Capitolo III: Viaggio ad Aquileia
"Vorrei saperne di più sulla storia di Valdastico", Jacques disse ad Alisa mentre cavalcavano lungo l'ampia strada oltre Thiene, in direzione di Marostica, il primo giorno del loro viaggio.
Alisa era seduta su una snella giumenta roana di nome Fiordifoco, elegante ed aggraziata, ma allo stesso tempo forte e veloce. La contessa era abbigliata con abiti maschili – si rifiutava di viaggiare in tenuta femminile, che era poco pratica – e l'arco le pendeva sulla schiena, incordato e pronto in caso di necessità.
Alisa sorrise a Jacques. "Apprezzo molto il vostro interesse per la mia città natale", replicò, chiaramente compiaciuta. Fece una pausa per raccogliere i pensieri. "Fin dai tempi degli antichi Romani, una strada diretta a nord attraversava la valle dell'Astico, ma a quei tempi, la regione era scarsamente abitata. I primi castelli e i primi torrioni furono costruiti circa quattrocentocinquanta anni fa dal Vescovo di Padova, come difesa contro i Magiari che scendevano dall'Ungheria minacciando i nostri territori. Il primo centro abitato era in effetti un ospizio di monaci benedettini, che più tardi divenne un convento di suore chiamato Santa Maria in Valle, ora sotto la guida della mia buona amica la Badessa Caterina. Nel 1264 fu costruita una nuova strada, e allo stesso tempo, venne fondata una fortezza; col tempo, essa divenne il castello che vedete oggi. La fortezza fu affidata a Alberico Malatesta con la concessione del titolo di Conte di Valdastico. Mio padre ed io siamo diretti discendenti di Alberico. Nel 1311, la più grande città della regione, Vicenza, si stancò del tirannico dominio di Padova e si assoggettò agli Scaligeri, i signori di Verona. Valdastico, essendo parte del territorio di Vicenza, ne seguì la decisione, ma alcuni anni or sono, assieme ad altre municipalità, abbiamo deciso di unirci alla Repubblica di Venezia che, possedendo una vocazione prevalentemente mercantile, prometteva stabilità e prosperità. In tal modo, l'emblema del Leone Alato è entrato nella nostra casa. Gli Scaligeri, troppo occupati con la guerra contro i Carraresi di Padova, decisero di non opporsi alla defezione."
Jacques ascoltò con grande attenzione. "Quindi Valdastico ha cambiato sovranità un certo numero di volte: da Padova a Verona e ora a Venezia", considerò ad alta voce. "Questo mi ricorda la Francia, dove i domini cambiano sovranità seguendo la corrente politica più conveniente... Per esempio, diverse famiglie nobili e le loro terre supportavano l'Inghilterra nella nostra guerra, che dura da decenni, ma, quando la Francia ha vinto, hanno cambiato bandiera."
"Già, tutto il mondo è paese, penso", commentò Alisa, piuttosto obiettivamente, e Jacques annuì, concordando.
Rimasero in silenzio per qualche tempo, poi Jacques propose un nuovo argomento. "Esistono leggende emozionanti riguardanti Valdastico? Storie epiche del passato, battaglie, racconti di amanti sventurati..."
Alisa sorrise e scosse la testa. "No, niente del genere. Tuttavia, ci sono diverse favole riguardanti personaggi mitici chiamati anguane e salbanèi..."
"Raccontatemi di più, per favore", Jacques la incoraggiò. "Mi sono sempre piaciute le favole."
Alisa sollevò un sopracciglio, sorpresa dalla sua dichiarazione. "Vi state prendendo gioco di me, Jacques? Dovrei veramente credere che un guerriero temprato e tenace come voi ama storie di fate, maghi e animali leggendari?"
"Non mi azzarderei mai di prendermi gioco di voi, Alisa", Jacques dichiarò solennemente. "Ma sì, amo effettivamente questo tipo di storie."
"Oh... va bene, allora", Alisa non poté fare a meno di ridacchiare. "C'era una volta un gruppo di anguane che viveva a Pria, lungo il fiume Astico. Sappiate che le anguane sono magiche creature femminili delle acque, che non amano gli esseri umani che interferiscono coi loro affari..."
Alisa continuò la narrazione di una storia alquanto spaventosa di un vedovo che, una notte, udì queste fiere creature cantare e far festa rumorosamente e, poiché aveva bisogno di dormire perché era un fabbro che lavorava duramente, pretese arditamente che facessero silenzio. Le anguane effettivamente tacquero ma, la notte seguente, vennero a far razzia in casa sua, rapendo il suo figlioletto per non riportarglielo più, vendicandosi così per averle disturbate.
Jacques era alquanto scioccato. "Veramente raccontate questo tipo di favole ai vostri bambini?" domandò, incredulo.
