Capitolo I: Nella tana del leone
Attenzione: non sono una medievalista e non pretendo di essere storicamente accurata al cento percento. Tre cose ho coscientemente scelto di cambiare: Jacques già cavaliere (sarebbe stato troppo complicato spiegare durante la narrazione come fu nominato tale solamente per affrontare il duello, in modo da non incorrere in differenze sociali tra i due combattenti); l'età di Jacques da 56 a 35 anni; e Valdastico già parte della Repubblica di Venezia (lo diverrà un paio di decadi più tardi). Tutto il resto è imputabile alla mia ignoranza nonostante le mie molte ricerche, e spero che mi vorrete graziosamente perdonare, oppure darmi le giuste informazioni. In ogni caso, grazie!
Questa storia è tratta da un gioco di ruolo dove ho interpretato Dama Alisa Malatesta; la pubblico con il permesso del co-protagonista, che interpretava Jacques Le Gris e che desidera restare anonimo su questa piattaforma.
Capitolo I: Nella tana del Leone
Jacques Le Gris si fermò sulla cresta della collina, i suoi occhi che spaziavano sul paesaggio che un tempo aveva chiamato casa. Il peso della sua decisione gravava duramente sulle sue spalle, un fardello che non avrebbe mai immaginato di dover portare. Sapeva che, fuggendo, si stava lasciando alle spalle non soltanto la sua patria e i suoi averi, ma anche il suo onore – perlomeno, agli occhi di coloro che non avrebbero mai capito la verità. Inoltre, se fosse stato catturato, lo avrebbero impiccato per aver sfidato l'ordine diretto del re di restare a Parigi.
Che scelta avevo? rifletté silenziosamente tra sé, il petto che si contraeva dolorosamente. Rimanere significherebbe affrontare Jean in un combattimento all'ultimo sangue, un duello che nessuno di noi due dovrebbe sostenere. Come potrei alzare la mia spada contro un uomo che è stato più di un fratello per me?
Il pensiero del volto angosciato di Jean lo tormentava, ma l'alternativa era impensabile. Uccidere Jean non soltanto avrebbe spezzato il suo cuore, ma avrebbe anche condannato una donna innocente – o almeno fuorviata – ad una fine orribile, bruciata viva sul rogo con l'accusa di aver mentito sotto giuramento. Una morte lenta e dolorosa che Jacques non voleva avere sulla coscienza. L'aveva amata, e ancora teneva a lei nonostante la sua falsa accusa.
Ma c'era anche di più: Marguerite era incinta di un figlio che poteva essere di Jacques. Lei dichiarava furiosamente che era di Jean, ma sei anni di matrimonio non avevano prodotto alcuna discendenza, e poi, dopo appena una volta che Jacques aveva giaciuto con lei, era incinta. La tempistica era a dir poco sospetta. La gravidanza di Marguerite era un altro motivo per rifiutare il duello: se Jacques avesse vinto, il bambino sarebbe rimasto orfano di entrambi i genitori, a prescindere da chi lo aveva generato.
Mentre stringeva le redini e incitava il cavallo ad avanzare, Jacques mormorò una preghiera silenziosa affinché il re leggesse la sua lettera con discernimento, così che forse, un giorno, la verità potesse essere svelata. Ma fino ad allora, se sarebbe mai accaduto, Jacques doveva sopravvivere. Valdastico – un ricco feudo nella Repubblica di Venezia – lo attendeva, un luogo di nuove possibilità, ma anche di nuovi pericoli. Avrebbe offerto la propria spada alla famiglia Malatesta e protetto i vigneti e il conte che li governava.
Jacques e Galeotto Malatesta si erano incontrati per caso dieci anni prima, quando il Conte di Valdastico stava viaggiando verso la Francia per cercare nuovi mercati per l'eccellente vino Prosecco che produceva nella sua tenuta, e forse imparare nuove tecniche di coltivazione, se ce ne fossero state. Jacques stava tornando da un viaggio all'estero per conto di Re Carlo e stava pernottando in una locanda a Bregenz, sul Lago di Costanza. Anche Galeotto si era fermato lì; i due uomini si erano incontrato a cena, poiché erano accomodati allo stesso tavolo. Avevano legato subito, trovando la reciproca compagnia piacevole e interessante nonostante la differenza di età, poiché avrebbero potuto essere padre e figlio – o forse era stato proprio per questo, giacché Galeotto aveva soltanto una figlia e Jacques era orfano di entrambi i genitori. Quando Jacques aveva saputo che il conte veneto si stava recando nella regione francese della Champagne, si era offerto di accompagnarlo, dato che era quasi esattamente sulla strada per Parigi, dove doveva far rapporto a Re Carlo riguardo al proprio viaggio. Galeotto aveva accettato volentieri, e così i due avevano viaggiato assieme, con la scorta di armigeri del conte e ai tre carri pieni di barilotti di vino. Quest'ultimo dettaglio aveva rallentato il viaggio di Jacques, ma non aveva particolarmente fretta, perché la sua missione non era urgente bensì semplice routine.
Nonostante tutto, un sorrisetto stirò leggermente le labbra di Jacques, poiché rammentata con piacere i giorni e le serate trascorse con Galeotto Malatesta. Si erano divertiti nelle taverne e nelle locante mentre viaggiavano, perché il conte era un uomo che si godeva la vita e apprezzava molto il buon cibo e il buon bere, la musica e la danza. Tuttavia, essendo un marito devoto, non indulgeva in compagnia femminile, a differenza di Jacques, che era un uomo giovane ed attraente e non aveva mai difficoltà a trovare ragazze volonterose che gli scaldassero il letto.
Quando si erano separati, tre settimane dopo il loro incontro, Galeotto aveva espresso il desiderio di rimanere in contatto, soprattutto perché progettava di tornare in Francia in futuro, e Jacques aveva accettato volentieri. Negli anni seguenti, si erano occasionalmente scambiati lettere.
Galeotto era effettivamente tornato in Francia altre due volte, ed ogni volta, Jacques era andato ad incontrarlo. Avevano trascorso del tempo insieme, avvicinandosi, ed una volta, avevano anche combattuto insieme, quando un gruppo di banditi aveva tentato di assalire i carri di Malatesta nonostante gli armigeri di scorta. L'incidente aveva approfondito il loro legame in una vera e cordiale amicizia, il conte veneto quasi una figura paterna per il cavaliere francese.
