Capitolo 1
Non c'è piacere senza sofferenza
e non c'è sofferenza senza piacere.
Solo quando capisci questo
godi del piacere e accetti la sofferenza
(Tiziano Terzani)
Aveva preso la mano di lui tra le sue e con delicatezza gli accarezzava la punta delle dita. Il palmo era fasciato perché il giorno prima si era ferito sugli scogli. Stefano ebbe un sussulto e ritirò la mano.
"Ti dà fastidio se ti accarezzo qui?"
"No, fastidio no, è una sensazione... Mi provoca questa reazione".
Era così. Infatti, stimolare la punta delle dita può provocare reazioni diverse: chiudere e ritirare oppure tendere e afferrare.
"Tu cosa senti? Vuoi chiudere o afferrare?"
Stefano aveva rilassato le dita e teso la mano, allora Laura aveva ripreso ad accarezzarle con maggior cura e poi, oltrepassando la zona fasciata, aveva percorso l'interno del polso, l'avambraccio, l'incavo del gomito. Là dove la pelle è più liscia e delicata, là dove per lo più non si avvertono i muscoli, ma i tendini e le vene.
"È bello, mi piace. Continua".
E Laura aveva continuato. Procurava piacere anche a lei accarezzarlo in quel modo.
Quel pomeriggio, Laura e Stefano si erano recati presso l'associazione dove lei seguiva le attività di danza, teatro, canto. Cantava nel coro di musica e danza popolare. Capitava, a volte, di partecipare a spettacoli teatrali dove queste tre arti si fondevano tra loro. Con il suo gruppo avevano a lungo preparato uno spettacolo per l'estate che li aveva portati a esibirsi nelle piazze di alcuni paesini della provincia.
Durante una di queste serate aveva conosciuto Stefano.
***
Quella sera lo spettacolo terminava con una vivace e travolgente danza per tutta la piazza. Stefano si trovava lì con alcuni amici e quel clima di allegria e coinvolgimento popolare lo avevano entusiasmato al punto da ritrovarsi nella mischia. Laura e le altre compagne indossavano i costumi tradizionali e con i loro ampi scialli invitavano le persone presenti a danzare insieme. Così aveva rapito Stefano, il quale non si era mostrato contrariato, anzi era sembrato felice di lasciarsi trascinare.
https://youtu.be/N3SabO-5r7s
La danza popolare nelle piazze può diventare davvero un'esperienza ipnotica. Ha qualcosa di erotico. Il frastuono delle castagnette e delle altre percussioni ti rapisce totalmente. Se non si partecipa non lo si può comprendere del tutto. Una volta dentro, il corpo si muove da solo, senza seguire uno schema si lascia divorare dalla musica e dal movimento dell'altro.
Laura sorrideva, in parte compiaciuta dallo sguardo di lui, curioso e interessato, in parte a voler nascondere quella lieve timidezza che percepiva sulla superficie della pelle. Lui ricambiava il sorriso.
Poi, cessata la musica, tutti i danzatori si erano salutati con un inchino. Gli applausi collettivi avevano squarciato l'aria fra le mura della piazzetta.
Lei si era passata con grazia le dita sulla fronte e sul viso umido e accaldato; lui aveva infilato le dita tra i capelli per tirarli indietro e con la manica della camicia si era strofinato la fronte.
"Scusa, sono stato un disastro".
"Ma no dai, non è vero. Te la sei cavata benissimo invece".
"Comunque, è una bomba questo ballo, ti coinvolge proprio anima e corpo, non mi era mai capitato prima".
"Sì, è così. C'è una certa riluttanza generale verso questo tipo di balli, soprattutto da parte delle giovani generazioni, invece sono potenti perché rievocano anni di vicende popolari. È come se mentre lo fai racconti una storia!"
Le porse la mano "Io sono Stefano".
"Laura" rispose, ricambiando.
"È da molto tempo che ti esibisci con questo gruppo?"
"No, in realtà non da molto. Ci conosciamo da diversi anni, ma ho cominciato a partecipare attivamente dallo scorso anno".
"Sei brava!"
"Grazie". Una timida sensazione di gratificazione si insinuò dentro di lei. Si guardò intorno per celare un poco l'imbarazzo.
"Siete in zona?"
"La nostra sede si trova a qualche chilometro da qui. In estate ci invitano nei paesi dei dintorni". Allargò le braccia, in modo plateale, come a voler contenere tutto lo spazio intorno a sé. "Questa piazza è ottima perché è piccola e chiusa, quindi è come stare in un teatro". Poi, riportò l'attenzione su di lui, che nel frattempo, con le mani incastrate nelle tasche anteriori dei jeans, la guardava divertito e proseguì: "Tu invece? Abiti qui?"
"Solo in estate trascorro un certo periodo qui. I miei hanno una casa per le vacanze".
"Sei fortunato! Questo luogo è bellissimo e c'è un mare stupendo".
Stefano annuì, poi si guardò intorno, si girò verso Laura e, toccandosi il mento come ad accarezzare una barba quasi inesistente, le chiese:
"E adesso, appena avrete riposto tutto, cosa farete? Andrete via?" Fece una breve pausa nella voce. "Non ti andrebbe di fare un giro per il paese?" Glielo chiese mentre seguiva con lo sguardo i compagni di Laura occupati a riordinare abiti, strumenti, oggetti vari. Anche Laura si voltò e un turbinio di pensieri e sensazioni contrastanti tra loro l'assalirono.
La invitava a fermarsi con lui? Doveva aiutare i suoi compagni a riordinare. Guardò l'orologio, era quasi mezzanotte. Aveva la sua auto lì, poteva rientrare quando voleva.
Prese tempo.
"Intanto vado ad aiutare gli altri, se poi sarai ancora qui, vedremo".
"Va bene, aspetto qui".
Aspetto qui ?
Cioè, non rinunciava? Sembrava proprio deciso a trascorrere le ore seguenti con lei, a fare cosa?
E se fosse un tipo pericoloso? Magari è d'accordo con i suoi compari per aggredirmi.
Non era poi un pensiero così assurdo, Laura era sempre stata socievole e cordiale con gli altri, ma aveva anche imparato a essere prudente e questo le aveva permesso di evitare situazioni spiacevoli.
Non sapeva cosa fare. Intanto, mentre riordinava insieme agli altri aveva modo di riflettere.
