Capitolo IV: Nel castello del Principe-Vescovo

Capitolo IV: Nel castello del Principe-Vescovo

Con sollievo di tutti, l'ultima parte del loro viaggio fu tranquilla e poterono raggiungere Aquileia senza incorrere in altri pericoli, sebbene Jacques rimanesse vigile, gli occhi che scrutavano costantemente i dintorni cercando eventuali segnali di minaccia. Nonostante la tensione della giornata, il loro cameratismo diede a lui ed Alisa un senso di distensione. Parlarono di argomenti più leggeri, di storia e racconti del feudo, e delle loro esperienze passate, e Jacques si trovò a godere genuinamente della sua compagnia. Alisa era intelligente, forte e si comportava con una dignità e imponeva rispetto. Più di questo, però, stava diventando qualcuno di cui poteva fidarsi – non soltanto come sua signora, ma anche come persona.

Quando raggiunsero Aquileia, il sole stava tramontando, gettando lunghe ombre sulle strade in acciottolato. L'antica città, fondata dai Romani come colonia ed avamposto militare contro i barbari che minacciavano i confini orientali d'Italia, si erse davanti a loro, le mura bagnate dal caldo fulgore della luce morente.

Prima di raggiungerla, Alisa condusse Fiordifoco vicino a Vaillant. "Jacques", lo chiamò, e quando il suo capitano girò la testa, guardandola interrogativamente, continuò a bassa voce. "Non voglio che quegli uomini rimangano insepolti, diventando cibo per gli animali selvatici della foresta."

Non c'era bisogno che specificasse a chi si stesse riferendo. Jacques annuì. "Capisco, mia signora. Che cosa suggerite?"

"Riferirò l'incidente al Patriarca Filippo", disse Alisa. "Tuttavia, li presenterò come briganti, non come mercenari, tenendo fuori il nome di Bembo, poiché non abbiamo altre prove tranne che la parola di Mariano di Ortiga, che però è morto."

Jacques strinse le labbra: sfortunatamente, Alisa aveva ragione, poiché non avevano alcuna prova oggettiva che Bembo fosse il mandante dell'imboscata. "Concordo", disse infine. "Finché non avremo prove solide, non possiamo accusare quel pezzo di merda." Accorgendosi d'aver usato un'espressione alquanto triviale, si affrettò a scusarsi. "Perdonate il linguaggio, mia signora...!"

Alisa ridacchiò. "Non preoccupatevi, Jacques... Ho sentito di peggio dai miei armigeri."

Ovviamente, pensò Jacques. Continuava a dimenticarsi che lei non era una timida, delicata nobildonna che arrossiva al più piccolo cenno di rozzezza. Ciò nondimeno, era una signora e meritava la cortesia dovutale; pertanto, in futuro avrebbe fatto attenzione alle parole che usava in sua presenza. Per ora, si limitò ad annuire rigidamente.

Mentre si avvicinavano al castello del patriarca, Jacques non poté fare a meno di provare un senso di sollievo. Il viaggio era stato difficile, e la prospettiva di riposo e sicurezza, seppur temporanei, era la benvenuta.

I cancelli del castello si aprirono per accoglierli, e ricevettero il benvenuto dai servitori del Patriarca Filippo.

"Due dei miei uomini hanno bisogno di cure mediche", Alisa disse loro. "Per favore, occupatevene senza indugio."

Jacques notò che il suo primo pensiero era stato per i suoi armigeri, un'ulteriore conferma di quanto tenesse alla sua gente, e della sua gentilezza e generosità. Governava con il potere dell'amore, non della paura, qualcosa che troppi leader non valutavano e perfino non comprendevano. Il suo rispetto per questa donna così insolita crebbe ancora.

Osservò due servitori aiutare gli armigeri ad allontanarsi; l'efficienza con cui i domestici del patriarca operavano lo rassicurò che si trovavano in buone mani.

Il Patriarca Filippo in persona arrivò in quel momento, una figura alta ed imponente abbigliata in abiti eleganti. Il suo sguardo era penetrante ma gentile. "Ben arrivati, Contessa Alisa, Messer Jacques", disse calorosamente. "Siete veramente i benvenuti qui."

Porse loro la mano affinché baciassero il suo anello episcopale. Alisa si inchinò alla maniera maschile, in accordo col proprio abbigliamento, ed accennò al bacio rituale; Jacques la imitò.

"Ringrazio Vostra Eccellenza", disse Alisa.

"Ho ordinato che approntassero i vostri alloggi, ed un bagno per ciascuno di voi", il patriarca continuò. "Sono stati preparati anche degli accomodamenti per i vostri armigeri. Prego, andate a riposare dopo il vostro lungo viaggio."

Jacques annuì con gratitudine, il corpo che bramava il riposo e il bagno promessi, ma rimase silenzioso, poiché spettava ad Alisa parlare con il loro ospite.

"Vi siamo grati per la vostra ospitalità, Eccellenza. L'apprezziamo molto", disse la contessa. "Tuttavia, prima che andiamo, dobbiamo informarvi di qualcosa di molto serio."

Il viso di Filippo mostrò immediatamente preoccupazione. "Di cosa di tratta, Dama Alisa?"

La contessa si girò verso Jacques e gli fece cenno di parlare.

"Siamo stati attaccati nella Foresta di Arvonchi", il capitano rivelò. "Una dozzina di uomini armati, ma fortunatamente siamo riusciti a sconfiggerli."

"Santo cielo!" esclamò il Principe-Vescovo. "Sono così felice che siate scampati incolumi! Sapete chi fossero?"

"No", rispose Jacques, in accordo con quanto aveva stabilito con Alisa. "Probabilmente volgari banditi."

"Vi prego, potreste mandare i vostri uomini a recuperare i corpi per dar loro cristiana sepoltura?" intervenne Alisa per evitare altre domande.

"La vostra compassione e il vostro senso di carità cristiana sono ammirevoli, Dama Alisa", dichiarò Filippo, colpito. "Darò le necessarie istruzioni affinché venga fatto domattina stessa."

"Vi ringrazio, Eccellenza", rispose Alisa, chinando il capo in segno di gratitudine.

Il Principe-Vescovo sorrise, poi si girò e fece cenno ad un servitore, che condusse Alisa e Jacques attraverso i saloni del lussuoso castello fino alle loro stanze.

Mentre camminavano, Jacques ripensò alle parole di Alisa subito dopo lo scontro. La sensazione che lei aveva descritto – di aver già combattuto insieme – indugiava nella sua mente. C'era qualcosa nella loro connessione che sentiva naturale, come se fossero dei pezzi che s'incastravano alla perfezione. Era una sensazione strana, che gli era completamente nuova, ma affatto sgradevole.

Le stanze che erano state approntate per loro si trovavano nella stessa ala della grande magione, sullo stesso corridoio ma separate da diverse altre. Quella di Alisa veniva prima; una cameriera in piedi accanto alla porta aperta la invitò con un cenno ad entrare. Pertanto, la contessa annuì a Jacques, congedandosi, e seguì la servitrice, mentre il cavaliere francese continuava lungo il corridoio, sempre guidato dal domestico.