Tuttavia, l'incidente aveva convinto Galeotto che stava cominciando a diventare troppo vecchio per questo tipo di viaggi, lunghi e impegnativi; pertanto, aveva deciso che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio in Francia. Aveva invitato Jacques a venire a fargli visita a Valdastico, se mai il cavaliere avesse avuto l'opportunità di recarsi nella Repubblica di Venezia. Jacques aveva accettato il suo invito, tuttavia riteneva poco probabile che si sarebbe mai avventurato laggiù – ma eccolo qui adesso, cinque anni dopo, diretto proprio là.
Riemergendo dal suo sogno ad occhi aperti, Jacques tornò al presente. Emise un sospiro: forse, al servizio di Galeotto Malatesta, avrebbe trovato un qualche tipo di redenzione, o quantomeno un proposito che potesse calmare il tumulto nella propria anima.
Perdonami, Jean, pensò Jacques, mentre il vento lo portava lontano dalla Francia e verso l'ignoto. Spero che non ci incontreremo mai sul campo di battaglia, poiché temo che il costo sarebbe troppo alto per entrambi noi.
Con quest'ultimo pensiero, Jacques incitò il suo cavallo – un frisone dal raro mantello bianco chiamato Vaillant – e cominciò a scendere lungo la collina.
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Il viaggio fino a Valdastico fu arduo, ma Jacques andò avanti con determinazione, spronato dalla necessità e dal costante ricordo di quanto si era lasciato alle spalle. Ogni miglio che passava aumentava la sua determinazione, sebbene l'incertezza di ciò che lo attendeva lo rodesse come un'ombra persistente. I suoi pensieri erano un mare in tumulto, ricordi della Francia e di Jean De Carrouges che si mischiavano con il senso di anticipazione di quanto lo aspettava nella Repubblica di Venezia. Jacques non poteva fare a meno di pensare che stava entrando nella tana del leone – il Leone Alato di San Marco che era la bandiera di Venezia – perché non aveva effettivamente idea di cosa lo aspettava laggiù. Un nuovo inizio o la sua fine?
Ogni volta che poteva, Jacques viaggiava in compagnia, soprattutto pellegrini o mercanti; era consapevole che da solo, nonostante il suo aspetto intimidatorio di esperto guerriero, poteva essere facilmente preso di mira da predoni o da compagnie di mercenari allo sbando.
Più avanti andava, più Jacques tentava di calmare la tempesta dentro di lui, concentrandosi invece sulla strada che lo avrebbe condotto dal Conte Galeotto Malatesta, il solo uomo al mondo che ancora pensava gli avrebbe offerto rifugio.
Finalmente, dopo quasi tre settimane di viaggio, un giorno nella seconda metà di agosto Jacques infine raggiunse la città di Bassano, l'ultima sosta prima della sue destinazione finale. Cercò una locanda in cui pernottare, dove si ripulì meglio che poteva dalla sporcizia del suo lungo viaggio, e pure si curò scrupolosamente baffi e pizzetto, per rendersi presentabile al nobiluomo cui il giorno dopo avrebbe offerto i suoi servigi.
Al mattino, Jacques si alzò presto e, dopo aver soddisfacentemente rotto il digiuno, intraprese l'ultima tappa del suo viaggio. Con soltanto una breve sosta per mangiucchiare un po' di pane e formaggio che aveva acquistato alla locanda, a metà pomeriggio giunse in vista di Valdastico e della sua fortezza compatta, ma dall'aspetto formidabile.
Castel Malatesta sorgeva su un colle, non lontano dal fiume Astico che dava il nome sia alla cittadina, sia alla valle – Valle dell'Astico, contratto in Valdastico – nel mezzo di una campagna ondulata coperta da vigneti e campi di grano; il sole declinante immergeva tutto in un bagliore dorato.
Seguendo la strada ben tenuta, il cavaliere francese spronò Vaillant ad un leggero trotto e raggiunse la piccola città.
Armigeri erano sulle mura, di guardia, ma nessuno gli ordinò di fermarsi; quindi, Jacques entrò a Valdastico, mettendo il suo cavallo al passo. Le strade erano piene di villici, poiché era giorno di mercato, che Jacques avrebbe presto appreso si teneva due volte la settimana. Mentre si dirigeva verso l'ingresso del castello, molti lo fissavano apertamente, sembrando prevalentemente curiosi o sorpresi, un poco diffidenti forse ma non maldisposti o inospitali.
Quando Jacques giunse ai cancelli del castello, tuttavia, i due armigeri di guardia incrociarono le loro alabarde per impedirgli di entrare.
"Fermo, prego", uno di loro disse ad alta voce, parlando in lingua veneta, scandendo le parole ma non in tono ostile. "Chi siete, e cosa vi porta a Castel Malatesta?"
"Il mio nome è Jacques Le Gris", il cavaliere francese rispose nella stessa lingua, giacché la conosceva piuttosto bene. "Sono qui su invito del Conte Galeotto Malatesta, che ho incontrato diversi anni fa in Francia. Richiedo un'udienza con lui."
Non vedeva motivo di fornire un nome falso così lontano dalla sua patria; inoltre, Galeotto avrebbe riconosciuto il suo nome e lo avrebbe incontrato subito.
La guardia si accigliò. "Mi dispiace, signore", disse. "Il Conte Galeotto è deceduto due anni fa. Ora è sua figlia, la Contessa Alisa, che governa il feudo."
La notizia scosse Jacques profondamente, poiché era inaspettata, lasciandolo momentaneamente spiazzato, i suoi piani ancora una volta gettati all'aria. Per non parlare della fitta di dispiacere che sentì nel cuore alla triste novità.
Tuttavia, non c'era più possibilità di tornare indietro. Era giunto troppo lontano per ritirarsi. Con un profondo respiro, Jacques chiese: "È possibile vedere la contessa, allora?"
"Le manderò un messaggio", promise la guardia. "Prego, aspettate qui finché non arriva la sua risposta."
Jacques annuì e guidò il cavallo sul lato della strada, in modo da non intralciare se qualcuno doveva entrare nel castello.
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La camera da lavoro di Dama Alisa Malatesta era piccola, ma ben arredata, con molti scaffali pieni di libri e registri.