Quella era la prima stagione a cui partecipava insieme al gruppo nelle serate estive all'aperto. I precedenti spettacoli, dove era stata presente, si erano svolti all'interno di circuiti familiari o tra associazioni amiche. Questa volta si trattava del primo spettacolo vero, con un pubblico vero.
Cosa le stava succedendo? La conosceva la storia degli ormoni che si affacciano quando una donna vuole comunicare seduzione. Non le era mai capitato prima perché non aveva bisogno di manifestare apertura nei confronti di altri uomini, il suo uomo lo aveva accanto ogni giorno, anche se da qualche tempo le cose erano cambiate. Aveva sempre suscitato interesse tra il genere maschile, ma quello era un giovane! Sembrava che la vita volesse offrirle altre opportunità. In quel momento si trovava a lottare tra il desiderio di rimanere, per fare qualcosa che le procurava piacere - invece di occuparsi solo di doveri - e la volontà di allontanarlo.
Cosa avrebbe detto a casa?
Provava il desiderio di qualcosa di diverso; sentirsi gratificata per una tale proposta proveniente non da un uomo di mezza età, frustrato e annoiato, con un divorzio alle spalle, ma da un giovane di vent'anni meno di lei che le proponeva di fermarsi con lui a fare un giro, proprio ora, dopo mezzanotte e dopo aver danzato insieme in piazza.
Ma che andava a pensare? Quello poteva essere quasi suo figlio.
Magari aveva solo voglia di parlare. Avrebbero passeggiato e chiacchierato.
Laura salutò i suoi amici al parcheggio, dove avevano raccolto e caricata ogni cosa in auto. Poi, con trepidanza e preoccupazione, si diresse di nuovo alla piazzetta. E lui era lì.
Caspita è ancora lì!
Un po' tesa ed emozionata si avvicinò al tavolino dove Stefano stava seduto, lo stesso che occupava prima con i suoi amici. Lui aveva un'aria di finta distrazione, come se si trovasse lì per caso e non perché avessero una specie di appuntamento.
"E i tuoi amici?" s'informò lei.
"Sono andati. Passeranno il resto della nottata in giro per locali e forse a ubriacarsi fino all'alba per poi rientrare a casa e dormire fino al pomeriggio" spiegò lui, con tono annoiato e critico.
"Uhm... E tu? Preferisci restare in compagnia di una sconosciuta più vecchia di te? C'è qualcosa che non mi torna... È strano".
Ecco, perché dovevi dirglielo? Perché rovinare subito tutto? Così lo spaventi, lo fai scappare.
"Pensi che io sia un tipo strano? Perché preferisco rimanere qui a trascorrere le prossime ore con una donna bella e interessante anziché sperperare il tempo in locali dove ubriacarmi per arrivare al giorno dopo? Pensi davvero che sia io quello strano?"
Laura provò imbarazzo e, a un tratto, si sentì piccola e stupida. Non faceva una piega. Non era lui quello strano. Era la situazione strana, con lei. Forse usciva da una storia triste? Aveva rotto con una ragazza?
"Devo avvertire a casa. Mando un messaggio a mio marito". Era una donna sposata e intendeva metterlo in chiaro subito. Forse lui ci avrebbe ripensato.
"Va bene". Aveva risposto con la massima naturalezza, senza l'accenno di una vacillazione, di un turbamento, quasi a voler ostentare una spavalda sicurezza.
Inviò il messaggio.
Ci fermiamo ancora un po' qui con gli altri. Non so a che ora rientro.
Con tutta probabilità, a quell'ora lui dormiva oppure si intratteneva con un film in TV.
Ripose il telefono e lo guardò. Avvertì ancora una sensazione di imbarazzo. Sembrava davvero l'inizio di un'avventura. Lui avrebbe tentato delle avances? Lei aveva deciso di accettare quella eventualità. E al diavolo tutto. Sarebbe andata come doveva andare.
Per essere prudente pensò di gestire lei la passeggiata, così da evitare un eventuale perverso piano di lui.
"Allora andiamo... Ti mostro un posto magico" gli disse.
"Ti seguo".
Laura notò che il telefono gli era rimasto in tasca per tutto il tempo. Non lo aveva mai guardato.
Si recarono verso i Giardini della Corte, un'area verde terrazzata che si affacciava sul versante est della costa. Il parco ospitava centinaia di essenze aromatiche e molte di esse, di notte, sprigionavano piacevoli profumi. Al di sotto di loro si vedevano tutte le luci delle strade, delle abitazioni e verso ovest, sparse nell'enorme vuoto nero, diverse lucine: erano le barche in mare, disposte al largo, occupate nella pesca.
"Vieni, scendiamo". Lo invitò mentre imboccava una stretta scalinata che portava verso il basso. Lui la seguì per tutto il percorso lungo e contorto. Alcuni lampioncini posti sulla parete laterale illuminavano di luce notturna il loro cammino. Poi, al termine dei gradini, lo spazio si apriva improvvisamente in un' ampia esedra. Era la cavea che ospitava un teatro aperto.
"Sei già stato qui?"
"No, mai visto prima." Lui sembrava sorpreso e ammirato. "Incredibile, conosci questo luogo meglio di me che ci abito..."
"Beh, se vieni qui solo in estate non ne avrai ancora avuto occasione... Quest'area è stata inaugurata questa primavera, forse è per questo che non la conosci ancora."
"Non ne sapevo nulla. Sono qui da pochi giorni. È molto bello e suggestivo".
"Sì, lo è".
Lui stava con le mani nelle tasche anteriori dei jeans e si guardava intorno incuriosito. Sembrava spaesato. Si accomodarono sui gradini della platea, circondati da numerose piante profumate. Alle loro spalle, le mura antiche del paese. Al di sotto, un basamento ampio che ricordava l'architettura di un teatro greco e oltre, sullo sfondo, le luci del paese a valle e delle barche in mezzo al mare. La notte si annunciava tiepida e serena. Ormai tutto era immerso nel silenzio, solo di tanto in tanto giungeva da lontano il rumore di qualche motore di auto. Laura non aveva nessuna voglia di tornare a casa.
Il suo telefono vibrò. Un messaggio. Lo prese per leggere. Era suo marito che rispondeva Ok.
"Tutto bene?" chiese Stefano.
"Sì, tutto a posto". Cominciava a rilassarsi. Si alzò in piedi e scese ancora qualche gradino fino a raggiungere lo spazio interno del teatro. Stefano la seguì.
