34. Un'altra vittima (parte 2)

Zellania fu costretta a crollare su una panchina, quando sentì il canto del bardo invaderle il cervello.

Era lui, non c'erano dubbi: il portatore del liuto di Varodil era sopravvissuto e stava contrastando il suo controllo sulla guerriera di Lebrook.

Come poteva essere tanto potente?

La negromante si portò la mano alla testa, piegando la schiena e cercando di fronteggiarlo. Ringhiò, percependo che anche il legame con Re Helmund si stava affievolendo a causa di quell'attacco mentale.

Lei era distante da Rosendale e mantenere il controllo sul sovrano le rubava molte energie: non avrebbe potuto vincere quella battaglia. Non ebbe dubbi su chi scegliere e lasciò libera la guerriera, concentrandosi per tenere soggiogato solo Re Helmund.

Quel cantastorie infame... Altro che impiccarlo, avrebbe dovuto sgozzarlo con le sue mani!

Lei e la sua teatralità...

Si massaggiò la tempia e rilassò la mandibola. Poco male, il bardo e la guerriera erano vivi, ma non certo liberi; per loro sarebbe stato impossibile lasciare il castello tutti interi.

Zellania sospirò e si concesse di perdere lo sguardo tra le piante del rigoglioso giardino che cresceva dietro al corpo principale del castello; sentieri ciottolati di ardesia circondavano aiuole colorate e prati dove l'erba era mantenuta di un'altezza precisa e regolare; a una trentina di metri davanti a lei sorgeva una fontana enorme di marmo bianco e raffigurava un drago dormiente su una roccia dalla quale zampillava l'acqua in corrispondenza dei quattro punti cardinali.

Era senza dubbio uno spettacolo magnifico e le sarebbe piaciuto potersi godere quella pace, se solo il dolore fosse cessato per giusto qualche secondo.

La voce di un uomo proruppe nella sua testa, ordinandole di raggiungere il principe nella sala del trono. Othen stava cominciando a imporsi un po' troppo per i suoi gusti, ma era probabile che anche lui avesse appreso della mancata morte del vecchio compagno d'avventura.

Col senno di poi, Zellania avrebbe fatto meglio ad affiancare ad Eatiel qualcuno di meno molesto, ma chi mai avrebbe potuto immaginare che quello stupido menestrello possedesse un artefatto arcano?

Passò la gamba e il pezzo di legno dall'altra parte della panchina e calcolò quanto sarebbe stato faticoso raggiungere la sala del trono dalla sua posizione: la via si diramava in due direzioni e, prendendo la destra, lei sarebbe arrivata alle porte sul retro del salone.

Le enormi vetrate colorate che vi facevano penetrare la luce del sole erano visibili anche da lì ed era innegabile che l'artigiano che le aveva costruite possedesse un grande talento, poiché le scaglie di vetro parevano formare un drago rosso dormiente in carne e ossa, tra vallate verdi.

A Reah erano proprio fissati con quel cazzo di drago.

Forse a causa del nervosismo, il dolore all'addome si fece insostenibile e Zellania abbassò il capo per osservare lo squarcio purulento che vi si annidava: un lembo di pelle si era incancrenito e pendeva sopra all'ombelico. Senza indugio, lei lo afferrò e lo strappò, incurante di portar via anche della carne sana; tanto sarebbe comunque marcita presto, prima di ricomporsi per imputridire di nuovo in quel circolo sadico e infinito.

La sua Signora avrebbe anche potuto maledirla un po' meno, viste le difficoltà che la sua condizione le imponeva. Lamentarsi, comunque, non sarebbe servito: ormai mancava poco alla riuscita del suo piano per impossessarsi della lacrima.

Ogni volta che immaginava Celenwe libera, il cuore di Zellania si riempiva di gioia e il dolore diminuiva.

Si mise in piedi a fatica e fece per dirigersi dove Othen le aveva chiesto, quando un pensiero le solleticò la mente, martellante. Aveva già fatto l'errore di sottovalutare il menestrello due volte ed era molto probabile che da lì a poco si sarebbe scontrato col principe. Perché non sbirciare nel futuro giusto un pochino? La richiesta era semplice: quale sarebbe stato l'esito dello scontro?

Chiuse le palpebre e richiamò la magia, la sua magia, quella pura e incontaminata dalla morte. Come già aveva fatto innumerevoli volte per costruire il suo piano, salmodiò le antiche parole elfiche e si concentrò per curiosare nel futuro prossimo.

