26. Instabile e pericoloso

Allan riprese coscienza in tempo per vedere la negromante sparire; il drago, però, c'era ancora.

Rannicchiato in posizione fetale contro alla parete rocciosa, ogni osso gli doleva, i muscoli gridavano e lo stomaco... oh, quello era partito per andare chissà dove.

Fu lottando contro ai conati di vomito che Allan seguì i movimenti del singolare scontro davanti a lui. La razionalità era tornata ed era conscio del terrificante comportamento che aveva tenuto, di ciò che aveva detto. Se il drago non lo avesse sbattuto contro alla parete, forse Allan si sarebbe perso nell'ombra di sé stesso.

Possibile che la parte di anima che aveva abbandonato dentro a Luther contenesse tanta oscurità? In quei momenti era come se esplodesse, offuscandogli la mente.

No, lui non poteva credere di essere tanto orribile. Era il caos, sì: doveva per forza trattarsi del caos, della follia generata da tutto quel potere. La bile e il sangue tra le labbra, il respiro affannoso e la totale incapacità di muoversi lo fecero sentire una creatura inetta, immeritevole della vita.

I suoi compagni stavano affrontando un drago, per le dannatissime stelle di Meg'golun! C'era persino Othen e Allan se ne stava lì, strisciante come un verme, inutile come l'ultimo dei popolani ignoranti.

Non ci era voluto un genio a capire che l'enorme bestia fosse controllata da Zellania, quindi perché era ancora lì a scontrarsi contro i suoi amici? Forse era arrabbiato, forse li riteneva in qualche modo responsabili o forse la negromante era un'ammaliatrice così potente da mantenere quella presa mentale persino dalla distanza.

Jaira urlava mentre lo punzecchiava da sotto, mirando alle zampe, ma il drago pareva più preoccupato di ciò che stavano facendo gli altri due sulla schiena: Eatiel fece scaturire una grande quantità di fulmini diretti al muso, mentre Othen richiamò il suo potere e la spada che teneva in mano cambiò colore, diventando traslucida e brillando di riflessi azzurri sotto alla luce solare.

Certo, il principe non era affatto stupido: quello era un drago, sputava fuoco, cosa c'era meglio del ghiaccio, per ferirlo? Tuttavia Allan gioì per poco, perché Othen prese a concentrare i fendenti sul collo: colpi inutili, poiché le scaglie in quei punti erano pressoché impenetrabili.

Eatiel sembrava volersi avvicinare per toccarlo, ma il drago si dimenò, alzandosi sulle zampe posteriori e sputando un altro sbuffo di fiamme verso l'elfa, che riuscì a schivarlo all'ultimo, volando di lato; Othen, invece, perse l'equilibrio e cadde a terra, atterrando agile sulle gambe.

Pagherete questa umiliazione, insetti. Brucerete nel panico, affogherete nella disperazione.

Come un tuono prorompente, una voce bassa e roca invase il cervello del bardo e doveva essere successo anche ai compagni, perché si bloccarono tutti, impietriti.

Era lui, era il drago che stava in qualche modo parlando, ma lo stava facendo nella sua lingua e Allan dovette concentrare i pensieri su quelle parole gutturali per riuscire a tradurle. Era una lingua antica, difficilissima da memorizzare per gli umani, e non c'era una contrapposizione scritta.

Ma i canti, oh, i canti in draconico erano meravigliosi.

Jaira gridò, portandosi una mano alla testa e anche le espressioni di Othen ed Eatiel lasciarono trasparire l'angoscia. Non lo avevano capito, era evidente, ma il drago era riuscito a terrorizzarli semplicemente entrando loro in testa.

Allan doveva fare qualcosa.

Provò almeno a mettersi seduto e quegli sforzi gli mozzarono il fiato, facendolo rantolare. Doveva avere parecchie costole rotte, forse anche un braccio. Suonare era impossibile e comunque aveva usato troppo potere, esaurendo ogni energia. Luther giaceva accanto a lui, ma era freddo, freddo come il vuoto che sentiva nelle viscere e l'unica cosa che Allan potesse fare era parlare.

