16. Il liuto arcano (parte 1)
Luther era pesante, ma non in senso fisico. Eatiel aveva deciso di portarlo sempre con sé, così come faceva Allan; stando in contatto con quell'oggetto ne percepiva il potere in modo costante e non era qualcosa di positivo. Lei non era abituata alla magia arcana, non la conosceva neppure, tuttavia Allan gliel'aveva affidato perché sapeva quanto fosse pericoloso. Non poteva essere lasciato incustodito.
Agli spettri non piaceva e si lamentavano di continuo, arrivando a tirargli addosso ogni piccolo oggetto che riuscissero a possedere. Eatiel decise di passare sulla coffa quanto più tempo possibile e per fortuna Othen le restò accanto, alleggerendo le ore e tutto quel peso.
Jaira era irrequieta, i marinai erano irrequieti e l'elfa avrebbe tanto voluto che quell'atmosfera di tetra tensione scomparisse. Il sommo Kenner aveva loro concesso di mangiare in solitudine nelle cabine, ma Jaira non accettò. Lei non aveva paura della gente su quella nave e non faceva altro che fissare la botola della stiva dove avevano rinchiuso Allan. Il secondo giorno riuscì a entrarci e si perse lo spettacolo dell'arrivo a Occhio di Mezzo.
Navigando con papà, Eatiel ci era stata moltissime volte poiché era la città mercantile più importante delle tre Terre. Essendo fondata su una piccola isola tra Reah e Rosendale, era neutrale e ai sovrani dei regni conveniva; avere un porto sicuro dove poter effettuare i propri commerci con gli altri continenti era fondamentale per tutti. C'era pace a Occhio di Mezzo e innumerevoli razze convivevano in tranquillità all'interno delle sue mura.
Mentre il veliero si avvicinava, Eatiel decise di scendere dall'albero e osservare la città ingrandirsi dal ponte sul castello di prua. I marinai erano troppo affaccendati per infastidire lei o Othen e restarono entrambi in silenzio, godendo di quello spettacolo.
Qualche nuvola vaporosa si muoveva rapida nell'azzurro, ma i raggi solari riuscivano a colpire la pietra bianchissima, facendola risplendere in modo quasi accecante.
Nella parte più alta della città c'era uno dei templi di Deladan più grandi delle tre Terre e la cosa era giustificata dal fatto che la bellezza fosse insita in ogni cosa, tra le vie e i palazzi. Occhio di Mezzo si sviluppava in altezza lungo il fianco di una morbida collina e l'architettura era formata da edifici massicci con guglie appuntite che si stagliavano all'orizzonte, crescendo come a voler toccare il cielo.
Subito dietro a una quantità spropositata di moli adatti ad accogliere qualsiasi tipo d'imbarcazione, bandiere triangolari di un rosso vivo sventolavano dai tetti spioventi e dalle torri delle mura che si estendevano lungo la linea della costa. Al centro di quelle insegne c'era lo stemma della famiglia che sovraintendeva l'intera isola da parecchie generazioni: un occhio dall'iride nera, tra onde del mare stilizzate. Era l'emblema della città, ormai attribuito ai Darwen.
Anche se non erano ancora approdati, Eatiel scorse che gli enormi portoni erano spalancati e c'era vita ad attraversarli, una grande quantità di vita palpitante. Poteva immaginare i viandanti, i mercanti e gli artigiani, i cittadini che correvano a passo svelto per le vie in pendenza, perfettamente ciottolate.
La sporcizia era bandita dalle strade, la criminalità era quasi assente e non c'era un singolo edificio di legno. Il marmo bianco era ovunque, con le sue venature rosa e azzurre; persino il più umile tra i popolani viveva in una struttura di solida pietra.
Sull'isola non c'erano foreste né miniere, non c'erano campi coltivati né allevamenti, ma le risorse abbondavano grazie al commercio. I migliori tra i fabbri, i sarti e gli artigiani di ogni genere erano annoverati tra i cittadini di Occhio di Mezzo e le loro prestazioni costavano parecchi Zuli. L'economia girava in modo controllato e sorprendente, soprattutto grazie all'oculatezza dei Darwen, ritenuti all'unanimità come la famiglia di umani più saggia, intelligente e giusta che Endel avesse mai conosciuto. Non si erano mai attribuiti il titolo di re o sovrani, ma gli abitanti dell'isola li consideravano tali da secoli.
«Un posto incantevole, ci sono stato da ragazzo. Però temo che sarà più saggio restare sulla nave oggi.»
