22. Axsa (parte 1)
Tra Lebrook e i monti Nargundush non c'erano grandi città; in realtà non c'era quasi nulla a parte piccoli agglomerati campagnoli nati sulle rovine di innumerevoli guerre. La pianura brulla era stata il terreno perfetto per grandi battaglie e i segni degli incantesimi più devastanti si potevano ancora scorgere lungo la via, lì dove il verde dei campi s'interrompeva in modo brusco a formare crateri desolati di forme insolite, di certo non naturali.
Assieme alla zona a est di Appdale, l'immenso territorio fungeva da principale fonte di sostentamento agricolo per l'intera regione e Allan si stufò presto di quell'estenuante cavalcata per strade di terra polverosa. Jaira si era messa a capo della spedizione e li faceva riposare di rado, sfruttando le ore di luce con giusto delle pause per mangiare qualche razione donata dai cultisti di Ilimroth e far riprendere i cavalli.
L'ottavo mese dell'anno era alle porte e il cielo era stato terso e privo di nubi, rendendo le montagne ben visibili. Vederle ingrandirsi a ogni nuova alba non faceva altro che aumentare l'ansia nel cuore del bardo: la lacrima era caduta davvero vicina.
Il terzo giorno, infatti, avevano raggiunto un villaggio con un centinaio di abitanti e, sotto suo consiglio, Jaira si era tolta i drappi che coprivano l'emblema, tornando a interpretare il ruolo della rosa di Lebrook. Di fronte a una guardia reale, i popolani non avevano avuto remore a raccontare loro ciò che sapevano.
Proseguendo verso est, in perfetta linea d'aria con la capitale, sorgeva Gila, una cittadina di uomini e nani proprio a ridosso delle pendici della catena montuosa; nonostante la popolazione fosse esigua, quel posto era conosciuto perché da lì partiva uno dei sentieri più trafficati per scalare le vette e raggiungere Stayston senza bisogno di fare il giro lungo per la foresta di Beofild.
A quanto pareva, la lacrima era caduta nei pressi di Gila e i tre raggiunsero il paese al tramonto del settimo giorno. Finalmente avrebbero potuto dormire almeno una notte in un letto, ma prima le due donne insistettero per cercare informazioni più precise sul luogo dell'impatto.
A neanche tre ore a piedi, costeggiando il fianco della montagna verso nord, c'era un insieme di caverne e passaggi ramificati in profondità, davanti al quale sorgeva un insediamento di minatori; degli uomini provenienti da lì giuravano di non aver mai assistito a uno spettacolo del genere. L'arrivo della palla di fuoco blu, così la chiamarono, e il terremoto conseguente avevano fatto collassare su sé stesse parecchie delle aperture per le miniere e nessuno aveva avuto il coraggio di addentrarsi negli stretti cunicoli, poiché più si scendeva e più ci si avvicinava al territorio di un clan di goblin che spesso aveva infastidito i minatori.
Allan aveva assimilato quelle informazioni con una punta di scettica speranza: non aveva alcuna voglia di affrontare quei piccoli esseri stupidi e malevoli, quindi sarebbe stato bello se la lacrima li avesse spazzati tutti via. Non ne parlò con le ragazze, ma dai loro volti aveva dedotto che avessero pensato la stessa cosa.
Eatiel era irrequieta e Jaira volle muoversi prima dell'alba, che comunque fu mascherata dai fianchi del Nargundush. Visto che si sarebbero inoltrati in grotte anguste, lasciarono i cavalli nelle stalle di Gila e proseguirono a piedi; la luce del mattino li circondò giungendo tenue, soffusa dalle ombre dell'immenso muro di pietra alla loro destra. Una brezza leggera rendeva il clima quasi primaverile e c'era calma lungo il sentiero un poco scosceso.
Allan si rese conto dell'angoscia che stava crescendo in lui anche per il fatto che desiderava tenere Luther tra le braccia, ma non per suonarlo. Aveva la gola riarsa, eppure sudava. Anche volendo, pronunciare suoni comprensibili gli sarebbe stato difficile.
Perché lo stava facendo? Perché continuava a seguire le due donne, osservando l'ondeggiare dei loro fianchi senza provare alcun piacere, ma solo paura? Era per il potere che si era risvegliato in lui? Per la visione dell'elfa che preannunciava la sua morte?
Forse, sì... Allan sentiva prossima la falce di Ilimroth, tanto da percepirne il taglio dietro al collo, ma non aveva intenzione di dargliela vinta. Lui doveva sopravvivere e raccontare ai posteri quella straordinaria storia in modo da far tornare in auge la verità sugli spiriti, in modo che Alanmaeth non dovesse più disperarsi.
Allan non poteva morire.