La Contessa di Valdastico stava combattendo con le cifre. Per quanto fosse un'eccellente donna d'affari, erudita in svariati campi e brillante con le lingue, era piuttosto scarsa in contabilità. Per dirla senza mezzi termini, odiava profondamente questa parte del suo dovere di signora di uno dei feudi più ricchi della Repubblica di Venezia, che produceva il miglior vino Prosecco dell'intero territorio e oltre. Lunghe carovane cariche di barili viaggiavano da Valdastico verso molte città in tutto il nord Italia, dalla vicina Vicenza, a Padova, Verona, Venezia, perfino Trieste e Milano, e verso sud a Carrara, Ravenna, Mantova e addirittura Firenze.
Viaggiare era sempre stato una cosa pericolosa, ma in quel momento, le cose erano peggiorate a causa del conflitto in corso tra Padova e Verona, che erano signorie indipendenti, governate rispettivamente dalle famiglie Carrara e Della Scala. Per questo motivo, Alisa aveva rinforzato la scorta armata per le sue carovane, ma recentemente, quella diretta a Padova era stata assalita da truppe veronesi, e nonostante la valorosa difesa degli armigeri e del loro esperto capitano, il carico era stato rubato e l'intera scorta massacrata. Due dei conducenti dei carri erano sopravvissuti a malapena ed erano tornati a casa con la tragica notizia appena una settimana prima. Alisa si trovava ora ad affrontare la necessità di ingaggiare nuovi guerrieri, ed un capitano qualificato per addestrarli e guidarli. E questi stupidi numeri continuavano a non quadrare!
Frustrata, Alisa lanciò la lunga penna d'oca nella bottiglietta dell'inchiostro, che quasi si rovesciò, e si appoggiò all'indietro nell'ampia poltrona imbottita con un sospiro esasperato.
Qualcuno bussò alla porta in una gradita distrazione. "Avanti!" invitò.
Il suo intendente, Stefano, pose piede nella stanza. "Siora Contessa, uno straniero chiede un'udienza. Dice di essere un conoscente del vostro defunto padre Galeotto. Il suo nome è Jacques Le Gris."
Alle parole di Stefano, Alisa corrugò la fronte: il nome le era effettivamente famigliare. Galeotto aveva incontrato quest'uomo, un intrepido cavaliere, quand'era stato in Francia per affari, e poi ancora durante altri viaggi colà. Galeotto aveva parlato con affetto di Le Gris, lodando la sua valentia come combattente e la sua bravura come contabile, ed aveva scherzato sul fatto che fosse alquanto un donnaiolo.
La piega sulla fonte di Alisa si accentuò: non le piaceva affatto la seconda parte della reputazione di Le Gris, ma le prime due cose arrivavano proprio a fagiolo. E comunque, dargli un'occhiata non avrebbe danneggiato nessuno.
"Va bene", disse pertanto, spostando la poltrona in modo che fronteggiasse la porta. "Lo riceverò subito."
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Un servitore, di mezz'età e ben vestito, arrivò e fece cenno a Jacques di seguirlo. Il cavaliere si sentì sollevato: non si era reso conto di aver temuto che la contessa non avrebbe ricevuto un perfetto sconosciuto. Prese un profondo respiro e smontò da cavallo, poi si avvicinò ai cancelli, conducendo Vaillant per la briglia. Il servitore lo sogguardò con circospezione, ma subito si rilassò, perché il contegno del cavaliere e le insegne che portava dal suo passato servizio lo soddisfecero.
"Sono Stefano, l'intendente di Dama Alisa", il servitore si presentò. "Potete affidare il vostro cavallo a Lello."
Un giovane stalliere si era avvicinato; Jacques gli diede le briglie di Vaillant, e poi seguì Stefano, che lo condusse lungo i tortuosi corridoi del castello.
Si fermarono davanti a una porta di lucido legno di quercia. L'intendente vi bussò e, dopo aver udito l'invito della sua padrona, l'aprì, rivelando una donna diversa da qualsiasi altra Jacques avesse mai visto.
La Contessa Alisa Malatesta era dritta in piedi, la sua postura regale, e c'era un'inequivocabile forza nel modo in cui si muoveva, una fierezza che smentiva l'apparenza elegante. Jacques valutò che dovesse avere circa ventisette o ventotto anni; i suoi lunghi capelli scuri erano tirati indietro, accentuando i lineamenti cesellati del suo volto, ed i suoi occhi bruni, acuti e intelligenti, lo scrutarono in un modo che Jacques trovò sia inquietante, sia stranamente confortante. Questa non era una qualunque nobildonna oziosa; questa era una leader, una persona che si era guadagnata il suo posto e il rispetto di coloro che l'attorniavano.
Alisa si era alzata dalla poltrona per dare il benvenuto all'ospite inaspettato. Un uomo bruno molto alto, attraente e dalle spalle larghe, probabilmente sui trentacinque anni, era entrato nella stanza, finemente abbigliato di nero da capo a piedi. Se ne rimase immobile per un momento, poi si inchinò con un gesto elegante.
"Mia signora", Jacques cominciò, parlando in lingua veneta, la voce ferma nonostante l'apprensione che ribolliva dentro di lui. "Sono Jacques Le Gris, un tempo cavaliere di Francia. Ho incontrato vostro padre dieci anni fa e abbiamo viaggiato insieme per molti giorni, e poi altre due volte quando è tornato in Francia. Siamo diventati buoni amici e, quando ci siamo salutati l'ultima volta, mi ha invitato a Valdastico. Sono molto rattristato di apprendere della sua dipartita."
La sua buona conoscenza della lingua locale colpì Alisa molto più del fascino che stava cercando di usare su di lei. "Vi porgo il benvenuto, Messer Jacques", rispose in fluente francese, una delle svariate lingue che conosceva. "Grazie per la vostra simpatia, l'apprezzo. Mio padre mi ha raccontato di voi piuttosto nel dettaglio, però ammetto che non tutto quello che diceva erano complimenti. Tuttavia, cercherò di non essere influenzata e di giudicare da me stessa."
Jacques si inchinò leggermente per ringraziarla mentre lei lo scrutava per diversi altri secondi con sguardo intenso. "Che cosa vi porta qui, Messer Jacques?" chiese apertamente.
Jacques si raddrizzò, incrociando fermamente lo sguardo penetrante della contessa. Poteva percepire il peso del suo esame, l'affilatezza nei suoi occhi che parlava di una mente cui non sfuggiva nulla. Questa non era una donna facilmente influenzata da charme o adulazione, e Jacques abbandonò rapidamente qualsiasi pensiero di affidarsi a simili tattiche. Doveva essere schietto, per guadagnarsi la sua fiducia attraverso onestà e competenza. Questa era una donna che non amava perdere tempo, cui piaceva essere franca e che apprezzava essere ricambiata con altrettanta franchezza. Pertanto, decise che sarebbe stato diretto, informandola in modo chiaro. "Sono venuto per offrire i miei servigi alla vostra casata, se vorrete accettarmi."
