| Capitolo 4 - Parte 2 - Scultoria |
Zoe uscì dalla locanda a passo svelto, costeggiando il Parco degli artisti e immettendosi nel Viale delle bestie. Quando passò vicino alle statue impettite di due aquilame, un brivido le salì lungo la schiena. Erano creature strane le aquilame, con il loro corpo da rapace e la testa da cammello. Si guardavano l'un l'altra come Thelon la guardava da una vita, o come guardava un cono di melanzane in pastella. Rimase impressionata dalla fedeltà delle riproduzioni, a grandezza naturale: nove metri d'altezza per quasi 8 tonnellate di muscoli e rabbia. Non era mai stata così vicina.
Un vecchio eremita un giorno le disse: «A volte paura è solo una questione di distanze, giovane sporca prodiga. Da lontano le cose hanno contorni incerti, cosa che turba le deboli menti, le miopi o quelle ignoranti come la tua. Il tuo maestro non è sempre stato forte e saggio come ora; quando avevo la tua età temevo i leprocchi più di ogni altra cosa al mondo: ero terrorizzato dall'idea che mi mozzassero le dita con quei loro dentoni arancio. Allora un giorno mi sono detto che dovevo vincerla questa cosa che mi bloccava; ho preso coraggio, una manciata di chocaina e ne ho avvicinato uno che si aggirava ai margini della foresta. Ricorderò per sempre il suo occhio, che mi fissava e mi fissava e mi fissava. Capii che dovevo solo avvicinarmi per accarezzarlo. Solo allora, solo quando fui a pochi metri da lui, mi portò via il braccio con una zampata. Ho rischiato di morire dissanguato quel giorno, però ho vinto, come un vero uomo d'onore».
«Ma hai perso un braccio...»
«E con esso la paura di perderlo, piccola miserabile prodiga. Rammenta sulle mie parole e smetti di aver paura, oppure dalla in pasto al nemico».
Zoe prese fiato. Forse era giunto il momento di prenderla a morsi la sua paura.
Non c'era alcun rischio nel toccare una statua. A meno che un terremoto improvviso non gliela facesse crollare addosso. Ma lei non aveva alcun timore delle scosse telluriche. Raccolse la sua fobia e si mosse incontro a una delle due aquilame. Il timore nutrì il suo incedere, passo dopo passo, sempre meno incerto. Posò il palmo sulle caviglie di una delle due statue, contando fino a dieci; le parve di toccare un cadavere e quella sensazione le gelò il sangue. Le tornarono in mente il gran puzzo del loro piumaggio e il vento così forte da farle chiudere gli occhi. Quando li riaprì si rese conto di essere ancora lì, incolume, con le due statue che torreggiavano su di lei. Si chiese se avesse vinto e concordò con se stessa che ne avrebbe dovuta reincontrare una in carne e ossa per scoprirlo.
Superata quella prova si tuffò nel centro storico, dove le abitazioni lasciavano spazio alle botteghe di lusso e ai palazzi signorili. Si imbucò in uno di quelli, sul quale sventolava la bandiera della Mercenaries Spa, la testa di un'ascia bipenne conficcata su un ceppo.
Zoe non era mai stata in quel distaccamento, ma sapeva cosa avrebbe trovato una volta varcata la soglia.
Da quando il Signorotto Oscuro aveva preso le redini dell'azienda di famiglia, la Mercenaries aveva cambiato immagine e modus operandi, assicurando ai dipendenti il minimo salariale e non una percossa in più rispetto a quelle consentite dalla legge. Aveva cambiato tante cose, e non tutte erano andate giù a Zoe. Asciugò le mani sulla maglia e si diresse al bancone di accettazione, dove una tauros compilava delle scartoffie. La sua postazione era un parco giochi per le formiche, che trasportavano cristalli di zucchero e cacao per prati di trucioli di matita e paludi di caffè appiccicoso.
L'impiegata vestiva la solita, attillata, divisa aziendale: un tubino rosso porpora che le faceva schizzare i seni fino al mento e boccheggiare come un pesce rosso incredulo. Grappoli di orecchini le piegavano le orecchie come i rami d'un salice. Vedendo Zoe li fece tintinnare.
«Dica» schioccò la lingua, soffiando un aroma di bacche di caffè.
Zoe lasciò scivolare un cartellino identificativo e una busta da lettere.
«Per mazzette e riciclaggio, sportello quattro» le unghie incurvate ballavano il tip tap sulla scrivania e una formichina rischiò di finirci impalata.
«No, è un vostro invito.»
Pinzò la lettera con le dita e se la rigirò tra le mani «chiedo scusa, non avevo notato il nostro sigillo» muggì l'impiegata, indicando le scale «nono piano, accoglienza speciale.»