Parlare, sì, non gli serviva altro.

Fu mentre la bestia tornava poggiata sui quattro arti e muoveva la coda nel tentativo di sferzare Othen, che il bardo riuscì a puntellarsi sul gomito che gli doleva di meno per poter alzare il busto e parlare abbastanza forte da essere udito.

«Non è noi che dovete attaccare, maestoso drago.» Allan usò la lingua comune, consapevole che il drago lo avrebbe capito e fiducioso che almeno uno tra i compagni comprendesse le intenzioni nelle sue parole. «A rinchiudervi il cuore che batte sottopelle è stata la negromante. Tra le sue braccia, sì, tra le sue braccia siete caduto e lei è anche nostra nemica.»

Riuscì ad attirare l'attenzione, fermando lo scontro per quei radi secondi che permisero a Othen di riprendersi; come lui, anche Jaira socchiuse le palpebre e strinse la presa alla sua arma.

«Allan?»

Eatiel restò ferma a mezz'aria e lo chiamò, ma lui non poté darle attenzioni poiché il drago spostò il lungo collo in modo da fissare lui, emettendo un ringhio a zanne chiuse.

Tu comprendi ciò che dico, umano?

Allan annuì alle parole nella sua testa, sentendo la salivazione aumentare a dismisura con l'avvicinarsi di quel muso terrificante. Abbassando lo sguardo giusto un istante, si accorse che i due spadaccini si stavano muovendo con lentezza e circospezione sotto al ventre della bestia, intenta a guardare lui. Scrutavano in alto, tra le scaglie bianche, avvicinandosi alle zampe anteriori.

Perfetto! Dovevano aver colto il messaggio nascosto!

Allan doveva in qualche modo tenerlo impegnato, anche se una qualsiasi parola fuori posto avrebbe potuto decretare la sua fine.

«Sì, o magnifico, signore del fuoco, figlio prediletto di Ninli.»

Cosa meglio di lusinghe cadenzate con ossequioso rispetto, per accrescere l'ego di una creatura appena risvegliata dal torpore di un ammaliamento?

Allan sperò che fosse vero ciò che aveva letto nei libri, che i draghi tendessero a crogiolarsi nel compiacimento delle adulazioni, e sorrise a denti stretti quando vide i sottili occhi gialli del rettile brillare nello scrutarlo con attenzione, le pupille verticali pregne di curiosità. Non si fermò, facendo andare la lingua lì dove il corpo non poteva condurlo, ostentando una sicurezza data da anni di esibizioni sotto pressione.

«Io vi comprendo perché sono Allan Darwen di Occhio di Mezzo, il più erudito tra gli incantatori delle tre Terre, grande tra gli uomini, ma mai grande quanto siete voi, o immenso.»

La testa dell'essere era ormai tanto vicina da poter sentire l'aria intorno farsi più calda, opprimente, e Allan dovette sforzarsi per evitare di tremare; non sentiva neanche più il dolore alle membra da quant'era l'adrenalina in circolo nelle vene. Il suo campo visivo era oscurato da lui, le iridi fisse a controllare quelle fauci gigantesche che si aprirono appena, emettendo un verso rauco.

Sei stolto, principe dei Darwen, se pensi di evitare la tua fine con false moine. Però potrei lasciarti vivere con l'erede di Reah e ottenere da voi ciò ch—

S'interruppe in modo brusco e ruggì, alzando il collo al cielo.

Allan superò l'iniziale spavento nel constatare che Jaira e Othen erano fermi tra le zampe, con le lame che si perdevano tra le scaglie della bestia, lì dove Allan sapeva ci fosse il cuore, uno dei punti più vulnerabili.

Il drago aveva sottovalutato quegli insetti, peccando d'arroganza, e ora era preda di ringhi strazianti; spalancò le fauci diretto verso il bardo, proprio mentre Jaira estraeva la lama, sporcandosi di nuovo sangue scuro. Allan non avrebbe mai potuto schivarlo, né proteggersi; il braccio gli cedette e tornò prono, chiudendo le palpebre in attesa della fine e sperando fosse rapida, consapevole che almeno i suoi compagni si sarebbero salvati.

