|Capitolo 5 - Parte 2 - La spesa |

Brillo seguiva i gattini per le vie cittadine; della nutrita combriccola di monelli erano rimasti in due, indissolubili torturatori di ratti. La spora trottava col capo chino sulla loro scia odorosa, facendosi largo tra la folla, dribblandola o passando sotto alle loro gambe, zampe o escrescenze di mobilità. Erano agili, ma lui poteva sfruttare le ombre per scalare le pareti ed evitare gli ostacoli. Non si divertiva così da diverso tempo: Thelon si stancava presto, mentre Zoe trovava sempre una scusa per non giocare con lui. Restava la cara vecchia amica coda, ma lei stava sempre un passo avanti a lui, che ogni volta finiva a bocca asciutta. Era bello trovare qualcuno che stesse al gioco e che avesse le capacità di competere con lui.

Non sapeva da quanto tempo li stesse seguendo, ma era evidente che aveva percorso parecchia strada. Si ritrovò in un punto della città sconosciuto, diverso dai fasti del centro storico e del quartiere degli dei. Un distretto dove si rispettava la libertà delle erbacce di proliferare tra le crepe dei lastricati e dei ratti di defecare nei vicoli. Eppure, a modo suo, quel quartiere tratteneva tutto l'amore per l'arte di Scultoria. Non c'era casa, palazzina, bottega o ufficio dalle pareti candide. E tra inviti sessuali, minacce a terzi e simboli politici c'erano affreschi capaci di lasciare a bocca aperta anche uno come Brillo, che di arte ci capiva poco. La spora venne rapita da un'immagine in particolare, che ritraeva una schiera di uomini senza bulbi oculari. Nelle cavità il nero più gelido, come quello delle profondità delle ombre.

Per strada si incontrava meno gente, e tutti sembrava avessero fretta di andare da qualche parte.
Brillo ritrovò i gattini, fermi in mezzo alla strada. Si erano resi conto che qualcosa non andava. Sui tavolini di una locanda fumavano ancora i piatti di zuppa, e i sigari, abbandonati sui posa ceneri, si lasciavano consumare dal tempo. Il vento ululava, scuotendo le tendine dei negozi e facendole suonare di solitudine. C'erano delle guardie cittadine che sistemavano le transenne lungo il viale e operai in vena di pulizie. Uno squadrone di dieci individui spazzava strade e marciapiedi in tutta fretta, spargendo a terra, talco e petali di rose.

Occhi indiscreti studiavano il da farsi dalle loro case, mani delicate scostavano tendine. Guardavano Brillo e i due gattini, paralizzati. Qualcuno pensò di invitarli dentro ma, quando le trombe squillarono una seconda volta, sigillarono ogni ingresso. Le uniche porte che si aprivano lo facevano per gettare fuori grandi sacchi color porpora. Si dimenavano come lombrichi al sole, sbattendo alle porte o provando a nascondersi nei vicoli presidiati. Le guardie li rigettavano per strada, dove si impanavano di talco e di petali.

La tromba squillò ancora e chi implorava pietà smise di farlo.

Il silenzio si sparse come un gas inodore. Il solo scalpitio dei cavalli aveva il permesso di disperderlo. Il loro arrivo nel quartiere riempì l'aria di inquietudine; trainavano carretti rinforzati, il cui contenuto era coperto da spessi teli color porpora, della stessa trama e fattura di quelli che adornavano alcune palazzine del quartiere degli dei. Si disposero ambo i lati della strada, bloccando ogni altro imbocco. Dall'estremità opposta arrivava una gruppetto di uomini in arme. Erano tutti orchi, tozzi energumeni armati d'ascia a due mani. Ansimavano come se avessero ingoiato una cucciolata di shih-tzu. Proteggevano un rospo in armatura bianca e due individui vestiti di seta e di perle. Sostenevano il peso di verdi parrucche, così simili nella forma e nell'odore alle siepi da attirare sciami di moscerini, vicini invidiosi e altri insetti da giardino. Appartenevano a quella categoria che Alfred descriveva come: "felici rappresentanti della decadenza cittadina. Voto 4". Non aveva aggiunto altro se non espressioni di ribrezzo.

Brillo si accorse quanto tardi fosse per darsi alla fuga quando i primi teli vennero ritratti. Quei carretti contenevano esseri di ogni razza ed etnia. Uomini, tauros e tartarre. Erano smorti, privi di ogni volontà combattiva. Non fiutava né paura né tristezza in loro. I primi a essere presi furono i gattini, poi venne il turno di Brillo. Le guardie li circondarono, sollevandoli da terra, come topini in trappola. Brillo sfuggì all'offensiva, immergendosi nelle ombre delle armi d'ordinanza. Ma il fiato era esiguo e prima o poi sarebbe dovuto uscire allo scoperto.

Fu il rospo a prenderlo, schiaffeggiandolo con la lingua e tenendolo fermo.
Guaì.
Il cerchio si aprì per far avvicinare la coppia. Lei schioccò la lingua e afferrò uno dei felini per la collottola. Questi si divincolò, fendendo l'aria con le unghie da latte.
«Una fortuna trovarne uno al naturale. Non c'è cosa peggiore di uno schiavo che sa di esserlo». disse, schioccando la lingua.

Dai fori della maschera Brillo scorse due puntini pulsare, come stelle lontane. Lo sbatté a terra, bloccandolo col tacco della scarpa.
«Patches caro, cosa ne pensi?» Chiese, facendosi ombra con un ombrellino di guscio d'ostrica. Si inumidiva le labbra con lingua biforcuta.

«Pelle e ossa forse» osservò la tartarre turandosi i fori nasali della maschera con un fazzoletto.
«Andranno benissimo una volta preparati» disse lui e lei, premendo col tacco sulla colonna vertebrale, lo mise fuori combattimento. La guardia che teneva il secondo gatto per la collottola lo strangolo fino a fargli perdere i sensi.

«Che dici, Patches caro, giardino o soggiorno?»
«Sono gatti, che stiano sui tetti.»
«In effetti.»
«E di questa questa spora d'ombra che ne facciamo, tesoro?»
«Puzza di strada.»
«Puzza di sporco.»
«Di sporco e di talco. E attira tutte le mosche, guarda quante cara, guarda quante, sciò, sciò». Agitando le dita, ben protette da un paio di guanti in seta, provò a scacciarle.
«Ma è così carina, Patches caro!» non riuscì a trattenere un gridolino.
«Troppo tenera!» ribatté la tartarre, immaginando di poterla stringere a sé e stritolarla di coccole.
«A Miss Lilibeth potrebbe comunque piacere, caro.»
«Che invidia. Speravo di farci un poggia piedi» disse Patches, richiamando due guardie e consegnando loro un borsello gonfio di monete. Indicò gli individui legati. «Lasciate tre monete d'oro alle famiglie trentaquattro, ventotto e settantuno. Gli altri non ci interessano; metteteli nelle gabbie e vedremo il da farsi.»

Due energumeni trasportarono Brillo e i gattini su un carretto, insieme al contenuto dei sacchi trentaquattro, ventotto e settantuno.
«Forza caro, continuiamo. Ho visto un usignomo carinissimo da quella parte. Potremmo regalarlo alla Contessa di Marzapane».

Le loro voci vibrarono nella testa di Brillo per ore, accompagnando ogni suo tentativo di ordinare la confusione che aveva in testa. Sgombrò la mente e si lasciò cullare da un sonno inquieto, dove riviveva la scena della sua cattura all'infinito, senza che potesse mai opporre resistenza.

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