Sul palco cominciò a muoversi tra le colonne del proscenio. Poi, le vennero in mente dei versi di Shakespeare che aveva recitato un paio di anni prima durante uno spettacolo organizzato da alcuni suoi amici:
"Quei piacevoli peccati che tua libertà commette
quando talvolta sono assente dal tuo cuore,
ben si addicono ai tuoi anni e alla tua bellezza
perché ovunque tu vada, tentazion ti è vicina.
Tu sei di nobil cuore, quindi da conquistare
bello tu sei, e quindi da sedurre"
Le erano venuti così di getto, senza pensarci troppo, come rapita da una suggestione generatasi in quel momento. E mentre recitava si muoveva tra le colonne e le sembrava di stare in scena.
"E quando donna vuole, qual figlio di donna
sdegnosamente a lei rinuncia prima di averla avuta?
Ahimè! Però potresti risparmiare il mio dominio
e contener la tua bellezza e dissoluta gioventù,
che nella loro incontinenza ti trascinano a tal punto
d'esser forzato a rompere una duplice lealtà"
Laura era attonita. A lei era venuto così di getto citare quel sonetto, ma lui sembrava conoscerlo altrettanto bene e continuava la citazione. Era sbalordita.
"... la sua, che tu adeschi con la sua bellezza,
la tua, perché forte della stessa sei con me sleale ".
Recitarono in coro le ultime due strofe.
Mentre pronunciarono gli ultimi versi, ognuno di loro abbracciava la stessa colonna, così, uno di fronte all'altra, a guardarsi negli occhi con reciproco interesse. Rimasero così per qualche istante.
"Conosci questo sonetto ... a memoria..." mormorò Laura come se stesse sognando.
"Sì, adoro Shakespeare... e questo è uno dei sonetti più belli... Avevi ragione, questo posto è magico e... Complimenti, sei proprio a tuo agio sulla scena". Poi, prese a guardarsi intorno.
"Complimenti a te" replicò Laura, dopo essersi ripresa da quell'attimo di stupore. Si allontanò in fretta verso il bordo del palco. Provava un certo turbamento.
"Non capita tutti i giorni che un ragazzo conosca dei versi di Shakespeare, e a memoria per giunta".
"Mi piace la drammaturgia" rispose lui. Laura era senza parole e non si sentiva al sicuro.
La tragedia veniva ad annunciarsi?
La situazione appariva così affascinante, davvero magica. Si trovava lì, con un giovane che si mostrava gentile, interessato a trascorrere quelle ore prima del nuovo giorno con lei, anziché seguire i suoi amici nelle scorribande notturne, che duettava versi di Shakespeare, in una magica cornice di altri tempi. Si sentiva anche lei venti anni più giovane. In quel momento, tutto era dimenticato, suo marito, i suoi figli, l'indomani...
"Ho fatto teatro per molti anni" prese a parlare Laura per spezzare quel momento imbarazzante. "Non ero in gruppi famosi! Partecipavo a diversi spettacoli sia in teatri chiusi che all'aperto. Quelli all'aperto li preferisco, ti permettono di muoverti nello spazio circostante, inscenare effetti a sorpresa, interagire con il pubblico".
Si erano seduti sulle scale del palco, Laura fissava un punto verso la platea e la sua mente ripercorreva i ricordi di quel tempo.
"E poi?" chiese Stefano con sincera curiosità.
"Con la prima figlia riuscivo a organizzarmi, la portavo sempre con me, gli amici mi aiutavano mentre ero in scena, ma con il secondo figlio riuscivo a fare sempre meno. Volevo fare la madre e volevo farla bene". Stefano poggiò la sua mano su quella di lei. Fu un attimo. Laura ebbe paura. Si alzò in piedi, si riprese e sentì il bisogno di chiarire quello che aveva appena detto.
"Ma non ho rimpianti ... Sono contenta di quello che ho fatto. Sono contenta di aver cresciuto i miei figli con presenza continua; proseguire verso quella carriera significava dover affidare i bambini ad altre persone, privarli della mia presenza, non vederli progredire giorno dopo giorno nelle loro piccole tappe di crescita. Non avrei retto. E poi, non ero così benestante da permettermi una persona fissa che se ne occupasse. Ho preferito lasciare... E non ne sono pentita".
"Mia madre ha lavorato come maestra alle scuole elementari per quarant'anni. Ora è in pensione. Quando sono nato io, lei lavorava e ricordo quanti spostamenti dovevamo fare io e mio fratello. Una volta dai nonni, un'altra volta dagli altri nonni. Poi, quando iniziava la scuola, non potevo mai assentarmi se non ero seriamente malato e, quando capitava di notte o al mattino presto, ricordo il nervosismo di mia madre - obbligata a risolvere il problema in pochi minuti- e questo le procurava una gran fatica e un grande stress. Perciò, no, non hai fatto male a voler essere presente durante la crescita dei tuoi figli. Lo apprezzeranno".
Quanta saggezza in un uomo così giovane.
Laura era quasi commossa. Quelle parole le facevano bene. "Grazie. Spero sia così."
Spesso si era interrogata su quale scelta sarebbe stata migliore per lei. Era stata ripagata della dedizione verso la famiglia? A volte, le sembrava di aver fallito del tutto. I risultati le sembravano così scadenti. Non era quello che aveva immaginato per il suo futuro.
Stefano la sorprese assorta nei suoi pensieri " Ehi... Va tutto bene?"
Laura si scosse " Sì, sì, scusami... Ė che vorrei tanto che fosse come dici tu. Talvolta, ho il timore di aver sbagliato tutto, ma poi, quando mi fermo a pensare, so che ripeterei le stesse identiche scelte".
"Bene, allora non avere dubbi" la incoraggiò.
Si era creata un'atmosfera strana. Laura non voleva appesantire quei momenti e trasformare Stefano nel suo personale confessore. Spezzò il silenzio.
"Dai, spostiamoci da qui. Andiamo a esplorare altri luoghi".
Lui le sorrise. "D'accordo!" e la seguì.
Risalirono la scalinata, attraversarono l'ingresso dei Giardini della Corte, superarono la piazza, ora deserta - quella dove si erano incontrati- e imboccarono un vicoletto chiuso da un soffitto a volta a botte lungo una cinquantina di metri. Al termine di questo si trovarono in un'altra piazzetta, più piccola della precedente. La pavimentazione era tutta lastricata di materiale in ossidiana. Diverse scalinate si alzavano da vari punti della piazzetta. Laura si diresse verso una di queste e con lo sguardo invitò Stefano a fare altrettanto.