"Certo", Alisa confermò. "Sono eccellenti per tenere in riga i ragazzini, non siete d'accordo?" Poi rise. "In effetti, funzionava bene con me!"
Jacques sogghignò. "E così, eravate una piccola monella?" domandò. Poteva ben immaginarsela come una bambina molto vivace.
"Lo ero", Alisa sogghignò a sua volta. "Mia madre soleva chiamarmi discola ogni volta che le davo del filo da torcere, ma so anche che era molto orgogliosa di me, tanto quanto lo era mio padre."
Il capitano si fece più serio, sebbene l'ombra di un sorriso indugiasse agli angoli della sua bocca: poteva ben immaginarla come una bambina intelligente, sveglia ed esuberante, una che anche lui sarebbe stato fiero d'aver messo al mondo.
"Ci sono anche altre storie così terrificanti?" la provocò, inarcando un sopracciglio.
"Ah, un bel po'", ridacchiò Alisa, una scintilla scherzosa negli occhi scuri, cominciando una storia concernente un malvagio salbanèo – una creatura simile al francese follet o all'irlandese leprichaun – che continuava a tormentare il parroco di una chiesa. Il sacerdote era così esasperato che tese una trappola al salbanèo e gli gettò addosso dell'acqua santa, ma finì col far arrabbiare lo spiritello, che incendiò la chiesa, uccidendo anche il prete.
"Aspettate, ma ciò significa che questi spiritelli non posso essere scacciati?" domandò Jacques, scettico. "Nel folclore francese, c'è sempre un modo per liberarsi di loro."
"No, no si può", Alisa confermò con serietà. "Dovete solo lasciarli in pace, e loro vi lasceranno in pace a loro volta. Se dovesse succedere che ne incontriate uno, mostrate grande deferenza e chiedete scusa per qualsiasi inconveniente potreste avergli causato."
Sembrava mortalmente seria. Jacques soppresse il sorrisetto che minacciava di arricciargli le labbra e si sforzò di sembrare altrettanto serio. "Capito", disse. Pensava che fosse piuttosto ridicolo, ma poi ricordò storie che aveva udito da bambino in Normandia riguardo a episodi simili. Non venivano raccontati come favole per bambini, ma piuttosto come fatti reali. "Sì", disse, con maggior convinzione. "Meglio non offenderli."
Verità o favola, non c'era niente di sbagliato a dimostrare rispetto ad esseri sconosciuti.
OOO
Al termine del terzo giorno di viaggio, Jacques era seduto di fronte ad Alisa ad un piccolo tavolo nell'affollata locanda a Quarto d'Altino dove si erano fermati per la notte. Si erano rinfrescati nelle stanze che il locandiere aveva loro dato, ed ora si trovavano davanti al loro pasto serale: zuppa di cereali e montone arrosto con funghi e carote in stufato.
Finora, il viaggio era stato tranquillo, fatto solamente del quieto ritmo della cavalcata e dallo scambio di storie e favole tra Alisa e Jacques. Il cavaliere aveva deciso di ricambiare il favore ed aveva cominciato a narrare leggende e vicende interessanti della sua patria, per la gioia di Alisa, che amava ascoltare storie di terre lontane.
C'era una sotterranea tensione dovuta alla minaccia di Iacopo Bembo, ma tre giorni erano trascorsi senza incidenti, e questo consentì a Jacques ed Alisa di rilassarsi mentre cenavano in un amichevole silenzio.
La locanda era animata, l'aria colma dei suoni di risate, musica, e tintinnio di boccali. Si stava festeggiando qualcosa, ed i partecipanti avevano invitato Jacques ed Alisa ad unirsi a loro, ma i due avevano cortesemente rifiutato, preferendo un tranquillo pasto ad un tavolo d'angolo, lontano dalla confusione.
Jacques prese un sorso di vino; non era neanche lontanamente buono quanto il Prosecco di Valdastico, ma era accettabile. I suoi occhi scrutarono la stanza con l'esperta attenzione di un veterano, perfino mentre cercava di rilassarsi in compagnia di Alisa. Tuttavia, la loro momentanea tranquillità fu interrotta quando una donna, chiaramente ebbra, barcollò verso il loro tavolo. Era giovane, i capelli biondi spettinati ed un luccichio malizioso negli occhi. I suoi passi erano instabili, ma il suo intento divenne palese quando puntò Jacques.
"Bonsoir, monsieur", farfugliò in francese, con voce che trasudava civetteria mentre si appoggiava pesantemente al tavolo, lo sguardo fisso su Jacques. "Ma che bell'uomo che abbiamo qui... Non ho potuto fare a meno di notarvi dall'altra parte della stanza. Mi chiamo Giselle."
