Capitolo 37
Capitolo 37
"Dove hai detto che è andata Sara?" Marco le rivolse la domanda mentre si dedicava all'accensione del camino. Laura stava seduta sulla poltrona intenta a leggere e rispose con voce annoiata, senza distogliere lo sguardo dalla lettura.
"È andata da alcuni amici".
"Ma dove esattamente?" continuò lui. Laura detestava essere interrotta durante una lettura. Doveva uscire dalla scena che stava vivendo, concentrarsi sul motivo dell'interruzione e poi ricominciare tutto daccapo per ritrovare l'immagine appena abbandonata, così rispose un po' seccata.
"Non lo so! Nelle vicinanze".
Dopo qualche secondo di incertezza, Marco la fissò. "Che hai?"
"Sto leggendo e mi interrompi continuamente".
"Sto solo parlando con te di nostra figlia". Laura considerò, sempre più seccata, che in tre settimane in cui Sara non aveva dato notizie di sé, Marco non si era mai interessato a lei. Perché lo stava facendo ora? Sembrava quasi voler provocare Laura nel rievocare i ricordi. O almeno, lei lo interpretava così.
"Chiamala e chiedilo a lei" gli rispose alzandosi e uscendo dalla stanza. Sapeva che Marco non l'avrebbe mai fatto. Si accomodò in veranda. Chiamò Lola che con molta riconoscenza si accomodò ai suoi piedi. La temperatura era ancora tiepida nella stanza, ma da lì a poco sarebbe scesa. Il sole si abbassava sempre più verso l'orizzonte. Più Laura cercava di non pensare a Sara e Stefano e più si presentavano a lei una serie di elementi che le rievocavano i ricordi. Ora anche Marco!
La sera precedente avevano tranquillamente cenato tutti e tre assieme. Padre e figlia avevano parlato dell'Università, dei progetti di Sara, della convivenza con Sofia, ma sua figlia non aveva accennato nulla di quello che aveva rivelato a sua madre. Mentre saliva su in camera, Sara aveva solo detto evasivamente:
"Allora, mamma, domani prendo l'auto", e aveva augurato a entrambi la buonanotte. Evidentemente, in seguito, Marco aveva rielaborato quella frase e quindi ora chiedeva informazioni a sua moglie.
Sara era uscita molto presto quella mattina. Quando Laura era scesa in cucina già non era in casa.
Lui si troverà già lì e non vorranno sprecare il tempo.
Lola si alzò e iniziò a scodinzolare. Era Marco che la raggiungeva in veranda.
"Perché sei venuta qui? Farà freddo tra poco".
"Volevo finire di leggere senza essere interrotta".
"Dai, vieni di là, il camino è acceso. Si sta bene. Non ti disturberò". Il tono di lui era gentile. Laura non aveva voglia di spostarsi in quel momento. Ormai l'interruzione era avvenuta e poi non voleva deludere Lola abbandonandola così presto.
"Tra poco arrivo" gli disse. Marco se ne andò senza replicare. Laura era consapevole di risultare davvero antipatica quando si comportava così, ma suo marito non poteva spiegarsi perché sua moglie si comportasse in modo così scontroso. L'inconscio, spesso, commette azioni che anche con le migliori intenzioni non riusciamo a controllare. Succede anche a chi l'inconscio lo conosce bene, per professione.
Dopo un po' si alzò per raggiungerlo. Tanto, ormai aveva perso la concentrazione per la lettura. Accarezzò Lola e uscì dalla stanza. Quando arrivò in soggiorno lanciò il libro sul divano con gesto un po' maldestro... Marco stava nella cucina di fronte, dalla quale chiese:
"Preparo una tisana? Un thè?" evidentemente felice che Laura fosse tornata, desiderava mostrarsi gentile e premuroso.
E fu in quel momento che una strana bestia si impossessò di Laura. Una bestia che aveva la chiara intenzione di spargere del male. E mentre invadeva il suo corpo, la sua anima, Laura lo seppe, ma non fece nulla per fermarla.
"Come mai hai tutte queste premure? Come mai ti sforzi di essere così attento e presente?" le inviò, velenosa, la domanda dal soggiorno. Marco rimase per qualche secondo sbigottito, non si aspettava quell'improvviso cambiamento di umore di sua moglie. Prese tempo. Poi, con mosse lente la raggiunse. Laura stava in piedi davanti al camino e lo guardava con sfida.
"Perché stai facendo così? Che ti prende?"