La scalinata era ripida e un po' dissestata, costituita da gradini in roccia grezza, e terminava su un'ampia terrazza affacciata su una strada principale del paese. La terrazza era chiusa lungo il perimetro da un basso muretto e qui la pavimentazione era di mattoni rossi molto grezzi. In una zona periferica, un'ampia torre si ergeva verso il cielo nero e stellato: aveva una base quadrata e su una delle facciate era collocato un antico orologio che segnava le due circa. Il silenzio era totale. Laura, timorosa di rompere quella quiete e disturbare le abitazioni circostanti, parlò con tono sommesso.
"Sai che posto è questo?"
"No, sinceramente, sono salito quassù qualche volta ma senza informarmi". Aveva un'espressione di divertita mortificazione.
"Tipico di tutti quelli che vengono a villeggiare qui. Pensano a divertirsi, passeggiano lungo misteriosi vicoletti, siedono sui muretti, sulle scalinate, bivaccano nelle piazze, ma ignorano totalmente dove si trovano, quale storia si custodisce tra queste mura" lo schernì bonariamente.
"Dai, chiedo perdono, io non sono proprio così... Mi sono mancate le occasioni." Si avvicinò e le prese delicatamente le mani. "Illuminami! Erudiscimi! Non vedo l'ora di conoscere tutti i segreti".
Nel pronunciare le parole aveva ripreso un tono di voce più alto. Una luce si accese da una finestra. Si sentirono sorpresi e provarono disagio. Laura, con rapidità, tirò per mano Stefano e andarono a nascondersi dietro una delle facciate della torre nascosta alla vista della finestra. Udirono qualche rumore. Con molta probabilità qualcuno si era affacciato. Gli pose un dito sulle labbra per comunicargli di fare assoluto silenzio. Lui annuì.
Dopo qualche minuto, ritornò la quiete di prima. La finestra era stata richiusa. Laura era rimasta immobile con il dito sulle labbra di Stefano e con l'orecchio teso ad avvertire il minimo indizio che provenisse al di là della parete della torre.
Stefano aveva trattenuto quella mano e vi aveva posto un leggero bacio.
Laura distolse l'attenzione dalla finestra, poi, si girò lentamente. Sembrava rendersi conto solo adesso di quello che accadeva tra la sua mano e la bocca di lui.
I loro occhi si incrociarono.
Una luce velata, proveniente dai lampioni nella piazzetta sottostante, schiariva a tratti i loro volti. L'immagine che le giunse le parve di una tenerezza infinita, la stessa tenerezza che le suscitò uno slancio irrefrenabile - come a contraccambiare - di sfiorare con l'altra mano la guancia di lui con una leggera carezza. Quelli che seguirono furono attimi intensi, intrisi di emozioni forti e diverse per entrambi.
Non dissero nulla. Non accadde nient'altro. Senza distogliere i loro sguardi, Laura allontanò le mani con gesti lenti poi, con la stessa premura, gli accarezzò un braccio e gli sussurrò vicino all'orecchio: "Spostiamoci da qui".
Si mosse verso la scalinata e lui dietro. In silenzio, ridiscesero le scale. Transitarono lungo la piazzetta e, attraverso un altro passaggio a tunnel, uscirono da lì.
Si ritrovarono sulla strada perimetrale del paese. Camminarono lungo il vialetto alberato che costeggiava la strada e giunsero al Belvedere. Sotto di loro vi era un esteso baratro scuro e oltre quello, l'enorme vastità del mare. Si affacciarono. Ancora tutto era immerso nell'oscurità, ma da lì a poche ore, il paesaggio avrebbe subito un cambiamento inesorabile.
Continuavano a condividere il silenzio. Gli sguardi erano rivolti verso quel vuoto al di sotto di loro.
" La torre... quella di prima sulla terrazza... è la Torre dei Templari". Mentre parlava continuava a guardare l'infinito in uno stato di contemplazione quasi a non voler disturbare quella pace. Stefano si era girato a osservarla e intanto che ascoltava annuiva.
"Sembra che una comunità di Templari abbia a lungo soggiornato qui. Non si sa ancora il vero motivo, ma vi sono diversi reperti a testimonianza" lo informò.
"Non sapevo che I Templari fossero stati anche qui".
"Già... Senz'altro erano stati incaricati dal Papa di quel tempo, forse c'era qualcosa da custodire o questo luogo veniva usato come ritiro spirituale".
Continuarono a parlare e a condividere sull'argomento. Nessuno dei due accennò a quanto accaduto poco prima, ma entrambi ne custodivano le belle sensazioni.
"Sai un sacco di cose tu, e le sai spiegare bene."
"Mi piace approfondire la storia dei luoghi che visito". Laura si drizzò, si girò con la schiena verso il muretto e incrociò le braccia al petto. L'aria diventava più fresca. Si voltò a guardarlo.
"Tra poco sarà l'alba. Ti va di raggiungere il faro?"
"È una bella passeggiata..." Sembrava perplesso.
"Sì ma, conosco una scorciatoia che ci farà risparmiare un terzo del percorso".
Le sorrise. "Va bene, andiamo".
S' incamminarono lungo la strada asfaltata che nel primo tratto si snodava curvosa lungo le pareti del promontorio. La via deserta veniva illuminata solo dalle fioche lampade notturne. Si udivano grilli cantare e interrompersi appena i loro passi si avvicinavano. Ogni tanto, si udiva la folata di qualche uccello notturno.
Arrivati su un tratto rettilineo, a un certo punto, Laura si addentrò in mezzo alla vegetazione che occupava il ciglio della strada opposto alla parete di roccia e attese che Stefano le fosse vicino.
"Vieni, scendiamo da questa parte".
"Dove?" chiese lui.
"Qua sotto. Ci sono una serie di scalini di roccia. Segui me".
"Io vedo solo piante. Seguo te, ma non vedo nulla".
"Allora accendiamo una torcia del telefono. Non vorrei vederti precipitare di sotto" gli sorrise lei.
"Sì, accendiamo, è meglio" e prese dalla tasca il suo telefono e avviata la torcia tutto il sentiero si illuminò.
