| Capitolo 11 - Parte 2 - Disordini pubblici |
Brillo
Brillo si era lasciato alle spalle la magione e tutti i suoi orrori, raggiungendo a muso basso Scultoria. Annusò l'aria umida della sera, di un caldo così penetrante da ustionargli lo stomaco. Dalla città arrivava un vento cocente, infernale.
Aveva aiutato i buoni a massacrare i cattivi, ma allora perché si sentiva in colpa come quando rosicchiava le ciabatte di Thelon? Di solito bastava rintanarsi nell'ombra e, con espressione pentita, aspettare la propria punizione. Quella volta percepì che non ci sarebbe stata espressione né luogo abbastanza buio dove nascondersi dai sensi di colpa. Respirò piano, guardandosi indietro: qualche non-morto lo scortò per un tratto prima di seccarsi in una posa arborea. Da sempre i figli della Madre Putrida tendevano a ignorarlo, e su questa non belligeranza di specie si era fatto diverse teorie. Alzò il capo e si guardò avanti, verso le colonne di fumo che si alzavano da Scultoria. Confluivano in una nuvola grigiastra dal corpo scuro e denso dalle altissime e magrissime zampette d'insetto.
Scultoria bruciava.
Avanzò verso i cancelli cittadini, davanti ai quali stavano ammassati i curiosi e i disperati. Una guardia provava a rispondere alle loro domande con garbo e, qualsiasi cosa dicesse loro, queste si ripetevano all'infinito. Invitò alla calma se stesso. Brillo constatò che le fiamme sembravano preferire una dieta povera, a base di baracche e capanne fatiscenti. Sgranocchiavano assi di legno come patatine fritte, accompagnandole ai loro residenti, affumicati o grigliati a puntino.
Oltrepassò quel lauto banchetto, che molti popolani cercavano di annacquare a secchiate d'acqua e si diresse verso il centro città. Erano i quartieri poveri i più colpiti, complice il dirottamento della sicurezza nelle zone più altolocate dove l'alta concentrazione di denaro, andava preservata per evitare danni. Si fece largo tra la gente per strada, strappata all'abbraccio delle fiamme o a quello dei suoi corredi. Le forze dell'ordine li calmavano con le solite frasi di circostanza, distribuendo coperte spesse e cioccolate fumanti.
«Andrà tutto bene signore».
«Ma si muore di caldo!» Sbottò uno di loro, che accarezzava le setole di una spazzola.
«È il protocollo signore, beva la sua cioccolata e ci lasci lavorare.»
L'accarezza spazzole sprofondò su uno scranno in legno pregiato, soffiando sulla cioccolata che gli era appena stata consegnata. «Dovevo far mettere in salvo lo schiavo, adesso chi soffia la mia cioccolata?» bofonchiò. Tutt'attorno a lui c'era così tanta mobilia da far sembrare quello spazio un mercatino dell'usato a cielo aperto. Un gatto bramava una boccia d'acqua sopra al tavolo, al cui interno sguazzavano due pesci rossi. Brillo venne attratto dai loro occhi vitrei, sui quali risplendevano le fiamme degli incendi. Guardie e volontari entravano e uscivano recuperando qualsiasi oggetto o essere vivente l'accarezza spazzole richiedesse.
«La ringrazio per gli occhiali, non ci vedo nulla senza! Oh, ma manca la custodia, potrebbe gentilmente...»
Thelon
«Cosa pensi di questo viaggio Dubois?» Chiese Zoe mettendosi a sedere sulla branda, raccogliendo i capelli corvini in una treccia larga. Thelon si perse tra le sue linee, impreziosite dal chiarore di una luna che filtrava timida dalle finestre di casa Dubois.
L'aria fresca della sera rigonfiava le tendine come vele d'una nave. Le dita di Thelon passeggiavano sulla sua nuda schiena, morbida e imperlata di sudore. Adorava come profumava la sua pelle, anche quando era umida d'amore. Le dita sorvolarono i tatuaggi di Zoe, e Thelon per un attimo ebbe la sensazione di assorbirne la forza.
«Una fortuna».