Alisa inarcò le sopracciglia, senza nascondere di essere sorpresa dalle sue parole. "Quale tipo di servigi, esattamente?" domandò. "E sareste pronto ad accettare ordini da una donna?"
Di nuovo, aveva parlato in modo aperto e molto professionale. Non era scortesia, soltanto un atteggiamento deciso che Jacques solitamente non associava col gentil sesso. Ma d'altro canto, questa non era una donna qualsiasi.
"Mia signora", Jacques cominciò, la voce ferma ma rispettosa, "Sono sicuramente pronto ad accettare ordini da una donna, in particolare una capace e formidabile come chiaramente siete voi. Ho visto abbastanza cose nella mia vita per capire che forza e guida ferma non appartengono unicamente ad un genere. Voi siete la signora di questo feudo e una donna d'affari, e mi è chiaro che siete più che degna del rispetto e della lealtà di coloro che vi servono."
Fece una pausa, lasciando che le sue parole si imprimessero nella mente di Alisa, prima di proseguire con un leggero cambiamento nel tono, ora più personale e grave. "Riguardo al perché offro i miei servigi a voi, la verità non è una di quelle che si raccontano facilmente, ma la condividerò ugualmente con voi, perché credo che l'onestà sia il fondamento di qualsiasi vera cooperazione."
Jacques fece un respiro, preparandosi, e cominciò a parlare. Il suo tono era sommesso e chiaramente turbato, svelando il dispiacere che provava. "Ho lasciato la Francia in circostanze difficili, come ho accennato. Mi è stata mossa una falsa accusa – un'accusa di natura estremamente seria, che implica l'onore di una dama e la morte di un uomo che un tempo consideravo un amico e un fratello. Questa accusa mi ha obbligato a fuggire, perché rimanere avrebbe significato affrontare un duello giudiziale contro un uomo cui non desidero fare del male, e la vita di una donna sarebbe stata appesa a un filo, ingiustamente condannata se io vincessi il duello. Non posso sopportare il pensiero di simili conseguenze, e neppure posso rischiare la mia vita a causa di una falsità."
Jacques vide un barlume di simpatia negli occhi di Alisa, e proseguì. "Sono venuto qui a Valdastico perché ricordavo la gentilezza e il rispetto che vostro padre mi ha dimostrato, e speravo che, nel servire la sua casata, avrei potuto trovare un modo di riabilitare il mio nome e riconquistare il mio onore. Ma più di questo, mia signora, sono alla ricerca di un proposito. In Francia, la mia vita aveva perso di significato, e io ero alla deriva. Qui, vedo la possibilità di ricominciare, di servire una causa degna e proteggere coloro che hanno bisogno. Se la vostra casata affronta minacce, io credo di poter aiutarvi a superarle."
Jacques esitò ed abbassò momentaneamente lo sguardo, come in contemplazione, prima di rialzarlo per incontrare quello di Alisa. "Vi offro la mia spada, le mie competenze, e la mia lealtà. So di aver molto da dimostrare, ma se me ne darete l'occasione, vi mostrerò che sono un uomo di parola. Difenderò le vostre terre, la vostra gente, e voi, mia signora, con tutte le mie capacità."
Il silenzio riempì la stanza quando Jacques terminò di parlare, l'aria densa del peso delle sue parole. Il cavaliere poteva vedere che Alisa stava ancora ponderandolo, la mente che analizzava ogni cosa che aveva detto, soppesando rischi e benefici nell'accettarlo al suo servizio. Rimase in silenzio mentre attendeva il suo giudizio, consapevole che, qualsiasi decisione lei avesse preso, avrebbe forgiato il corso della sua vita da quel momento in poi.
Alisa aveva ascoltato attentamente ogni parola, assorbendo ogni sfumatura nella voce di Jacques, gli occhi che notavano ogni barlume di emozione sul suo volto. Aveva apprezzato il suo tono ed atteggiamento rispettosi, come pure la dichiarazione riguardo al suo valore come signora del feudo indipendentemente dal suo genere.
Udendo il tono della sua voce, Alisa aveva immediatamente percepito la sua onestà, realizzando quanto difficile fosse per lui condividere la sua storia con lei, un'estranea, e che lo stava facendo con l'intento di gettare le fondamenta per un rapporto di fiducia tra loro. Quest'ultima cosa era quella che le piaceva di più.
Inoltre, ad Alisa era piaciuto il modo in cui Jacques aveva parlato di questa donna e del marito di lei, senza menzionare apertamente la natura delle accuse e tenendo per sé i loro nomi. Dimostrava la sua amicizia e stima per entrambi loro, come pure quant'era rattristato ed amareggiato riguardo alla situazione. Che non volesse fare del male al suo ex amico e alla di lui moglie la diceva lunga sul suo affetto per loro, ed anche sul suo senso dell'onore. Jacques era forse stato un libertino, come lo aveva descritto Galeotto, ma dalle sue parole, sembrava che fosse scontento della sua vita precedente e che volesse un cambiamento importante verso qualcosa di significativo e valido.
La sua dimostrazione di cortesia nell'esprimere il suo discorso in eccellente veneto, nonostante lei si fosse rivolta a lui in Francese, la sua lingua natia, si aggiungeva all'impressione tutto sommato favorevole che Alisa aveva avuto di quest'uomo.
"Molto bene, Messer Jacques", disse infine, anche lei in veneto. "Non insisterò oltre per avere i dettagli di quello che è chiaramente un argomento per voi doloroso, lasciando a voi la decisione di condividerli con me se e quando lo riterrete appropriato, eccetto che si presenti la necessità per me di conoscerli."
Segnalò a Stefano, che era rimasto accanto alla porta in attesa di ordini, affinché portasse una sedia per l'ospite, e tornò a sedersi sulla propria poltrona. L'intendente eseguì prontamente, poi si ritirò nuovamente.