La luce dissipò l'oscurità, ma ciò che Zellania vide le fece accelerare i battiti del cuore in modo assurdo: morte, nient'altro che desolata morte partiva dal castello e si estendeva nel raggio di chilometri mentre una melodia lenta e triste s'insinuava nelle fenditure dell'esistenza.

Nessun cadavere da rianimare, nessuna forma di vita da sottomettere.

Ansimando, Zellania traballò indietro e ricadde sulla panchina, sorreggendosi il petto con mano e moncherino.

Non era il futuro che si aspettava, non era il futuro che voleva.

Doveva andarsene da lì il più in fretta possibile o anche per lei sarebbe stata la fine. Bestemmiò Galadar a mezza voce e lottò con sé stessa per smettere di tremare, visto che il pezzo di legno che le sostituiva la gamba donata a Celenwe era già abbastanza instabile senza bisogno che lei barcollasse.

Se in precedenza fosse riuscita a strappare la lacrima dalle mani di quella dannata bambina, a quell'ora avrebbe già liberato la sua Signora e smesso di soffrire.

Che fastidio.

Avanzò verso le mura del castello giusto di qualche instabile passo, prima che un suono innaturale l'obbligasse ad alzare la testa verso il cielo. Inorridendo, fissò una ricurva lama d'onice aprire uno squarcio nell'azzurro.

«Ti vedo, Zellania

Parole nella lingua degli spiriti... Quella era la voce di Eatiel?

La negromante mantenne gli occhi spalancati in quella direzione anche quando una figura alata ne uscì, frapponendosi al sole per poi piombare in picchiata davanti a lei, a giusto qualche metro di distanza.

«C-come?»

Com'era possibile che l'elfa fosse proprio lì, con lo sguardo truce, i capelli di un altro colore e delle ali draconiche formate da aria vorticante a spuntarle dalla schiena?

«Grazie di avermi mandata da Dooko: ora ho scoperto chi sono.»

Le parlò candida, senza la minima inflessione canzonatoria, anche se Zellania ancora non poteva crederci.

«Hai sconfitto un drago antico da sola?»

Eatiel sorrise, compiendo un passo in avanti mentre le ali scomparivano.

«Con me c'era Ilimroth.»

Ah, ecco.

Zellania indietreggiò per mantenere le distanze e l'iniziale sorpresa venne sostituita dall'odio.

«Così non vale, però. Sei scorretta.»

Lei s'incupì, indicandola.

«Dove sono Allan e Jaira?»

Oh, cazzo, il dannato bardo!

Zellania si voltò involontariamente a osservare il corpo principale del castello, poi si morse le labbra. Andarsene a piedi non le sarebbe servito, anche perché l'elfa non glielo avrebbe permesso; però Eatiel poteva volare, se lei fosse riuscita a convincerla...

Incurvò le spalle e portò il palmo aperto avanti al corpo, mostrando l'apprensione che sentiva crescere ogni istante di più.

«Ascolta: sono stata una stronza ed è probabile che ti abbia un pochino manipolata, ma non è colpa mia. Lo sai anche tu come funziona, no? Gli spiriti ordinano e gli emissari eseguono. Ora, qui sta per succedere un casino e sarebbe bello continuare la nostra discussione da un'altra parte, ti va?»

Eatiel assottigliò le palpebre e scosse lieve la testa.

«Sono lì dentro?»

Era cocciuta. Zellania strinse l'unico pugno.

«Ma cosa te ne frega di quei due? Sono inutili! Noi siamo emissarie, siamo superiori agli altri e se non ce ne andiamo adesso non riusciremo a salvarci!»

Il vento soffiò intorno all'elfa e lei s'irrigidì.

«Devi biasimare te stessa! Tu me li hai fatti incontrare! Perché, Zellania? Perché non mi hai uccisa nel bosco?»

Incredibile, ma sembrava che non solo la chioma dell'elfa fosse cambiata, visto che mai l'aveva scorta tanto furiosa. Non andava bene: Eatiel aveva sconfitto un drago, dannazione! Era diventata una minaccia consistente. Mentirle non sarebbe servito e nemmeno voleva farlo, vista l'urgenza.

«Io non sapevo un cazzo di te, Eatiel! Dopo essere stata maledetta da Celenwe ti ho cercata a lungo e quando infine ti ho trovata sono rimasta spiazzata. Sembravi così serena e tranquilla... Sapevo del tuo legame con ben due spiriti e lo temevo, credendo che tu potessi essere più pericolosa di quanto apparissi.»

L'elfa la guardava con le labbra dischiuse, gli occhi addolorati, e Zellania prese fiato giusto un secondo, prima di continuare.