Forse Axsa aveva fermato il tempo un'altra volta, però, perché Allan sentì Othen imprecare col tono rotto dallo sforzo ed era piuttosto sicuro di non essere morto. Aprì un occhio solo, dubbioso, e non poté che sorridere entusiasta nel trovarsi davanti la schiena di Eatiel, i capelli di neve smossi dalla brezza, mentre stava ferma a braccia aperte, intenta a ergere la più bella barriera di vento che lui avesse mai visto.

Jaira aveva abbandonato la spada e stava in qualche modo sorreggendo le braccia del principe, ancora impegnate a tenere l'arma nel petto squamoso; Othen fissava quel punto con le palpebre sgranate e persino dalla distanza era visibile una grande quantità di magia arcana sprigionarsi da lui verso l'alto. Il ventre dell'antico rettile era coperto di ghiaccio che andò via via a spargersi lungo il corpo mastodontico e non ci volle molto prima che crollasse di lato, contro alle pareti rocciose, zittendo quei rantoli disperati.

Othen aveva estratto l'arma giusto in tempo per non essere trascinato dalla caduta e tentennò, provato, venendo però sorretto dalla guerriera. Eatiel disperse il suo elemento e s'inginocchiò accanto al bardo, lasciandosi andare in una sfilza di scuse una dietro l'altra. Non aveva nulla da scusarsi, dato che lo aveva appena salvato.

Allan sospirò, riflettendo su quanto fosse vero che stare accanto all'elfa fosse una benedizione: nelle ultime settimane aveva rischiato la vita così tante volte che aveva smesso di contarle, eppure eccolo lì, a imporre la sua esistenza sulle tre Terre, su tutta Endel.

Si sentì rinascere quando le delicate mani dell'emissaria gli sfiorarono la schiena; percepì le ossa risanarsi, le ferite guarire e le dolci parole dell'incantesimo in elfico furono per lui la melodia più incantevole del creato. Ovunque andasse Eatiel, il dolore svaniva. Accettò il suo aiuto per rialzarsi e lasciò che lo abbracciasse, respirando l'aria attraverso quei ricci perfetti, nonostante la battaglia. Forse Allan aveva la mente confusa, ma gli sembrò che odorassero di nuvole e sale, qualsiasi cosa volesse dire.

«Questo mostro è ancora vivo! Sarò io stesso a condurlo da Ilimroth.»

La voce del principe lo riportò alla realtà e Allan lo vide avanzare verso il drago a passi ampi e col viso sporcato dalla furia.

«No!»

Eatiel sobbalzò e si staccò dalle sue braccia, voltandosi verso lo spiazzo roccioso e correndo da Othen. Allan aggrottò la fronte, recuperò Luther e la seguì, constatando come anche Jaira fosse perplessa da quelle azioni.

Il drago era riverso con le palpebre chiuse e tutta l'area sotto al collo si alzava e abbassava frenetica, mentre il sangue sgorgava copioso dalle ferite, insinuandosi tra le scaglie e bagnando la montagna. Othen si era avvicinato fin quasi a raggiungerlo lì dove l'aveva colpito più a fondo; con l'arma in pugno e le sopracciglia ravvicinate, si girò appena verso l'elfa e inclinò il capo.

«No, Eatiel? Perché non vuoi che lo uccida?»

Lei si portò le dita alle labbra e spostò lo sguardo dalla bestia al principe più volte; fu allora che Allan capì.

«Perché se lui muore, diventerà uno spettro... uno spettro gigantesco.»

Il bardo bisbigliò quelle parole con inquietudine e nuovo gelo accompagnò il silenzio che ne derivò, fino a quando Jaira gli posò una mano sulla spalla.

«Andiamocene, allora. Lasciamo che si spenga lentamente: saremo lontani quando accadrà.»