"La tua premura sa di falsità. È costruita e si vede. Stamattina sono scesa di nuovo prima io. Se tenevi a tua figlia potevi alzarti presto e parlare con lei. È bastata una settimana e hai deciso che il programma "coccole" poteva terminare. La Laura smarrita, confusa, destabilizzata non c'è più. È tutto sistemato. Giusto?" gli gridò con gli occhi in fiamme.
In quel momento aveva perso ogni controllo. Tutto quello che sapeva, che aveva studiato e messo in pratica con i suoi pazienti veniva annullato dai suoi sentimenti di collera, di delusione, di sofferenza. Vomitava in faccia a suo marito tutto il risentimento tenuto sotto controllo per tutti quegli anni. Si era trattenuta illudendosi di mantenere l'immagine di una famiglia composta. Aveva controllato la sua disperazione in nome di una professione che rappresentava. Aveva evitato ogni scontro per non ferire i suoi figli. Aveva pensato di perdonare suo marito perché così suggeriva ai suoi pazienti, il perdono libera l'individuo, lo alleggerisce, lo apre a nuove possibilità.
Ma era tutto falso.
Lei non aveva mai perdonato e soprattutto, adesso, attribuiva a suo marito la causa della fine della sua storia con Stefano. Se lei fosse stata una donna libera le cose sarebbero potute andare in modo diverso, ma allo stesso tempo gli attribuiva la responsabilità per l'inizio di tutta la storia -- se lui non l'avesse ferita, forse non le sarebbe mai capitato di dare attenzioni a un uomo più giovane di lei. Da qualsiasi punto la vedesse, la causa di tutto era sempre per via di suo marito.
Marco era sconvolto nel vedere sua moglie fuori di sé. Non sapeva cosa dire, cosa fare. Pensò di arginarla fisicamente. Le andò vicino cercando di abbracciarla, ma Laura si divincolò.
"Non mi toccare!"
"Ti prego" le disse lui.
"La nostra famiglia è fallita. Nulla è come avevo desiderato" gridò.
"Ma perché dici così? Che succede ora? Sei sconvolta" chiese lui senza comprendere.
"Sono stanca di fingere. Stanca di far finta che fra noi è tutto sistemato. Stanca di rimettere sempre tutto a posto. Stanca di trovare una giustificazione per i tuoi errori. Stanca di essere costretta ad arrivare a morire perché tu ti accorga di me!" gridò.
"Non è così!" gridò lui "Io sono innamorato di te, lo sai. Ti ho chiesto scusa. Ho supplicato il tuo perdono mille volte ".
"Io non ti perdono! Non voglio farlo!" gridò ancora lei. "Credi di poterla passare liscia così? Ottieni il mio perdono e tutto torna come prima? Non funziona così. Quello che si è rotto rimane rotto e non puoi rimettere i pezzi insieme. Resterà sempre un'accozzaglia di pezzi frantumati".
"Io ci sto provando Laura... ci sto provando in tutti i modi di cui sono capace. Dimmi tu, cosa devo fare?" gridò con disperazione.
Laura si sentì di colpo stanca.
Prese tempo.
Sedette sul divano.
Lo sguardo verso la fiamma scoppiettante nel camino.
Poi, con voce esausta mormorò:
"Io non ti amo più".
La stanza sprofondò improvvisamente dentro una voragine senza fine. Un silenzio cupo calò su di loro. Fuori, il sole era ormai sparito e il cielo iniziava ad assumere i colori del piombo. Aveva esitato qualche istante Laura, prima di pronunciarle quelle parole. Facevano paura anche a lei. Ma la bestia che si era impossessata di lei non aveva avuto pietà.
Marco non disse nulla. Restò per qualche secondo, forse un minuto o giù di lì, nello stesso punto in cui si trovava. Nella stessa posizione. Guardava Laura senza riconoscerla. Laura continuava a guardare verso il camino. Sembrava esausta come se avesse affrontato una fatica enorme. Poi Marco uscì dalla stanza. Laura lo sentì dirigersi verso l'uscita della casa. Allora ebbe paura. Paura di tutte le conseguenze della sua sfuriata. Paura di non poter più tornare indietro. Paura di aver scatenato l'irreparabile.
Si alzò e si diresse verso l'uscita della casa anch'essa. Lola, che era rimasta in veranda, le andò incontro. Marco era salito in auto. Laura uscì e lo raggiunse.