Jacques si raddrizzò sulla sedia, rivolgendole un sorriso cortese ma mantenendo un tono neutro. "Bonsoir, mademoiselle. Posso presentarvi Dama Alisa Malatesta, Contessa di Valdastico?"
Giselle gettò a malapena uno sguardo ad Alisa, interamente concentrata su Jacques. I suoi occhi si illuminarono nel sentirlo parlare francese; si avvicinò ulteriormente, il sorriso che si ampliava mentre gli offriva una generosa vista della propria scollatura. "Un francese! Oh, come mi riscalda il cuore sentire di nuovo la mia lingua madre. Sapete, ho molta nostalgia di casa."
L'espressione di Jacques si intenerì leggermente nel sentir menzionare la Francia. Poteva comprendere la sensazione fin troppo bene. "La Francia è un luogo che resta con te, non importa dove tu vada", rispose con voce bassa e gentile, un pizzico di malinconia nel tono.
Giselle sembrò prendere la gentilezza e tenerezza nella sua voce come un invito. Si avvicinò ancora, sfiorandogli la mano mentre lo guardava, gli occhi spalancati pieni di desiderio. "Mi manca molto", mormorò, in tono più intimo. "Ma quello che mi manca di più è... l'amore francese."
Jacques sentì il fiato mancargli mentre le implicazioni delle parole di Giselle gli diventavano chiare. Realizzò in fretta che quello che lui aveva inteso come una semplice conversazione empatica era stata sviata in una direzione completamente diversa. La mano di Giselle indugiava sulla sua, il tocco che diventata più audace mentre tentava di intrecciare le dita con le sue.
Jacques inspirò bruscamente, la sua postura che si irrigidiva mentre comprendeva appieno le intenzioni della ragazza. Lo sguardo di Giselle era passato da amichevole a qualcosa di molto più ardito, e Jacques poteva sentire su di sé gli occhi di Alisa, che non stava giudicandolo, ma solo osservando silenziosamente la situazione, forse anche divertendosi un po'.
In effetti, Alisa stava assistendo allo scambio tra Jacques e Giselle in uno stato mentale neutro. La donna francese aveva indubbiamente bevuto un boccale di birra di troppo e questo le aveva dato la sfrontatezza di approcciare un connazionale per un po' di divertimento. Alisa non era scandalizzata: non era una delicata o pudibonda nobildonna che viveva in una torre d'avorio, poiché aveva avuto a che fare con mercanti e soldati per la maggior parte della sua vita e sapeva bene come girava il mondo. Se Jacques avesse accettato l'offerta di Giselle, Alisa non avrebbe pensato male di nessuno dei due.
Schiarendosi la voce, Jacques ritrasse la mano, gentilmente ma risolutamente, rivolgendo a Giselle un sorriso tirato. "Mademoiselle Giselle", cominciò con voce calma ma contenente cortese fermezza, "anche se apprezzo le vostre gentili parole, temo che mi abbiate frainteso."
Ma Giselle era troppo ebbra per cogliere il garbato rifiuto. Invece, ridacchiò e si avvicinò ancor più, sedendogli sfacciatamente in braccio, le sue intenzioni ora davvero inequivocabili. Gli prese nuovamente la mano, stavolta piazzandola contro il suo seno generoso, ben evidenziato dalla profonda scollatura del suo semplice vestito. Si sporse in avanti, le labbra pericolosamente vicine all'orecchio di Jacques. "Suvvia, monsieur", mormorò, il fiato caldo contro la pelle del cavaliere, "perché non passiamo un po' di tempo insieme? Voi, io... e la vostra amica, se è interessata."
Jacques sgranò gli occhi, allarmato, mentre volgeva uno sguardo tra l'imbarazzato ed il preoccupato ad Alisa. Il suo volto esprimeva un tale profondo disagio che Alisa si sentì divertita, ma allo stesso tempo anche dispiaciuta per lui. Il cavaliere possedeva chiaramente un alto senso dell'onore e pensava che fosse estremamente inappropriato venir avvicinato in un modo tanto spudorato in presenza di una dama.
La situazione era degenerata rapidamente, pensò Jacques; doveva mettervi fine immediatamente. Afferrò con gentilezza ma anche con vigore la mano di Giselle, impedendole di accostarsi ancor di più. "Mademoiselle Giselle", disse con voce calma ma in tono definitivo, "sono davvero lusingato dalle vostre attenzioni, ma devo rifiutare."
La sollevò con attenzione dal proprio grembo, alzandosi in piedi e allontanandosi dal tavolo. Si mosse verso la finestra, ponendo della distanza tra sé e l'insistente donna. La sua postura era chiusa, l'espressione attentamente neutra mentre guardava fuori nella notte, evitando lo sguardo di Giselle.