La stanza assegnata ad Alisa era magnifica come il resto del castello, con un enorme letto a baldacchino, un grande armadio per i suoi abiti ed una scrivania con una sedia imbottita dall'aria molto confortevole. Tuttavia, Alisa era particolarmente grata per il bagno che le era stato preparato e che le permise di lavar via la sporcizia ed il sudore della cavalcata, come pure di alleviare la stanchezza delle sue membra. La cameriera era anche un'esperta massaggiatrice e diede ad Alisa un massaggio meravigliosamente rilassante, poi le spazzolò per bene i capelli e li acconciò in una complessa serie di intrecciature, una pettinatura molto elegante. Infine, la domestica aiutò Alisa ad infilarsi uno degli abiti formali che la contessa aveva portato con sé per il suo soggiorno alla corte del Principe-Vescovo, preparandola per il banchetto di benvenuto che Filippo aveva ordinato.

OOO

Nel frattempo, nell'intimità della propria stanza, Jacques si permise di rilassarsi nel calore del bagno che gli era stato preparato. Il caldo dell'acqua lenì i suoi muscoli stanchi, ed egli si appoggiò all'indietro, chiudendo gli occhi per un momento. Ancora una volta, i suoi pensieri si spostarono su Alisa. Era diversa da qualsiasi altra donna che avesse mai conosciuto: forte, indipendente, perfino feroce, eppure compassionevole. La rispettava profondamente, e quel rispetto si stava lentamente evolvendo in qualcosa di più. Si chiese cosa potesse essere quel di più, ma era ancora presto per dirlo, e Jacques non era il tipo d'uomo da precipitarsi a capofitto in qualcosa. Eppure, l'idea di trovare una vera amica in Alisa, forse perfino qualcosa di più, era un pensiero che indugiava ai margini della sua mente.

Una volta che si fu abbigliato elegantemente, come al solito in nero, Jacques si diresse verso la sala da pranzo, dove il Patriarca Filippo li attendeva per cena. Il salone era imponente, illuminato da candele e lampade ad olio, e nell'ampio caminetto ardeva un focherello.

Quando entrò, Jacques vide Alisa già seduta di fianco al Principe-Vescovo; sembrava riposata e composta nella sua bella veste verde. Gli sorrise mentre si avvicinava, ed egli sentì un calore spandersi dentro di lui che non aveva nulla a che fare col piccolo fuoco.

Il patriarca era un anfitrione assai cortese, ed il cibo era ricco e abbondante, con selvaggina come fagiano, cervo e lepre, serviti con svariati tipi di verdura stufata e grigliata. Non servirono però il vino Prosecco portato da Alisa, perché doveva stare a riposo al fresco, pertanto il barile era stato portato nella cantina più fredda del castello, dove sarebbe rimasto fino alla sera seguente. Invece, consumarono un rosso forte e molto aromatico.

La conversazione fu tranquilla, ma molto interessante, poiché Filippo era un uomo molto colto, ed anche un accorto politico. Raccontò loro che stava avendo guai con la vicina città di Cividale, ma che era fiducioso di poter superare qualsiasi possibile minaccia.

Per quanto la conversazione fosse interessante, però, Jacques si ritrovò più focalizzato sulla donna seduta accanto a lui, la cui presenza era un costante memento al legame che stavano costruendo. Si rese conto che il cameratismo che stavano sviluppando era qualcosa che apprezzava profondamente. Alisa non era soltanto la sua signora, stava diventando anche un'affidabile alleata, un'amica. E forse, col tempo, poteva diventare qualcosa di più. Per ora, tuttavia, avrebbe lasciato che le cose si evolvessero in modo naturale, permettendo alla loro connessione di crescere al proprio ritmo.

Mentre cenavano, Alisa incontrò gli occhi di Jacques diverse volte, ed ogni volta si scambiarono un sorriso amichevole. Era così confortante avere nuovamente qualcuno su cui contare, rifletté Alisa. Prima c'era stato suo padre, ma dopo la sua dipartita, due anni prima, era rimasta da sola a portare sulle spalle tutta la responsabilità del feudo. Era forte a sufficienza, ma condividere il peso era rincuorante. Avrebbe dovuto essere Riccardo come suo marito, pensò con quieto rimpianto; ma Jacques stava dimostrando di essere un degno sostituto, perfino un amico, qualcuno di cui poteva fidarsi per aspettarsi supporto e lealtà, qualcuno con sui si sentiva al sicuro e con cui sapeva di poter condividere qualsiasi cosa.

Come si era sentita con Riccardo, si rese improvvisamente conto. Il pensiero era rassicurante, ma anche un po' allarmante.

Gettò un'occhiata furtiva a Jacques, che stava sogghignando per qualcosa di divertente che Filippo aveva appena detto. Non si era aspettata, e tantomeno aveva previsto, di affezionarsi ad un uomo, dopo Riccardo. Era pronta per questo? Pensava di no. E comunque, Jacques aveva chiaramente, e più di una volta, dichiarato che non era in cerca di alcun coinvolgimento romantico. Pertanto, meglio abbandonare quel tipo di pensieri, Alisa concluse, facendo mentalmente spallucce.

Tornò a concentrarsi sulla conversazione, e la serata continuò piacevolmente.

OOO

Il mattino dopo, Alisa andò a trovare gli armigeri feriti; fu lieta di apprendere che le loro ferite erano stata curate e che sarebbero stati perfettamente in grado di tornare in servizio entro due giorni. Questo significava fermarsi ad Aquileia un giorno più del previsto, ma la salute dei suoi uomini era importante per lei ed il Patriarca Filippo non avrebbe sicuramente avuto niente in contrario ad ospitarli un giorno in più.

Poi, approfittò dei mercanti locali ed andò in cerca di merci difficilmente reperibili a Valdastico, come raffinati velluti e passamanerie per nuovi vestiti, pellicce di diversi animali, ma anche il pentolame di rame per la cucina e le posate d'argento per cui gli artigiani aquileiesi erano famosi. Jacques, libero da obblighi, l'accompagnò; apprezzò molto la vivace città, ammirandone i bei palazzi e le chiese, e si divertì a guardare Alisa contrattare ferocemente con i vari mercanti, che troppo spesso commettevano l'errore di sottovalutarla perché era una donna ma che presto si accorgevano di quanto si fossero sbagliati.

Venne la sera, e di nuovo Jacques ed Alisa cenarono con il Principe-Vescovo. Stavolta, per accompagnare il Prosecco, consumarono pesce di molti tipi, il meglio che il vicino Mar Adriatico poteva offrire: sgombri, triglie, acciughe, polpi, granchi e vongole.

"Davvero eccellente, parola mia!" esclamò Filippo, posando il suo secondo calice di Prosecco. "Dama Alisa, se il prezzo è onesto, piazzerò sicuramente un grosso ordine per il vostro vino."

