28. La verità
Ti vedo, Othen.
Mi siedo di soprassalto, facendo forza sugli addominali e portandomi le dita alle tempie. Quella voce... Zellania è tornata a tormentarmi.
Non le è bastato ingannarmi? Non le è bastato farmi rinchiudere in cella, portarmi via ogni cosa? È tutta colpa sua, colpa sua!
Sto ansimando e la cosa mi distrugge. Non ho più certezze, non so cosa devo fare della mia vita e sto trascinando Eatiel in una probabile rovina. Il mio piano fa acqua da tutte le parti: non riotterrò mai il trono e la magia arcana resterà bandita da Reah per sempre.
Mi sento così inutile, così stupido e inetto che mi viene da vomitare.
Certo, ora ho il cristallo del controllo assoluto, ma sento che non basterà: l'ho preso come arma contro Allan e Zellania e mi servirà davvero poco nel mio regno, dove la magia è quasi assente. Inoltre, Sylas ha l'intera regione dalla sua parte e, se anche dovessi riuscire a sconfiggerlo, ad assoggettarlo, il popolo non accetterà mai un incantatore come sovrano.
Othen, esci. Devo parlarti.
Ancora quella voce insopportabile, vagamente divertita.
La piccola stanza che abbiamo preso per riposare a Beofild è avvolta dalle tenebre: intravedo la sagoma di Eatiel accanto a me, sdraiata su un fianco, con le leggere lenzuola a coprirle giusto le gambe. È bellissima e io so di non meritare il suo amore.
Othen.
Quella negromante maledetta non mi lascerà in pace finché non la incontrerò.
Scendo dal letto, mi metto i pantaloni larghi da viaggio, la cintura con la sacca che contiene la gemma e afferro la spada. Esco dalla stanza con l'arma in pugno e le dita a stringere il ciondolo d'ametista che mi svetta sul torace nudo. Voglio che lei lo veda, voglio che sappia che non può controllarmi.
Ho voluto quell'oggetto magico per rendere Allan inoffensivo, ma devo ammettere di aver avuto davvero un colpo di fortuna visto che si sta rivelando più utile del previsto. Una magra consolazione, nell'oceano di turpitudine in cui continuo a nuotare.
Il corridoio della locanda è deserto e scendo le scale per raggiungere il piano inferiore con lenta circospezione. Non ho idea di dove andare, per trovarla.
Sul retro.
Un brivido mi percorre la schiena ed eseguo; prima di uscire dalla struttura per girarle intorno, afferro una torcia spenta dalla parete e invoco una piccola fiammella per attizzarla e farmi luce.
Siamo in un quartiere molto tranquillo e lo spicchio di luna che scorgo tra gli edifici squadrati di legno è a tratti coperto da nubi sparse, coi morbidi contorni resi lattei dal suo chiarore.
Mi infilo nella via strettissima che separa la locanda dalla struttura attigua e quasi inciampo in un vecchio cencioso, rannicchiato in una coperta. Mi guarda male e ride, indicandomi con uno scheletrico braccio tremante.
Sì, in effetti avrei potuto vestirmi un po' di più prima di uscire, ma ho la testa annebbiata, i nervi tanto tesi che per poco non gli tiro un calcio per farlo tacere in eterno. Lo supero, aumentando il passo e svoltando per raggiungere la stradina sul retro, come indicato da Zellania.
Infatti la trovo lì, da sola, col mantello nero aperto sul davanti, seduta su uno sgangherato barile di birra vuoto in mezzo ad altri rifiuti. L'olezzo di decomposizione che la circonda mi riempie le narici, ottenebrando i miei pensieri. Sta tamburellando con le dita sul legno marcescente che la sorregge e punta il moncherino verso di me, quando mi avvicino.
«Oh, volevi conquistarmi?»
Non so cosa mi stia trattenendo dal tagliarle la testa proprio adesso. Ha cercato di uccidere Eatiel più volte e dovevo rendermi conto di non potermi fidare di lei quando l'ha attaccata al porto di Neley, senza il mio consenso.
Non sapevo nulla della missione dell'emissarie, allora, ma questo non cambia le cose: non voglio che Eatiel muoia.
