Incontri inaspettati

Laggiù, nel punto più scuro dell'oceano, un enorme pescecane si muoveva... 

ma la cosa in quel momento non mi riguardava affatto, dato che vivevo nei tre centimetri d'acqua che la marea spingeva in una conchetta tra gli scogli.

Quello era il mio mondo, e io ero nient'altro che un granchiolino alle prese con la crisi degli alloggi sulla costa.

Arrancavo su e giù tutto il giorno trascinandomi dietro un frantume di conchiglia e cercandone una abbandonata, magari integra, adatta a ripararvi il mio ventre molle e vulnerabile. Immancabilmente, trovavo che un mio simile ci si era già istallato, e agitava minaccioso le chele al mio apparire.

Mentre sconsolato concludevo l'ennesimo giro, un'ondata sommerse la scogliera, spinse via l'acqua della conchetta in mille spruzzi e io fui catapultato su una spiaggetta.

Lì, a meditare il mare, c'era la figura più strana che avessi mai visto.

Sembrava un umano, ma piccolo, e con certe gambe secche secche... Era lì, dicevo, e fissava il mare addolorato.

Non lo pensai io solo, che facesse brutti pensieri, perché arrivò a parlargli un uccello strano, che sarebbe sembrato, per forma, un gabbiano ma era tutto piumato d'azzurro. Io, piccolo come sono, non sono appetibile per simili creature che cercano pescetti grandi almeno venti volte me, quindi rimasi tranquillo ad ascoltare.

Il gabbiano prese a chiedergli come mai non fosse a scuola, e quello rispose chiaro che la scuola era una gran scemenza.

"Ah", commentò il gabbiano, "meglio allora andare subito a lavorare?"

Quello risentito gli chiese perché mai tutti gli parlassero sempre o di studio o di lavoro. Perché non poteva godersi la vita come un uccello o una qualsiasi altra creatura?

Personalmente mi sentii offeso, perché sapevo io la lotta per raggranellare un pasto, fatto di pezzetti d'alga, e per evitare di diventare pasto a mia volta.

E anche l'uccello turchese arruffò le piume, esordendo: "Senti un po', bel tomo..."

Ma prima che potesse proseguire, tra le onde comparve un pezzo di legno che attirò l'attenzione dell'affaretto magro. La cosa faceva su e giù, apparendo e sparendo finché l'ultima onda la mandò a rotolare sulla spiaggia. Prima che il mare se la riprendesse, il ragazzetto saltò su e corse a trascinarla più a riva. E, lo giuro, sentii il legno recuperato lamentarsi.

Pinocchio, così si chiamava il giovanetto, prese a togliere la sabbia dalla scultura lignea, che si scoprì avere un viso incantevole, un busto femminile e una coda di pesce.

"Ehi, giù le mani", protestò la statua quando quelle del ragazzino spolverarono le sue spalle e scesero più giù.

"Oh cavolo", esclamò Pinocchio realizzando le belle forme che stava mettendo in luce e, credetemi, arrossì. Cosa notevole, se contate che mi ero ormai accorto che era anche lui, non solo magro, ma proprio di legno, un burattino animato!

"Tu chi... e cosa... sei?", chiese.

"Mi chiamo Ligea e sono una polena", rispose sostenuta quella, passando una mano a spingere indietro i capelli dipinti di rosso, riprendendo poi la posa plastica di prima, con le braccia in alto, come si tenesse aggrappata alla trave cui aderiva la sua schiena.

"Una polena...", ripeté smarrito Pinocchio.

"Gli uomini mi scolpiscono sulla prua delle loro navi, perché il mio sguardo avvisti i pericoli e guidi l'imbarcazione su una rotta sicura. Ma questa notte il mare si è davvero scatenato e la mia goletta si è fracassata contro i frangiflutti del porto. I marinai si sono salvati, ma il mare ha strappato via molti rottami, tra cui me, che ho perso parte della coda".

Pinocchio fissò la parte inferiore della polena, lì dove doveva esserci la pinna caudale, sfibrata e deturpata.

"Oh!", esclamò dispiaciuto,"se ci fosse il mi' babbo ti aggiusterebbe, e magari ti staccherebbe da quella trave, così saresti libera".

"Ma che dici?", esclamò Ligea, "Libera di far che? Son di legno, non potrei mai scendere nel mare e fare la giardiniera delle barriere coralline, come fanno le sirene vere. Quindi almeno faccio la polena. Che mestiere fa il tu' babbo, burattino?"

"Geppetto è un falegname, perciò saprebbe aggiustarti. Ma ora non c'è, è per mare perché credeva fossi fuggito e mi cerca. Temo per la sua sorte", rispose affranto.

"Mi spiace. Comunque potresti aggiustarmi tu, che avrai imparato da lui", sorrise Ligea che, bellissima come una vera sirena, mosse le spalle e mise in evidenza i seni perfetti.

Pinocchio sentì rimescolarsi quello che non aveva e balbettò: "Non ho imparato nulla, il mi' babbo voleva andassi a scuola".

"Ah... diventerai un dottore, allora".

Pinocchio arrossì ulteriormente.

"Non amo studiare", confessò.

Lo sguardo della sirena lo soppesò deluso e per la prima volta Pinocchio desiderò davvero essere diverso.

Non per quella confusa vergogna che ogni tanto gli faceva far promesse vane. Ma per autentico desiderio di conquistare il cuore di qualcuno.

Il cuore di Geppetto era suo, qualsiasi cosa fosse diventato. L'avrebbe amato comunque, anche da figliolo debosciato. Ma quella stupenda creatura...

"Qualcuno mi ha promesso che infine diventerò umano. Pregherò la buona fata di rendere anche te di carne e sangue, così potrai avere la vita che desideri. Ma prima cercherò il babbo, che mi insegni a ripararti. Hai ragione, voglio diventare qualcosa di buono anch'io. Un falegname come mio padre sarebbe bello".

Lo sguardo della polena si addolcì.

"Sarebbe davvero bello. Che tu lo trovassi e diventassi falegname... Che io riavessi la mia coda e la fata mi aiutasse... Ma poi non ci vedremmo più, se tu diventassi uomo e io vera sirena..."

"Lo so. Ma resteremmo amici, e io saprei di aver fatto finalmente una cosa giusta. Ora ti nasconderò in qualche grotta della scogliera, e poi mi butterò in mare. Tanto son di legno e galleggio. Troverò mio padre e tornerò, te lo prometto!"

E io, che avevo seguito l'intero dialogo, mi sentii intenerire. Il gabbiano turchino anche, vidi che si nettava con l'ala gli occhi umidi. 

Poi il burattino fece come aveva detto, e l'ultima cosa che vidi fu la sua casacchina rossa perdersi tra le onde mentre nuotava vigorosamente verso il largo. 

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