35. Quando cantano le anime (parte 1)
Jaira si fece teletrasportare con già l'elsa della spada stretta tra le dita.
Quegli ultimi giorni erano stati terrificanti e ancora fremeva pensando alla voce della negromante nella testa che le ordinava di compiere infinite nefandezze mentre lei non poteva far altro che eseguire, gridando nel profondo dell'anima la sua disperazione.
L'aveva costretta a picchiare il principe Sylas senza alcuna ragione, le aveva imposto di trucidare le guardie del castello che si erano rifiutate di arrendersi. Jaira aveva impiccato Allan, gli aveva messo la corda al collo e aveva calciato lo sgabello.
Lei, lo aveva fatto lei.
Per giorni aveva creduto fosse morto per mano sua. Eppure Allan era sopravvissuto e l'aveva liberata. La gioia che aveva provato nel sentirlo cantare era stata incalcolabile e, quando era riuscita a tornare padrona del suo corpo, baciarlo le era venuto naturale.
Perché lei lo amava, quell'idiota di un cantastorie, nonostante fosse un uomo.
Aveva dovuto quasi ucciderlo, ma alla fine si era resa conto del perché il viso le si accaldava quando lui le sorrideva, del perché era stata nervosa nello scoprire il rapporto tra lui e la piccola elfa oscura.
Aveva sprecato così tanto tempo a rincorrere il fantasma di Lisandra negli occhi di Eatiel, quando la felicità era sempre stata lì, ad attenderla. L'aveva insultato, l'aveva ferito, ma lui non aveva smesso di prendersi cura di lei e di guardarla oltre all'armatura, oltre alle cicatrici.
Uomo o donna non faceva differenza: lei amava Allan perché era Allan e avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter passare il resto della vita con lui.
Ristabilito l'ordine e sistemato il principe traditore, Jaira avrebbe deposto le armi e lo avrebbe seguito ovunque il suo canto li avrebbe condotti. Sebbene la rabbia per essere stata ingannata da Othen fosse smaniosa di strabordarle dalle membra, Jaira sentiva che ora c'era qualcosa di più forte a guidarla: la gioia del permettere a qualcuno di amarla di nuovo, la speranza in un futuro migliore e la determinazione nata dalla consapevolezza di avere una persona da proteggere.
Jaira sorrideva, infatti, senza più vergogna nel mostrare l'interezza del viso perché ormai le cicatrici avevano finito di bruciarle e si sentiva a suo agio persino in quell'armatura nera così diversa da quella del padre.
Andava bene, anzi, era meglio: avrebbe conservato nel cuore Lebrook e il passato, ma non aveva più bisogno di una rosa incisa nel metallo per ricordarsi chi fosse.
Con la confortante presenza di Allan accanto a lei, si rese conto che il bambino li aveva fatti arrivare poco oltre i grandi portoni della sala del trono, ora chiusi. L'ambiente era maestoso: un torrione circolare dal soffitto altissimo; i muri di candida pietra erano inframmezzati da vetrate colorate a formare immagini di sovrani e paesaggi, ma la più grande di tutte, proprio dietro ai due troni massicci che si stagliavano dall'altra parte rispetto all'ingresso, raffigurava un drago rosso dormiente. Un lungo tappeto blu monocromatico segnava la via dall'uscio ai troni e dello stesso colore erano i drappi e le insegne che pendevano dalle travi che sorreggevano la struttura.
Era evidente che li stessero aspettando, poiché davanti a loro c'erano almeno una ventina di persone tra soldati e incantatori e, immobile e cupo al centro delle retrovie, il principe, coi capelli raccolti in una coda alta e l'amuleto d'ametista a pendergli dal collo ben visibile sull'armatura di cuoio.
«Davvero, fratello? Sei riuscito a sfuggire a Ilimroth solo per poter infine cadere in casa mia? Ti facevo più saggio.»
Le parole di Othen rimbombarono canzonatorie e Jaira sentì il bardo prendere un lungo respiro, irrigidendosi. Jaira gli afferrò un polso e lo strinse, abbassando lo sguardo per ricercare il suo. Dapprima turbati, gli occhi di Allan divennero sicuri.