Cerco di sembrare quanto più minaccioso possibile, ignorando l'espressione divertita su quella faccia irriverente, e le punto addosso la lama.
«Cosa vuoi ancora da me? Dammi un solo motivo per cui non dovrei ucciderti, dopo il tuo tradimento.»
Zellania si umetta le labbra e le iridi verdi mi sembrano illuminarsi in modo inquietante alla luce della torcia.
«Perché senza di me non otterrai mai ciò che vuoi, e lo sai.»
Resto fermo e cerco di non mostrare l'agitazione, anche se il cuore sta pompando più forte. È troppo grande la parte di me che continua a bisbigliarmi quanto lei abbia ragione.
«Come posso fidarmi? Hai detto che avresti fatto in modo di incastrare Sylas, ma mi hai lasciato marcire in prigione. Hai detto che mi avresti aiutato a Lebrook, ma anche lì non ti sei fatta viva. Adesso sei qui, strega, perché? Non dovresti seguire la lacrima?»
Zellania inarca la schiena e si perde a fissare in alto, sbuffando.
«Credevo che un drago fosse abbastanza per sconfiggere quella piccola elfa oscura, invece mi sbagliavo, pensa un po'!»
Scende dal barile e mi si avvicina, claudicante, ignorando la lama dritta davanti a me.
«Hai ragione, principino, ti ho usato per allontanare Eatiel dalla missione; vuoi farmene una colpa? Saresti un tantino ipocrita. E comunque sei tu che hai tradito me: non ti nascondo che sono rimasta davvero interdetta nel ritrovarmi quella sciacquetta davanti, alle miniere. Inoltre, vederti mettermi i bastoni tra le ruote ha accresciuto il desiderio di renderti parte del mio esercito di polvere.»
Allunga la mano e mi afferra il mento, affondandomi le dita ossute nelle guance. Ho una spada in mano, ma lei non pare affatto intimorita, anzi, quel tocco gelido è abbastanza per far naufragare la mia determinazione.
La verità è che questa donna mi terrorizza nel profondo e non posso farci nulla; la sua forza spirituale è tanto prorompente da rendermi inoffensivo. Non ha bisogno di ammaliarmi, l'ametista è inutile: mi sono perso nelle tenebre nel momento esatto in cui ho accettato il suo aiuto la prima volta e adesso è impossibile tornare indietro.
Me ne rendo conto, ma la razionalità non basta. Non c'è nulla di sensato in quel corpo marcescente e deturpato, in quegli arti fantasma. Mi osserva, ghignante, poi mi abbassa il braccio armato col moncherino.
«Ma mi servi ancora, e io servo a te. Che ne dici di lasciare da parte gli inganni e parlare chiaramente? Io ho bisogno di un esercito per ammazzare quella bambina e tu hai bisogno di riportare in auge il tuo nome. Vuoi che la magia torni a Reah? Allora devi fare in modo che anche il popolo lo voglia.»
Aggrotto la fronte e faccio un passo indietro, liberandomi da quella presa di ghiaccio prima che la mia stessa pelle cominci a puzzare di cadavere.
Ciò che lei dice ha senso, ma mi viene difficile capire come poter far cambiare idea ai miei cittadini, visto che è da secoli che la nostra cultura impone l'odio per Varodil e le arti arcane.
Zellania mi fissa con sguardo criptico, come se fossi io a dover continuare quella conversazione, come se si aspettasse che anch'io capissi... un momento: sì, giusto! È il popolo che deve volere la magia, non la devo imporre io! L'unico problema è che c'è un solo modo per ottenere una cosa del genere, ed è ciò che ho sempre cercato di evitare.
In fondo, però, ero giunto a questa consapevolezza già dopo il rovinoso incontro con Re Helmund di Lebrook; non ho più scelta.
«Dobbiamo far nascere una guerra.»
Parlo come in stasi e Zellania si porta l'indice a picchiettarsi il mento, ondeggiando, fingendo di essere pensierosa.