Da com'era sdraiato si poteva scorgere un solo occhio del drago e, quando lo aprì di scatto, Allan sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Eatiel scosse la testa e coprì la mano armata del principe con le sue, fissandolo in viso, seria, determinata. Nessuno la fermò mentre avanzava lenta fino a raggiungere la testa del rettile.

«Io vi curerò, Dooko, è questo il vostro nome? Vi guarirò se promettete di tornare nella vostra dimora, lasciandoci liberi.»

La mano di Jaira sulla spalla del bardo strinse la presa tanto da fargli male, ma lui non si scostò, troppo impegnato a cercare di capire se avesse davvero udito il giusto.

«Sei impazzita?»

Fu Othen a parlare e per una volta Allan si trovò d'accordo con lui, anche se si guardò bene dal farlo notare. Eatiel assottigliò le palpebre, raddrizzando la schiena.

«So che è la cosa giusta da fare. È lui il drago che ho visto, prima di trovare te.»

Othen restò interdetto, impalato come una statua, e fu Jaira a spostarsi in avanti.

«Non possiamo fidarci. Se ora lo rimetti in sesto, non potremo più impedirgli di ammazzarci.»

Il mento dell'elfa tremò appena e lei strinse i pugni lungo i fianchi.

«Non posso lasciarlo morire.»

Non era solo per gli spettri, no, Allan comprese che c'era dell'altro. Eatiel si sentiva in qualche modo legata anche a quella creatura.

Perché? Non aveva senso e non riuscire a trovarne uno lo stava facendo ammattire.

Il tuo cuore è puro, giovane elfa.

La bassa voce del drago tornò nella testa del bardo e doveva averla sentita anche Eatiel, poiché si girò di scatto, avvicinandosi ancor di più alle terribili zanne.

«Cos'ha detto?»

Othen e Jaira guardarono Allan con malcelata preoccupazione e lui sospirò, prima di tradurre. Eatiel sorrise e posò un palmo sul muso di Dooko, tra le narici.

«Penso vi sbagliate: io non sono pura, ma, vi prego, permettetemi di guarirvi.»

La bestia gemette.

Sei un'emissaria degli spiriti, dunque, lo sento. Il tuo cuore è puro, non vi è dubbio. A lungo ti ho cercata, a lungo ho atteso che venissi al mondo. Non ti ucciderò, non ucciderò i tuoi accompagnatori.

Il drago usò un tono diverso da quello che aveva utilizzato in precedenza: un tono pacato, un tono gentile. Allan sentì un pessimo presentimento nell'udire quelle parole e restò in silenzio, mordendosi le labbra, fino a che non fu costretto a parlare da uno sguardo fin troppo eloquente dell'elfa.

«Ti ha riconosciuta come emissaria e ribadisce che il tuo cuore è puro. Dice che non ci ucciderà.»

Non sapeva neanche lui perché avesse omesso una parte della traduzione e si portò una mano a massaggiarsi la pancia, preda di una pesantezza indescrivibile.

«È una follia!»

Othen provò a imporsi, ma Jaira lo trattenne, scuotendo la testa. Senza respirare, Allan fissò Eatiel compiere il suo prodigio. L'iride gialla di Dooko brillò, intensa, quando ogni ferita venne risanata e il bardo indietreggiò abbracciandosi a Luther nell'osservarlo raddrizzarsi sulle quattro zampe. Dooko squadrò nella direzione di Jaira e Othen, poi lui e infine abbassò la testa verso Eatiel. Fu incredibile, ma ad Allan quello parve un inchino.

Non dimenticherò questo giorno, anima pura. Presto ci rincontreremo.

Senza aggiungere altro, Dooko dispiegò le gigantesche ali membranose, smuovendo l'aria e obbligandoli a dividersi nello spiazzo, poi spiccò il volo, diretto verso sud.

«Spero di no...»

Allan si lasciò sfuggire quel commento con l'attenzione puntata alla figura del drago che si rimpiccioliva all'orizzonte e si riscosse quando sentì l'ennesima richiesta di spiegazioni. In fondo non era stato così inutile, visto che senza le sue conoscenze non sarebbero mai riusciti a uscire da quella disastrosa situazione. Si lasciò cadere seduto a terra, allentando la tensione che lo aveva tenuto rigido, poi alzò le spalle.