"Accidenti, è bello ripido!"
"Sì, fai attenzione, vai piano. Ma non sei mai passato di qui?"
"Mai. Ne ignoravo proprio l'esistenza."
"È un sentiero bellissimo. Vedrai dopo, quando saliremo con la luce del giorno!" Laura mostrava l'entusiasmo di una scolaretta.
Terminarono la prima rampa. Poi, percorsero un sentiero di terra battuta lungo il quale facevano da cornice diversi esemplari di querce da sughero. Udirono uno svolazzamento: qualche uccello spaventato dal loro passaggio. Dopo aver camminato per circa cento metri Laura indicò a Stefano un' altra rampa di gradini rocciosi. Adesso il sentiero si presentava più stretto ed era nascosto dai cespugli. Scesero a un livello più basso ancora, dove il tracciato si allungava serpeggiante fino alla scogliera, confondendosi tra i ciuffi di piante rupestri. Ormai si vedeva il mare ben vicino che li accoglieva placido. Si udiva il delicato infrangersi di un moto tranquillo lungo la costa rocciosa.
Il faro si stagliava davanti a loro a un centinaio di metri più avanti. Spiccava l'illuminazione della lanterna. Verso est, il cielo cominciava a mostrare i primi chiarori. Stefano spense la torcia - non ne avevano più bisogno - prese Laura per mano e proseguirono fin sotto l'enorme colonna che si ergeva sopra di loro. Scorsero due pescatori sulla scogliera alla loro sinistra.
"Vieni, sediamoci qui" indicò a Laura un punto di roccia più levigata e l'aiutò a non perdere l'equilibrio.
Laura si rilassò. Respirò a fondo. Si avvertiva quel profumo di salsedine percepibile solo nelle prime ore del mattino.
"Che bello!" Era piena di ammirazione e subito dopo fu presa da avvilimento. "Tra qualche ora non sarà più così".
Stefano la guardava contagiato dall'entusiasmo di lei. Già, da lì a qualche ora quel posto sarebbe stato preso d'assalto da villeggianti in auto, moto e qualsiasi altro mezzo rumoroso e disturbante per trascorrere una giornata immersi tra sole e acqua.
Laura guardava verso l'orizzonte.
"Che fai nel periodo in cui soggiorni qui? Come trascorri le giornate?" Non aveva voluto chiedergli niente fin' ora, così come lui non aveva fatto domande a lei, ma adesso sentiva il bisogno di sapere qualcosa di più, capire come mai un giovane come lui preferisse trascorrere una nottata in quel modo, lì con lei.
"Penso" rispose lui, dopo qualche istante.
Quella risposta la spiazzò. Trascorreva un periodo di vacanza in un luogo di villeggiatura come quello, abbastanza popolato e mondano, pensando? Non riusciva a replicare. Qualsiasi cosa avesse pronunciato in quel momento sarebbe stata inopportuna. Vi fu una lunga pausa silenziosa, rotta poco dopo, dalla voce di lui.
"Due anni fa mio fratello è morto. Si è suicidato".
Laura percepì un grande gelo calare su di loro. Rimase ammutolita. Non sapeva cosa dire. Si sentiva stupida per avergli fatto quelle domande prima. Come poteva immaginare un evento così tragico?
E dove si è verificata poi questa tragedia? Forse proprio qui, su questa scogliera? Mio Dio! e gli ho proposto proprio di venire qui? Ma è terribile!
"Non è successo qui, se è quello che stai pensando". Laura restò colpita da come lui le avesse letto nel pensiero. Ancora, non riusciva a dire nulla. Sentiva troppo dolore intorno a quella tragedia. Avrebbe voluto stringergli una mano, abbracciarlo, ma non riuscì a muoversi. Ogni azione che sentiva di voler fare, subito dopo le sembrava inutile, di troppo, superflua e scontata. Quindi non disse e non fece nulla.
Fu lui a continuare.
"Viveva in una città del nord già da qualche anno. Si era trasferito lì dopo la laurea. I miei gli avevano dato una mano e aveva iniziato a lavorare. Viveva in un mini appartamento. Due anni fa, andai a fargli visita e non mi sembrò felice. Lo credevo ormai abbastanza inserito nel nuovo ambiente, invece mi sembrò molto solo. Dopo qualche giorno, una sera abbiamo parlato a lungo e fu lì che mi confidò di essere omosessuale. Mamma e papà lo sapevano e per questo gli avevano organizzato una vita nuova in un'altra regione. Dicevano che in una grande città Luca avrebbe avuto maggiori opportunità".
Laura si era avvolta su se stessa stringendo le braccia intorno a sé.
"Questa cosa mi fece molto arrabbiare. Prima, provavo un po' di gelosia verso mio fratello e avevo sempre pensato che i miei volessero facilitargli un percorso, ma dopo aver conosciuto la verità, provai molto affetto per lui e iniziai a vederlo sotto una luce diversa. Gli chiesi se avesse condiviso quella scelta o l'avesse solo subita. Lui mi rispose che si sentiva infelice allo stesso modo di prima. Non sapevo come aiutarlo; avrei desiderato vederlo ritornare a casa, almeno avremmo potuto parlare di più, stare insieme. Quando ripartii, ci promettemmo di sentirci spesso e anche di incontrarci più frequentemente".
Fece una pausa, buttò fuori l'aria. Sembrava assorto nei ricordi. Laura era tesissima e non osava pronunciare qualsiasi suono. Si sorprese a trattenere il respiro.
"Tornai a casa e mi infuriai con i miei per avermi nascosto questa cosa, per essersi comportati da bigotti e allontanare un figlio dalla famiglia come fosse un soggetto pericoloso; per avergli organizzato una vita che non era quella scelta da lui.
La discussione fu bella accesa. Mio padre sapeva solo ripetermi che io non capivo e non sapevo guardare al futuro. Mia madre mi diceva che da noi non avrebbe avuto opportunità, che quando amici e parenti avrebbero saputo, la sua vita sarebbe risultata complicata e pesante. Lontano dal nostro ambiente avrebbe incontrato maggiori opportunità, doveva solo ambientarsi, crearsi un giro di amicizie, di relazioni".
Lo vide fare una smorfia.