«Oh, se avessimo qualcuno in grado di convincere Re Helmund a lasciarci i suoi incantatori più abili... ehi, ma che sbadata! Quasi dimenticavo che ogni vivente su questo stupido pianeta è una mia potenziale marionetta.»
Ride da sola, mettendomi nuovi brividi. Nella testa si formano immagini vivide di quello che potrebbe accadere se seguissimo questo piano e abbasso il capo.
«Se degli incantatori di Rosendale attaccassero Reah di sorpresa, magari una città costiera come Neley, sarebbe impossibile per mio fratello organizzare una difesa. Se io, però, fossi lì in quel momento... se fossi io a sconfiggere quei maghi attraverso le arti arcane e la gente lo vedesse...»
«Il popolo capirà che solo la magia può sconfiggere la magia.» Zellania pare entusiasta. «Ridarai luce alle arti arcane, farai uscire allo scoperto le persone che si nascondono e il popolo ti acclamerà come il salvatore. Allora sveleremo la verità, allora si saprà che è stato Sylas a uccidere il re, marcerai sulla capitale come un prode liberatore, e tutti ti ameranno.»
Deglutisco della saliva che non ho e rialzo la testa.
«Divenuto re, tu resterai mia alleata e potrai disporre dei soldati di un intero regno per ottenere la lacrima.»
Lei annulla ancora le distanze e mi carezza il torace, melliflua.
«Cominciamo a capirci. È ora che il drago dormiente di Reah si svegli, non pensi?»
Annuisco, ma sento le viscere contorcersi nel rendermi conto che non sto considerando una cosa fondamentale. Eatiel è nemica di Zellania e né lei né gli altri due accetterebbero un piano del genere. Jaira è troppo devota alle leggi, Allan la segue come un cagnolino ed Eatiel... cazzo, quanto sono caduto in basso? Lei non approverà mai queste scelte.
Afferro il braccio intero della negromante e la fisso con intensità.
«Dobbiamo andarcene adesso in modo da lasciar liberi gli altri.»
Zellania s'imbroncia, poi emette un verso a metà tra il lamentoso e l'emozionato.
«Oh, che tenero, ora ti fai venire una coscienza?»
Mi canzona e io mi mordo le labbra quasi a farle sanguinare, trattenendo il respiro. Non voglio ascoltarla, anche perché so bene quello che sta per dirmi.
«Sanno quello che vuoi fare, principino, non possiamo rischiare che si mettano in mezzo.» Mi volto per darle le spalle: non voglio che scorga il mio mento tremare.
Senza pietà, lei prosegue e sembra ci stia provando molto gusto.
«Quando sarà giunto il momento, della guerriera me ne occuperò io. Temo, però, che la mente del cantastorie sia troppo potente e potrebbe resistermi: meglio eliminare lui, prima degli altri, e ho anche un'idea molto divertente su come farlo!»
Stringo il pugno, annuisco.
Per quanto lo detesti, per quanto io invidi la sua forza arcana, non vorrei uccidere Allan, ma è inevitabile. Su una cosa sono irremovibile, però, quindi trovo il coraggio di tornare a guardarla, anche se gli occhi mi bruciano e la vista è annacquata.
«Non voglio che tu faccia del male ad Eatiel.»
Lei alza un sopracciglio e il sorriso sul suo volto si allunga.
«A proposito, c'è un'altra cosa che non ti ho detto: lo sai che ieri Dooko è tornato da me? Ha minacciato di mangiarmi, che carino.»
Cosa? Ormai le mie viscere sono del tutto attorcigliate, la mia voce è incrinata.
«Perché non l'ha fatto, Zellania?»
♪ ♫ ♪
Allan sentì con estrema precisione la lama venir ritratta, il sangue cominciare a scorrere fuori dalla ferita e dentro, nel momento in cui il fuoco lasciò spazio all'acciaio: respirare divenne difficile e l'ossigeno inalato si mischiò al sapore del ferro.
Cadde in ginocchio e poi anche il fianco baciò la strada polverosa, la torcia abbandonata al suolo, spenta.