"Prego, sedetevi", Alisa invitò il francese, che la ringraziò con un cenno cortese prima di accomodarsi di fronte a lei. "Vi darò l'occasione che cercate, Messer Jacques", Alisa continuò, concisamente. "Tuttavia, come avete detto, avete molto da dimostrare. Anzitutto, non mi piace lo vostra reputazione di donnaiolo. Le donne venete sono molto più libere che in altri Paesi, ma questo non significa che gli uomini possano in alcun modo mancare loro di rispetto. Pertanto, vi avverto: se infastidirete una qualsiasi delle mie suddite – o dei miei sudditi, se per questo – vi butterò fuori a calci senza alcun ripensamento. Sono stata abbastanza chiara?"
Jacques non riuscì a impedire che un sorrisetto curvasse l'angolo delle sue labbra mentre le severe parole di Alisa riguardo alla sua reputazione echeggiavano nella stanza. Si sporse leggermente in avanti, le mani appoggiate sulle proprie ginocchia mentre incontrava lo sguardo di lei con una mistura di sincerità ed un tocco di giocosa ironia.
"Assolutamente chiarissima, mia signora", disse senza esitazione, la voce che esprimeva un calore che contrastava con la serietà del momento. "Devo confessare che la mia reputazione di donnaiolo, sebbene non del tutto infondata, è forse un tantino esagerata. È vero che ho avuto la mia dose di ammiratrici, ma, vi assicuro, non sono mai stato stato il tipo da inseguire aggressivamente o da infastidire le donne. Casomai, sembra che l'inseguimento sia arrivato spesso dall'altra parte, con mia occasionale sorpresa e qualche volta, lo ammetto, con mio rammarico."
Il suo sorrisetto scomparve, rimpiazzato da un'espressione più seria mentre continuava. "Tuttavia, voglio rendere molto chiaro che non sono venuto qui per ripetere gli errori del passato. Non sto cercando di fare nuove conoscenze o di impegnarmi in qualsivoglia relazione romantica. In realtà, per quanto mi riguarda vorrei evitare simili distrazioni per lungo tempo – forse indefinitamente. Il mio proposito qui è di dimenticare, andare avanti, e trovare significato in qualcosa di più sostanziale di affezioni passeggere. Avete la mia parola, Siora Contessa: il mio obiettivo sarà fissato unicamente sui doveri che vorrete affidarmi."
Jacques vide un accenno di comprensione negli occhi di Alisa, e provò un senso di sollievo che lo colmò. Pensava ogni singola parola che aveva detto, e sperava che lei riuscisse a vedere che le sue intenzioni erano sincere.
Alisa era soddisfatta che Jacques non avesse neppure battuto ciglio al suo tono piuttosto duro, accettando prontamente la sua richiesta. Ciò significava che aveva veramente intenzione di cambiare, pensò. Il suo atteggiamento si rilassò visibilmente mentre l'ombra di un sorriso appariva sulle sue labbra, curvandole leggermente. "Sono lieta di apprendere che la vostra reputazione sia esagerata, Messer Jacques", dichiarò, piegando leggermente il collo di lato, come se volesse guardarlo da un nuovo angolo. "Il mio dovere è di proteggere i miei sudditi da qualsiasi tipo di danno, da qui il mio avvertimento, tuttavia ora so che non era necessario. Che intendiate imbarcarvi in avventure amorose oppure in relazioni più serie è interamente a vostra discrezione, e naturalmente della donna coinvolta. Fintantoché entrambe le parti sono libere e disponibili, non ho niente in contrario."
Fece una pausa, evidentemente meditando su qualcosa che lui aveva detto. "Un uomo che afferma di rammaricarsi che una donna lo cerchi è molto singolare, pertanto suppongo che abbia a che fare con la signora senza nome e suo marito che vi hanno costretto a lasciare la Francia."
Alisa notò che Jacques trasaliva e sollevò una mano. "Non c'è bisogno che confermiate o neghiate, Messer Jacques. Come ho detto, non vi chiederò altri dettagli."
Notò il modo in cui egli tornava a rilassarsi e, ancora una volta, pensò che l'argomento doveva essere davvero doloroso per lui. Provò un'ondata di compassione: doveva essere veramente duro per lui tenere a bada i demoni che lo tormentavano.
"Bene", continuò, tornando agli affari. "In effetti, ho bisogno di un combattente esperto per comandare le mie guardie, perché il capitano precedente è recentemente caduto facendo il suo dovere, assieme a diversi miei armigeri. Sono richieste anche la selezione e l'addestramento di nuove reclute. Inoltre, mio padre mi ha parlato della vostra abilità di lavorare coi numeri, pertanto c'è anche una seconda posizione per voi: occuparvi della contabilità del mio feudo. Siete interessato?"
La Contessa di Valdastico guardò Jacques dritto in faccia, franca quanto lo era stato lui, ed attese la sua risposta.
Il cavaliere ricambiò il suo sguardo con la stessa schiettezza. "Sarei onorato di assumermi le responsabilità che avete indicato", disse, tornando ad un tono pratico e rispettoso. "Ho sempre avuto una naturale affinità coi numeri – una capacità che mi ha servito bene quando mi occupavo delle tenute e delle questioni finanziarie di altre nobili casate. La contabilità, sebbene possa sembrare banale ad alcuni, è un compito che approccio con la stessa diligenza e precisione che userei in battaglia. Dopotutto, la prosperità di un feudo dipende tanto da una buona gestione quanto dalla forza delle sue difese."
Fece una pausa, affinché che le sue parole fossero ben recepite, prima di concludere chinando leggermente il capo. "Sarebbe mio piacere, Siora Contessa, utilizzare le mie capacità sia nel guidare le vostre guardie, sia nell'assicurare che le vostre proprietà siano gestite nel migliore dei modi. Capisco l'importanza di entrambi i ruoli, e farò tutto il possibile per servirvi fedelmente in ciascuno di essi."
Jacques si appoggiò all'indietro, mantenendo il suo sguardo fermo su Alisa, in attesa della sua risposta. Aveva messo le carte in tavola, palesando sia la volontà di rispettare i limiti da lei imposti, sia il desiderio di dimostrare il proprio valore al suo servizio. Ora, toccava a lei decidere se gli sarebbe stata data l'opportunità di redimersi e di cominciare una nuova vita sotto il suo comando.
Alisa si sentì assai soddisfatta della risposta del francese. Allungò la mano destra verso di lui. "Farò redigere un regolare contratto per voi quanto prima, ma per adesso, una stretta di mano è sufficiente per concludere il nostro accordo."