"Grazie, Eccellenza", Alisa disse con un sorriso. "Sono lieta che apprezziate il meglio che Valdastico ha da offrire. Quanto al prezzo, dipende dalla quantità", aggiunse con un sorrisetto, sempre la donna d'affari che coglie le occasioni al volo.

"Ebbene, ho bisogno di parlare prima col mio intendente", disse Filippo, mentre un servitore gli versava dell'altro vino. "Ne parleremo domani, va bene?"

"Va benissimo", annuì Alisa, sollevando il calice verso di lui.

Il patriarca rispose sollevando il proprio calice, e poi bevvero, siglando il loro accordo preliminare.

La serata proseguì, e la conversazione scorse liberamente quanto il vino. Alisa, Filippo e Jacques si scambiarono racconti, discussero argomenti dei loro possedimenti, e risero agli aneddoti, ciascuno di loro apprezzando grandemente l'occasione di rilassarsi in così raffinata compagnia.

Ad un certo punto, il ricco cibo e gli innumerevoli calici di vino cominciarono tuttavia a farsi sentire, e non trascorse molto tempo prima che Alisa iniziasse a sentire il peso della giornata e del vino.

Jacques notò la sua espressione affaticata mentre la vedeva trattenere uno sbadiglio, il suo consueto acume appannato dall'alcol. La preoccupazione che aveva avuto per il suo benessere in precedenza, durante il viaggio, si riaffacciò subito alla sua mente. Si sporse verso di lei, parlandole con voce bassa e gentile. "Mia signora, sembrate stanca. Forse è tempo di ritirarci per la notte."

Alisa, battendo gli occhi assonnati, gli sorrise grata. "Penso che abbiate ragione, Jacques. È stata una lunga giornata."

Jacques si alzò dalla sedia, offrendole la mano per aiutarla a fare altrettanto. "Permettetemi di scortarvi alla vostra stanza, mia signora."

Alisa esitò, lanciando una breve occhiata al patriarca. Filippo, di ottimo umore, accantonò qualsiasi apprensione con un ampio sorriso. "Ma certo, ma certo! Dovreste riposare, mia cara Dama Alisa. E voi, Messer Jacques, fate in modo che i miei servitori si occupino adeguatamente della vostra signora."

Una cameriera apparve subito per assisterli, facendo della propria presenza una silenziosa assicurazione di decoro mentre Jacques aiutava gentilmente Alisa ad alzarsi. I tre – Jacques, Alisa e la cameriera – si diressero fuori della sala da pranzo, lasciando il patriarca a godersi gli ultimi sorsi del suo vino.

In corridoio, la tenue luce delle torce nei loro anelli di ferro gettavano ombre tremolanti lungo le pareti di pietra. Gli echi dei loro passi erano gli unici suoni mentre camminavano; Jacques si muoveva con attenzione e sicurezza accanto ad Alisa, che si appoggiava leggermente a lui, evidentemente spossata. Quando raggiunsero la camera della contessa, Jacques si fermò, attendendo che la cameriera aprisse la porta ed aiutasse Alisa ad entrare. Rimase sulla soglia, la mano che ancora poggiava sul braccio di lei.

"Grazie, Jacques", mormorò Alisa, la voce soffusa di calore dovuto sia al vino, sia al conforto del suo sostegno.

Jacques le rivolse un piccolo cenno, mentre un lieve sorriso passava sulle sue labbra. "Vi auguro un buon riposo, mia signora."

Con ciò, fece un passo indietro, consentendo alla cameriera di chiudere la porta dietro di sé ed Alisa. Ora solo nel corridoio, Jacques sentì l'effetto del vino bevuto che lo travolgeva a piena forza. Le pareti attorno a lui sembrarono inclinarsi, ed istintivamente allungò un braccio per sostenersi ad un muro. I suoi pensieri erano confusi, i sensi offuscati dall'alcol.

Decidendo d'aver bisogno di sedersi per un attimo, Jacques scorse una panca lungo la parete del corridoio e vi si diresse. La panca era invitante, e senza troppo pensarci, vi si accasciò sopra, con l'intenzione riposarsi per un momento prima di continuare verso la propria stanza. Ma non appena chiuse gli occhi, il peso della giornata e la nebbia del vino lo fecero sprofondare in un sonno profondo ed imprevisto.

Il tempo trascorse mentre Jacques dormiva, la testa posata contro la parete di pietra dietro di lui. Il castello era diventato silenzioso mentre la notte progrediva, i servitori che si muovevano con passo felpato; nessuno di loro osò svegliare il cavaliere francese dormiente per aiutarlo a raggiungere la sua camera. Come risultato, egli rimase indisturbato, una figura solitaria che russava lievemente nel corridoio poco illuminato.

Infine, alcune ore dopo, Jacques si mosse e si svegliò. Sbatté le palpebre, confuso, ancora preda degli strascichi del sonno imprevisto. Gemette piano mentre un sordo mal di testa gli ricordava gli eccessi della serata. La panchina scricchiolò mentre si spingeva faticosamente in piedi, ondeggiando leggermente sulle ginocchia mentre tentava di capire dove si trovasse. Il corridoio era scuro, appena illuminato dal debole bagliore di una singola torcia in un vicino anello da parete.

Jacques oscillò un poco, il corpo che protestava all'improvviso movimento. Un vago mal di testa pulsava quietamente dietro i suoi occhi, e di nuovo emise un basso gemito, passandosi una mano sulla faccia nel futile tentativo di scacciare la nebbia persistente che gli offuscava la vista.

Sentendo l'impellente bisogno del conforto del suo letto, Jacques barcollò in avanti con passi malfermi ma determinati. La sua camera non era lontana, e con poche goffe svolte si ritrovò davanti alla sua porta. La maniglia scattò silenziosamente mentre l'apriva, ed egli entrò nella stanza quieta e poco illuminata.

Una singola candela sul comodino gettava una tenue luce tremolante, creando ombre che danzavano sulle pareti. Jacques si mosse verso il letto a baldacchino, le mani che armeggiavano sui lacci della tunica per disfarli.

La stanza era buia, la ombre gettate dalla candela che giocavano strani scherzi alla sua mente stanca. Notò a malapena quanto lo circondava mentre si svestiva, i pensieri troppo confusi per notare alcunché di fuori dall'ordinario. Sapeva solo che doveva sdraiarsi e dormire per scacciare gli effetti del vino e della lunga giornata.

Le sue dita erano lente e fiacche, ma infine riuscì a spogliarsi, gettando distrattamente gli abiti a terra in un mucchio.

Il materasso era soffice ed accogliente mentre vi collassava, tirandosi su le coperte con un sospiro di sollievo. Il conforto famigliare del letto alleviò il dolore alla testa, e rapidamente, Jacques scivolò nel piacevole abbraccio del sonno, gli eventi della giornata che svanivano nell'oscurità dei suoi sogni.