Come bloccato in un'esperienza extracorporea, gli sembrò che ogni suono del mondo fosse svanito e osservò, spettatore immoto, Jaira levare la spada contro al principe; neanche nello scontro col drago Allan aveva visto i lineamenti della guerriera tirati nella furia in quel modo.
Othen parò il fendente, incrociando le lame vicine all'elsa, e lei non riuscì a scostarsi per attaccare di nuovo poiché venne colpita in testa da una sottilissima linea di energia verde che Allan non riuscì a definire: era arcana, era spirituale? Scaturì dall'indice della negromante e fu abbastanza per calmare Jaira, che raddrizzò la schiena e rinfoderò l'arma con in viso un'espressione vuota e neutra.
Accadde tutto in modo tanto rapido che Allan si chiese solo allora cosa stesse facendo Eatiel e, tossendo con violenza, si accorse che l'elfa era immobile, impietrita come una statua.
Non era normale, lui non poteva credere che anche Eatiel fosse finita sotto al controllo di Zellania o che fosse complice del traditore.
Già, dopo quei primi secondi di totale turbamento, il volume del mondo stava tornando, assieme alla consapevolezza di aver camminato al fianco di un infame.
Per quanto tempo?
Eppure Allan lo sapeva, lo sentiva: avrebbe dovuto dar retta alle sensazioni che gli urlavano di stare attento, di non fidarsi.
Che stupido, e ora stava annegando nel suo sangue. Due incantatori stavano salmodiando qualcosa, altri tre qualcos'altro, e Allan ipotizzò fosse a causa loro che Eatiel non poteva muoversi. Non riconobbe quegli incanti, ma aveva una cosa un po' più pressante a richiedere la sua attenzione.
«I aharnië, nest—»
Come già aveva fatto una volta, tra rantoli indistinti provò a copiare l'incantesimo di guarigione di Eatiel, ma venne interrotto dal principe. Senza che se ne fosse pienamente reso conto, dalla sua posizione fetale Allan si era aggrappato a Luther e ne stava richiamando il potere, quindi per Othen fu semplice bloccarlo, calciando lo strumento lontano da lui.
La magia elfica aveva in qualche modo arginato l'emorragia, ma Allan non aveva terminato l'incantesimo. Ora che non era più in contatto con il liuto, il vuoto tornò ad affliggerlo, assieme al dolore del corpo per la ferita e dell'anima per essere stato ingannato.
Zellania stava ritta e ghignante davanti agli uomini e in quel momento Allan vide anche una figura più piccola che a malapena arrivava alla vita della negromante: era incappucciato, ma si poteva vedere il lato inferiore del viso e dei lunghi capelli biondi spuntare dal collo sul petto minuto.
Un bambino, un bambino biondo e immobile così com'era Jaira.
Il sommo cultista di Varodil aveva detto loro che Zellania lo minacciava tenendo in ostaggio suo figlio e non ci volle molto per collegare i puntini. L'emissaria di Celenwe era dunque riuscita a sfruttare il sommo Alerdhil e lo teneva in pungo anche in quel momento; era ovvio che avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa e lui aveva rischiato davvero molto, aiutandoli... o forse no, forse era previsto che lui lo facesse.
La negromante aveva programmato ogni cosa, assieme a quel lurido principe maledetto.
Allan si era curato quel che gli bastò a stringersi le braccia intorno al corpo e alzare il capo, ricercando lo sguardo del traditore.
«Perché?»
Una domanda semplice che non riuscì a controllare. Aveva capito le dinamiche che li avevano condotti in quella trappola, ma ancora non ne concepiva le motivazioni.
Othen lo fissò dall'alto per qualche fugace secondo, poi girò la testa e s'incamminò verso Zellania. Era così stronzo da non concedergli neanche una risposta, quindi, e Allan non riusciva proprio a essere impietosito dalla tristezza che aveva visto offuscargli gli occhi.
La negromante rise, cristallina, e zoppicò per raggiungere Luther, abbassandosi poi per afferrarlo dal manico. Il sorriso sghembo sulla sua faccia si abbassò, le sopracciglia s'incurvarono fin quasi a unirsi e lei sbraitò, rivolgendo l'attenzione al bardo.