Quasi tutte le filiali della Mercenaries erano uguali, così il signorotto oscuro non si perdeva mai. Stesso arredo, stessa planimetria – stesse facce – pensò Zoe. Si fece largo tra un gruppetto di avventurieri, intento a cercare la gloria tra gli annunci in bacheca.
«Che mi venga un colpo se quella non è Zoe Degli alberi!» squittì uno tra loro, un rinoceronte intrappolato nel corpo di un ippopotamo. Era un essere minuto, quasi più largo che lungo, dai piccoli occhi arrossati.
Si calò dalla sedia per andarle, barcollando, incontro.
«Oscar! Ti sei dato alla fede?» chiese lei, indicando una tonaca scarlatta.
«Più agli spuntini notturni» rispose una donna. Zoe rizzò le orecchie, inarcando le sopracciglia: quella voce e quel tono sempre calmo.
«No, Rea no.»
Anche lei, come Oscar, vestiva abiti religiosi. Si sfilò il cappuccio e una fluente chioma bianco perla le cadde sulle spalle.
«Come stai Zoe?» I suoi occhi neri ardevano come carboni dopo una notte focosa.
«Preferirei non stare qui. Voi?»
«Finché si fa qualcosa si sta bene» rispose Rea, distogliendo lo sguardo dai due.
«Ti trovo bene Zoe, hai finalmente deciso di lasciare quel senza palle dell'assistenza?»
«Chiamalo un'altra volta così Oscar, e finisco quel che ho iniziato a Bosco Losco» rispose col sorriso. Alla Mercenaries preferivano evitare disordini in casa loro.
Oscar alzò le mani, scoppiando a ridere.
«Scusalo, lo sai com'è fatto. Quando fuma troppo non riesce ad arginare le cazzate.»
«Non è colpa mia se al tempio non sanno dosare l'incenso.. quella roba è assurda.»
Zoe annuì: bisognava abbondare con i fumi per entrare tra le grazie del divino.
«Cosa ti porta qui Zoe? Credevo volessi prenderti una pausa... Sei qui per la Compagnia del Forforello? Il loro capo è stato avvistato in città qualche giorno fa, o così vociferano quelli del corpo esplorativo».
Zoe rise, bisognava essere dei folli per andare contro quel gruppo «Non sono qui per loro, o almeno credo. Sono stata convocata.»
«Il signorotto oscuro vorrà rivederti» disse Oscar.
«È qui? L'avete visto?»
«Cosa vuoi che ne sappiamo.»
Nessuno sapeva mai nulla. E anche se avessero saputo qualcosa, non avrebbero comunque aperto bocca, Zoe lo sapeva bene. Era stata anche lei una di loro, e i chiacchieroni avevano sempre vita breve, o lunga ma infelice. I tre discussero dei vecchi tempi andati, quando bastava qualsiasi contratto a gratificarli.
«Ci si vede in giro Zoe» disse Rea, salutandola. «Solo una cosa, gira voce che oggi sia giorno di spesa. Stai attenta.»
Zoe si irrigidì: prima che l'abbandonassero come un lebbroso durante le vacanze estive, il Sommelier li aveva istruiti sul tessuto sociale di Scultoria. Chiunque arrivasse in città poteva aspirare a diventare qualcuno se aveva talento, soldi o conoscenze. I nobili abitavano il quartiere degli dei, mentre i grandi artisti si raccoglievano in una grande villa di campagna. Erano una cerchia di eletti, talentuosi eredi dell'ingegnere fondatore.
Dettavano ogni moda e portavano maschere di legno. Salivano in città per fare un certo tipo di acquisti: il critico non scese nei dettagli, ma si limitò ad avvisarli qualora avessero incrociato degli individui con la maschera di legno. «Cambiate strada o, se proprio non riuscite, non cercate il loro sguardo. Siate educati e servizievoli, qualsiasi cosa vi chiedano; siate disposti a umiliarvi in caso, sono molto sensibili alle etichette» disse. Zoe rimuginò sulle sue parole. Thelon aveva sdrammatizzato con una battuta sull'allergia ai tessuti e il Sommelier, al solito, non aveva colto.
Aveva proprio un compagno stupido.
Salì le scale, prendendo fiato solo una volta raggiunto il nono piano. Fasci di luce colorata filtravano dalle vetrate, che raffiguravano scene di vita militare: dall'allenamento al rancio condiviso attorno al fuoco, dalla vestizione dell'armatura alla carica in battaglia. Annusò l'aria, inalando i fumi che spiravano sotto alla porta. Erano come gli incensi dei templi, ma con un retrogusto di marzialità. Da quell'altezza si poteva vedere tutta Scultoria, con le sue case bianche e le strade affollate, il cupolone del Tribunale e le alte torri delle scuole d'arte. Pescatori e mercanti navigavano sulle acque variopinte del fiume Tempera.