"Dove vai?" gli gridò per farsi sentire. Marco non rispose, avviò l'auto e uscì dal cancello. Laura rimase paralizzata a guardare l'auto che spariva dalla sua vista. Restò lì per un bel po', incapace di fare qualsiasi azione. Poi richiuse il cancello e rientrò in casa insieme a Lola.
E così lo aveva fatto. Aveva messo fine al suo matrimonio per sempre. Era questo che voleva? O voleva solo ferire Marco? Sfogarsi con lui per i suoi fallimenti?
Si sentì di colpo sola e triste, e preoccupata. Pensò di aspettare qualche ora e poi lo avrebbe chiamato. Dovevano parlare. Mantenere un rapporto civile. Cosa avrebbe detto a Sara il lunedì successivo? Non voleva che finisse in quel modo indecente. Doveva chiedergli scusa. Non era così che voleva esprimergli quello che sentiva. Pensò ad Anna. Come l'avrebbe giudicata? Lei che soffriva della mancanza del marito? Che doveva affrontare tutto da sola?
Non invecchieremo insieme, pensò.
Erano quasi le otto e Marco non era tornato, non aveva chiamato né inviato un messaggio. Così Laura decise di chiamare lei. Marco rispose dopo diversi squilli:
"Che cosa vuoi?" chiese con voce dura.
"Voglio sapere dove sei" .
"Perché lo vuoi sapere? Che ti importa?"
"Dai, non fare il bambino. Sono preoccupata. Vieni a casa".
"Non verrò. Non hai motivo di preoccuparti".
"Ti chiedo scusa. Non volevo dirti quelle cose... o quanto meno, non volevo parlarti in quel modo. Non so cosa mi sia preso" gli disse Laura con voce gentile. Marco non parlava. "Dove sei?" chiese ancora Laura.
"Sono in studio. Dormirò qua" In studio pensò Laura.
"Dai, vieni a casa. Parliamo" insistette Laura, ma Marco sembrava irremovibile.
"Parleremo domani" le disse. Laura si sentì rassicurata da quella dichiarazione e non le restò che rassegnarsi a rimanere da sola per quella triste serata.
Fino a poche ore prima, non avrebbe mai immaginato che la giornata si sarebbe conclusa in quel modo. Gli eventi della vita, a volte sono incontrollabili, e anche se lei avesse potuto esercitare il controllo, non aveva voluto farlo e aveva voluto punire Marco come non aveva mai fatto durante tutti gli anni del loro matrimonio. Assurdamente, il pensiero andò a Sara e Stefano. Li immaginò intimi e innamorati.
Poi ripensò a Marco. Avrebbe dormito sul divano della sala riunioni. Lo studio di architettura era ampio e ben organizzato. Suo padre lo aveva organizzato bene. Era arrivato ad impiegare dieci persone tra architetti e assistenti. Chi passava di lì ne usciva preparato seriamente.
Come Marco. Quando suo padre era mancato era stato in grado di gestire l'attività dello studio egregiamente. Ho avuto un buon maestro, aveva sempre detto. Ora lo studio ospitava quattro dipendenti fissi e due titolari oltre Marco, ma era un continuo passaggio di studenti che andavano a fare pratica o di neolaureati. Ed era così che Laura lo aveva conosciuto.
Marco frequentava come tirocinante lo studio di suo padre il quale aveva molta stima di lui. Diceva che era un buon allievo. Laura passava spesso dal padre e conosceva tutti.
Con Marco fu quasi un colpo di fulmine. Iniziarono a frequentarsi. Marco abitava in affitto in un monolocale molto distante dallo studio. La sua famiglia si trovava in un'altra regione. Prima di inserirsi nello studio di architettura aveva svolto diversi lavori per mantenersi. La sua famiglia non era ricca. Neanche quella di Laura lo era, ma lei non aveva dovuto fare alcun sacrificio per studiare. A volte Laura lo raggiungeva a tarda sera, quando tutti erano andati via e si fermavano lì insieme, nella sala riunioni, per tutta la notte su quel divano dove adesso lui avrebbe dormito.
L'anno successivo nacque Sara. Nel momento in cui Laura seppe di poter essere incinta si disse che ne valeva la pena e che la laurea poteva aspettare.
***
La mattina successiva Laura sentì dei rumori. Era ancora molto presto e lei era ancora a letto, poiché la sera prima aveva impiegato molto tempo prima di addormentarsi. Si alzò e scese al piano inferiore. Trovò Marco in cucina.
"Ciao".
"Ciao" rispose lui senza guardarla.