«Ehi, tu! Mi prendi per il culo? Perché non sento niente?»
La donna stava sventolando il liuto arcano e Allan avrebbe anche potuto schernirla in qualche modo irriverente, se solo respirare non fosse stato tanto difficile.
«Luther reagisce in modo diverso in base a chi lo tocca.» Lui riuscì a parlare, una faticosa parola dietro l'altra. «Tu non sei degna di percepirne la voce.»
Sarebbe stato bello se lo strumento avesse deciso di non farsi maneggiare da nessuna di quelle persone, ma così non fu e, anzi, Zellania perse subito interesse e lo passò all'unico incantatore che non stava recitando un incantesimo; in un istante, Luther sparì in una sacca.
Forse persino il liuto arcano sapeva che la fine di Allan era vicina e aveva deciso di abbandonarlo.
La sorpresa e l'incredulità fecero posto alla collera e dal vuoto scaturì il potere. Levandosi sui gomiti, Allan puntò il principe. Erano simili, loro due: entrambi costretti a nascondersi, entrambi dediti a celare la propria oscurità. Quella del bardo era travolgente e incontrollabile, quella del principe subdola e meschina.
Quale delle due era più pericolosa?
Col respiro spezzato, Allan allungò una mano, ora luminosa quanto una stella, condensando in quell'azione ogni briciolo di energia che gli restasse. La razionalità gli urlava che non aveva senso, che lo avrebbero fermato e sarebbe morto comunque, ma lo avrebbe fatto trascinando quel bastardo assieme a lui.
Othen, però, sgusciò dietro al corpo statico di Jaira, estraendo un pugnale da dietro alla cintura e tenendolo saldo con la mancina, diretto alla gola della donna.
Il lento salmodiare degli incantatori impegnati a tenere a bada Eatiel e a fare chissà che altro fu l'unico suono a fendere la notte per attimi interminabili; persino Zellania aveva indietreggiato per allontanarsi.
«Allan, non costringermi a farlo.»
Othen si espresse monocorde e, con tremiti patetici, il bardo chiuse le dita, disperdendo nel nulla i vortici arcani che già l'avevano circondato e piombando nella disperazione più cupa.
Le ragazze erano vive, forse non volevano farle fuori, riserbando quel destino solo a lui.
Andava bene, andava bene così.
Allan doveva convincersi andasse bene così, altrimenti non sarebbe riuscito a controllarsi e avrebbe segnato la fine di Jaira.
Zellania disse qualcosa a voce bassa all'uomo accanto a lei, attirando l'attenzione; Allan non pensava di potersi sentire peggio, ma vederla estrarre dalla borsa che le stava porgendo una corda già annodata in un cappio perfetto gli fece contorcere le viscere.
Già aveva capito che quella era stata una gigantesca trappola, però il rendersi conto di esserci cascato in quel modo, che tutto fosse stato programmato nei minimi particolari, era devastante.
«La visione...»
Allan bisbigliò, senza smettere di fissare quella corda che sapeva, sì, sapeva fosse per lui.
La negromante zoppicò per raggiungerlo, facendo oscillare l'estremità del cappio come un pendolo sinistro e il tanfo di morte che si portò dietro agì peggio di un presagio funesto. Lei trillò, estremamente divertita, spostando lo sguardo tra lui e l'altra emissaria.
«La visione, dici? Quale visione, cantastorie? Oh, forse quella che io ho mostrato più volte ad Eatiel?»
Mise un'enfasi terrificante su quel pronome e Allan non poté fare a meno di cercare le iridi dell'elfa, bloccata in quella stasi forzata. Ora, però, aveva il viso teso e rigato di lacrime.
Cosa stava dicendo, la negromante?
Non erano stati gli spiriti a donare all'emissaria quegli avvertimenti?
Il volto di Allan doveva essere parecchio confuso, perché Zellania ghignò proprio mentre l'incantatore incappucciato si avvicinava a lui; gli puntò un ginocchio in mezzo alla schiena, mozzandogli quel poco di fiato che ancora aveva in corpo, poi gli afferrò i polsi, legandoglieli insieme all'altezza delle reni.