Fu cercando in sé la determinazione a compiere ogni passo che raggiunsero l'insediamento dei minatori. Un forte odore di bruciato gli riempì le narici ed era ben visibile del fumo salire, scuro, dalle abitazioni.
«Cos'è successo?»
Jaira parlò con tono rotto dall'inquietudine e affrettò il passo fin quasi a correre; seguendola, Allan rabbrividì nel constatare che delle piccole case dei minatori in legno e paglia erano rimasti solo monconi più o meno conservati. C'era stato un incendio e, a giudicare dal fumo, non doveva essere stato estinto da molto.
Eatiel bisbigliò qualcosa d'incomprensibile e gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre Jaira sembrava posseduta da una rabbia cieca che la portò ad avanzare spavalda lungo le vie deserte tra le abitazioni.
Già, deserte... Cos'era quel silenzio?
Per strada c'era del sangue.
Dov'erano le persone? Dov'erano i cadaveri?
Allan sentì il cuore pompargli frenetico nel petto e prese a guardarsi intorno con un terrore crescente, lasciando che la consapevolezza di ciò che doveva essere accaduto gli riempisse la mente di immagini grottesche.
Raggiunsero una piazzola con un pozzo di pietra ed Eatiel ci si sedette sopra, portandosi le mani tra i candidi capelli e abbandonando lo sguardo tra i sassi ai suoi piedi.
«Vivo o morto, non c'è nessuno. Perché non c'è nessuno?»
Jaira strinse i pugni coperti dai guanti d'arme.
«Zellania... quella lurida negromante è arrivata prima di noi.»
Allan deglutì e si abbracciò i bicipiti per non tremare, abbassando le pupille al suolo. Tra le rovine di quel villaggio devastato c'erano parecchie pozze di sangue raggrumato e impronte confuse che andavano verso nord.
«Come ha fatto? Lei non era a Rosendale durante la caduta.»
La voce di Eatiel gli giunse distante, poiché Allan si era focalizzato a studiare quelle orme. Stringendo le palpebre e umettandosi le labbra, si scostò dalle due donne per raggiungere una pozza più strana delle altre: era allungata e le tracce di scarpe insudiciate di rosso andavano nella direzione opposta rispetto alle altre. Colto da una curiosità morbosa, le seguì a passi lenti e misurati.
«Allan?»
Jaira lo chiamò proprio mentre lui stava svoltando l'angolo di una parete spessa e bruciacchiata che, però, non era andata distrutta del tutto. Sentì l'armatura muoversi dietro di lui e si bloccò col fiato a morirgli in gola, quando notò che c'era un nano adagiato contro il legno, sanguinante e con i piccoli occhi chiusi. Indossava pantaloni lunghi e una camicia senza maniche a brandelli e si stringeva le muscolose braccia al ventre, lì dove c'era una lunga ferita. La barba e i capelli neri e crespi parevano un'unica entità e le labbra carnose erano appena visibili sotto ai baffi. Dopo un primo attimo di sbigottimento, Allan si abbassò per raggiungerlo e gli portò due dita alla carotide. Era incosciente, ma vivo.
«Eatiel!»
Urlò con quanto fiato poté e sentì Jaira imprecare alle sue spalle. L'elfa arrivò rapida e per poco non gridò, portandosi le mani alla bocca, poi s'inginocchiò accanto a lui e posò i palmi sul petto del nano.
«I aharnië, nestuva.»
Ciò che era ferito, verrà risanato.
L'incantesimo di cura riempì le membra del moribondo e all'istante il suo respiro si fece più forte. Ci volle qualche secondo, però, prima che lui aprisse le palpebre, poi le sbatté più volte, intontito, e si concentrò sul viso di Eatiel, ancora accostata a lui; sobbalzò, buttandosi di lato per scostarsi da quel contatto.
«Ah, un'elfa!»
Lei si spaventò, gemette e Allan si mosse per andarle davanti e proteggerla dal tozzo essere che ora aveva i bulbi oculari gonfi e protesi, gli arti a ricercare la stabilità del muro dietro di lui. Parlò in nanico e Allan non ebbe difficoltà a capirlo.
«Per la misericordia di Ninli, prima i draghi e ora gli elfi?»
Draghi?
Jaira si fece tesa e afferrò il nano per le spalle, sollevandolo di peso e sbattendolo contro alla parete per avere la faccia all'altezza della sua. Se non fosse stata una situazione orrenda, Allan avrebbe anche potuto trovare divertente quell'insolita sensazione di già visto che lo colse nel guardare la guerriera infervorarsi in quel modo.
Umani, nani o qualsivoglia creatura, doveva essere un vizio di Jaira quello di inchiodare la gente contro ai muri, prima di presentarsi.