La stanza tornò nuovamente al silenzio, il tenue bagliore della candela unico movimento. Il respiro di Jacques divenne più lento mentre cadeva in un sonno sempre più profondo, ignaro di quanto lo circondava e dei sottili dettagli su cui si sarebbe soffermato se fosse stato più all'erta.

Nella quiete della notte, una lievissima traccia di profumo, dolce e floreale, indugiava nell'aria, ma Jacques era troppo oltre per notarlo. Giaceva semplicemente tra le coperte, incosciente, in un luogo che gli offriva momentaneo rifugio dal peso del mondo.

E così, nel silenzio notturno, Jacques dormì profondamente, indisturbato e del tutto ignaro del piccolo ma significativo dettaglio che lo avrebbe sicuramente fatto trasalire se fosse stato più attento: la camera in cui era entrato vacillando, mezzo addormentato ed esausto, non era la sua.

OOO

Alisa si svegliò lentamente. Il suo cervello leggermente annebbiato e la bocca impastata le ricordarono della generosa quantità di Prosecco che aveva bevuto a cena. Era abituata a bere molto – non avrebbe potuto essere altrimenti, giacché aveva avuto a che fare col vino fin dalla più tenera età – pertanto era perfettamente capace di tenere l'alcol. Inoltre, l'eccellenza del vino che i vigneti di Valdastico producevano facevano in modo che i sintomi che seguivano un'ubriacatura fossero significativamente più leggeri di quelli provocati da un vino di qualità minore. Più leggeri, ma non completamente inesistenti, Alisa rammentò, sentendo lo stomaco sottosopra per l'eccesso di acido. Ebbene, avrebbe chiesto un rimedio adeguato al farmacista del castello.

Alisa si mosse e stiracchiò le membra. Spalancando le braccia, con la mano destra sbatté contro qualcosa di solido e caldo. Sorpresa, aprì di colpo gli occhi e, nella luce brillante del sole ancora basso che entrava dalla finestra – i cui scuri la cameriera si era dimenticata di chiudere la sera prima – scorse un volto maschile dormiente.

Jacques Le Gris.

Alisa sbarrò gli occhi, completamente sconcertata. Arretrò velocemente, quasi cadendo dal materasso.

Cosa ci faceva Jacques Le Gris nel suo letto, in nome di tutti i santi?

Rammentò cos'era accaduto la sera prima. Dopo che avevano lasciato il salone con il Patriarca Filippo che finiva il suo ultimo bicchiere, Jacques l'aveva aiutata a raggiungere la sua stanza da letto. Una cameriera li aveva scortati per decoro ed appropriatezza. Jacques si era fermato sulla porta della stanza e si era congedato, mentre la cameriera l'aveva accompagnata dentro ed aiutata a togliersi i vestiti, poi a mettersi a letto. Alisa era sicura che Jacques non avesse messo piede oltre la soglia. O almeno, era abbastanza sicura di questo.

Quindi cosa ci faceva, addormentato come un sasso sotto la sua stessa coperta?

Una coperta che, notò mentre i suoi occhi erravano sulla sua lunga figura, era scivolata in basso a scoprirgli il torace muscoloso. Il pensiero che fosse probabilmente del tutto svestito sotto il sottile lenzuolo, come generalmente si usava, la fece saltar fuori dal letto. Si esaminò, ma il suo corpo nudo non mostrava segni di una possibile copulazione, né lei sentiva nulla che potesse indicare qualsiasi tipo di comportamento inappropriato.

Velocemente, Alisa afferrò la camiciola e la indossò, poi si coprì anche con una vestaglia.

Frattanto, Jacques borbottò qualcosa nel sonno, poi si girò, mostrandole ora la schiena e le ampie spalle.

Alisa non poté fare a meno di fissarlo. Era veramente ben fatto, ma del resto la cosa non era sorprendente, poiché era un cavaliere abituato ad allenarsi ogni giorno della sua vita. E non era neppure il primo uomo mezzo nudo che vedeva, pensò Alisa, ricordando teneramente Riccardo ed i loro timidi amoreggiamenti dopo il fidanzamento. Tuttavia, Jacques era un uomo fatto, laddove Riccardo era appena uscito dall'adolescenza. Era come comparare uno snello alberello con una robusta quercia. Senza volere, i suoi pensieri si fecero inappropriati: come sarebbe stato accarezzare quelle larghe spalle mentre il suo petto muscoloso le premeva contro i seni...?

Arrossendo vistosamente, Alisa scosse la testa per scacciare quei pensieri piccanti. Respirò profondamente per ricomporsi e marciò con decisione verso il lato del letto dove giaceva Jacques, ignaro del mondo. "Jacques", lo chiamò, ma lui non si mosse. "Jacques Le Gris! Svegliatevi!" riprovò a voce più alta. Stavolta, il francese borbottò qualcosa di inintelligibile, ma nuovamente non si mosse.

Frustrata, Alisa posò una mano sulla sua spalla e lo scosse con forza.

Cogliendola di sorpresa, Jacques, sempre all'erta anche nel sonno, saltò su a sedere, la postura rigida, gli occhi vigili, pronto ad affrontare qualsiasi pericolo.

Presa alla sprovvista, Alisa barcollò all'indietro di un passo. "Ehi! Tranquillo, Jacques, sono solo io!" esclamò. "Come diamine siete finito nel mio letto??"

Jacques dilatò gli occhi nell'udire la voce di Alisa, e per un momento si sentì completamente disorientato. La vista di Alisa in piedi davanti a lui, abbigliata con soltanto una vestaglia, l'espressione turbata e confusa, cancellò gli ultimi residui di sonno. La fissò a bocca aperta, completamente sconvolto; prima che potesse anche solo cominciare ad analizzare la situazione, notò brevemente il suo aspetto: i capelli leggermente arruffati, il viso arrossato dal sonno, e la vestaglia drappeggiata in modo noncurante attorno alla sua figura. Una vista che, in altre circostanze, avrebbe suscitato la sua ammirazione, ma in quel momento, tutto ciò che fece fu intensificare il suo orrore.

Realizzando la gravità della situazione, Jacques si distolse bruscamente dal suo stato di panico e voltò il viso dall'altra parte, coprendosi gli occhi con una mano mentre si affrettava a scendere dal letto. Ma nella fretta, si aggrovigliò irrimediabilmente nelle lenzuola. Tentò di muoversi, e invece che eseguire una fuga aggraziata, barcollò goffamente, il piede bloccato nel tessuto che lo mandò a capitombolare lungo disteso sul pavimento con un pesante tonfo.

Quando Jacques era saltato dal letto, costernato, Alisa aveva subito distolto gli occhi, nel caso fosse stato completamente svestito. Tuttavia, quando lo udì cadere a terra, tornò a guardare, temendo che si fosse fatto male.

"Mon Dieu!" Jacques gemette in francese, più per l'imbarazzo che per il dolore, mentre tentava rapidamente di sgrovigliarsi dalle lenzuola. Almeno, notò con immenso sollievo, stava ancora indossando le brache – una piccola grazia che gli forniva una qualche sembianza di dignità in questa situazione disastrosa. Normalmente, si sarebbe spogliato del tutto, ma la stanchezza doveva averlo fatto desistere a metà.