"Invece, non si ambientò. Sei mesi prima del tragico evento, al telefono mi disse che si era infatuato del suo capo. Una storia impossibile perché quell'uomo era felicemente sposato, ma che lui non riusciva a toglierselo dalla testa. Gli dissi di prendersi delle ferie, allontanarsi da lì, tornare a casa per un periodo. La mia laurea poteva essere l'occasione. In novembre dovevo discutere la tesi, ma a ottobre, lui si tolse la vita".
Laura provò un profondo imbarazzo. Si sentiva inadeguata. Non sapeva cosa dirgli, come aiutarlo in quel momento. Poi sussurrò:
"È terribile. Scusami, non so che dire, mi sembra assurdo. Penso che una tale tragedia cambi per sempre la direzione della tua vita".
E intanto pensava ai genitori di lui. Com' era possibile giungere a una simile decisione? E dopo, come si erano sentiti, quanti sensi di colpa? Ma forse sarebbe potuto accadere anche nella loro città? E se fosse accaduto nella sua famiglia? Se suo figlio o sua figlia avessero rivelato una cosa del genere, lei come avrebbe reagito, come si sarebbe comportata? Si sentiva piccola e fuori luogo in quel momento. L'ilarità di pochi minuti prima, l'escursione notturna lungo i sentieri, verso la meta faro, tutto in quel momento le sembrava stupido e insignificante. Accanto a lei c'era un ragazzo che soffriva e aveva scelto lei, una perfetta sconosciuta, per rivelare quella sofferenza. Altro che avventura notturna! Ma cosa era andata a pensare!?
Gli si avvicinò e gli circondò le spalle con un delicato abbraccio. Provava tanta tenerezza, si sentiva tanto materna. Con il tono di voce più aggraziato che potesse trovare gli disse: "Adesso capisco la tua risposta, perché pensi."
Stava talmente assorta nel sentimento profondo di compassione e conforto da non accorgersi affatto di quello che stava per accadere, ed essere così colta da estrema sorpresa quando Stefano si voltò verso di lei, le prese il volto tra le mani e la divorò con un bacio intenso e straziante.
Attimi che sembrarono eterni. Non sapeva cosa fare. Era sopraffatta dalla sensazione che quel contatto travolgente le procurava e lacerata dal profondo imbarazzo, misto a senso di colpa, per aver azzardato un avvicinamento più intimo - seppur in buona fede lei volesse soltanto mostrargli conforto. Sarebbe volentieri scappata via, ma si sentiva come paralizzata e non riusciva a farlo. Inoltre, temeva anche di ferirlo in un sentimento così già doloroso. Come doveva comportarsi? Incoraggiarlo? Lasciarlo fare fino a che si calmasse?
Ma lui non si fermava.
Laura non riuscì a mantenere quel controllo a lungo, così, dopo un primo momento di sorpresa ed esitazione iniziò a partecipare attivamente a quel bacio e intanto mille dubbi le divoravano l'anima.
Mentre la baciava, Stefano le accarezzava i capelli. Le teneva la testa fra le mani, le passava in mezzo le dita, lì, nella zona dietro le orecchie. La barba appena accennata di lui le pizzicava lievemente la pelle del viso. Si sentiva desiderata in un modo dolce e disperato.
Poi, dopo un tempo infinito, lui si staccò, come per riprendere fiato. Senza lasciarla, poggiò la sua fronte a quella di lei. Passarono istanti, che però sembrarono secoli, in quella posizione. Quanti anni aveva Laura ora? quindici? venti? Non lo sapeva neanche lei. Cercò di dire qualcosa:
"St-"
"Sssshh" la bloccò lui. "Non parlare, non parlare" sussurrò. E lei non parlò.
Il cielo adesso aveva un velato chiarore. Si cominciavano a distinguere i colori. Si levò una lieve brezza dal mare. Laura non riuscì più a dire alcuna parola. Inoltre, non ne sentiva il bisogno. Le sembrava di maggior aiuto lasciare a Stefano tutto lo spazio, tutto il silenzio, tutte le pause. Lei stava lì, ad avvolgerlo con la sua presenza.
Pian piano si distaccò dalla fronte di lei, le prese le mani che si erano freddate e con un gesto delicato le portò alle labbra. Quel contatto di calore fece piacere a Laura. Guardava in basso verso un punto infinito. Poi le prese una mano fra le sue e iniziò a modellarla, sfiorarla, accarezzarla.
"Scusami..." e fece una pausa. Laura pensò che forse doveva dire qualcosa, tranquillizzarlo, ma lui riprese "Ho sentito che con te potevo farlo". Vi fu un'altra lunga pausa. Poteva fare cosa?
Continuava a giocherellare con la sua mano. Cercava le parole, sentiva il bisogno di spiegare. Laura si percepiva come avviluppata di amore profondo.
"Non è facile trovare persone con cui puoi confidarti. Non capirebbero. Non come puoi farlo tu. Io so che tu puoi comprendere. Ho sentito che potevo esprimermi. Dare voce a questa angoscia" continuò lui.
Quanta considerazione. Quanta responsabilità la investiva. Quanta aspettativa da non deludere. La fiducia di lui la gratificava. Essere la persona scelta per confidarle una tale angoscia segreta la onorava. E suscitare in lui un interesse verso il suo essere donna la emozionava.
Stavano così, in silenzio, a decodificare i rispettivi pensieri e sentimenti, con le mani di lei racchiuse in quelle di lui.
Intanto albeggiava. I pescatori raccolsero tutte le loro cose e si avviarono verso l'automobile parcheggiata nelle vicinanze. Gli passarono accanto. Laura avvertì un certo disagio. Abbassò il capo e nascose un po' il volto in direzione del petto di Stefano. Ma perché poi? Paura di essere giudicata da sconosciuti? Perché lei era una donna adulta e matura e stava lì a flirtare con un ragazzo? Ma poi, se ne sarebbero accorti? Improbabile. La luce era ancora debole e di lei si vedeva solo la chioma di capelli biondi. Avevano gettato lo sguardo solo per curiosità; di certo avevano pensato a loro come una semplice coppietta di ragazzi.
Quando Laura udì il rumore dell'auto che se ne andava alzò lo sguardo e girò la testa. Stefano capì, ma non disse nulla. Le loro mani si separarono. Lei prese il telefono dalla sua borsetta a tracolla: cinque messaggi non letti! Ma dove sei? scriveva suo marito. Il primo era delle 4.45. Ora erano le 5.30. Rispose: Stai tranquillo. Tutto bene. Siamo rimasti qui ad aspettare l'alba. Tra un po' ritorno.