"Preparo la colazione? Hai fame?" chiese lei con premura. Lui non rispose, poi, lentamente si voltò. Il viso teso di chi aveva trascorso una notte insonne.
"Adesso sei tu che ti mostri premurosa? Non eri stanca di fingere?"
Laura restò in silenzio.
"Vado a farmi una doccia" continuò lui e uscì dalla stanza. Laura ci rimase male, ma pensò che se lo meritava. Decise di preparare comunque la colazione e offrirgliela quando lui sarebbe sceso di nuovo. Aprì tutte le finestre delle stanze che si illuminarono alla luce del giorno. Il sole era ancora basso. Si recò in veranda per controllare Lola, ma Marco l'aveva fatta già uscire. Apparecchiò con cura la tavola e versò il caffè in una tazza. A Marco piaceva.
Poco dopo lui tornò. Senza dire nulla sedette al tavolo e iniziò a consumare la colazione sistemata sulla tavola. A lei fece piacere vedere che Marco apprezzava. Dopo qualche minuto Laura disse:
"Possiamo parlare?"
Marco non rispose. Continuava a testa bassa a consumare la colazione. Quel silenzio tra loro due era opprimente.
"Di cosa vuoi parlare? Mi sembra che tu abbia già detto tutto ieri " disse poi, con tono duro.
"Per quello che ho detto ieri e soprattutto per come l'ho detto ti chiedo scusa". Il tono della voce con cui lo disse smorzò un po' la tensione che si era creata.
"Che cosa vuoi da me? Mi vuoi lasciare? Vuoi che ci separiamo?" le chiese senza filtri Marco. Laura non si aspettava una domanda così diretta. Cosa voleva non lo sapeva bene neanche lei. Non voleva mentirgli e non voleva mentire neanche a se stessa.
"Noi non siamo più quelli di un tempo. Io non sono felice. Il nostro matrimonio è fallito" mormorò, e mentre pronunciava queste parole le vennero in mente quelle di Stefano, Tu meriti di essere felice.
"Ma perché, perché? Io non ti capisco. Perché non possiamo essere felici insieme?" chiese accorato Marco "Io non ho mai smesso di amarti" continuò. Laura lo guardò con espressione dubbiosa.
"E' così. Non ho mai smesso di amarti. Anche quando ti ho tradito, era te che volevo" continuò.
"Smettila, per favore. Mi stai offendendo" disse Laura risentita "Abbiamo un concetto diverso sull'amare l'altro". Marco la guardò. Non riuscivano a trovare una comprensione reciproca.
"Io non voglio che tu vada via. Possiamo rimanere qui e vivere in questa casa".
"Cosa mi stai proponendo? Una civile convivenza? Una separazione di fatto? Ma come ti viene in mente?" sbottò contrariato Marco.
"Perché? Cosa c'è di tanto assurdo?"
"Tutto è assurdo" commentò stancamente Marco "a partire dal fatto che fino a poche settimane fa mi hai fatto credere che tra noi due andasse tutto bene". Laura si alzò e iniziò a sparecchiare la tavola, poi mentre apriva la lavastoviglie gli disse:
"Era quello che tu volevi. Ho recitato una parte" ma si pentì subito di aver detto quell'ultima frase.
"Hai recitato una parte?" esclamò risentito Marco.
"No, non è così" si affrettò subito lei a puntualizzare. " Voglio dire che ho provato a essere come volevi tu, a comportarmi come ti avrebbe fatto piacere, ma non ero sincera. Ho capito che non ero sincera e non era quello che volevo. Non voglio mentirti e non voglio mentire a me stessa". Vi fu una pausa silenziosa. Laura poggiava la schiena contro il lavello e guardava Marco. Anche lui la guardava.
"Proviamo a trovare un compromesso. Usiamo la nostra intelligenza. Non dobbiamo per forza farci del male. Pensiamo ai nostri figli. Non carichiamoli di preoccupazioni in un momento felice della loro vita" continuò Laura. Marco non rispose nulla. Restò in silenzio, poi si alzò e andò in soggiorno. A Laura sembrò già un buon risultato.
Quella domenica trascorse segnata dal silenzio. Entrambi continuarono le azioni quotidiane, ma tutto si svolgeva con marcata formalità. Tuttavia, Laura si sentiva alleggerita per aver rivelato i suoi sentimenti a Marco e non trovava assurda la proposta che gli aveva rivolto. Potevano concedersi del tempo e provare a vivere insieme come due persone che si vogliono bene, ma che non sono più una coppia di coniugi, rimanere aperti al decorso degli eventi.
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