Riuscendo infine a districarsi, Jacques si tirò in piedi, la schiena fermamente voltata verso Alisa. La faccia che gli bruciava per la mortificazione, riuscì a malapena a parlare, le parole che si affastellavano per la fretta di uscirgli di bocca. "Mia signora, io... io non so come questo sia potuto accadere. Lo giuro, non intendevo... non era... Voglio dire, non farei mai..."

Alisa si era mossa per aiutare Jacques, ma lui era riuscito rapidamente ad alzarsi da solo, pertanto si era fermata. Lo udì cominciare a scusarsi, chiaramente in estremo imbarazzo, la schiena rivolta verso di lei per evitare di guardarla perché non era appropriatamente vestita. Questo le diede tutto il tempo di osservare il suo fisico statuario, che non poté fare a meno di ammirare.

Jacques prese un profondo respiro, tentando di raccogliere i suoi pensieri sparpagliati, ma la sua mente era un guazzabuglio di confusione ed imbarazzo. Si passò una mano tra i capelli, ancora con le spalle voltate, mentre cercava disperatamente una spiegazione. "Devo avere... Ero così stanco, e il vino... Non mi sono reso conto... Devo essere entrato nella camera sbagliata per errore... Sono immensamente dispiaciuto, mia signora, questo è del tutto inaccettabile..."

La sua voce si spense mentre stentava a trovare le parole giuste. Jacques era un cavaliere, un uomo d'onore, e questa situazione era l'estrema definizione di disonore ai suoi occhi. Il pensiero che avesse inconsapevolmente invaso l'intimità di Alisa, anche se non ne aveva avuto l'intenzione, era mortificante oltre ogni immaginazione.

Mentre lui continuava a scusarsi, avvilito, l'imbarazzo di Alisa si placò. Jacques si stava comportando da uomo così nobile e premuroso che lei non poteva in alcun modo sentirsi adirata con lui per questa situazione pur altamente inappropriata.

Sempre con la schiena voltata verso di lei, le mani strette ai fianchi, Jacques si obbligò a parlare in modo più chiaro. "Vi prego, mia signora, perdonatemi. Vi assicuro, non è successo niente. Io... io non mi ero neppure accorto dove mi trovassi, fino a questo momento."

Si maledisse per la propria disattenzione. L'ultima cosa che voleva era causare disagio o imbarazzo ad Alisa, specialmente adesso che il loro legame aveva cominciato a prendere forma. Eppure eccolo qui, nella sua stanza da letto, dov'era finito barcollando come uno stupido ubriacone.

Facendo un altro profondo respiro, osò guardare sopra la propria spalla, la faccia ancora paonazza per imbarazzo. "Se... se lo desiderate, me ne andrò immediatamente... e troverò un altro luogo dove stare, mia signora. Posso solo implorare il vostro perdono per questo... questo errore."

Jacques rimase lì in piedi, tutti i muscoli del corpo tesi, in attesa della risposta di Alisa, pensando di non essersi mai trovato in una situazione tanto compromettente ed umiliante in tutta la sua vita.

A mano a mano che Jacques parlava, Alisa si sentì sempre più rassicurata. Sorrise leggermente. "Accetto le vostre scuse, Jacques", disse in tono tranquillizzante non appena egli tacque. "Sono assolutamente convinta della vostra integrità e che non sia successo nulla di sconveniente. Inoltre, lo saprei: sarò anche una donna non maritata, ma non sono un'ingenua verginella."

Non riuscì a trattenere una risatina. "Tuttavia, forse sarebbe meglio se vi rivestiste, ora. E se ve ne andaste al più presto."

Jacques rimase immobile come un sasso, il cuore che batteva forte mentre tentava di quietare i suoi pensieri impazziti. Le parole rassicuranti di Alisa lo aiutarono a calmarsi, ma l'imbarazzo della situazione lo avvolgeva come un pesante mantello. Non si era mai sentito tanto mortificato in tutta la sua vita, ed il pensiero di dover lasciare la stanza di Alisa senza che nessuno lo vedesse aggravava il suo stato d'ansia.

Mentre Jacques si affrettava a raccattare la sua tunica e ad infilarsela, Alisa si avvicinò alla porta e l'aprì di uno spiraglio per sbirciare nel corridoio. Quando lui fosse uscito, dovevano assicurarsi che non ci fosse nessuno a vederlo e a trarre le conclusioni sbagliate.

Un servitore stava passando, così Alisa richiuse prontamente la porta.

Jacques si tese. Voleva disperatamente sfuggire a questa situazione, ma sapevano entrambi che, se fosse stato visto mentre lasciava la camera di Alisa, avrebbero scatenato dannosi pettegolezzi che nessuno dei due voleva.

"Sono presentabile", borbottò dopo essersi affrettato ad indossare la tunica, gli occhi ancora bassi.

Alisa lo udì e si girò verso di lui. Vedendolo che stava ancora fissando il pavimento, sorrise lievemente. "Oh, potete guardarmi", disse, il tono che cercava di alleggerire l'atmosfera. "Sono vestita in modo sufficientemente decoroso. Dopo tutto quello che abbiamo passato l'altro giorno, salvandoci reciprocamente la vita, spero che mi vediate più come un'amica che come soltanto la vostra signora."

Le sue parole erano gentili, ma ottennero solo di intensificare la sensazione di vergogna di Jacques. Riuscì ad annuire, voltandosi infine verso di lei, sebbene il suo sguardo non incontrasse direttamente quello di lei. "Vi ringrazio, mia signora", disse piano, la voce ancora tesa.

Alisa sbirciò nuovamente fuori dalla porta, e quando il corridoio fu libero, segnalò a Jacques che poteva andare. Egli esitò per un secondo, poi scivolò sveltamente fuori, muovendosi il più silenziosamente possibile lungo il corridoio, il cuore che gli martellava nel petto. Il timore di essere visto si mescolava al suo ancora opprimente imbarazzo, facendo sembrare ogni passo un cammino infido.

Non appena fu fuori vista della camera di Alisa, Jacques rilasciò un respiro che non si era reso conto di star trattenendo. Si diresse alla propria stanza, i pensieri in tumulto. Quando infine raggiunse i suoi alloggi, chiuse la porta dietro di sé e vi si posò contro, passandosi una mano tra i capelli. La vergogna per quant'era accaduto – per la propria sbadataggine – lo rodeva, e lo avrebbe fatto per lungo tempo ancora.