Suo marito non si sarebbe sorpreso più di tanto. Sapeva che a Laura queste cose piacevano. Con lui non le aveva fatte spesso perché era un pigro.
Stefano la guardava con una leggera impercettibile preoccupazione. Era come se a un tratto la sentisse lontana da lì, da lui. Come se il giorno che si annunciava cancellasse tutta la magia notturna e portasse via anche lei.
Laura alzò lo sguardo e incontrò quello di lui, fisso, intenso. Si sentiva nuda in quel momento. Sorrise, ma era un sorriso nervoso.
"Tranquilla. Ora ce ne andiamo".
"Ma no... Non c'è fretta... Possiamo tornare con calma" cercò di giustificarsi. Le dispiaceva aver interrotto quel momento. Le dispiaceva che la causa dell'interruzione fosse lei, la sua vita.
"Dai, incamminiamoci!" la esortò lui alzandosi in piedi. "Tanto tra poco, qui, tutto questo sparirà, meglio andar via prima".
Laura si alzò a sua volta. Lui si era già mosso di qualche passo più avanti. Lo raggiunse e vide che la guardava con aria interrogativa. Aspettava. Giusto! Era lei la guida. Era lei l'esperta del percorso. Doveva andare avanti e mostrargli la direzione. Adesso poi, con la luce del mattino il paesaggio appariva completamente diverso. Laura si sentiva bloccata. Tutta l'energia provata poco prima, mentre scendevano al faro, sembrava improvvisamente esaurita. Raccolse le idee. Raccolse il suo corpo, il suo movimento, e si mosse.
Individuò il sentiero e lo imboccò. Lo percorsero tutto affrontando la salita in silenzio. Lei stava davanti, Stefano dietro, a un paio di metri da lei. Laura ogni tanto gettava un'occhiata alle sue spalle per accertarsi che lui ci fosse. Giunti all'innesto con la strada in terra battuta si voltò verso il mare e rimase qualche istante a guardarlo. Si intravedeva qualche imbarcazione e, più lontano all'orizzonte, si distingueva nitida, l'isola. Anche Stefano si voltò nella stessa direzione.
Ripresero il cammino fino a che raggiunsero la strada sterrata. Sopra di loro le folte chiome delle querce. Si udivano i canti dei primi uccelli mattutini. L'odore dell'aria non era lo stesso di qualche ora prima, adesso si poteva avvertire un piacevole profumo di essenze vegetali miste a salsedine. Sempre in silenzio giunsero al sentiero di gradini rocciosi. Laura iniziò a salire.
Cominciava a sentire caldo, sia per la temperatura notevolmente aumentata, sia per il movimento fisico più intenso. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma dalla gola non le usciva alcun suono. Questo silenzio diventava pesante e la affaticava ancor più della salita. Quando arrivarono in cima, Stefano si trovava a qualche gradino più in basso di lei, immobile ad ammirare tutto il paesaggio intorno. Fiori di color fucsia spiccavano qua e là fra il groviglio di vegetazione dalle più varie cromature di verde. Poi la raggiunse. Si portò una mano al naso e l'annusò, l'avvicinò al naso di lei che ne aspirò l'aroma. Lei sorrise e disse:
"È rosmarino. Hai sfiorato qualche pianta" e fu grata a Stefano per aver interrotto quel clima cupo che si era venuto a creare. Prima di incamminarsi lungo la strada principale si fermarono ancora qualche istante.
"Avevi ragione" disse Stefano "È un sentiero bellissimo. Grazie". Laura si sentì commossa, ma non aggiunse altro.
Procedettero lungo il bordo della strada. Lei sempre davanti avanzava a passo sostenuto perché intanto, una leggera ansia prese a pervaderla tutta. Invece, Stefano avanzava placido e spesso si fermava a osservare qualcosa che suscitava il suo interesse: un particolare fiore, un insetto, un abitante di una casa che innaffiava le piante. Laura era costretta a fermarsi per aspettarlo. Qualche automobile iniziava a circolare.
Forse era stata una pessima idea. Forse tutto era stato una pessima idea. Lei non era un'adolescente in un'avventurosa esplorazione con il suo ragazzo. Non potevano passeggiare rilassati mano nella mano come due fidanzatini. Sembrava che Stefano lo facesse di proposito ad avanzare così lentamente. Si sentiva irritata, le sembrava di avere a che fare con un ragazzino, ma poi, un attimo dopo, si ravvedeva. Non voleva ferirlo e tradire la sua fiducia. Non voleva che quella magia finisse, ma l'arrivo del giorno si stava portando via tutto.
Superarono l'ultima curva e scorsero le prime case del paese. Il chiosco del bar accanto al Belvedere, dove avevano sostato qualche ora prima, era già aperto.
"Laura..." la chiamò "ci fermiamo a fare colazione? Ho fame." Avrebbe potuto dire di no, salutarlo lì, dirgli che era stato bello, che era stata bene ma che ora doveva andare via. Ma disse:
"Sono assetata".
"Dai, sediamoci, è tutto ancora abbastanza tranquillo" la invitò lui.
Laura chiese subito un po' d'acqua, poi ordinò del succo di arancia e delle brioches. Anche Stefano brioches e cappuccino.
Tutto intorno il paesaggio appariva diverso. Il sole, già alto, inondava di luce intensa ogni cosa. Il mare sotto di loro brillava e il vuoto scuro della notte passata adesso mostrava una folta e lussureggiante distesa verde. Laura provò malinconia. Avrebbe desiderato restare lì, senza pensieri e senso del dovere a godersi la colazione e poi decidere come proseguire la giornata, cosa gli sarebbe piaciuto fare insieme a lui.
"Sei silenziosa".
Laura voleva spiegare, ma non riusciva a trovare le parole. "Sono frastornata".
"Lo capisco. Saranno in pensiero. Ti avranno cercata". Parlava al plurale, ma in realtà solo suo marito l'aveva cercata. Pensò di dare una spiegazione, anche se piccola.
"Prima ho risposto a dei messaggi di mio marito. Gli ho scritto che tra poco sarei rientrata. Non facevo una cosa del genere da tanto tempo, ma lui sa che a me piacciono certe cose".
"Cioè, che passi la notte a fare escursioni per boschi e mare in compagnia di uno sconosciuto?" La stuzzicò lui.