Come se ce ne fosse stato bisogno... senza Luther, senza parole, senza magia, Allan non era niente.
Othen aveva avuto ragione, il giorno del loro primo litigio.
L'emissaria di Celenwe si umettò le labbra e gongolò, ondeggiando le spalle.
«Credevate di essere predestinati? Vi sentivate in qualche modo speciali? Poveri illusi.»
Porse la corda a Jaira e lei la prese, andando poi verso una bottega dalle finestre serrate, a qualche metro di distanza. Othen rinfoderò il pugnale, tenendo ben salda la spada, poi sospirò.
«È proprio necessario?»
Zellania incrociò sotto al seno il braccio e il moncherino, alzando il mento, per poi rivolgersi ad Eatiel.
«All'inizio non ti volevo uccidere, sai? Forse perché non conoscevo le tue scarse capacità e pensavo che fossi anche un minimo al mio livello. Comunque, come ho detto, sono stata io a mostrarti questi due imbecilli morti, sempre io a donarti la visione del drago che vi ha condotti dal principe. Ogni passo che avete compiuto è stato per seguire il sentiero che io ho tracciato per voi.»
Jaira aveva raggiunto l'insegna dondolante della bottega e l'aveva staccata, spezzando le sottili catenelle che la tenevano ancorata a un grosso pezzo di legno che spuntava dal muro a poco più di due metri d'altezza. Dopo averla gettata a terra, cominciò a legare la corda al legno; c'era uno sgabello abbandonato contro al muro, poco distante.
Mentre Allan veniva fatto alzare di peso, si piegò in avanti per contenere il dolore al torace, tuttavia lo mise da parte perché ormai non poteva andarsene senza sapere.
«Se nulla era reale, allora perché...»
La voce gli fuoriuscì bassa e roca e sentì che c'era del sangue a sgorgargli dalle labbra, a colargli sulla barba e poi al suolo, ma le parole risultarono comunque comprensibili, fintantoché riuscì ad avere il fiato per pronunciarle.
Zellania seguì il suo sguardo e si voltò a osservare cosa stesse facendo Jaira, poi tornò concentrata su di lui con il volto deturpato da una sinistra furbizia.
«Perché così è più divertente, no? La mia profezia fasulla che si autoavvera!»
L'incantatore che lo stava tenendo in piedi lo avvicinò a Jaira mentre posizionava lo sgabello sotto al cappio per poi farlo salire. Quando gli strinse la corda attorno al collo, Allan sospirò, pentendosene subito dopo a causa del dolore.
Il suo cuore avrebbe dovuto pompare frenetico, mosso dalla paura della fine imminente, invece si sentiva stranamente calmo, come se le speranze appena infrante lo stessero facendo collassare nel baratro dell'oblio.
La negromante abbassò il capo, all'improvviso seria.
«Per glorificare la mia Signora, per diventare ciò che sono ho dovuto rinunciare a tutto, anche a...» s'interruppe, dopo aver alzato appena il moncherino. Deglutì e gli occhi le brillarono di furia, mentre si girava verso Eatiel. «Tu a cos'hai rinunciato, eh?» Ringhiò, stringendo le dita, prima di calmarsi e assumere un tono pacato. «Othen ti ha appena spezzato il cuore, ma non mi basta. Siete diventati molto amici, vero, tu e questo menestrello?»
Si fermò, forse per cercare una risposta che l'elfa non avrebbe potuto darle. Othen si era chiuso in sé stesso, poggiandosi a una parete con la testa china, e Zellania lasciò passare un paio di secondi prima di riprendere, permeando le sillabe d'infinità crudeltà.
«Voglio che tu lo veda agonizzare; voglio che tu soffra come ho sofferto e soffro io ogni giorno da quando Celenwe mi ha scelta.»
Perfetto: Allan si sarebbe sentito lusingato che la sua amicizia con l'elfa venisse paragonata all'amore che lei aveva provato per il principe, se solo non avesse significato il morire appeso a una corda.