Giselle, comprendendo finalmente di essere stata rifiutata, imprecò sottovoce, il viso che si contorceva con un misto di frustrazione e delusione. "Peggio per voi, monsieur", borbottò in tono piuttosto offeso, prima di girare sui tacchi e svanire nella folla.
Alisa sorseggiò il proprio vino, osservando Jacques pensosamente. Avrebbe potuto comportarsi in modo villano, spingendo via Giselle, invece l'aveva sollevata da sé, non in modo sgarbato, e si era semplicemente allontanato. Questo la diceva lunga riguardo alla sua cortesia e considerazione per il gentil sesso.
Jacques emise un silenzioso sospiro; le sue spalle si rilassarono leggermente mentre la tensione si alleviava. Ricambiò lo sguardo di Alisa, gli occhi mesti. "Vi porgo le mie scuse, mia signora", mormorò. "Non mi aspettavo un simile... entusiasmo da questa ragazza."
Tornò al proprio posto, tuttavia la tensione non lo abbandonò del tutto, perché l'incidente lo aveva chiaramente turbato. La vivace atmosfera della locanda non sembrò risentire dall'incidente, ma Jacques trovò difficile concentrarsi su qualcosa di diverso dall'imbarazzante incontro appena avvenuto.
"Non c'è alcun bisogno che vi scusiate, Jacques", disse Alisa sottovoce, con un lieve sorriso di simpatia, omettendo il titolo di cortesia come faceva ogni volta che desiderava sottolineare che stava parlando come amica. "Ha nostalgia di casa e probabilmente si sente sola, voi siete un suo compatriota e, per giunta, uno di bell'aspetto, pertanto ha colto l'occasione. Peccato che fosse troppo ubriaca per afferrare il vostro rifiuto e voi abbiate dovuto spostarvi fisicamente, ma è stato un suo errore, non vostro."
Il sollievo di Jacques sembrò evidente ed il suo portamento si rilassò ulteriormente. Alisa decise di provocarlo un poco. "Mi domando... Cosa avreste fatto, se foste stato da solo? Giselle è piuttosto attraente, e molto... amichevole. Avreste accettato la sua offerta? Dopotutto, non siete un monaco."
Jacques corrugò la fronte, forse a disagio, forse turbato. Alisa rise. "Sto soltanto prendendovi in giro, amico mio. Non dovete rispondere, giacché non è accaduto e noi non sappiamo mai per certo come ci comporteremmo in una certa situazione finché non accade veramente, giusto?"
Jacques non poté fare a meno di sogghignare quando si rese conto che lei si stava comportando più da compagno d'armi che da nobildonna. Il loro disinvolto cameratismo stava crescendo, e gli piaceva molto. Sorseggiò il vino, pensieroso, lo sguardo che incontrava quello di Alisa mentre si scambiavano un altro quieto sorriso. Nonostante la leggerezza della conversazione, la domanda della contessa persisteva nella mente di Jacques, facendo insorgere pensieri che non si era aspettato. Come avrebbe reagito, se fosse stato da solo? I suoi occhi si spostarono nuovamente su Giselle, che ora sembrava profondamente indaffarata con un altro uomo: la civettuola ragazza aveva trovato in fretta un nuovo obiettivo. La vista lo fece accigliare leggermente, non per gelosia o rimpianto, ma piuttosto, perché rafforzava la sua decisione.
Posando il calice, Jacques si alzò dalla sedia e porse la mano ad Alisa. Lei lo guardò con leggera sorpresa, ma accettò la sua mano senza esitazione, un chiaro segno della fiducia che riponeva in lui. Il francese l'aiutò ad alzarsi senza fatica e poi, con una grazia che parlava della sua educazione cavalleresca, si inchinò ed accennò ad un bacio appena al di sopra della sua mano, permettendo al suo respiro solamente di sfiorarle la pelle.
Quando si risollevò, la mano che ancora teneva quella di Alisa, incontrò il suo sguardo con una serietà che non c'era, un momento prima. "Mia signora", disse piano, con voce bassa e sincera, "sono convinto che la mia decisione non sarebbe stata diversa anche se io fossi stato da solo. Non sono un monaco, come dite, ma non sono neppure più un ragazzo giovane e avventato." I suoi occhi sostennero quelli di lei, la sincerità delle sue parole che risuonava tra di loro. "Quando sono arrivato a Valdastico, vi ho detto che non stavo cercando questo tipo di distrazioni, e lo intendevo veramente. Le ferite che porto sono troppo profonde per questo."