Vide il tempio sacro del quartiere degli dei, scavato nel cranio di un drago e molto più a valle le statue delle aquilame con le quali aveva testato i suoi limiti.
«Tu no viene?» chiese la guardia che presidiava l'ufficio accoglienza «o tu sbagliato?»
Coperta di metallo e spuntoni da testa a piedi, sembrava che non vedesse l'ora che Zoe se ne andasse per mettersi a sedere.
«N-no. Prendevo fiato» allungò l'invito.
«Tu tarda di appuntamento. Tu lascia tutto qua, arma, bacchetta, solda, documenta» anche la sua voce pareva di metallo.
Abbandonò ogni cosa, ma non la speranza di sapere quale fosse il motivo della sua convocazione.
Il signorotto Oscuro non amava mai mostrarsi al pubblico: era giusto che le persone lo immaginassero come preferivano, perché è nelle idee che si rasenta la perfezione. Egli poteva essere qualunque cosa e a lui andava benissimo così. Anzi, più si alimentavano teorie sulla sua persona, più i profitti schizzavano alle stelle. C'era chi ne richiedeva i servigi con la sola speranza che un giorno quel telo che lo rendeva un'ombra potesse squarciarsi e rivelare la sua identità.
«Zoe, Francesca, Paola, Floriana Degli alberi, finalmente!» vibrò una voce. Nell'ufficio risuonava tenue una marcia militare. Il signorotto oscuro se ne stava lì, dietro a un telo bianco. Di lui si vedeva l'ombra, tipica di un essere dai tratti geometrici, spigolosi. Cambiava posizione di rado e quando lo faceva era per creare delle figure d'ombra con le mani.
«Al» disse Zoe lasciandosi scappare un tremolìo.
«Ti piace questo posto Zoe? Siamo riusciti ad aprire una sede anche qui, anche se per ora abbiamo chiuso pochi contratti.»
«Al, per favore... dimmi cosa ci faccio qui.»
«Sempre al punto. Non immagini nulla quindi?» Torreggiò sulla ragazza con la sua voce bassa, cavernosa.
Zoe scosse il capo.
«Potresti dirlo a voce alta? Sai, non riesco a vederti dietro questo telo.»
«Sì e no. Ma deve essere importante visto come ci siamo lasciati.»
«E come ci siamo lasciati, ricordamelo» non le diede il tempo per rispondere «Sappi che quello a portare rancore era mio padre, non io. Sei qui per un lavoro.»
«Ho smesso con voi Al.»
«E allora perché sei qui?»
Lei bofonchiò qualcosa di incomprensibile «dimmi cosa vuoi e falla finita Al.»
«Tu sei una brava persona Zoe, ed è per questo che ti accolli ogni lavoraccio, per quanto disgustoso sia. Perché non vuoi che siano gli altri a sporcarsi.»
«Ho abbandonato questa vita dopo quello che mi avete costretto a fare alla mia gente».
«Potevi non farlo, potevi licenziarti prima e non dopo».
«L'avreste fatto comunque»
«Forse. Ma quelli erano erano altri tempi e papà seguiva solo chi prometteva più soldi, così come tuo padre no?»
Lei rimase in silenzio, ribollendo come una caffettiera.
«Stai ancora insieme a quell'impiegato delle risorse umane?»
«Sì, ma non sono affari tuoi Al.»
«E lui sa che sei qui?»
«Non tirarlo in mezzo alle tue cose.»
L'ombra alzò le mani e da sopra la tenda lanciò una pergamena. Zoe la lesse tutta d'un fiato.
«Come vorrei poter vedere la tua espressione ora... è il rapporto del reparto d'esplorazione. Il tuo villaggio è stato attaccato da due soggetti non identificati. Nani dotati di poteri magici sconosciuti: a quanto pare hanno in ostaggio il tuo patrigno e...»
– Che lo inghiottano le tenebre – pensò Zoe.
«... A quanto pare questi alieni hanno chiesto di un Dubois. Sai cosa potrebbero volere da lui? È un mago di discreto potere, ma nulla più chiunque altro. E all'assistenza era uno dei tanti gregari» non era l'unico Dubois al mondo, ma a Uma era rimasto solo Thelon ormai.
«Stai pensando di venderlo?»
«Vuoi fare un lavoretto per me, Zoe?»
La ragazza sospirò «Dimmi cosa devo fare.»
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