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Alisa osservò Jacques uscire dalla sua stanza da letto senza più guardarla, ancora pieno di vergogna per quant'era accaduto. La pesante porta di quercia si chiuse dietro di lui, ma Alisa non si mosse, mentre la fissava sentendo un improvviso, inspiegabile senso di perdita. La situazione era stata imbarazzante, ma in qualche modo era anche sembrata giusta. Accigliandosi leggermente per l'inaspettata rivelazione, Alisa andò alla finestra e guardò fuori, oltre i tetti di Aquileia verso il cielo azzurro, dove il sole aveva iniziato a salire. Si domandò che cosa le fosse sembrato giusto. Sapeva già di sentirsi completamente al sicuro con Jacques, consapevole di non aver bisogno di star attenta a quello che diceva o ai suoi movimenti per non essere malgiudicata. Inoltre sapeva che egli era un uomo d'onore che non avrebbe mai approfittato di una donna, né di nessun'altra persona più debole, o di un nemico caduto. Pertanto, cos'altro poteva essere?

Poi, all'improvviso, le fu chiaro: le era sembrato giusto svegliarsi al suo fianco. Non in senso coniugale, semplicemente la vicinanza, la sensazione di sicurezza, di calore nell'avere qualcuno accanto a lei, che alleviasse la solitudine che provava da quando suo padre era mancato. Nel giro di dieci anni, aveva perso tutte le persone che amava di più: il suo fidanzato, sua madre, suo padre. Non aveva più nessuno al mondo. Giorno dopo giorno, seppelliva la sua solitudine sotto i propri doveri come signora del suo feudo, il suo amore per il tiro con l'arco, per la danza, per l'equitazione, ma al termine della giornata, doveva tornare ad una stanza vuota, ad un letto freddo. A volte, la sua forza di volontà cedeva, incapace di tenere a bada il suo lutto ed il suo dolore, e piangeva fino ad addormentarsi. Ed ogni mattina, doveva rammentare il suo senso di responsabilità per trovare la forza di alzarsi e di cominciare la giornata.

Ma non stamattina. Stamattina, aveva trovato Jacques che giaceva accanto a lei. E sotto lo sconcerto, si era sentita bene, al sicuro... serena.

Era così che si sarebbe sentita se avesse sposato Riccardo? si chiese. Sentì un'oppressione al petto. Sebbene avesse superato il lutto, pensare a quello che avrebbero potuto avere insieme, a quello che non poteva essere più, ancora la rattristava.

Un discreto bussare alla porta la distolse da questi pensieri malinconici.

"Chi c'è?" chiese, girandosi.

"Sono Orsina, mia signora", rispose la cameriera che il Patriarca Filippo le aveva assegnato. "Posso entrare?"

Alisa diede risposta affermativa e poco dopo, Orsina la stava aiutando a prepararsi per la colazione.

OOO

Il sole mattutino filtrava attraverso l'alta finestra della sala da pranzo, gettando un caldo bagliore sulla tavola riccamente decorata dove il Patriarca Filippo, Alisa e Jacques erano seduti per colazione. L'aria era colma dell'allettante aroma di pane fresco, affettati, formaggi e frutti maturi. Nonostante il sontuoso cibo che aveva davanti, Jacques riusciva a malapena a concentrarsi su di esso. La sua mente era ancora occupata dagli eventi accaduti la notte precedente, ed egli teneva lo sguardo fisso sul proprio piatto, evitando di guardare Alisa.

Invece la contessa continuava a gettare occhiate a Jacques; le spiaceva che evidentemente non avesse superato il proprio disagio, e stava cominciando a temere che la loro amicizia, che aveva cominciato a svilupparsi tanto bene e si era approfondita dopo che avevano affrontato la battaglia insieme, ne avrebbe sofferto, o peggio, che potesse spezzarsi.

Il Patriarca Filippo, tuttavia, era di buonumore, completamente ignaro della tensione che sobbolliva tra i suoi due ospiti. Continuava a chiacchierare allegramente, la voce piena d'entusiasmo mentre parlava di diversi argomenti. "Lo sapevate", disse, tagliando una fetta di formaggio, "che gli artigiani aquileiesi sono famosi per la loro eccellenza nella lavorazione del metallo? Abbiamo avuto un incremento nella domanda della nostra argenteria – artigianato di notevole maestria, davvero. Sto pensando di commissionare una nuova serie di calici per la cattedrale, qualcosa di veramente splendido che rifletta la gloria della Chiesa."

Non notò le espressioni tese sui volti di Alisa e di Jacques mentre continuava imperterrito. "E parlando della cattedrale, stiamo progettando una grande festa tra pochi mesi, per celebrare San Marco. Sarà una cosa memorabile: arriveranno a Aquileia pellegrini da tutte le parti del mondo. Dovreste venire entrambi! Sarebbe un'eccellente opportunità per i vostri affari, Dama Alisa. Ci saranno molti mercanti, e il vostro Prosecco sarebbe un ottimo complemento alle celebrazioni."

Alisa riuscì a produrre un sorriso educato, la mente chiaramente altrove, ma Filippo non si scoraggiò. Rivolse la propria attenzione a Jacques, che stava facendo del suo meglio per sembrare interessato. "Messer Jacques", cominciò Filippo con una certa curiosità, "anche voi venite dalla Normandia, se non sbaglio. Da quale parte esattamente? Mi piacerebbe saperne di più della vostra città natale."

Jacques si irrigidì leggermente, il suo disagio evidente. "Argentan, Vostra Eccellenza", replicò concisamente, senza aggiungere altro.

Filippo esitò, percependo la riluttanza del cavaliere, ma insistette educatamente. "Ah, Argentan. Un nobile luogo, certamente. È vero che i cavalieri vi vengono addestrati a partire da giovanissimi nelle arti del combattimento e dei modi cortesi?"

Jacques si sforzò a sorridere, annuendo rigidamente. "Sì, Vostra Eccellenza. Fin da molto piccoli, ci viene insegnata la via della spada, come anche di servire e proteggere con onore."

Filippo annuì con approvazione. "Ah, la vita di un cavaliere! È una nobile vocazione, in effetti. Sono sicuro che avete molte storie di valore e coraggio da raccontare. Forse un giorno me ne racconterete alcune?"

Jacques annuì nuovamente, ma la sua mente era lontana dalla conversazione. Non riusciva a scuotersi di dosso l'imbarazzo e il dispiacere che gli gravavano sulla coscienza. Ogni tanto, lanciava di nascosto uno sguardo ad Alisa, ma ogni volta distoglieva rapidamente gli occhi, incapace di affrontarla apertamente.

La colazione continuò sullo stesso tono, con Filippo inconsapevole della tensione mentre continuava a parlare delle celebrazioni a venire, di politica locale e delle più raffinate ricette della cucina aquileiese. Alisa rispondeva educatamente quando necessario, ma la sua attenzione era divisa.

Finalmente, il pasto giunse al termine e Jacques, desiderando disperatamente sfuggire al disagio, si scusò educatamente. "Se mi volete perdonare, Eccellenza, mia signora, ho doveri da svolgere nelle scuderie."

Filippo lo congedò con un cenno allegro. "Ma certo, Messer Jacques, ma certo! Abbiamo tutti le nostre responsabilità. Godetevi il resto della giornata."