«Devo usare Luther o non avremo speranze.»
Lui bisbigliò e Jaira annuì, conscia delle conseguenze che quelle azioni avrebbero comportato; addolcì l'espressione e alzò gli angoli delle labbra.
«So che non ti perderai.»
Allan ricambiò la stretta proprio mentre Othen ordinava ai suoi uomini di ucciderli e fu lesto a spostare la mano alle corde del liuto, cominciando a cantare l'ammaliamento. I soldati, che già avevano percorso buona parte del salone con le armi in pugno, si bloccarono e restarono immobili, così come gli incantatori, probabilmente fermati nel mezzo di qualche stregoneria che Jaira non avrebbe mai potuto riconoscere.
Othen non parve stupito e sfoderò la spada, spostando l'attenzione sulla guerriera che, con lentezza, cominciò a muoversi per raggiungerlo.
«Siete in due: non riuscirete mai a sopraffarmi. Arrendetevi adesso e salverò le vostre vite.»
Jaira emise un verso nasale e strinse l'impugnatura dell'arma con entrambe le mani.
«Sei tu che devi arrenderti.»
Scorse le palpebre del principe assottigliarsi e seguì i suoi movimenti mentre menava un fendente nel vuoto; perse un battito e si voltò verso Allan, rimasto indietro a suonare.
Othen poteva essere davvero tanto meschino?
Sì, non c'erano dubbi in merito, quindi i muscoli della guerriera si attivarono per correre indietro senza che la razionalità le avesse imposto di farlo e tornò da Allan nel momento esatto in cui la fenditura spaziale si stava aprendo alle sue spalle.
Alzò la spada e intercettò quella di Othen prima che potesse colpire il suo uomo, che sobbalzò.
Othen parve sorpreso e la sua resistenza fu debole, permettendo a Jaira di spingerlo attraverso il contatto delle lame vicine all'elsa.
«La tua avversaria sono io!»
Si portò la spada su una spalla, tenendola con la mano destra, mentre la sinistra lo indicò. Il principe ritrovò l'equilibrio, serrando i denti, e con la coda dell'occhio Jaira scorse Allan allontanarsi da loro senza smettere di suonare e raggiungere il centro della sala.
Othen assottigliò le palpebre e portò la spada lunga ed entrambe le mani dietro alla schiena, nascondendo la lama con una gamba.
Infido come al solito: non avrebbe ceduto alla provocazione di Jaira, preferendo coglierla di sorpresa, ma la spada bastarda di lei era più versatile e più lunga.
«Bene, allora.»
Il principe parlò monocorde e attese, infatti.
Jaira strinse l'impugnatura a due mani e caricò, puntando a un affondo per sfruttare la lunghezza dell'arma; Othen, però, era agile e scartò di lato. Nel movimento, mostrò che stava tenendo la spada con la destra, mentre due dita della mancina si mossero per infiammare la lama.
La guerriera fu svelta a cambiare posizione e le loro armi cozzarono tra loro una, due, tre volte, senza riuscire a concludere nulla. Jaira menava fendenti potenti e precisi nel tentativo di cogliere i punti scoperti del traditore, ma Othen era veloce e il calore emanato dalla spada le impediva di avvicinarsi quanto avrebbe voluto.
Nessuno dei due aveva un elmo per proteggersi la testa, quindi entrambi combattevano attenti a non concedere nemmeno uno spiraglio all'avversario. Con la musica di Allan che copriva i lamenti dell'acciaio, Othen riuscì a schivare un colpo laterale e contrattaccò rapido, raggiungendo con la lama un fianco della guerriera. L'armatura non servì a nulla e s'infranse come burro sotto al fuoco magico del principe, obbligandola a indietreggiare con un saltello, poi si tastò la ferita e il guanto d'arme si tinse di rosso anche se l'adrenalina smorzò di molto il dolore.
Othen restò fermo, le sottili sopracciglia incurvate a scurirgli il viso.
«Getta la spada, Jaira!»
Quel taglio l'avrebbe rallentata, ma arrendersi avrebbe significato lasciare Allan solo contro di lui.
«Mai!»