«Cos'hai visto? Cos'è successo qui?»
Il nano provò a divincolarsi da quella stretta, ma doveva essere provato a causa della ferita poiché non ci riuscì e cominciò a bofonchiare parole nella sua lingua in toni allarmati; parlava rapido e quell'idioma non era tra i preferiti di Allan, ma lui aveva studiato abbastanza per capire che stava insultando le sue amiche con epiteti razzisti, sproloquiando su cadaveri ambulanti e draghi sputafuoco.
«Parla la mia lingua!»
Jaira gli gridò in faccia e Allan sentì la fretta d'intervenire farsi incombente nel constatare che il minatore stava raccattando saliva nella bocca, nel probabile tentativo di sputarle nell'unico occhio visibile, visto che non aveva l'elmo e si era messa i capelli a coprire le cicatrici.
«Aspettate, aspettate! Jaira, per cortesia, lascialo libero!»
La guerriera si voltò, spiritata, e lui la guardò con volto supplicante per ottenere ciò che voleva: lei riappoggiò a terra il nano, ma restò ferma a un passo da lui per impedirgli di andarsene. Prima che il minatore potesse riprendere a sproloquiare in modo incoerente, Allan si avvicinò e gli sorrise, cordiale, optando per usare il nanico e metterlo a suo agio, nonostante avesse difficoltà a pronunciare quei suoni gutturali e non ne conoscesse alla perfezione la grammatica o il lessico più ricercato.
«Non devi arrabbiarti con noi. La mia amica elfa ti ha salvato, eri ferito. Vedi? Ora non lo sei più.»
Quello si accigliò e si concentrò su di lui, prima di tastarsi la pancia, sorpreso.
«Se ciò che dici è vero, fai spostare questa cosa.»
Le due donne li stavano fissando con la fronte aggrottata, ma lasciarono che Allan si occupasse della diplomazia senza fiatare e lui fu felice che Jaira non potesse capirlo, altrimenti temeva che il nano avrebbe fatto una pessima fine. Lui alzò una mano per posarla sulla spalla della guerriera e si espresse calmo, nascondendo la paura che gli aveva stretto lo stomaco.
«Lo stai mettendo a disagio, lascia che respiri e parlerà.»
Era improbabile che il nano non comprendesse il linguaggio comune degli umani, quindi Allan aveva detto quelle parole guardando lui e, quando Jaira si spostò, parve rilassarsi. Tossì e si guardò intorno, poi la furia nei suoi lineamenti si tramutò in tristezza e scosse la massiccia testa, appoggiandosi al muro con la schiena.
Allan attese, paziente, con le due donne dietro di lui, tanto vicine da poter sentire il respiro di entrambe. Alla fine, il nano rialzò lo sguardo, divenuto acquoso.
«Il mio nome è Thali e lavoro da più di quindici anni in queste miniere. Stavamo dormendo quando è divampato l'incendio. Sono uscito e ho visto un enorme drago rosso, così grande che superava le case di due volte. Sputava fiamme ovunque e non potevo lasciare che distruggesse tutto.» Si toccò il ventre. «Mi ha fatto volare all'indietro, squarciandomi come un dannatissimo prosciutto! Ho visto i miei compagni morire uno dopo l'altro, bruciati o infilzati dagli artigli. Sono riuscito a trascinarmi qui dietro e, lo giuro, le fiamme si sono estinte da sole. Non capivo più niente, però sono certo di aver sentito la voce di una donna. Poi... poi si sono rialzati, capite? Io lo sapevo che la caduta di quella stella avrebbe portato guai. Ora Celenwe si è impossessata di questa terra e siamo tutti condannati.»
Quando Thali si zittì, contemplando la devastazione di quella che era stata la sua casa, Allan si concesse un lungo minuto per metabolizzare quelle informazioni. Eatiel tremò appena, ferma a capo chino in un abbraccio solitario.
«Zellania è riuscita a portare un drago dalla sua parte e si è fatta un esercito. A quest'ora sarà già nelle miniere con la strada spianata. Come possiamo fronteggiarla? È inutile.»
Jaira l'affiancò, accogliendola tra le braccia per stringerla. C'era poco da fare, in effetti. Già la prospettiva di affrontare una negromante aveva portato Allan a dubitare di arrivare vivo alla fine della giornata, se poi c'era anche un vero drago a entrare nella scacchiera di quella partita tra spiriti... Le cose si stavano facendo incontrollabili.
«Siete amici della gnoma?»
La domanda di Thali colse Allan impreparato, ma Eatiel trattenne il fiato in modo rumoroso e si scostò da Jaira, raggiungendo il nano e abbassandosi con la schiena alla sua altezza.
«Una gnoma? Chi era?»