Le sfiorò i fianchi e la tirò a sé. Lei gemette di pace, ma oppose giocosa resistenza, lasciandosi cadere sulla sua pancia quando lui aveva ormai allentato la presa.
«Non per tuo zio».
«Mi spiace dirlo, ma lo conoscevo davvero poco. Quando babbo e Thalia se ne sono andati, mamma ha tagliato molti ponti con i Dubois del continente. Prima di allora si vedeva ai raduni. Da quel che ho capito lo zio passava il resto dell'anno chiuso nella sua villa a Nur, a fare quel che fanno di solito gli zii pieni di soldi». Zoe annuì e Thelon le parlò dei famosi raduni Dubois e di come Fester Dubois fosse una vera celebrità tra tutta la famiglia «...molto più di Hansem, Bernadette o Jean Pierre».
Zoe annuì ancora, stiracchiandosi come un gatto.
«Quando dall'orizzonte si intravedeva la sagoma del suo carro, gli animi si distendevano. Zio Fester Dubois portava sacchi di caramelle, ma a noi bambini non era permesso mangiarle. Poi scoppiò la guerra e dello zio non si seppe più nulla. Fino a qualche giorno fa, con l'invito all'apertura del testamento».
«L'occasione giusta per il nuovo raduno Dubois. L'ultimo raduno Dubois» disse Zoe.
«O il primo di un nuovo ciclo» Thelon si gettò su di lei. Le labbra si posarono su un piccolo neo che Zoe custodiva tra collo e seno, a un lato del petto. Vi si sfregò col naso, inspirando.
«Sembri triste però.»
«Malinconico. Tu che pensi?»
«Io penso che dovresti svegliarti, Dubois.»
E Thelon aprì gli occhi. Tastò il buio e si rese conto che l'oscurità era fatta di pelle, scaglie e piume. L'abbraccio di Zoe era un sogno lontano, la freschezza e il profumo delle sue carni un ricordo per il quale lottare. La morte lo accarezzava con il suo alito caldo e malsano. Si era risvegliato in un inferno basso e carnale, troppo reale per essere vero. Inseguì una lingua d'aria con brama, elevandosi ad ampie braccia verso l'alto. Guadagnò la libertà afferrando, stringendo, scalciando e sgomitando.
Nacque esausto, e pianse per lavare via il sangue.
«Ragazzo, non è salutare bivaccare su quel carnaio. Forza, scenda da lì e dia retta a questo povero vecchio.» Un esemplare di essere umano lo osservava con occhi vispi.
«O intende farsi pietanza per le aquilame?» chiese, inarcando lo spesso mono ciglio oltre il suo usuale picco di disagio. Aveva l'aspetto di un broccolo, un vecchio cavolo dalla voluminosa chioma crespa e gialla. E dello stesso colore era la sua carnagione intera, chiazzata di sangue rappreso e altri resti organici.
Thelon lo raggiunse calandosi già dalla montagnola di caduti e lui poté rilassare le sopracciglia.
«Non si offenda se non le stringo la mano...» disse sorridendo. La sua puzzava di escrementi e interiora. «Come sta, ragazzo?»
«Non male, era così fresco lassù che valutavo di farci una sciarpa con queste budella.»
«Si intonerebbe senz'altro con l'ambiente» disse, indicando i boati e le urla che salivano da ogni punto della città. In lontananza le spade stridevano e i più baldi cavalieri trovavano nuove sfide per saziare il loro onore.
«Lord... Tullius?»
«Ci conosciamo, ragazzo?»
«No, noi no. Però lei conosce Alfred Bougeaux.»
Il vecchio broccolo non rispose, lasciando che il suo mono ciglio parlasse per lui.
«Alfred, il Sommelier... dice che un tempo è stato il suo editore.»
«Storico, sono principalmente uno storico. Ma sono costretto a reinventarmi a livello professionale: oltre che editore sono un discreto uomo di fede, occasionalmente giornalista e nei fine settimana dogsitter. Carmina, ahimè, non dant panem ragazzo. Quello in cui collaborai con Bourgeaux è stato un periodo della mia vita che rimaneggerei pesantemente, se potessi.»
«Immagino.»
E scoppiò a piangere a dirotto.
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