Per un momento, rimasero semplicemente a guardarsi l'un l'altra, la silenziosa comprensione tra loro che cresceva sempre più. Poi, Alisa gli rivolse un cenno della testa a significare la sua simpatia. Jacques ricambiò il cenno, e poi le lasciò la mano con un altro, rispettoso cenno del capo. "Buonanotte, Alisa", mormorò, anche lui omettendo il titolo di cortesia per mostrare che stava parlando come amico, non come sottoposto. La sua voce, in effetti, esprimeva un calore che perdurò anche quando si girò per andarsene.
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Da sola nella stanza, piccola ma pulita, che il locandiere le aveva assegnato, Alisa si stava preparando per andare a dormire. Mentre si toglieva gli abiti, ripensò alle parole che Jacques le aveva detto riguardo alla sua riluttanza ad impegnarsi in quelle che aveva chiamato distrazioni. Lei apprezzava molto un uomo capace di rimanere fedele alla propria parola in simili faccende, perché con la scusa – che lei riteneva assolutamente penosa – che la carne è debole, troppo spesso perfino uomini di chiesa cedevano ai loro istinti carnali. La sua opinione riguardo a questo tipo di uomini era che non fosse la loro carne a essere debole, bensì la loro mente e la loro volontà. Jacques Le Gris si era dimostrato diverso, ed il suo rispetto per lui era cresciuto. C'era di più: improvvisamente, Alisa si rese conto che lui le piaceva sinceramente. Solo pochissimi uomini al mondo si erano guadagnati la sua stima, tra di essi suo padre Galeotto ed il suo defunto fidanzato Riccardo. Jacques si stava dimostrando degno di essere annoverato in questa breve lista.
Una cosa soprattutto Alisa apprezzava di Jacques: la trattava veramente come una pari, con autentico rispetto, provato dai fatti e non soltanto dalle parole. Non era la formale deferenza che gli uomini solitamente riservavano alle donne, per poi scartare le loro opinioni come se non avessero importanza; o, peggio, usarle come oggetti, utili solamente a soddisfarli, quando non addirittura le abusavano. Nonostante le leggi veneziane che proteggevano la popolazione femminile, Alisa aveva incontrato uomini che maltrattavano le loro mogli, compreso Iacopo Bembo. Rabbrividì per il disgusto al pensiero di condividere il letto coniugale con un simile uomo. Aveva sperimentato l'amore con Riccardo e non si sarebbe mai accontentata di qualcosa di meno. Se si fosse mai sposata, sarebbe stato per amore e per nessun altro motivo.
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Il mattino seguente, alle prime luci dell'alba, partirono da Quarto d'Altino, diretti verso Aquileia. La strada dell'ultimo tratto del loro viaggio si estendeva davanti a loro, e l'aria era tersa e colma della promessa di un nuovo giorno.
Il sole aveva appena cominciato a calare verso l'orizzonte quando raggiunsero il bosco di Arvonchi, a meno di un'ora e mezzo da Aquileia. Avevano favorito strade secondarie durante l'intero viaggio, e questa non faceva eccezione. Inoltre, poiché era una grande foresta, Arvonchi offriva riparo in queste giornate insolitamente calde di inizio settembre. Quindi, mentre entravano nel bosco, accolsero con sollievo la sua frescura.
Nonostante la loro preoccupazione riguardante il Conte di Asolo, anche il quarto giorno del loro viaggio era stato tranquillo come quelli precedenti. La cavalcata era stata piacevole, piena di conversazioni spontanee e di momenti di quieta riflessione. Alisa aveva prevalentemente parlato della storia del suo feudo, e Jacques aveva ascoltato con attenzione, assorbendo ogni dettaglio, ogni racconto che la contessa aveva condiviso. Le sue parole dipingevano vivide immagini del passato, del paese che lei amava e che aveva giurato di proteggere.
Mentre cavalcavano nella piacevole, fresca ombra degli alberi, Alisa e Jacques stavano ridendo assieme ad un aneddoto particolarmente divertente che lei aveva raccontato, il suono delle loro voci che si mescolava a quello degli zoccoli dei loro cavalli. Ma proprio quando la loro risata si stava spegnendo, un suono improvviso ruppe la tranquillità, secco e fuori posto.
Jacques si tese: il suo ben addestrato istinto di guerriero lo metteva in guardia, dicendogli che c'era qualcosa che non andava. La sua mano si alzò bruscamente, segnalando ad Alisa di tacere. Istantaneamente, la loro spensieratezza evaporò, rimpiazzata da una vigilanza condivisa. Entrambi si raddrizzarono sulle loro selle, i sensi allertati, le cavalcature che si tendevano sotto di loro come se anch'esse percepissero il cambiamento nell'atmosfera.