Jacques si alzò e rivolse un breve inchino a Filippo e ad Alisa prima di andarsene. Nel momento in cui uscì dalla sala da pranzo, esalò un lungo respiro, sentendo il peso della situazione che lo schiacciava. Le scuderie, con i loro odori e suoni familiari, sarebbero state il suo rifugio, un luogo dove poteva seppellirsi nel lavoro manuale e tentare di dimenticare l'imbarazzo che gli stava attaccato come un'ombra. Con determinazione, marciò alle scuderie.

Alisa si accigliò alla fuga di Jacques. Perché quello aveva fatto: era scappato. Scappato via da lei.

Strinse le labbra: no, questo non andava bene. La loro amicizia – l'essere a proprio agio l'uno con l'altra, la fiducia, la sicurezza – era a rischio. Le era troppo preziosa perché vi rinunciasse soltanto per uno stupido errore fatto sotto l'influenza di troppo alcol da entrambe le parti. No, non avrebbe permesso che tutto questo evaporasse come neve al sole!

"Mi dispiace, Vostra Eccellenza", disse a Filippo, interrompendo le sue allegre chiacchiere. "Ho una faccenda importante di cui devo occuparmi. Vi prego di perdonarmi se sembro scortese, ma devo andare."

Il suo tono urgente fece tornare subito serio il Principe-Vescovo. "Ma certo, mia cara Dama Alisa!" esclamò. "Non vi preoccupate. Per quanto io apprezzi la vostra compagnia, comprendo quando giunge un problema che bisogna risolvere immediatamente."

Alisa sorrise con riconoscenza a Filippo, apprezzando la sua intelligenza ed il suo buonsenso. Si alzò dalla sedia ed uscì velocemente dalla sala, dirigendosi alle scuderie a passo rapido.

OOO

Quando Jacques aveva raggiunto le scuderie, si era messo immediatamente al lavoro strigliando Vaillant. Il movimento ritmico della spazzola contro il mantello del cavallo lo aiutò a calmare la sua mente, ma il senso di fallimento permaneva. Più tentava di perdersi nel compito che si era assegnato, più i suoi pensieri tornavano alla notte precedente e alla vergogna che provava.

Non trascorse molto tempo prima che udisse passi in avvicinamento. Jacques si tese leggermente, stringendo più forte la spazzola. Si girò e vide Dama Alisa in piedi all'entrata, l'espressione calma ma determinata. Lo aveva seguito, e lui sapeva che lei aveva notato i suoi tentativi di evitarla.

"Jacques", lo chiamò con voce ferma ma gentile. "Perché vi state nascondendo da me?"

Jacques deglutì a fatica, fermando la mano sul manto del cavallo mentre cercava le parole per spiegarsi. Infine, tornò a girarsi verso di lei, sebbene dovesse chiamare a raccolta ogni oncia della propria forza di volontà per sostenere il suo sguardo. "Perché mi vergogno di me stesso", disse con sforzo, la confessione che gli sfuggiva dalle labbra prima che potesse fermarla. "Mi sono permesso di perdere il controllo, di bere troppo. Non sono stato capace di impedire che questo incidente accadesse."

Alisa aprì bocca per dire qualcosa, ma Jacques voltò rapidamente il viso dall'altra parte, sollevando una mano per fermarla. Si morse un labbro, tentando di raccogliere i propri pensieri, prima di continuare con voce carica di sconfitta. "Vi ho deluso, mia signora. Non soltanto per la situazione inammissibile, che da sola avrebbe potuto causare danni alla cui sola idea tremo, ma ancor più di questo, vi ho deluso perché, a causa dello stato in cui ero, non avrei potuto proteggervi, assistervi come mi sono impegnato a fare. Ciò è imperdonabile per un cavaliere. Avrei dovuto essere più cauto, e nonostante la vostra amabilità, la vostra più che cortese decisione di soprassedere a questo comportamento vergognoso e alle mie mancanze, cosa di cui vi sono profondamente grato, vi supplico di perdonarmi se non riesco a perdonare me stesso con altrettanta facilità."

Ancora una volta, ascoltando Jacques aprirle il suo cuore, Alisa sentì il bisogno di parlare, ma comprendendo quanto questo fosse importante per lui, scelse invece di stare in silenzio e continuare ad ascoltarlo.

Jacques chinò la testa; un profondo sospiro gli sfuggì dal petto mentre il peso delle proprie parole lo schiacciava.

Vaillant, percependo il suo turbamento, gli diede un colpetto col muso sul fianco, poi strofinò la testa sulla sua spalla in un gesto consolatorio. Ma anche quel piccolo conforto fece poco per alleviare il tumulto dentro di lui. "Sono venuto da voi perché volevo intraprendere una nuova strada", continuò, la voce poco più di un sussurro. "Perché cercavo sollievo dal mio passato e volevo ricominciare daccapo. Ma la notte scorsa... vi ho deluso, e ho deluso me stesso."

Il silenzio nelle scuderie divenne pesante, interrotto unicamente dai lievi rumori dei cavalli che si muovevano nei loro stalli. Jacques provava un profondo senso di vergogna, non solo per quanto era accaduto, ma per aver permesso a se stesso di rendersi vulnerabile, di tenere così tanto a quello che Alisa pensava di lui. E tuttavia, non poteva negare la verità in ciò: la rispettava, l'ammirava, e questo rendeva il suo fallimento ancor più doloroso.

Per quanto desiderasse rassicurare Jacques, Alisa si trattenne ancora, percependo che non aveva ancora finito.

Infine, Jacques osò tornare a guardarla, gli occhi pieni di rammarico. "Mi dispiace", disse, la voce rauca. "Non so come rimediare, ma farò qualsiasi cosa per riavere la vostra fiducia."

Quando il cavaliere finalmente tacque, Alisa fece un paio di passi avanti, riducendo la distanza tra loro. "Per favore, guardatemi, Jacques", disse a bassa voce.

Egli esitò, ancora troppo mortificato per guardarla direttamente, ma Alisa era proprio di fronte a lui e non poteva evitarla. Infine, sollevò gli occhi ad incontrare il suo sguardo gentile.

"Ascoltate, Jacques", Alisa disse piano. "La vostra angustia vi fa onore. L'apprezzo. Dico davvero. E capisco perfettamente che temiate di avermi delusa riguardo al vostro dovere di proteggermi. Tuttavia, ci troviamo in un luogo sicuro. Non può accadermi nulla di male in casa del patriarca. Pertanto, non siate troppo duro con voi stesso. Se pensate di avermi delusa, e desiderate rimediare, allora semplicemente promettetemi che non accadrà mai più. È sufficiente, per me. Non avete mai perso la mia fiducia, neanche per un momento. Ho ancora piena fiducia in voi. Mi fido di voi per la mia vita e per il mio onore."

Alisa posò una mano sul braccio di Jacques per enfatizzare le proprie parole. "Non lasciate che questo sbaglio rovini la nostra amicizia", lo pregò. "Significa moltissimo per me. Ho bisogno del mio amico, non soltanto del mio cavaliere. Quindi, vi prego, provate a perdonarvi così come ho già fatto io. Lo farete?"

