Canto VII

Oh, m'immagino l'ingiusta
truffa e fraudolenta pena di
chi mi attende e pregusta
il sapore del settimo canto dal dì
in cui mi diedi alla macchia.
La colpa la coscienza mi sfracchia!
Mi scuso, meglio adesso non posso fare
se non riprendere religioso a narrare.

Cos'accadde? Accolto nella suadente dimora
dal dolce marchese, il rosso fu
salvato e sciacquato dal sapone nel blu
sporco di fango. E cos'altro, allora?
Lo presero e rimisero a lustro.
Lo lucidarono e lavarono.
Lo presero e portarono
nella sala del trono. "Ti illustro,"

gli mostrò il marchese,
"cosa combinerai delle
tue tremende e belle
mattine d'ora in poi." Prese
a fissarlo, sguardo nello sguardo.
"Sarà il sottoscritto a stabilire
dove dovrai penosamente perire,
lo sai, sciocco? E non un leopardo!

Non una fiera o un fante come tanti
ti avrà mai se non lo vorrò! Lo sai?
Non la lama del volgo, no, mai!
Non la labile freccia di arcieri come infanti!
Lo sai? Soltanto io saprò se o perché morirai
e succederà presto se non mi ubbidirai!"
Lo sapete, eppur lo ripeto. Non crudele
né sadico né una serpe era il mangiamele,

bensì spaventato. A sua volta,
intendeva intimidire il suo nuovo vassallo.
L'arbitro avverte di non fare fallo,
no? Il marchese, con molta
poca pazienza, ci tenne a tener
presente al rosso solingo, di far
la cuccia e non abbaiar.
Si riserva il diritto di poter

decidere se svegliarsi, il
can che dorme. "No, Kenneth, tu
sveglio sarai se sarà mio desiderio, o più
non camperai. Per il pessimo segugio il
guinzaglio è come l'aglio ai vampiri.
No, tu, mio mastodontico mastino
maledetto, se un grido tu tiri
poi più non parli! Il padroncino

imparerai a rispettarlo,
o nella testa ti faccio un buco
come nel legno un tarchiato tarlo."
Salta Del Lippo s'insinuò come un bruco
nel discorso, mentre il marchese s'era
stoppato per starnutire.
"Preferirai non rischiare le ire
del santo signore, il marchese,"
leccava Del Lippo, con parole tese.

"E se così è, ti basti stare al tuo
posto. Cose chiarite o ancora buie?"
Kenneth, il solingo rimase per poco nel suo
silenzio di ronzanti sospiri. "Buie
sono le sfiducie di vossignoria.
Se si sapesse un po' della mia
vita, la paura v'avrebbe abbandonato.
Se si fosse meno spaventati!
Sì, sette signori furon rovesciati

dai fendenti della mia lama.
Non ho modo di negarlo, ma
sapete perché accadde?"
Nell'aula non fece motto una mosca.
"Ah, non sapere del re che cadde?
Al tempo della derelitta battaglia,
servivo il sovrano di un regno
da poco più di un misero pegno.
Tra lui e i suoi sordidi duchi una faglia

s'aprì, perigliosa una ferita.
Oh, pietà, per persone come loro
una promessa non è degna dell'oro,
ma è carbone in una bionda pepita.
Gli immeritevoli vincono a volte,
prendono troni e tutto persino
non meritando le folte
fila della loro fanteria. Sino

a soccombere soffrii sul
campo, per il mio re sul
precipizio di un baratro.
Ero come un bue dietro l'aratro,
trainavo i trucidi duelli,
sfidando soldati e solide
armature con i loro eroi belli,
un cavaliere sul baldo bolide.

Trucidai tutti. Fu il peggiore
pestaggio della storia. Ore
e ore di morti e madornali
errori, preghiere e paternali,
suppliche e suicidi dettati
dalla paura di perir come affettati.
Ah, se fosse servito a salvare
il re! No, dovetti dannare

mille e mille e molte anime, ma
ammucchiai cadaveri invano."
Bene, amici miei! Domani vi cano
il resto del discorso del solingo, ma
mo' me la svigno. No, non ho un buon
motivo. Mi piace pizzicare
la vostra voglia di ascoltare
la mia melodia e il suadente suo suono.

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