L'espressione di Jacques si incupì, gli occhi che si assottigliavano mentre scrutava il terreno circostante. Non si era trattato di un suono qualsiasi: era un presagio di pericolo. Quella consapevolezza si insinuò profondamente nelle sue viscere. "C'è qualcosa che non va", borbottò con voce grave. Si girò verso Alisa, mentre muoveva istintivamente la mano verso l'elsa della spada. "Preparatevi, mia signora. Questa è un'imboscata."
Alisa imitò Jacques e rapidamente afferrò il suo arco. "Qualsiasi cosa sia", ringhiò in risposta al suo avvertimento. "Sono pronta a scatenare l'inferno, se necessario."
Mentre incoccava una freccia, la mascella rigida e gli occhi lampeggianti, l'atteggiamento privo di segni di timore, sembrava Artemide, la dea greca della caccia e della natura selvaggia.
Jacques si concesse un solo momento per ammirare il suo aspetto feroce, poi si concentrò interamente sui propri doveri, tutti i sensi all'erta. "Uomini, state pronti!" urlò, la voce che fendeva l'aria mentre estraeva la spada.
Prontamente, gli armigeri imbracciarono gli scudi e sguainarono le spade, con una rapidità che era il soddisfacente risultato delle lunghe ore di addestramento cui Jacques li aveva incessantemente sottoposti.
Appena in tempo: una dozzina di uomini armati a piedi, guidati da un cavaliere montato, balzarono fuori da dietro i grossi tronchi d'albero che avevano usato come nascondigli, e li caricarono. Non portavano insegne, sebbene fosse palese che non si trattasse di ordinari predoni, bensì di soldati professionisti, molto probabilmente mercenari.
La foresta, un luogo che dovrebbe offrire sereno sollievo, in un istante divenne un campo di battaglia.
Alisa mantenne i nervi saldi e scoccò una freccia direttamente al cavallo del capo degli attaccanti, colpendolo in un occhio. Il povero animale nitrì dal dolore e si impennò prima di crollare, gettando il suo cavaliere a terra.
"Bella mossa!" gridò Jacques in tono d'approvazione, ma anche mentre la elogiava, il suo istinto di guerriero gli urlò un avvertimento. Con la coda dell'occhio, scorse un altro attaccante che stava avvicinandosi di soppiatto al fianco di Alisa, la spada sollevata per colpire. Non c'era tempo per gridarle un avvertimento. Jacques reagì istintivamente: la mano scattò verso la sua cintura, estraendo un pugnale con un unico movimento fluido. Con micidiale accuratezza, lanciò la lama attraverso l'aria, mandandola dritta tra gli occhi dell'assalitore.
L'uomo crollò a terra proprio mentre Alisa si girava di scatto, gli occhi che si dilatavano brevemente vedendo l'attaccante che cadeva. Rivolse a Jacques un rapido cenno di riconoscenza prima di concentrarsi nuovamente sulla battaglia. Non c'era il tempo di soffermarsi a pensare al pericolo scampato; il combattimento era ben lontano dall'essere concluso.
Infatti, Alisa non perse tempo ed incoccò una seconda freccia, cercando attentamente un altro bersaglio. Scoccò con mortale precisione ed uno degli attaccanti stramazzò: la freccia di Alisa lo aveva colpito sotto il suo braccio sollevato e pronto a colpire, uno dei pochi punti deboli di un soldato in armatura.
Jacques si tuffò nella mischia, aprendosi un varco attraverso lo sciame di attaccanti con ineguagliabile ferocia. La sua spada si muoveva come una massa indistinta, abbattendo chiunque osasse avvicinarsi. Era cosciente di Alisa dietro di lui, le cui frecce volavano con infallibile precisione, trovando ciascuna il proprio bersaglio con letale efficienza.
La battaglia infuriava, il suono di acciaio contro acciaio e le urla dei feriti che riempivano l'aria. Jacques era nel pieno della mischia, i suoi movimenti una combinazione di forza bruta ed abilità calcolata. Ma quando affrontò un altro opponente in un feroce combattimento a corpo a corpo, rimase bloccato in uno stallo, le loro spade incastrate in un abbraccio mortale.
Uscendo dal caos, un'ombra si mosse dietro a Jacques: un attaccante, la spada pronta a colpirlo alle spalle. Jacques era troppo concentrato sul suo attuale avversario per notarlo, ma Alisa lo vide fin troppo bene. Senza esitazione, tese il suo arco, le dita ferme mentre prendeva la mira. Scoccò proprio mentre l'assalitore cominciava a muovere la spada in un arco discendente.
La freccia volò dritta, piantandosi nella parte posteriore del collo scoperto del nemico. L'uomo cadde all'istante, la spada che sferragliava sul terreno prima che potesse sferrare il colpo mortale contro Jacques.