«Ipotizzavo che, dopo la caduta, ti saresti potuta alleare con Shi'nnyl e io sarei rimasta sola, visto che l'inutile nano di Meg'golun non ha mai avuto intenzione di seguire la via. Ho provato a uccidere la bambina, ma il suo potere le ha permesso di sgusciare via, poi si è fatta troppo pericolosa e ho cambiato tattica. Avevo bisogno di alleati, quindi ho convinto il principe a uccidere suo padre e l'ho reso un reietto bisognoso d'appoggio. Condurti da lui è stato davvero semplice e speravo ti sviasse dalla nostra missione. Tu saresti stata fuori dai giochi e l'avresti aiutato a riconquistare l'amato trono, in modo che io potessi avere un esercito contro Shi'nnyl. Avevo paura che da soli non sareste riusciti a combinare un granché, quindi ho scrutato il futuro e ho visto quel bardo bazzicare i dintorni del tuo villaggio; ne ho percepito il potere latente e ho visto il momento esatto in cui sarebbe passato nel bosco di Beley, così ti ho condotta sul sentiero, donandoti le visioni. L'inutile guerriera e lo stupido schiavista sono stati degli imprevisti e ho dovuto improvvisare, ma controllare tutto non è mai semplice.»

Si zittì, osservando il volto corrucciato dell'elfa nel tentativo di carpirne le emozioni, poi cercò di sembrare più dolce.

«Tu mi hai salvata dalla furia di Meg'golun quand'eravamo sotto al mantello di Alanmaeth; non l'ho dimenticato. Quindi, Eatiel, fidati di me quando ti dico che dobbiamo andare via di qui, adesso.»

L'elfa, però, pareva sorda alle sue suppliche, visto il modo in cui allargò le narici alla ricerca d'aria mentre il suo elemento continuava a vorticarle attorno in modo irritante.

«Hai raggirato anche Othen, quindi.»

Possibile che di tutte quelle parole avesse carpito solo quello? Le piaceva davvero tanto ribadire l'ovvio, a quanto pareva.

«Sono l'emissaria dello spirito degli inganni, cosa ti aspettavi?»

Dell'elettricità statica prese a sfavillare dal corpo dell'elfa e Zellania sentì il sudore colarle lungo la spina dorsale, andando a rendere persino più dolorose le piaghe che aveva sulla schiena. Eatiel girò i palmi verso l'alto e piccole scariche elettriche le danzarono tra le dita, producendo suoni agghiaccianti e minacciosi.

«Un piano davvero folle e macchinoso, ma c'è ancora una cosa che non capisco: prima di salire sulla nave a Neley, tu hai provato a uccidermi. Se non volevi che morissi, se ti servivo accanto a Othen, perché lo hai fatto?»

Quella domanda pacata la colse impreparata e Zellania boccheggiò un poco, prima di optare per la risposta più rapida, che le avrebbe anche permesso di cambiare argomento.

«Dopo essermi resa conto delle tue esigue capacità e quando ti ho vista lì da sola, mi sono detta che l'occasione era troppo ghiotta per non approfittarne, ma Othen non l'ha presa bene. Mi ha fatta fuggire, sì, poi però è diventato intrattabile anche nei nostri incontri segreti; mai avrei immaginato che potesse sul serio provare qualcosa per te. Per un po' ho deciso di lasciarvi giocare da soli, visto che Celenwe mi è apparsa per comunicarmi l'imminente caduta della lacrima e promettermi il suo ultimo dono. Ci ho messo una vita a salire sulla montagna, ma controllare la mente di Dooko è stato bellissimo.»

L'elfa abbassò lo sguardo, pensierosa, poi però lo rialzò e le iridi azzurre non avevano smesso di brillare, ricche di collera; non accennò a smettere di minacciarla, anzi, le puntò un palmo addosso e Zellania si preparò a difendersi.

Avevano già perso un'infinità di tempo e forse anche la possibilità di uscire illese da quella situazione.

Eatiel aveva passato la vita a fare la sottomessa e proprio in quel momento decideva di tirare fuori le palle? Pessimo tempismo, anche perché la cosa irritava Zellania a dismisura e la consapevolezza di una probabile fine imminente stava facendo vacillare la sua psiche. Lo sapeva, aveva già avuto delle crisi in passato a causa del dolore.

«Finiscila di minacciarmi! Io e te siamo legate, non dovremmo combatterci!»

«Sei una bugiarda e io non mi farò più manipolare da te! Ho provato ad aiutarti, ho provato a capirti, ma se ora ti lascio andare so che poi tornerai a tormentarmi e a fare del male alle persone! Sei malvagia, Zellania.»