Othen parlò trasognato, coi gomiti poggiati alla murata e il mento abbandonato su un palmo. Eatiel gli si avvicinò, intrecciando le dita tra le sue.
«Hai ragione, siamo troppo vicini a Reah ed è meglio non farci vedere. Qui siamo protetti dai cultisti di Ilimroth, a terra non possiamo sapere chi potrebbe esserci.»
Si sedettero contro al legno e osservarono il via vai dei marinai. Eatiel dovette combattere contro l'impulso di aiutarli; avrebbe voluto arrampicarsi sugli alberi e ammainare le vele assieme a loro, ma nessuno si fidava di lei da quando Luther era sulla sua schiena.
Raggiunsero i moli dopo una mezz'ora e anche Jaira spuntò in quel momento, salutandoli con un cenno e accomodandosi accanto a Othen, silenziosa come suo solito. Sembrava più rilassata rispetto ai giorni precedenti; era possibile che passare del tempo con Allan le avesse fatto bene ed Eatiel ne era felice.
Dal posto in cui si erano accomodati era possibile osservare la passerella per salire e scendere dalla nave e il sommo Kenner, con la tunica cerimoniale, il fedele bastone e l'apprendista al seguito, fu uno dei primi a mettere piede sulla terraferma.
«Ho sentito dire che ripartiremo questa sera stessa, dopo un rapido rifornimento.»
Jaira parlò sovrappensiero e Othen alzò le spalle.
«Meglio così.»
Nell'arco di un paio d'ore, cinque cultisti salutarono i compagni e scesero dal veliero, facendone poi salire altrettanti. Anche se tenevano il cappuccio fin sopra la fronte, parevano tutti uomini abbastanza giovani, a parte l'ultimo che arrivò assieme al sommo cultista. Era l'unico ad avere la testa scoperta e dai corti capelli brizzolati spuntavano due inconfondibili orecchie da mezz'elfo; aveva giusto qualche ruga agli angoli degli occhi e una vecchia cicatrice sull'imberbe mento squadrato. La maggior parte degli adepti degli spiriti erano magri, ma lui no e, anzi, la tunica grigia faticava a nascondere un corpo tonico. Era più alto del sommo Kenner di almeno una spanna e i due discorrevano in modo allegro, come vecchi amici; ben presto, sparirono nella cabina del capo dell'ordine.
Eatiel e i due compagni recuperarono del cibo dalle cucine e si chiusero nel cubicolo dell'elfa per mangiare. Dovettero accendere delle candele e parlarono a lungo di ciò che aveva fatto il bardo. Jaira lo difese a spada tratta, ma Othen pareva dubbioso: nonostante durante il viaggio avesse riso e scherzato con lui, arrivò a definirlo instabile.
Eatiel restò zitta e seguì il litigio dei due umani, combattuta. Lei sapeva che doveva essere il liuto la parte principale del problema e ancora le rimbombavano in testa le ultime parole che Allan le aveva detto. Se avesse esposto loro ciò che credeva, però, avrebbero potuto prenderla per pazza o, peggio, decidere di liberarsi dello strumento. Forse un po' lo voleva anche lei, ma non era giusto nei confronti di Allan.
«Non ha avuto altra scelta! Voi come avreste reagito nell'essere attaccato?»
«Io so come rendere inoffensivo un attaccabrighe, Jaira. Non uso le arti arcane per qualsiasi piccola o grande incombenza.»
«Be', non tutti sono come voi. Non potete biasimare chi è diverso, non potete riportare ogni cosa alla mera forza fisica.»
«Vi state scaldando per niente. Io non l'ho mai giudicato, anzi, ammiro le sue doti da incantatore. Dico solo che avrebbe potuto agire in modo diverso. Siamo un gruppo e non possiamo permettere che uno di noi si esponga in questo modo, che ci metta a rischio.»
Parlavano, parlavano, ed Eatiel non riusciva a guardarli. Gli spettri gongolavano e li scimmiottavano, ripetendo all'infinito le loro incomprensibili parole, ma col tono dei due umani. La guerriera aveva la voce acuta e tremante, Othen provava a essere diplomatico, ma si percepiva la sua irritazione. Quando Jaira ripeté per l'ennesima volta che Allan non aveva avuto scelta, l'elfa si alzò dal pagliericcio, gobba e con l'attenzione alle assi del pavimento.
«Discutere in questo modo non serve a nulla; sembrate due bambini. Il passato non si può cambiare e Allan sta pagando per le sue azioni. Siamo un gruppo, è vero, quindi dovremmo essere tutti più uniti.»