Jacques si liberò del suo avversario, finendolo con un rapido colpo di taglio prima di girare per vedere l'attaccante caduto dietro di lui. Si rese conto in quel momento di quanto vicino fosse giunto alla morte, e di come la rapidità di pensiero di Alisa gli avesse salvato la vita. I loro occhi si incontrarono attraverso il campo di battaglia, mentre un silenzioso riconoscimento passava tra loro. Non c'era bisogno di parole: il loro legame, forgiato nel colmo della battaglia, era più forte di qualsiasi cosa si potesse esprimere a voce.
Con il numero di attaccanti che diminuiva, Jacques si aprì un varco verso il loro capo, che era riuscito a rimettersi in piedi dopo essere stato disarcionato. Il cavaliere nemico mosse il suo spadone in un potente arco, ma Jacques lo parò, le loro lame che si scontravano sonoramente. Il cavaliere era forte, ma Jacques aveva il vantaggio della velocità e dell'esperienza. Evitò il fendente successivo e, con un colpo rapido e preciso, spinse la spada nel fianco del cavaliere, trapassando il suo corsetto di cuoio.
Il cavaliere nemico ansimò per il dolore, la sua forza che si dissipava all'istante mentre si accasciava a terra, sconfitto. Jacques non attese che la vita abbandonasse gli occhi dell'uomo; si girò, scrutando il campo di battaglia in cerca di altre eventuali minacce. Gli armigeri di Valdastico avevano combattuto valorosamente, senza cedere terreno ed abbattendo gli ultimi avversari con l'efficienza che l'addestramento di Jacques aveva loro dato.
Quando l'ultimo degli assalitori cadde, la foresta divenne inquietantemente silenziosa, mentre i rumori della battaglia si dissipavano nello stormire delle foglie e nei lontani richiami degli uccelli.
Jacques pulì la spada sulla tunica di un nemico abbattuto, lo sguardo che ancora una volta cercava Alisa.
La contessa era scesa da cavallo e stava muovendosi, controllando i suoi armigeri ed assicurandosi che tra le loro truppe non ci fossero feriti gravi. Con suo sollievo, nessuno degli armigeri era in condizioni serie, riscontrando solo alcuni graffi e una caviglia slogata a causa di una caduta rischiosa.
Nonostante l'intensità della battaglia, Alisa sembrava composta come sempre, sebbene nei suoi occhi indugiasse il fiero fuoco che l'aveva condotta attraverso la lotta. Era stata una cosa brutale. Era durata appena dieci minuti, ma erano sembrati ore. Non era stata la prima battaglia di Alisa, comunque. Aveva viaggiato molto con suo padre, e dopo la sua morte anche per conto proprio, con o senza carri, e diverse volte avevano affrontato gli attacchi di briganti o di saccheggiatori. Ogni volta, erano riusciti a difendersi; l'unica volta che le cose erano andate male era stato quando gli uomini di Bembo avevano distrutto la sua carovana, alcune settimane prima.
Jacques ripose la spada e montò Vaillant, guidandolo dove Alisa stava ora a sua volta rimontando la sua Fiordifoco. Il francese doveva dar credito alla giumenta per aver mantenuto la sua calma durante lo scontro. Non se l'era aspettato ma, evidentemente, essa aveva già visto altre battaglie.
Fece avvicinare il suo cavallo a Fiordifoco, l'espressione che si ammorbidiva mentre cercava di verificare se Alisa fosse illesa. "State bene, Alisa?" domandò, la voce colma di genuina apprensione.
Alisa incontrò il suo sguardo, anche lei addolcendo l'espressione mentre annuiva. Improvvisamente, si rese conto che non era sola in questo, che c'era qualcuno che la stava aiutando a portare il peso sulle sue spalle. Era una sensazione confortante. "Sto bene, Jacques", rispose, il tono fermo nonostante l'adrenalina che le stava ancora scorrendo nelle vene. "Grazie a voi." Mentre parlava, sentì che la tensione cominciava ad allentarsi e la sua postura, ancora rigida, infine si rilassò. "E voi, state bene?"
Jacques le rivolse un piccolo sorriso rassicurante. "Sì, grazie a voi", replicò, la voce colma di quieta gratitudine. "Abbiamo combattuto bene, insieme."
Udendo le sue parole di ringraziamento ed apprezzamento, Alisa ricambiò il suo accenno di sorriso. "Sì", confermò. "Ci siamo guardati le spalle a vicenda."
Sembrò cogitabonda per un momento. "È strano, ma... ho avuto la sensazione che lo avessimo sempre fatto, non che fosse la prima volta", aggiunse, guardandolo con aria interrogativa. "Cosa ne pensate?"
Un grido interruppe la loro conversazione. "Contessa, capitano, quest'uomo è ancora vivo!" li chiamò il Sergente Roberto.