«Ha detto che ci rincontreremo, ma forse parlava con te, Eatiel.»

«Abbiamo avuto fortuna. Sarebbe potuto andare in modo molto diverso.»

Othen cambiò discorso, sputando veleno con quelle parole pronunciate senza smettere di stringere l'elsa e fissando Eatiel, che si era fatta pensierosa. Jaira incalzò, avvicinandosi al principe con passi pesanti.

«Invece Eatiel ha agito nel giusto, come sempre. Sai in che modo saremmo riusciti a uscire meglio dalla situazione, principe? Se tu fossi stato con noi fin dal principio! Dov'eri, eh?»

Allan strinse le labbra nel vedere che la guerriera si era messa a litigare con Othen, nonostante durante lo scontro lo avesse aiutato con alacrità. Anche lui era curioso di conoscere cos'avesse fatto il principe in quei giorni, ma sentiva un timore profondo e istintivo; Allan era indifeso in quel momento e Othen... i suoi occhi, il suo sguardo era profondamente diverso da quando si erano lasciati.

«Jaira, per favore...»

Eatiel la implorò con tono lamentoso, ma non servì a nulla poiché Othen andò a fronteggiare la guerriera di petto, urlandole a un palmo dal naso.

«Sono tornato, no? Non è quello che conta?»

Jaira ringhiò, senza tuttavia ribattere o indietreggiare, tesa con la spada bastarda che vibrava sotto alla presa tremante. Fu Othen a interrompere quel contatto visivo dopo attimi di gelo, rinfoderando l'arma e alzando i palmi.

«E poi che è successo? Dov'è questa lacrima? Per la misericordia di Galadar, c'era un drago!»

Pareva sconvolto e aveva ragione di esserlo. Vedendo che le compagne tentennavano, Allan si armò di pazienza e decise di essere quanto più sintetico possibile, restando nella sua posizione accucciata.

«Abbiamo stretto alleanza con l'emissaria di Varodil, Axsa, una bambina elfa o—» S'interruppe, brusco, poi tossì e riprese. «Un'elfa dalla pelle nera. La lacrima l'ha presa lei e, usciti dalla montagna, ci ha accolti Zellania con il drago; a quanto pare ora lei può evocare cadaveri ambulanti e controllare le azioni di chi vuole. Il resto lo sai.»

Nuova quiete, inframmezzata dai pensieri. Erano in alto, non c'era vegetazione che potesse frusciare sotto alla spinta della brezza, né uccelli a cantare la propria vita spensierata. C'erano solo loro quattro, distrutti e provati, una superficie in pendenza, pozze di sangue, i monti Nargundush e le pianure di Rosendale all'orizzonte.

Il principe raggiunse Eatiel e alzò una mano per sfiorarla, ma interruppe il gesto a metà, restando come appeso a pochi centimetri dalla sua guancia.

«Quindi, adesso seguirai l'altra emissaria?»

L'elfa si perse in quel volto, si alzò sulle punte e lo baciò, passionale, spingendogli la testa verso la sua in una trappola dolce, inappropriata. Jaira sbuffò e si sedette accanto ad Allan, fissando l'orizzonte oltre il precipizio.

Che disagio, quella situazione era terribile.

La guerriera, ricoperta dal sangue di Dooko, si era dovuta tirare i capelli sporchi indietro, lasciando che le cicatrici fossero ben visibili anche se ormai Allan non ci faceva più caso. Lui si appoggiò a una sua coscia, condividendo un'occhiata comprensiva che valse più di mille parole. A nessuno dei due piaceva Othen, era evidente, tuttavia era indubbio che senza di lui non ce l'avrebbero mai fatta.