No, basta, non avrebbe sopportato oltre. La negromante sentì la magia spingere per fluire nelle sue membra e la razionalità svanì, portandosi via il desiderio di collaborare con quella stronza.

«Malvagia? Dici che sono malvagia? Ma almeno mi hai vista, stupida elfa? Tu sei così bella, così perfetta, così pura e buona. Io cosa sono? Guarda il mio corpo! Credi sia divertente soffrire in modo costante ogni singolo secondo di ogni giorno, di ogni notte? In bilico tra la vita e la morte, la mia pelle marcisce, la carne incancrenisce, si stacca, eppure io sopravvivo. Cos'hai sacrificato tu per ottenere i doni degli spiriti, eh? Il vento t'ascolta, la morte stessa ti guida e tutti amano starti accanto nonostante tu abbia portato loro soltanto sventura! Chi mai potrebbe stare accanto a me, invece? Dimmelo tu, Eatiel, perché io una risposta non ce l'ho.»

Tuonando quelle grida isteriche, Zellania si accorse tardi che aveva cominciato a piangere e non riuscì a trattenersi. Con quel comportamento stava ricoprendo Celenwe di ridicolo, anteponendo il suo frivolo benessere personale alla maestosa missione che la Signora le aveva affidato.

Però era stanca di richiedere al corpo di resistere: dopo anni in quella condizione, ci si sarebbe dovuti aspettare che ormai si fosse abituata, ma non era vero. Ogni giorno era angosciante quanto il primo e l'unica consolazione era che ormai fosse arrivata vicina alla meta, anche se ora la scorgeva sfuggirle dalla presa.

Era intollerabile.

Eatiel sembrava essere stata in qualche modo colpita da quelle confessioni deliranti, poiché aveva preso a fissarla col viso tirato, l'elettricità era sparita e il vento soffiava meno forte.

«Ciò che ti è successo è terribile, ma questo non ti giustifica. Anch'io ho perso molto.»

Assurdo.

Davvero quella cretina osava comparare le loro vite? Zellania gemette a denti stretti, con le sopracciglia tanto vicine da scurirle gli occhi verdi, poi infilò la mano in una delle sacche da cintura ed estrasse la boccetta che da anni si portava dietro, in attesa della giusta occasione per usarla. La scagliò a terra, frantumando il vetro e spargendo la polvere davanti a lei.

«Tu hai perso molto? Eatiel... vaffanculo.»

Puntò l'indice contro alla polvere e lasciò che il dono di Celenwe la colpisse, andando a dar forma allo scheletro, ricomponendone le ceneri. Eatiel non parve impressionata e mantenne il viso serio; avrebbe perso quel cipiglio sicuro, oh, sì, lo avrebbe perso presto.

Lei l'aveva definita malvagia?

Non aveva idea di quanto potesse esserlo.

Zellania non mandò il suo nuovo amico all'attacco poiché preferì aprirsi in un sorriso lungo e caricò le parole di quella crudeltà che l'elfa pareva bramosa di scorgere in lei: ciò che tutti si aspettavano dalla serva putrescente dello spirito degli inganni.

Chi era lei per deludere le attese?

«Conservavo questo non-morto apposta per te, sai? Negli anni in cui ti ho cercata mi sono recata fino a Nionimren, pensa. È stato un viaggio interessante, anche se quest'elfo in particolare l'ho trovato mentre si stava per imbarcare su una nave mercantile.»

Eatiel ebbe un sussulto e passò lo sguardo da lei all'immobile scheletro.

«Zellania...»

Oh, la sua faccia era troppo divertente!

Quello, sì, quello era il volto dell'angoscia! Vederlo dipinto sugli altri era galvanizzante, come se il loro dolore potesse in qualche modo attenuare il suo. Incalzò, portandosi il moncherino sotto al seno e picchiettandosi l'indice sulla guancia.

«Come aveva detto di chiamarsi... Ah, sì! Enwelion! Diceva di essere alla disperata ricerca della figlia. Per caso lo conoscevi?»

Il vento divenne frenetico intorno all'elfa che aveva cominciato ad alzare a abbassare il petto in modo convulso, però le sue guance erano asciutte. Dov'erano le lacrime? Perché stava in piedi e non era crollata nella disperazione? I fulmini ripresero a circondarla e, prima che potesse scagliarglieli addosso, Zellania la indicò, senza più contenere il suo odio.

«Dovresti essere contenta di aver rincontrato tuo padre. Vieni ad abbracciarlo!»

Eatiel gridò la sua frustrazione, ma non riuscì a fare alcunché, poiché il raggio verde della negromante era già partito per andarle a irretire la mente.