Saltarono giù dai cavalli e corsero da lui, che si trovava in piedi accanto al cavaliere caduto che era stato al comando degli assalitori. La ferita che Jacques gli aveva inflitto era grave, ma egli era riuscito a trascinarsi fin sotto un albero e adesso era appoggiato con la schiena al tronco massiccio. Stava sanguinando in gran copia e non avrebbe sicuramente visto un'altra alba.
Alisa si inginocchiò al suo fianco. "Chi siete?" gli chiese aspramente. "Chi vi ha mandato?"
L'uomo la fissò, respirando con affanno, ma non proferì una parola.
"Ascoltate, presto sarete a faccia a faccia con Nostro Signore", disse Alisa, mutando atteggiamento in uno più simpatetico. "Non volete alleggerire il vostro fardello e incontrare il Creatore con la coscienza pulita?"
L'uomo continuò a fissarla, ma poi emise un respiro come se lo avesse trattenuto per troppo tempo. La consapevolezza che questi erano i suoi ultimi momenti si fece largo nella sua mente. Lentamente, annuì.
"Ditemi chi ha ordinato questo attacco", Alisa lo pressò, ma non senza gentilezza.
"B... Bembo", sussurrò il cavaliere. Un rivolo di sangue gli fuoriuscì dall'angolo della bocca. "Iacopo Bembo di Asolo."
Alisa scambiò uno sguardo con Jacques. "Il maledetto!" la contessa imprecò sottovoce.
Il cavaliere morente le afferrò improvvisamente la mano, facendola sobbalzare; ma la sua stretta era debole mentre le forze lo abbandonavano. "Il mio nome è Mariano di Ortiga", rantolò. "Possa il Signore perdonare i miei peccati..."
La sua voce si spense, ed egli esalò l'ultimo respiro.
Alisa chinò il capo. "Requiescat in pace", recitò. Era stato un nemico e probabilmente un malfattore, ma era comunque un cristiano e, come tale, meritava una preghiera, per quanto breve.
Jacques non poté fare a meno di ammirare la compassione di Alisa, perfino nei confronti un nemico. Era una qualità che stava cominciando ad apprezzare sempre più, in lei: forza temperata da grazia e comprensione.
Si inginocchiò a fianco del cavaliere senza vita, di cui ora conoscevano il nome. "Requiem aeternam dona eis, Domine", recitò la breve preghiera per i morti, e benedisse il defunto con il segno della croce. Dopotutto, in gioventù Jacques aveva preso gli ordini minori come chierico della Chiesa.
Il suo gesto non sorprese Alisa, che era a conoscenza dello stato religioso di Jacques. Semmai, le fece piacere che stesse mostrando compassione per un nemico caduto. Poi sciolse le dita da quelle dell'uomo morto e si alzò, girandosi verso Jacques. "Questo conferma le informazioni di Puccio riguardo a Bembo", disse; sebbene la sua voce contenesse una nota di amarezza, la sua espressione era risoluta.
Jacques si alzò a sua volta, lo sguardo fisso sulla forma priva di vita del cavaliere caduto. La rivelazione che Iacopo Bembo era responsabile dell'attacco non arrivava a sorpresa, ma confermava la minaccia che incombeva su di loro. Jacques strinse la mascella mentre malediva silenziosamente Bembo, il bastardo che sembrava determinato ad impadronirsi di Valdastico e della sua bella contessa con qualsiasi mezzo.
Annuì per segnalare di essere d'accordo con l'affermazione di Alisa. "È così", replicò in tono fermo e deciso. "Ma ciò significa anche che ci opporremo a quest'uomo. Non riuscirà nel suo ignobile intento, avete la mia parola."
Gli occhi di Alisa incontrarono i suoi, ed ella vide la determinazione in essi, una risolutezza che rispecchiava la sua propria. In quel momento, sentì la promessa di Jacques come una solida ancora nel mezzo del tumulto che stavano affrontando, un'assicurazione che non era sola in questa battaglia. Il legame tra loro, formatosi nel mutuo rispetto ed ora battezzato nel sangue della battaglia, stava diventando ogni momento sempre più forte.
Mentre rimontavano in sella per continuare il loro viaggio, Jaques si ritrovò a ripensare alle parole che Alisa aveva detto prima: È strano, ma... ho avuto la sensazione che lo avessimo sempre fatto, non che fosse la prima volta. Il pensiero riecheggiò dentro di lui, risuonando di inaspettata famigliarità. Anche lui aveva provato la stessa sensazione: la sensazione di lavorare in prefetto accordo, come se fossero stati una squadra esperta invece che due individui che avevano cominciato a conoscersi solo di recente.
Era stranamente emozionante.
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