L'elfa e l'umano restarono attaccati in quell'abbraccio imbarazzante per un po' e, di sottecchi, Allan vide che fu Othen a spezzarlo. Guardò Eatiel qualche istante, più rilassato, e lei si allontanò, camminando a capo chino verso il bordo del baratro. Lì giunta, Allan temette volesse buttarsi, ma lei sembrò respirare a pieni polmoni, per poi voltarsi a guardarli con le mani dietro alla schiena.

«No, non seguirò Shi'nnyl. Gli spiriti vogliono che io la fermi, ma non ho più intenzione di sottostare alle loro pretese. Per colpa di quest'inutile incarico stavamo per morire e non sono disposta a mettervi a rischio ancora, non per loro.» A ogni nuova negazione, la voce le diveniva più forte e decisa, facendo sì che tutti pendessero dalle sue labbra. «Forse verrò punita per questa scelta, ma l'ho presa io, liberamente, e almeno voi resterete al sicuro.»

Jaira si alzò.

«Quindi finisce così? Scenderemo da questa montagna e torneremo alle nostre vite?»

Quella era una domanda retorica posta con rabbia sfrontata. C'era una pesante insoddisfazione nella guerriera e Allan la capiva, in fondo, poiché erano nella stessa situazione: nel regno del drago dormiente erano ricercati, lui non avrebbe mai potuto mettere piede nella sua vecchia casa a Occhio di Mezzo e anche Lebrook era divenuta inaccessibile dopo il siparietto in cui l'aveva trascinato il principe.

Eatiel, però, sorrise.

«Ora è Othen ad avere bisogno di noi. La giustizia deve tornare nella sua terra e, se riusciremo ad aiutarlo, potremo vivere a Reah da uomini e donne liberi.»

Lo sguardo del principe si fece liquido e lui si lasciò sfuggire un singulto; la raggiunse, fermandosi davanti a lei e stringendole le mani.

«Oh, Eatiel, io non ti merito.»

Allan restò muto e fu Jaira a interrompere quel quadretto idilliaco, incrociando le braccia per quello che l'armatura le concedeva e alzando un sopracciglio.

«E come potremmo fargli riconquistare il trono? Siamo in quattro! Vi ricordo che siamo dovuti scappare da Reah e ora proponete di tornarci?»

Othen la scrutò, poi parlò con l'attenzione spostata su Allan, ancora fermo seduto tra le rocce.

«Forse non saremmo mai dovuti andare via. Proprio perché siamo in quattro, infiltrarci a Tareah potrebbe risultare più semplice. Possiamo mascherarci con le illusioni e abbiamo un ammaliatore per obbligare mio fratello a dire la verità.»

Quell'uomo aveva il deretano al posto della faccia.

Allan tamburellò sulla cassa armonica di Luther, adagiato sulle gambe incrociate, incapace di trattenere un sonoro verso di sdegno.

«Stupefacente come ogni tuo piano preveda di sfruttare le mie capacità.»

Eatiel si nascose il volto in una mano e Jaira rise, dandogli man forte. Othen, però, non parve lasciarsi travolgere da quella provocazione e restò calmo.

«Mi sembra ovvio, principe dei Darwen. Sei il più erudito tra gli incantatori, grande tra gli uomini.» Gli aveva appena fatto il verso, ripetendo ciò che lui aveva detto al drago per tenerlo occupato, però non c'era traccia di ironia o scherno, quasi come se Othen ci credesse davvero.

Infatti, Allan non riuscì a interromperlo e lui continuò. «Se non vuoi unirti a noi, lo capisco, comunque. Sarebbe coerente col tuo passato: già una volta sei fuggito, lasciando Reah al suo destino.»

Ecco, alla fine ce l'aveva fatta a insultarlo.

«Sei incredibile.»

Fu Jaira a parlare, minacciosa, ma Eatiel si mise in mezzo; Allan non aveva alcuna intenzione di sorbirsi una nuova sviolinata su quanto lei stesse male nel vederli battibeccare come bambini, quindi sospirò, esasperato.

«Sono disposto a seguirti, principe, se prima ci rendi partecipi di ciò che ti ha portato ad allontanarti da noi.»