Jacques raddrizzò la schiena, l'espressione colma di meraviglia, sollievo e gratitudine. "Non vi deluderò, mia signora", disse, stringendole la mano. Trovò che la sua presa era forte e ferma, la presa di una persona adusa a trattare alla pari con i suoi interlocutori.
Il suo rispetto per questa donna insolita crebbe ulteriormente.
"Sarà meglio di no", Alisa fece un sorrisetto con un tono inaspettatamente spiritoso che strappò a Jacques un sorrisetto uguale. "Stefano", disse la contessa, rivolgendosi al suo intendente mentre ritirava la mano dalla stretta del suo nuovo collaboratore. "Costui è il nuovo capitano della guardia, e anche il nostro capo contabile. Gli sarà quindi accordato un trattamento adeguato."
L'intendente annuì, segnalando d'aver capito.
Alisa si rivolse nuovamente a Jacques. "Di qualsiasi cosa necessitiate – cibo, bevande, un bagno, asciugamani, altri cuscini – chiedete semplicemente a Stefano. Stasera, cenerete con me nel salone e vi presenterò al personale del castello. Ora potete andare: mettetevi a vostro agio e riposate."
Il colloquio era terminato, con la soddisfazione di entrambi i partecipanti. Jacques si alzò e si inchinò rispettosamente, poi si girò ed uscì, seguendo Stefano verso l'alloggio che Alisa gli aveva assegnato.
Alisa si alzò a sua volta ed osservò Jacques andarsene. Aveva una buona sensazione al suo riguardo, non soltanto per l'opinione che ne aveva avuto il suo defunto padre, ma per la sincerità che aveva percepito in lui. Stava veramente cercando un nuovo inizio ed un qualche tipo di redenzione, e lei gli augurò di riuscirci.
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Jacques seguì Stefano lungo i tortuosi corridoi del castello, la mente un turbine di pensieri ed emozioni. Il colloquio con Dama Alisa era andato meglio di quanto avesse sperato, ed adesso era colmo di un senso di cauto ottimismo. Il fatto che lei lo avesse accettato al proprio servizio e la sua evidente comprensione delle complessità del passato di Jacques lo avevano messo a proprio agio come non gli succedeva da settimane, perfino mesi. Tuttavia, c'era ancora un persistente turbamento in lui – i residui della vita che si era lasciato alle spalle e l'incertezza di quella che lo attendeva.
Stefano lo condusse ad una spaziosa stanza nella torre orientale, arredata con mobilio di legno scuro e pesanti arazzi che le davano un'atmosfera di calore e sicurezza. Un grande letto, drappeggiato di ricchi tessuti, dominava un lato della camera, mentre un caminetto di pietra prometteva un bel fuoco scoppiettante nella stagione fredda.
"Grazie, Stefano", disse Jacques, annuendo verso l'intendente. "Questo è più di quanto avrei potuto chiedere."
Stefano inclinò il capo con un sorriso cortese. "Piacere nostro, Messer Jacques. Provvederò affinché il vostro bagaglio sia subito portato qui. Se avete bisogno di qualsiasi altra cosa, non esitate a dirmelo adesso, oppure chiamatemi più tardi."
"Ah... Sì, ci sarebbe qualcosa, effettivamente", dichiarò Jacques. "Sarebbe possible farmi preparare un bagno?"
L'intendente annuì. "Certamente, messere. Provvederò immediatamente."
Jacques osservò l'intendente che usciva, poi, in attesa sia del proprio bagaglio, sia del bagno, approfittò del tempo disponibile per esplorare il suo alloggio. La vista dalla finestra era mozzafiato, le dolci colline di Valdastico immerse nella luce dorata della tarda estate. Era una campagna pacifica, molto lontana dalla vita tumultuosa che aveva lasciato in Francia.
Poi esaminò il mobilio più da vicino. Era ben costruito in solido legno, probabilmente noce a giudicare dal colore; il grande letto a baldacchino aveva un materasso soffice e un copriletto ricamato, nonché lenzuola di fine lino ed un'enorme quantità di cuscini; un baule era posizionato ai piedi del letto, mentre un armadio a due ante era appoggiato alla parete di fronte. C'era anche una piccola scrivania ed una sedia dall'alto schienale fornita di cuscino.
Poco dopo, qualcuno bussò, attirando l'attenzione di Jacques. "Avanti", invitò.
Entrò un ragazzino, portando le bisacce di Jacques, contenenti tutti i suoi averi. Inchinandosi al cavaliere, chiese timidamente: "Dove volete il vostro bagaglio, messere?"
"Sul baule", Jacques rispose, muovendosi verso di esso. Il ragazzino obbedì e poi si inchinò nuovamente prima di prendere congedo.
Jacques aveva appena iniziato a mettere via le sue cose nell'armadio, quando qualcun altro bussò. Su suo invito, entrarono due cameriere, una con una pila di asciugamani di diverse misure e l'altra con un cesto pieno di boccette. Dietro di loro venivano due servitori con una profonda vasca di rame. Altri quattro li seguirono, ciascuno trasportando due secchi d'acqua.
"Il vostro bagno, messere", annunciò la cameriera con il cesto, facendo la riverenza.
"Vedo"; borbottò Jacques, osservando gli uomini muoversi con efficienza, piazzando la vasca vicino alla finestra e poi cominciando a riempirla d'acqua.
Quando finirono, si inchinarono al francese ed uscirono, mentre le cameriere preparavano gli asciugamani e le boccette.
"Mi chiamo Rina", disse la prima servitrice. "E questa è Anna". Accennò alle boccette. "Oli da bagno", spiegò. "Abbiamo rosa, bergamotto, lavanda, violetta, muschio bianco e pino. Quale fragranza preferite?"
Jacques sbatté le palpebre, non abituato a una scelta tanto ampia.
Vedendolo esitare, Anna gli offrì il proprio consiglio. "Se posso, messere, dato che mi hanno detto che siete reduce da un lungo viaggio, suggerirei la lavanda come lenitivo e il bergamotto come rivitalizzante."
"Uhm, bene, grazie", Jacques accettò con gratitudine. Si aspettava che le cameriere se ne andassero, ma Anna invece si avvicinò alla vasca e versò alcune gocce di ciascun olio nell'acqua calda, mentre Rina venne da lui e cominciò a togliergli la giubba. Sorpreso, Jacques si ritrasse e la cameriera si fermò. "Siamo qui per assistervi durante il bagno, messere", disse, un po' perplessa dalla sua reazione.
