.»
Di tutti i culti doveva proprio affidarsi a quello più autolesionista? Si voltò di spalle a massaggiarsi il setto nasale. L'odore della polvere da sparo gli saliva su per le narici irradiandogli il cervello di mille, confusi, ricordi. Visse antiche invasioni, vecchi conflitti. Resistette ai fischi, alle voci, alle esplosioni focalizzando il suono di un carillon, di una ballerina che ruotava infinite volte.

Espirò.
«Sarò schietto Dottore: se avessi potuto decidere chi portare e chi no, lei sarebbe a casa sua a rimpinzarsi di latte materno. Se potessi la lascerei qui, ma la missione viene prima e oggi è lunedì e non ho proprio voglia di bruciare un altro collega. Detto ciò riposi pure e veda di riprendersi. Non per lei, per la missione».
E uscì dalla tenda senza che il Dottore potesse ribattere; le sue mani tremanti si tuffarono nello scompartimento d'emergenza. Riemersero con un ciuccio color smeraldo, come gli occhi santi e maledetti della vecchia, dolce e cara, tata Francesca.

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