Era una richiesta legittima, no? Rischiare la vita per uno stupido principe non gli andava troppo a genio, visto che almeno prima lo stava facendo per un bene superiore. Jaira non parve molto contenta di quella risposta, ma non s'intromise, lasciando che Othen ci riflettesse qualche istante.

«Sono cose personali, non posso dirvelo.»

Parlò in un sussurro, senza riuscire a guardarlo in faccia.

Jaira restò a bocca aperta e le labbra di Allan si allungarono in un ghigno sottile; si puntellò su un ginocchio per alzarsi, imbracciò Luther giusto come velata minaccia e schioccò la lingua sul palato.

«Non puoi avere segreti con noi e pretendere la nostra fiducia.»

Il principe esitò e guardò Eatiel, ma il viso dell'elfa esprimeva curiosità e lei alzò le spalle.

«Ha ragione, Othen.»

Lui s'irrigidì, poi si portò una mano al collo, tirando una catena argentata fino a rendere visibile uno strano amuleto con un'ametista incastonata al suo interno. Allan strabuzzò gli occhi e fece un passo indietro per istinto, riconoscendo quell'oggetto magico.

«Per questo, Allan. Avevo bisogno di una sicurezza in più.»

Othen parlò cupo, restando al suo posto accanto all'elfa.

«Che cos'è?»

Fu Eatiel a porre quella domanda mentre Allan già stava indietreggiando col cuore che aveva preso a martellargli frenetico nel petto. Othen guardò la sua amata, il viso pieno d'amarezza.

«Questo è un oggetto magico di protezione: chi lo indossa diviene immune ai controlli mentali.»

Retrocedendo, Allan inciampò e perse l'equilibrio, finendo sul suolo roccioso e restandoci, con una mano a sorreggersi il capo.

«Fino a questo punto hai paura di me? Sei rimasto indietro solo per poter essere sicuro di vincermi in ipotetici quanto improbabili scontri futuri?»

Othen annuì, senza pietà.

«Sì, Allan. Tu sei instabile e pericoloso.»

Ahia, quello aveva fatto davvero male.

La cosa che lo distrusse di più, però, fu che non riuscì a dargli torto. Quanto tempo sarebbe passato prima che il potere lo consumasse? Prima che il liuto lo trasformasse in un mostro?

Né Eatiel né Jaira lo contraddissero, limitandosi a restare ferme a osservare quella scena patetica. Già, anche loro erano d'accordo, quindi. Eppure Allan che scelta aveva avuto? Loro gli avevano chiesto di aprire il passaggio, loro avevano fatto crollare la montagna obbligandolo a usare quell'infame strumento per salvarsi.

Il precipizio che si stagliava imponente sotto di loro sembrò quasi una metafora della sua vita: le situazioni in cui si erano cacciati per aiutare Eatiel e in cui sarebbero finiti seguendo Othen lo fecero arrivare a una conclusione devastante: non doveva più chiedersi se avrebbe attinto ancora al potere di Luther, ma quando. Tra gli spartiti, inoltre, ora c'era anche il Requiem dell'abisso donato dallo spirito della magia, scritto col sangue della sua emissaria.

Othen avanzò verso di lui, dissipando quei pensieri tormentati, e Allan sentì la paura invaderlo forse più di quanto avesse provato contro al drago. Almeno, da un rettile antico sapeva ciò che doveva aspettarsi: ali, scaglie, zanne e artigli: lo diceva la sua canzone.

Othen, invece, era un'immensa incognita.

Allan perse un battito quando il principe si bloccò davanti a lui ed era probabile che la sua faccia fosse un libro aperto sul terrore dell'anima. Si strinse inutilmente a Luther, mentre Othen lo fissava dall'alto al basso.

«Adesso anche la negromante è un'ammaliatrice, giusto? Vedila così: questo amuleto ci proteggerà contro di lei, non contro di te, fratello

Come in una singolare memoria passata, Othen gli tese la mano aperta, gli angoli delle labbra un poco all'insù, e Allan fu costretto a stringergliela, tremante.

Di nuovo.

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