Le strappò una risata
"Ma no... Sa che a me piace fermarmi in un posto bello e ammirare l'alba. Gli ho detto... che mi ero fermata con gli altri del gruppo" e mentre lo disse abbassò lo sguardo verso il tavolino. Poi lo risollevò e incontrò quello di lui. Stefano aveva le labbra increspate in un leggero sorriso. Non si stava prendendo gioco di lei, le sembrava più che altro comprensivo. Adesso era lei a sentirsi una ragazzina mentre lui di colpo sembrava l'adulto. Continuava a guardarla, con quell'espressione sorniona.
"Che c'è?" chiese lei.
"Hai dei begli occhi. Ora si vedono bene". Questo complimento così inaspettato la intimidì. Si sentì arrossire. Lui sorrise di più, ma non aggiunse altro. Si alzò ed entrò nel bar.
Adesso Laura non aveva alcuna voglia di tornare a casa. Se fosse stata libera e spensierata avrebbe desiderato rimanere lì con lui, finché avesse voluto. Libera e spensierata a godersi l'inizio della giornata, come piaceva a lei, ad annusare i profumi nell'aria. Chiuse gli occhi e sognò: la passeggiata nelle ore notturne di poco prima; il profumo di salsedine che impregnava le sue narici, la mano di lui al gusto di rosmarino che sfiorava il suo viso, e quel bacio... Si era sentita rimescolare dentro e ancora avvertiva un certo subbuglio.
"Ti accompagno all'auto" le disse Stefano ritornato dal bar. Aveva pagato lui la colazione. Ci rimase male. Quell'invito a separarsi le provocò una profonda tristezza. All'improvviso veniva investita dalla inesorabile realtà: tutto volgeva al termine. Lei sarebbe tornata a casa fra le sue attività quotidiane, le sue incombenze, alcune gradite altre detestate. Di quella notte, sarebbe rimasto un vago ricordo. Stefano l'avrebbe dimenticata dopo qualche settimana. Nessuna traccia sarebbe sopravvissuta delle ore trascorse insieme. Tutto quello che rimaneva era quel profumo di rosmarino annusato dalla mano di lui.
"Prima però voglio mostrarti una cosa" continuò lui. Laura lo guardò con aria interrogativa. Stefano la prese per mano e lei si alzò. Esitò un attimo e guardò fugacemente verso il bar anche se il gesto di Stefano le faceva piacere, ma lui la stava già tirando verso la direzione presa.
"Che cosa?" chiese Laura, un po' per curiosità, un po' per mascherare il suo imbarazzo.
"Ora vedrai".
Le sensazioni tristi di poco prima l'abbandonarono. Adesso era felice che Stefano non la congedasse subito. Percorsero un tratto della stessa strada, quella fuori dal paese, poi davanti a un bivio lui prese la salita verso il promontorio. Ogni tanto Laura gli lanciava un'occhiata interrogativa, ma Stefano rispondeva al suo sguardo senza dire nulla e continuava a tenerla per mano, cosa che a Laura faceva tanto piacere. Lungo la strada passarono accanto a una serie di villette in successione. A ognuna di esse si accedeva tramite cancelletti posti sul retro del giardino, alle spalle delle costruzioni stesse. Stefano si fermò davanti al quarto cancelletto. Subito dopo, oltre la recinzione, Laura notò un bellissimo alberello di ulivo che doveva avere oltre dieci anni. Il cancelletto conduceva a una piccola gradinata che percorreva un giardino terrazzato fino all'ingresso opposto. Tutta quell'area si presentava scoscesa poiché poggiava su un piano inclinato del promontorio. Dal punto dove si trovavano loro l'abitazione mostrava il retro e il terrazzo. Era una villetta molto graziosa con tante piante fiorite tutte intorno. Sempre nel retro vi era anche una pergola appoggiata alla parete della casa sulla quale si arrampicava una rigogliosa pianta di vite.
"Questa è la casa dei miei" annunciò lui. Laura fu sorpresa per quella rivelazione inaspettata e poi si sentì onorata che avesse deciso di mostrargliela. Provò gioia, perché pensò che se lui l'aveva portata fin là non aveva intenzione di dimenticarla subito, ma avvertì preoccupazione quando realizzò che in casa c'erano sicuramente i genitori. Con una scusa staccò la sua mano da quella di lui, si mosse di qualche passo avanti e mentre ammirava la casa disse con sincera considerazione:
"È davvero graziosa!"
"Stanno dormendo, ancora" dichiarò Stefano. Laura si girò a guardarlo.
"I miei intendo... Se questo ti preoccupa" specificò lui.
Ancora una volta lui aveva percepito i suoi pensieri. Laura sorrise e si rilassò.
"Beh, sì, un po' mi preoccupa".
"Non ne avresti motivo" replicò Stefano. Laura non volle indagare sul significato di quest'ultima frase di lui.
"Dove hai parcheggiata l'auto?"
"Nel parcheggio dopo la piazza. E devo affrettarmi, perché sta per scattare l'ora di divieto diurno in quella zona".
"Andiamo, allora" la invitò lui.
Camminavano fianco a fianco, senza prendersi per mano. Stefano non gliel'aveva più offerta. Meglio così. Nelle stradine si cominciava a vedere qualche abitante, altri erano affacciati alle finestre. Dagli interni degli appartamenti provenivano voci, suoni. La giornata si preparava ad accogliere il movimento umano. In molti l'avrebbero trascorsa al mare.
Giunsero al parcheggio. Laura si avvicinò alla sua auto bianca.
"Sono arrivata". E mentre lo diceva si rese conto che non avrebbe mai desiderato che quel momento arrivasse. E adesso, cosa sarebbe successo? Le loro confidenze, l'allegria e il dolore, le sensazioni piacevoli provate nel condividere le cose belle. Tutto finiva lì? In quel parcheggio? In quel Sono arrivata? Voleva con tutta se stessa mantenere un contatto.
"Senti, vorrei..."
"Questo è..."
Parlarono insieme e poi scoppiarono a ridere. Stefano aveva il cellulare in mano.
"Ti lascio il mio numero" disse lui.
"Sì, anche io volevo lasciarti il mio..." Detto questo, si affrettò a prendere dall'interno dell'auto la sua agenda cartacea.
"Io i contatti li scrivo tutti qui, oltre che sul telefono" sentì il bisogno di giustificare.
Si scambiarono i numeri, poi si salutarono.
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