Ringhiò e si avventò contro Othen con tutta la sua forza, sperando di sopraffarlo in un fendente dall'alto al basso, ma, di nuovo, lui la evitò.
Era troppo agile, quel bastardo.
Othen avrebbe potuto colpirla alle spalle mentre era impegnata a terminare il movimento, ma non lo fece, limitandosi a tirarle un calcio dietro alle ginocchia, forse per farla cadere. Lei non cadde, però, e traballò appena, tornando pronta a fronteggiarlo.
«Jaira, ti prego! Non voglio ucciderti!»
La supplicò con tono piangente e la guerriera sentì la collera montarle dalle viscere fino alle orecchie.
Quell'infame si credeva tanto superiore? Senza la sua dannata magia, in uno scontro alla pari, sarebbe stata lei ad avere la meglio, ne era certa. Però quelle fiamme le rendevano davvero arduo individuare i punti scoperti del principe, senza contare che lei doveva anche pensare a non essere colpita di rimando, visto che aveva scoperto che l'armatura non l'avrebbe protetta.
Cosa fare, quindi?
Entrambi stavano ansimando, solo che lei continuava a perdere sangue dal fianco e non ci sarebbe voluto molto prima che il fisico le cedesse. Era stata una comandante, una delle migliori, e aveva insegnato a innumerevoli giovani soldati come affrontare un duello, come trionfare e come riconoscere la sconfitta.
E lei, ormai, sapeva di non poter vincere.
Vagliò le possibilità, concentrandosi su ciò che sapeva di Othen, sui movimenti che gli aveva visto compiere per attaccare e per difendersi, poi voltò il capo giusto un istante per osservare Allan che in quel momento stava cantando, guardando nella loro direzione col viso tirato dalla preoccupazione. I soldati e gli incantatori erano ancora fermi, ma le loro espressioni non parevano affatto estasiate.
Non c'era più tempo e Jaira compì la sua scelta.
Fece schioccare la lingua sul palato, prima di indicare il principe con la punta dell'arma, tenuta da una mano sola.
«Finiscila! La tua ipocrisia mi dà il voltastomaco.»
Lui tornò a nascondere l'arma dietro alla schiena, le fiamme a circondarlo, scurendo il suo volto come un terribile monito.
Jaira colmò la distanza che li divideva tenendo l'impugnatura dell'arma con una mano sola per fingere un fendente obliquo dall'alto; così facendo, espose il petto nella speranza che a Othen l'occasione sembrasse troppo ghiotta per non essere sfruttata. Difatti, la lama infuocata venne mossa in un celere affondo frontale che frantumò l'armatura e giunse a morderle la carne.
Era quello l'attimo che lei stava aspettando: sbilanciandosi in avanti per colpirla, Othen non parve neanche accorgersi che lei aveva già modificato la direzione del fendente per ricercare la morbida carne del suo collo. Gli tranciò la giugulare mentre sentiva la punta della spada di lui trapassarle anche la schiena e lo vide portarsi le mani a coprirsi la ferita, mentre i piccoli occhi chiari si erano allargati a dismisura, la bocca aperta a ricercare l'ossigeno.
Jaira crollò in ginocchio con l'arma in pugno e sorrise mentre il sangue del traditore la sporcava, come il suo; le fiamme si erano spente, ma la lama era ancora lì, dentro di lei.
«No! Jaira!»
Con la vista che si oscurava, la guerriera non provò alcun dolore poiché era bellissimo sentire Allan pronunciare il suo nome.
Lei aveva sperato che Othen sbagliasse o mostrasse pietà, che in qualche modo evitasse di spezzarle il cuore, ma era stato davvero preciso.
Però Jaira ce l'aveva fatta, no? Il traditore sarebbe presto morto dissanguato e, per una volta, sarebbe stata lei a salvare Allan.
Tutto era così buio e freddo...
Si sentì come in una bolla di deprivazione sensoriale, eppure le sembrò che Allan la stesse toccando, carezzandole il volto e prodigandosi in parole che lei non riuscì a comprendere.
Cullata da quella voce melodiosa, sussurrò il suo nome e chiuse le palpebre, anche se da un po' aveva smesso di vedere.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top