Jacques sentì il calore della mano di Alisa sul proprio braccio, e le sue parole gli portarono un senso di consolazione che non si era aspettato. Gli stava offrendo qualcosa di prezioso – la sua fiducia, la sua amicizia – e sapeva quanto significasse, specialmente arrivando da qualcuno come lei.

Lo faceva sentire profondamente umile.

Prese un respiro per calmarsi, incontrando il suo sguardo con tutta la sincerità che riuscì a raccogliere. "Alisa", cominciò con voce ferma ma gentile, "la vostra offerta di amicizia significa per me più di quanto io possa esprimere. Mi lusinga immensamente, davvero. Tuttavia, vi considererò sempre la mia signora, perché è questo che voi siete per me." Fece una pausa, cercando le parole giuste. "È mio dovere ricordare sempre il mio ruolo. Siete la mia signora, e la mia prima e più importante responsabilità è di servirvi e proteggervi. Quest'unica volta vi ho deluso e vi giuro che non accadrà di nuovo. Giuro che in futuro mi assicurerò di essere sempre nel pieno controllo delle mie facoltà per essere in grado di adempiere alle mie responsabilità." Esitò, poi aggiunse: "Sappiate però che non è che io non dia valore all'amicizia – tutt'altro, gliene do molto. Ma credo che mantenere la distinzione tra noi sia importante, per il bene di entrambi. Mi sforzerò sempre ad essere il cavaliere su cui potete far affidamento, colui che vi protegge e vi serve, ed è su questo che debbo concentrarmi."

Alisa annuì lentamente, accettando le parole di Jacques. Aveva ragione: era appropriato e pure preferibile mantenere la distinzione tra signora e campione. Dei limiti erano necessari, anche se potevano fondere lavoro e amicizia, almeno fino ad un certo grado.

Fece un passo indietro, ponendo una più appropriata distanza tra loro. "Il mio accordo con il Patriarca Filippo è praticamente concluso, con soddisfazione da entrambe le parti. Mancano solo le nostre firme", gli riferì, in tono pratico ma soffuso del calore del cameratismo che condividevano. "Staremo qui ancora oggi, per permettere ai nostri uomini di riprendersi dalle loro ferite quanto basta per essere in grado di affrontare il viaggio di ritorno. Partiremo domattina all'alba."

"Molto bene, mia signora", replicò Jacques con lo stesso tono, sollevato che Alisa avesse pienamente abbracciato la sua visione del loro rapporto. Poi si rese conto che lei aveva detto i nostri uomini e sentì un'ondata di gratitudine: lo aveva veramente accettato come uno dei suoi.

"A colazione, il patriarca ha parlato di calici che vuole per la sua cattedrale", la contessa aggiunse, cambiando argomento. "Voglio darci un'occhiata. Magari ne troverò uno da dare alla mia buona amica Caterina, l'Abbadessa di Santa Maria in Valle, come dono per il suo convento."

Jacques si mosse, volendo chiaramente seguirla, ma Alisa scosse la testa. "Incontriamoci tra un'ora al cancello principale del castello", suggerì, poi indicò il suo destriero. "Finite di prendervi cura di lui." Girandosi, lanciò uno sguardo ammirato al magnifico stallone bianco. "Bel cavallo, a proposito, il vostro Vaillant", aggiunse con un sorriso di apprezzamento. Poi, si voltò per andarsene, sollevata che le cose si fossero chiarite tra di lei ed il suo coraggioso capitano.

OOO

La spedizione, nonostante gli sforzi di Bembo per rovinarla, era stata un successo per gli affari di Valdastico, giacché il Principe-Vescovo aveva piazzato un grosso ordine. Alisa era molto soddisfatta, e di conseguenza, anche Jacques lo era.

Lasciarono Aquileia in un mattino luminoso con la benedizione del Patriarca Filippo. Ancora guardinghi dopo l'imboscata nella Foresta di Arvonchi, viaggiarono sempre all'erta, ma il viaggio di ritorno fortunatamente fu privo di eventi degni di nota. Forse, ragionò Jacques, il Conte di Asolo non era stato ancora informato del fallimento di Mariano di Ortiga. Tuttavia, prima o poi lo sarebbe stato ed allora avrebbe probabilmente cominciato a complottare un'altra mossa contro Alisa. Il pensiero gli fece stringere i pugni sulle redini: avrebbe fatto tutto il necessario per proteggerla.

Il quarto giorno dopo aver lasciato Aquileia, prima di mezzogiorno il cielo si coprì di nubi grigie ed un freddo vento cominciò a soffiare dalle montagne di fronte a loro.

"Probabilmente pioverà prima di sera", predisse Alisa, avvolgendosi nel mantello come stavano facendo anche tutti gli altri.

"Speriamo di riuscire a arrivare a casa prima che succeda", borbottò Jacques, adocchiando le nuvole che correvano in cielo.

I guidatori coprirono il carro con un rivestimento impermeabile, per impedire alla pioggia di rovinare le merci. Fecero bene, poiché la speranza di Jacques si rivelò vana appena un'ora dopo, quando cominciò a piovere tanto all'improvviso che ebbero appena il tempo di tirar su i cappucci. La pioggia divenne via via più forte, finché si trasformò in un vero diluvio. Tuttavia, non erano troppo lontani da Valdastico, pertanto, invece di cercare rifugio lungo la strada, accelerarono il passo e raggiunsero frettolosamente Castel Malatesta.

Nel cortile, gli stallieri arrivarono di corsa per prendere i cavalli ed il carro. Alisa congedò gli armigeri ed i guidatori, poi lei e Jacques entrarono nell'atrio del castello.

"Bentornati, Dama Alisa, Messer Jacques", li accolse Stefano. "Quando le sentinelle vi hanno scorto, mi sono preso la libertà di ordinare di preparare un bagno per ciascuno di voi nelle vostre stanze."

"Grazie, mio buon Stefano!" esclamò Alisa, grata della sua premura. "Vi prego, dite al farmacista di preparare una tisana, in modo da evitare che prendiamo un raffreddore."

"Farò subito chiamare Mario", Stefano promise.

Alisa annuì, poi si girò verso Jacques. "Riposiamoci un po' prima del pasto serale", suggerì.

Jacques si inchinò per congedarsi. "Ci vedremo allora, mia signora", replicò.

Alisa chinò la testa in segno di saluto ed egli si allontanò, dirigendosi verso la sua camera, dove si tolse velocemente di dosso gli abiti bagnati e si immerse nell'acqua piacevolmente calda che era stata preparata per lui. Appoggiandosi contro il bordo della vasca, rilassò le proprie membra e lasciò che il calore penetrasse nei suoi muscoli stanchi.

Nelle proprie stanze, Alisa stava facendo lo stesso, la sua mente già concentrata sul suo prossimo compito: controllare la vendemmia, che era già iniziata, per assicurarsi la migliore qualità della nuova produzione di Prosecco, e conseguentemente assicurare nuovi introiti per Valdastico.

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