L'elfa strinse le palpebre, si portò le mani alla testa tentando di resistere e Zellania s'irrigidì nello sforzo di vincerla. Percepì la tristezza, la collera e l'apprensione, ma anche la determinazione e qualcos'altro, qualcosa di enorme. Eatiel non era sola, nella sua testa, e lei aveva già conosciuto quella coscienza prima: il drago.

Fu con un ruggito devastante che Zellania venne rispedita indietro e l'aria le fece perdere l'equilibrio, mentre scariche di fulmini si abbattevano in modo disordinato intorno al corpo dell'elfa.

Lo scheletro di Enwelion protesse Zellania e si frantumò, mentre lei cadeva fuori dal sentiero ciottolato, nell'erba. La gamba di legno scricchiolò, minacciando di staccarsi, e Zellania capì che il suo corpo mutilato non le avrebbe concesso di alzarsi prima di un'altra scarica d'ira dell'elfa.

Aveva ipotizzato che fosse troppo buona per lasciarsi andare alla furia in quel modo, invece si era sbagliata. Anche se la razionalità l'aveva ormai abbandonata, Zellania sapeva che il futuro scorto in visione era ormai prossimo e nessuna delle due si sarebbe salvata.

Questione di attimi, eppure non voleva smettere di combattere: lo aveva fatto per tutta la vita e se ne sarebbe andata a testa alta.

Chiedendo a Celenwe perdono per essere stata tanto inetta, fece forza sugli addominali e si mise seduta, strappando dalla cintura la borsa rossa, scagliandone poi il contenuto in una pioggia di polvere. Eatiel si riprese e si girò verso di lei proprio mentre stava facendo danzare il potere spirituale nei resti di quei defunti che portava sempre con sé e la cenere si aggregò per formare una mezza dozzina di non-morti pronti a difenderla.

Il vento si quietò e l'atmosfera si fece statica mentre Eatiel se ne stava a spalle curve con ancora le dita di una mano tra i ricci vermigli. Vedendola in quello stato, Zellania si lasciò andare in una risatina amara e proprio non riuscì a starsene zitta.

«Ed ecco l'anima pura che sprigiona la sua oscurità! Sarai fiera di te stessa.»

Il viso delicato dell'elfa venne storpiato da una smorfia di disprezzo e lei mosse la testa in una negazione quasi impercettibile.

«Tu corrompi le persone, Zellania. Complimenti: hai fatto un'altra vittima.»

Così dicendo, portò le mani intorno alle labbra come per urlare e sembrò inspirare un grande quantitativo d'aria; Zellania non aveva idea di cosa stesse facendo, ma reputò saggio ordinare ai non-morti di avanzare per attaccarla, mentre provava a rimettersi eretta.

Gli scheletri fecero solo un paio di passi e lei restò col fondoschiena ben piantato al suolo, però, perché Eatiel cominciò a soffiare e dalla bocca si propagò un terrificante cono di fiamme vivide che investì in pieno i suoi servitori, prima di spingersi fino a lei, spiazzata al punto da non riuscire neanche a erigere uno scudo per proteggersi.

Il fuoco, dunque.

Morire bruciata dal fuoco sprigionato dall'emissaria dello spirito del cielo e del mare: quella sì che sarebbe stata una bella barzelletta...

Chissà se qualcuno l'avrebbe mai raccontata.

Mentre il calore l'avvolgeva in spire attizzate anche dal vento, Zellania non poté fare a meno di allargare le braccia e sorridere.

Eatiel credeva di essere diventata una sua vittima, che patetica stolta.

Chi poteva definirsi vittima e chi carnefice? Era lei che la stava assassinando, no?

No.

Erano entrambe emissarie, entrambe mortali, entrambe maledette.

Il destino di Zellania non era mai appartenuto a lei e le scelte che aveva compiuto erano mosse dal desiderio di liberare la Signora degli Inganni.

Forse perché la carne marcescente le si era ormai sciolta sulle ossa e il buio aveva invaso i suoi sensi, ma Zellania percepì che, forse, non aveva più così tanta voglia di portare eserciti di non-morti a vagare per le strade delle tre Terre.

Stava bruciando viva e avrebbe dovuto essere ormai impazzita o svenuta a causa del dolore, ma non era più di quanto avesse già provato in ogni istante da undici anni a quella parte e non un singolo gemito o lamento le sfuggì dalle labbra.

Infine ci fu un attimo, un singolo fugace e meraviglioso attimo prima dell'oblio, in cui Zellania sentì di aver smesso di soffrire.

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