Non aspettò una risposta e si diresse decisa fuori dalla porta: aveva bisogno di aria pura. Il vento rispose al suo richiamo andando a carezzarla non appena raggiunse la murata di babordo e lei inalò quanta più salsedine possibile, riempiendosi i polmoni. Il tramonto era prossimo e con esso l'addio a Occhio di Mezzo. I moli si erano svuotati e l'equipaggio era impegnato nelle operazioni di partenza. Era strano farlo di sera, ma il sommo cultista aveva promesso che avrebbero raggiunto Lebrook il prima possibile.
«Per la falce e la clessidra, ma quello? Non è possibile!»
Eatiel trasalì e si voltò di scatto nell'udire quella voce sconosciuta. A qualche metro da lei l'ultimo cultista salito sulla nave la stava indicando con l'indice teso e le palpebre sgranate. Subito accanto c'era il sommo Kenner, in silenzio e a capo chino; sorrideva, semi nascosto dal cappuccio. Il mezz'elfo si portò una mano alla testa e incalzò.
«Un'elfa? Chi siete? Dove avete preso quell'oggetto?»
Eatiel si era portata le braccia al petto, spaventata, e ci mise qualche istante per rendersi conto che l'adepto di Ilimroth non stava indicando lei, ma il liuto. Othen e Jaira la raggiunsero e il principe si frappose tra lei e il mezz'elfo.
«Non sono affari che vi riguardano.»
Quello restò interdetto e lo sguardo si riempì di furia.
«Mi riguardano eccome, invece! Non posso sbagliarmi: quello è il liuto arcano che appartiene alla famiglia Darwen da innumerevoli generazioni. Il suo potere è pericoloso, ingestibile per gli umani, ed è rimasto ben protetto tra le mura della dimora dei sovraintendenti per secoli prima che fosse rubato, sedici anni fa. Nessuno l'ha più visto. Mai avrei immaginato di riscoprirlo tra le mani di un'elfa e nella casa di Ilimroth.»
Othen s'irrigidì e Jaira si coprì la bocca spalancata, mentre Eatiel sentiva il cuore battere sempre più rapido. Il vento li sferzò da più di una direzione, scompigliando i capelli e facendo vibrare le tuniche dei presenti. Gli spettri gridarono in preda al panico e lei ne comprese il motivo quando avvertì il suo stesso braccio alzarsi, le dita andare a sfiorare il manico di Luther senza che lei ne fosse consapevole.
Accettami, Eatiel, e domineremo sui mortali.
L'elfa trattenne il fiato e bloccò il braccio prima che potesse toccare il liuto, lottando contro sé stessa. Il tempo parve fermarsi mentre le parole le riempivano la mente; era sicurissima che quella fosse la voce di Allan.
Non parlare con lui, non accettare alcun patto.
Due cose semplici, eppure il potere che ora percepiva danzarle intorno era invitante.
Come bloccata in un'esperienza extracorporea, Eatiel vide Othen e Jaira venir spinti in avanti, le persone intorno a loro portarsi le braccia a difesa del volto per combattere contro una forza invisibile. Li vide rimpicciolirsi e capì dopo qualche attimo che era perché il vento l'aveva circondata in un turbinio vorticante, trascinandola verso l'alto. Il potere arcano si mischiava in esso, lottava contro al vento e avrebbe potuto giurare avesse un colore, anche se non poteva vederlo con gli occhi.
Quel potere era rosso, sì, rosso come il sangue.
Smetti di respingermi. Ti rivelerò i segreti di questo mondo, ti condurrò a verità che ti eleveranno al di sopra di chiunque. Con la tua forza spirituale e la mia magia, saremo inarrestabili.
Una seconda voce maschile si mischiò con quella di Allan ed entrambi le parlarono all'unisono, ma quel tono arrogante e borioso non poteva appartenere al suo compagno.
No, Eatiel non avrebbe accettato.
C'era un motivo se il bardo aveva chiesto proprio a lei di portare quel fardello e la spiegazione poteva essere solo una: Allan sapeva che lei non si sarebbe lasciata ammaliare. Eatiel si calmò e chiuse le ciglia.
«No.»
Il vento turbinava incessante, spargendo il caos sul ponte della nave, ma lei era serena.
Mosse il braccio e strinse le dita attorno al manico di Luther, desiderando di poter incontrare i proprietari di quelle voci ostili e maliarde.
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