Nuovamente, Jacques sbatté le palpebre. Non era nuovo a questo tipo di trattamento, giacché era abituale nelle grandi magioni dei suoi precedenti padroni, ma non si era aspettato di riceverlo qui, in quello che dopotutto era un castello abbastanza piccolo in una città altrettanto piccola. Considerò la possibilità di approfittare di quel lusso, ma poi decise di no. Voleva rilassarsi e non era certo di poterlo fare in presenza di queste due ragazze, belle ma che gli erano completamente estranee.
"Grazie", disse cortesemente, ma con fermezza. "Non voglio impedirvi di fare il vostro lavoro, ma preferisco essere lasciato solo."
Rina gli lanciò un'occhiata eloquente e rigirò un ricciolo dei suoi capelli biondi tra le dita. "Ne siete sicuro, messere?" chiese sottovoce. "Lo nostra compagnia può essere molto... rilassante, ve lo assicuro."
E rieccoci, pensò Jacques, sospirando silenziosamente: donne che gli si gettavano tra le braccia, o perché lo trovavano attraente e volevano divertirsi, oppure perché speravano di ottenere denaro o favori in cambio dei loro servigi. In passato, non avrebbe rifiutato l'opportunità di portarsi a letto due belle ragazze, al contrario, ne avrebbe approfittato volentieri, ma non ora, non più. Aveva scelto il cambiamento, e ciò implicava anche cambiare le sue abitudini con il gentil sesso.
Tuttavia, non avrebbe mai trattato male una donna, rifiutandola villanamente. "Grazie, Rina", rispose pertanto con un sorrisetto malizioso. "Ne sono sicuro, ed apprezzo la vostra offerta, davvero. Magari mi avvarrò della vostra... compagnia un'altra volta."
Il sorriso di Rina di incrinò appena un poco, ma la servitrice accettò la decisione di Jacques con sufficiente grazia e gli strizzò perfino un occhio. "Non sapete cosa vi state perdendo, bell'uomo..."
Lui stette al gioco e sogghignò, ma rimase fermo nella propria decisione. Quando le due cameriere uscirono, si accorse che non lo stava rimpiangendo. Non gli era costato quanto si era aspettato, e questo lo sorprese. Era un segno, decise, un segno che aveva impostato la giusta rotta per la sua vita e preso la giusta direzione.
Sentendosi in qualche modo più leggero, come se avesse superato una prova che non era neppure stato consapevole di star affrontando, Jacques si concentrò sul bagno. Togliendosi di dosso gli abiti stropicciati, si immerse nell'acqua calda e profumata, emettendo un lungo sospiro mentre il calore penetrava nei suoi muscoli stanchi. La tensione del viaggio, il peso del suo passato, sembrarono svanire, almeno per il momento. Si permise un raro momento di pace, chiudendo gli occhi e lasciando che l'acqua lenisse il suo corpo e la sua mente.
Mentre era immerso nel bagno, i suoi pensieri si spostarono su Dama Alisa. Non assomigliava a nessuna donna che avesse mai incontrato: forte, intelligente, ispirava rispetto senza fatica alcuna. La sua schiettezza era rinfrancante, e Jacques si ritrovò ad ammirarla più di quanto si fosse aspettato. C'era in lei una scintilla, una qualche quieta forza che faceva pensare a Jacques che, sotto la sua guida, egli poteva finalmente trovare la redenzione che andava cercando.
Dopo un po' di tempo, Jacques uscì dal bagno, sentendosi rinvigorito. Si asciugò con gli spessi asciugamani che gli erano stati procurati, si rivestì con abiti puliti, ed andò alla finestra. Aprì i vetri ed inalò la calda, fragrante aria estiva di quella che riteneva sarebbe diventata la sua nuova patria e casa, o così sperava con tutto il suo cuore.
Quando la luce del giorno cominciò a scemare, un lieve bussare alla porta attrasse la sua attenzione. Era Stefano.
"Sono qui per accompagnarvi a cena, messere", spiegò.
Lo stomaco di Jacques brontolò, rammentandogli che aveva consumato soltanto un pranzo alquanto parco, pertanto accettò volentieri l'offerta dell'intendente. Lo seguì giù per le scalinate e lungo i corridoi, provando un senso di anticipazione. La cena sarebbe stata la sua prima vera introduzione alla vita di cui ora faceva parte, ed era determinato a fare una buona impressione.
Quando raggiunsero il salone, Jacques fu impressionato dalla sua maestosità. La stanza era vasta, con un alto soffitto di legno, adorna di stendardi e arazzi che narravano la storia della famiglia Malatesta. Nel mezzo della parete opposta all'entrata, in un bassorilievo stava il leone alato, che teneva un libro aperto con incise in latino le parole Pax tibi, Marce, Evangelista meus (*), il simbolo della Repubblica di Venezia. La tana del leone, pensò Jacques; ma non sentiva di star andando incontro al pericolo che un simile luogo avrebbe rappresentato, tutto l'opposto: nonostante la sua ansia in quanto nuovo arrivato che doveva provare il suo valore sia alla sua nuova padrona, sia alle persone della sua casa, si sentiva stranamente a proprio agio.
Un lungo tavolo, elegantemente preparato per il pasto serale, dominava il centro della sala. Due enormi caminetti lungo le pareti maggiori avrebbero riscaldato la grande stanza durante l'inverno.
Dama Alisa era già presente, in piedi a capotavola. Era abbigliata in modo sobrio, con un abito verde senza ornamenti, ma fatto di preziosa seta, e la sua postura elegante era indice della sua posizione. Quando vide Jacques, gli rivolse un cenno ed un piccolo sorriso, che egli ricambiò con un inchino.
"Messer Jacques", Alisa lo salutò quando si avvicinò. "Ho fiducia che abbiate trovato l'alloggio di vostro gradimento?"
"Più di quanto sperassi, mia signora", Jacques replicò, in tono rispettoso ma con un tocco di calore. "Vi sono grato della vostra ospitalità."
Alisa gli segnalò di prendere la sedia accanto alla propria, al centro del tavolo. "Nulla più di quanto meritiate, considerando le responsabilità che state per assumervi. Prego, sedetevi. Godiamoci la cena e parliamo dei compiti che vi aspettano."
Jacques si accomodò, e subito la cena venne servita. Il cibo era ricco e abbondante, una selezione di piatti locali che mostravano l'opulenza della terra. Mentre mangiavano, la contessa parlò del feudo e della situazione politica attuale della regione.