A ciascun respiro corrispondeva una pugnalata nel torace e non c'era più nessuno a sorreggerlo, ma Allan richiese al corpo ferito ancora un piccolo sforzo per resistere, per non cadere da quello sgabello, come se qualche fugace secondo di vita in più avesse potuto significare qualcosa.
Jaira non lo aveva guardato neanche un istante, ferma a fissare nel nulla, e lui sperò che non si stesse rendendo conto di niente, che fosse rinchiusa in una bolla d'incomprensione e che, se mai l'avessero liberata, non serbasse memoria di quel momento. Era impensabile immaginare che cos'avrebbe fatto se fosse stata conscia di aver lei stessa impiccato Allan.
In quel momento, l'aria secca della notte estiva venne smossa da qualcosa e Allan riacquisì un bagliore di speranza nell'osservare come il vento stesse lentamente cominciando a soffiare tra i presenti.
Uno dei maghi aveva smesso di pronunciare il suo incanto, poggiando le mani sulle ginocchia e ansimando in modo sonoro, e anche gli altri parevano provati. Il viso di Eatiel era mutato e non c'era più l'espressione sorpresa di quando Othen li aveva traditi: ora le sue palpebre erano assottigliate, le labbra tese. Non poteva muoversi, ma sarebbe accaduto molto presto a giudicare anche dall'elettricità statica che a intervalli sembrava zampillarle intorno.
Zellania strabuzzò gli occhi e gridò, quasi inciampando sulla gamba di legno per la foga con cui si era girata verso il principe.
«Muoviti!»
Le folate aumentarono d'intensità e Othen tentennò, fissando a bocca aperta la donna che, Allan ne era certo, lui aveva finto di amare.
La negromante lo chiamò, raggiungendo il fianco dell'elfa, e lui si riscosse, affrettandosi per arrivare da Eatiel; afferrò la spada con entrambe le mani e il sangue di Allan gli si gelò nelle vene, temendo che potesse giustiziarla lì, così, senza pietà.
Non successe, però, perché il principe generò uno dei suoi squarci e Zellania ci spinse dentro l'emissaria, facendola sparire nel nulla.
L'aria tornò silenziosa e Othen lasciò andare l'arma, crollando a terra, svenuto; doveva averla mandata proprio lontano, per finire tanto esausto. La negromante alzò le spalle, estrasse una piccola ampolla dalla borsa da cintura e ne riversò il contenuto nella bocca di Othen, che tossì e riprese conoscenza. Dopo averlo fissato qualche secondo, Zellania guardò Jaira e lei diede un calcio allo sgabello.
Allan avrebbe dovuto aspettarselo, ma sentì comunque il cuore perdere un battito quando la forza di gravità gli costrinse la gola.
«Abbiamo finito, qui.»
L'emissaria s'incamminò lungo la via, seguita dal bambino e dagli incantatori, ora silenziosi, mentre Jaira si fermò per mettersi un braccio del principe intorno alle spalle, aiutandolo a camminare dietro agli altri. Le luci magiche li seguirono, lasciando che l'oscurità s'impossessasse pian piano di quella via.
Allan provò a fare qualcosa, ma le mani costrette dietro alla schiena parevano addirittura appesantirlo e il lento oscillare del suo corpo a pochi centimetri dal suolo non l'aiutò a trovare una soluzione intelligente per scampare alla morte.
Aveva giocato a dadi con Ilimroth troppe volte in quelle settimane di viaggio e, infine, aveva perso.
Senza più fiato, senza più energie, Allan ripensò ai motivi per cui ancora doveva esistere, consapevole che la semplice volontà di sopravvivere non gli sarebbe bastata a cavarsela.
Con la vista che si offuscava, seguì le figure ormai indistinte dei suoi assassini scomparire dietro a un angolo di quel dedalo di viuzze e il cervello razionalizzò solo un pensiero: se ne stava andando al buio, in solitudine e nel silenzio.
Perduto nelle tenebre, la mente gli donò dei suoni, la melodia di quel requiem che mai aveva suonato, come Axsa gli aveva detto. Tra una nota e l'altra, gli sembrò quasi di sentire dei rumori molesti che gli spezzarono il ritmo, poco prima dell'oblio.
Un cigolio.
Un sibilo.
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