Quello parve disgustato, forse dalla vicinanza con un'elfa, e si allontanò verso la piazza.
«Non lo so, non ha detto il suo nome e non l'ho vista in faccia. Era piccola, ammantata, tutta vestita di nero e con lei c'erano due umani, cacciatori di goblin a giudicare dall'armamentario che avevano. Sono arrivati ieri notte e hanno voluto entrare nelle miniere senza neanche aspettare l'alba.»
Eatiel s'illuminò e si voltò verso Allan e Jaira, spostando gli enormi occhi azzurri tra loro.
«Era Shi'nnyl, ne sono certa. Lei è già dentro, potrebbe essere in pericolo, potrebbe essere vicina alla lacrima. Io devo andare.» Si rivolse a Thali e congiunse le mani davanti al petto. «Vi prego, indicatemi la via che hanno preso per entrare.»
Le cespugliose sopracciglia del nano si unirono a formare un'unica linea, alzandosi al centro della fronte mentre lui apriva la bocca, facendosi gobbo.
«Un'elfa che prega un nano... assurdo.»
Jaira seguì i loro movimenti e Allan esitò, prima di fare lo stesso. Inclinò appena la testa quando vide Thali allungare l'indice verso nord.
«Le tracce portano alla bocca principale delle miniere, l'unica rimasta intatta. Un drago non potrebbe mai entrarci. Non è qui, non è lì, magari sta aspettando.»
Allan portò un arto dietro alla schiena in modo istintivo, andando a sfiorare la cassa armonica di Luther e ricevendo in cambio una lieve scossa di energia.
«Se davvero Zellania ha un essere del genere a fare da guardia all'ingresso, non riusciremo mai neanche ad avvicinarci.»
Eatiel si fermò e parve una statua, poi si perse a scrutare il cielo, rabbrividendo.
«Voi tornate indietro con Thali. Io troverò un modo per entrare.»
Diede loro le spalle e s'incamminò per la via di terra e sangue, facendo ondeggiare le braccia come se stesse correndo anche se la sua andatura era piuttosto lenta. Jaira batté un piede al suolo e l'armatura tintinnò, poi la raggiunse e le afferrò un polso.
«Non ti lascerò andare al suicidio.»
Eatiel provò a liberarsi con forti strattoni.
«Devo raggiungere Shi'nnyl!»
Allan sbuffò.
«Neanche la conosci. Perché è così importante?»
Eatiel smise di tirarsi il braccio e lo fissò, col respiro affannato e la sclera arrossata intorno alle iridi. Le labbra tremarono, poi il vento cominciò a soffiare più forte.
«Non posso sottrarmi, non posso lasciarla combattere da sola.»
Jaira digrignò i denti, ma le lasciò il polso per poter alzare le braccia al cielo.
«Non sappiamo se sarà dalla nostra parte. Se anche riuscissi a infiltrarti nelle miniere, cosa ne sai che lei non proverebbe a ucciderti come ha fatto la negromante?»
Eatiel negò con la testa più volte e il vento si fece rabbioso, obbligando Allan ad allargare le gambe. Anche la gonna e le maniche della tunica verde dell'emissaria sferzavano l'aria, alzandosi, col tessuto che impattava su sé stesso producendo suoni sordi che si unirono agli ululati tra le abitazioni in rovina.
«Non m'importa! Voi non avete visto ciò che succede a chi si tira indietro, io sì. In un modo o nell'altro, arriverò alla lacrima.»
L'emissaria urlò quelle parole con una decisione che rasentava l'isteria e Jaira la chiamò, portandosi gli avambracci a proteggersi il volto. Fu quando Allan perse l'equilibrio e volò a terra di schiena, che il vento cessò di colpo. Luther non aiutò ad attutire quel colpo e, anzi, accentuò l'umiliazione aggravandola con una forte dose di dolore che l'obbligò a strizzare le palpebre, gemendo.
«Allan, scusami!»
Eatiel corse a inginocchiarsi accanto a lui e lo aiutò a mettersi seduto.
Che vergogna, abbattuto da quella leggera brezza... più simile a un uragano, in effetti. Jaira non ne aveva risentito perché era più solida di una roccia, mentre il nano... dannazione, il nano! Dovevano averlo terrorizzato, povera creatura.
«Voi non siete normali.»
Allan seguì quella voce bassa e biascicata, girandosi verso il pozzo e si stupì nel vedere Thali ancora lì, dietro alla bassa parete di pietra circolare. Il bardo si massaggiò la pelle sotto al liuto trattenne a stento una risatina.
«Definisci normali.»
Nell'incredulità delle due donne, Thali alzò le spalle.
«Se davvero volete addentrarvi nelle miniere, io conosco un'altra via.»
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