Alisa era lieta di trovare in Jacques una compagnia gradevole sia come buon ascoltatore, sia come brillante conversatore. Infatti, egli ascoltava attentamente, offrendo i suoi ragionamenti quando era appropriato, ma per la maggior parte del tempo, assorbendo la ricchezza di informazioni che lei gli stava offrendo.
Il commercio dell'acclamato vino Prosecco, spiegò Alisa, aveva una grande importanza non soltanto per Valdastico, ma anche per la Repubblica di Venezia, ed attualmente lei stava affrontando grosse difficoltà a proteggere il suddetto commercio, non soltanto dalle costanti minacce di comuni predoni, ma anche dai saccheggiatori militari sia dei padovani Carraresi, sia dei veronesi Scaligeri, che erano in guerra l'uno contro l'altro da oltre due anni. Jacques diede un paio di buoni consigli riguardo alle strategie difensive per le carovane, che Alisa apprezzò.
Un paio di calici di Prosecco dopo, mentre gustavano dell'eccellente anatra arrosto, Alisa iniziò a sciogliersi, sentendosi sorprendentemente a proprio agio con Jacques. Per una volta, non doveva combattere e pretendere rispetto da uno straniero – gli uomini veneti normalmente lo concedevano senza esitazione, a causa dell'alta stima in cui le donne erano tenute nella società veneta – giacché Jacques sembrava averla accettata come propria eguale.
Mentre la serata proseguiva, la conversazione si spostò verso argomenti più personali, e Jacques si accorse che si stava rilassando in compagnia di Alisa. C'era intesa tra di loro, un senso di mutuo rispetto che gli faceva credere, per la prima volta dopo molto tempo, che poteva aver trovato un luogo cui appartenere veramente. Sentiva anche che Alisa non aveva pregiudizi su di lui, e se ne aveva avuti alcuni a causa della reputazione che lo precedeva, li aveva messi da parte per costruirsi una sua propria impressione.
Quando il pasto fu infine terminato, e l'ultimo vino versato, Alisa si rivolse a Jacques con un'espressione pensierosa. "Domattina, cominceremo il lavoro di ricostruzione della nostra guardia e mettere in sicurezza il feudo. Dovrete selezionare nuove reclute e addestrarle, e addestrare anche i veterani, visto che vi siete offerto di insegnare nuove tecniche di combattimento tratte dalla vostra personale esperienza. Sono fiduciosa che sarete pronto a cominciare."
Jacques incontrò il suo sguardo, sentendo il peso del compito che lo aspettava, ma anche l'eccitazione dell'obiettivo da raggiungere. "Sarò pronto, mia signora."
"Eccellente", Alisa annuì. "Mi sono presa la libertà di farvi preparare l'uniforme", aggiunse poi, facendo un segnale a Stefano. Lui a sua volta fece un segnale ad una cameriera, che venne avanti ed esibì una tunica sbracciata nera, che sarebbe servita come copertura per qualsiasi tipo di corsetto metallico Jacques volesse indossare. Il ricamo sul davanti mostrava il blasone dei Malatesta – tre barbute teste maschili, in argento su sfondo verde – sotto il dorato Leone di San Marco su sfondo rosso.
"Troppo bello da indossare quotidianamente", osservò Jacques, ammirando il fine lavoro di ricamo.
"Sì, questo è soltanto per le occasioni speciali", concordò Alisa. "Per gli impegni di ogni giorno, riceverete una semplice tunica nera, con i colori dei Malatesta sul davanti e sul didietro, e le insegne da capitano.
Jacques assentì. "Ho una domanda", disse. "Potrà sembrare oziosa, ma mi sono sempre chiesto perché Venezia abbia il Leone di San Marco che tiene un libro aperto come suo stemma abituale, mentre in battaglia a volte mostra il Leone che tiene una spada, ed altre volte un libro chiuso."
Alisa sorrise, lieta del suo interesse per i simboli della Repubblica. "Non è esatto", rispose. "Usiamo la spada solamente sul vero e proprio campo da battaglia, sia in terraferma sia in mare, mentre la bandiera con il libro chiuso significa semplicemente che la Repubblica è in guerra, e viene esibita in tutto il paese finché non torna la pace, quando riappare la bandiera con il libro aperto. A proposito, si tratta del Vangelo di San Marco, non di un libro qualsiasi. Il motto in esso viene da un sogno che l'Evangelista fece quando sbarcò su di un'isola nella laguna veneta: vide un angelo che gli disse che lì avrebbe trovato pace, venerazione e onore."
Jacques ringraziò la contessa per la sua dettagliata spiegazione, contento d'aver imparato qualcosa di più sulla sua nuova patria.
Alisa segnalò alla servitrice di posare la tunica sul tavolo, affinché Jacques potesse poi portarla nella propria stanza. "Venezia ha perlopiù una vocazione mercantile", continuò. "Tuttavia, in caso di necessità, i veneti sono anche feroci guerrieri. L'Impero Ottomano ne sa qualcosa", aggiunse orgogliosamente, riferendosi al conflitto intermittente che da decenni opponeva le due potenze e alle molte battaglie che avevano combattuto l'una contro l'altra per il controllo del commercio nel Mar Mediterraneo.
Alisa poi si girò verso alcune persone che sembravano aspettarla e fece loro cenno di avvicinarsi. Li presentò quindi a Jacques: Teresa la governante, Giovanni il capo delle scuderie, Franco il capocuoco, Giuliano e Roberto, i due sergenti della guardia con i quali Jacques avrebbe dovuto lavorare in stretto contatto, e svariati altri. "Questi è Messer Jacques Le Gris", Alisa disse loro. "Come forse avrete già sentito, egli è il nuovo capitano della guardia e il capo contabile."
Dopo che tutti ebbero rispettosamente rivolto un inchino o riverenza al nuovo arrivato, i membri del personale del castello si ritirarono, e così fece anche Jacques, piuttosto affaticato dalla lunga giornata piena di novità ed emozioni. Alisa invece rimase un po' più a lungo per godersi l'usuale intrattenimento serale, fatto di trovatori itineranti, giocolieri, acrobati, musicisti, cantastorie che si trovavano a passare da Valdastico e si fermavano per un po' nel suo castello. Poi, la contessa si ritirò nelle sue camere ed andò a dormire.
Domani sarebbe sicuramente stato un giorno di nuove sfide, pensò prima di addormentarsi. E a lei le sfide piacevano.
(*) La pace sia con te, Marco, Evangelista mio.
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