13. Invisibile
I caldi raggi del sole colpivano Eatiel senza impedimenti, il vento la carezzava bonario, trasportando la salsedine e rinfrescandole le membra.
Avevano lasciato Neley quella mattina e, non appena la costa aveva smesso di essere visibile, lei aveva sentito il bisogno di arrampicarsi sull'albero maestro per raggiungere la coffa e lì godersi la vista dall'alto. Ignorando i borbottii degli spettri e tenendosi ben salda con le dita alla ringhiera della stretta piattaforma semicircolare, l'elfa era tornata con la mente alle memorie di tutti gli anni passati per mare con suo padre.
Starsene ore nel punto di vedetta dell'imbarcazione era il suo passatempo preferito: dalla coffa il colore del mare era brillante e lo sferzare del vento più intenso. Osservare le vele gonfiate le ricordava le nuvole nel cielo e lo sciabordio dell'acqua si univa ai sibili dell'aria in un'armonia ricca di pace.
L'orizzonte era ciò che più Eatiel amava guardare, dove cielo e mare si univano in un'unica entità. Aveva sempre sentito il richiamo di quella linea, cancellandola in lei come se i confini non esistessero. Solo ora ne capiva il motivo, poiché Serendhien era più viva, lì dove l'acqua si fondeva con l'aria. Visibile e irraggiungibile.
Le mancava la nave mercantile di papà, le mancava lui. L'unico che l'avesse sostenuta, proteggendola dalle dicerie e dalle cattiverie.
Tua figlia è maledetta, Enwelion! Ha ucciso sua madre e la morte la segue.
Eatiel strinse la ringhiera, mordendosi le labbra. Scacciare quei ricordi era impossibile.
Maledetta, sì. La cosa che più la devastava era il fatto che avessero ragione.
Uno degli spettri cominciò a piangere e l'elfa sapeva che si trattava di lei, Tinuviel, la prima anima mai imprigionata in lei: la mamma.
Nonostante gli spettri fossero condannati a dimenticare chi erano stati, Tinuviel soffriva quando Eatiel ricordava il passato. Papà non l'aveva mai accusata e aveva venduto e abbandonato ogni cosa per poter andare a Ellothlond e acquistare la nave che li avrebbe condotti lontano, dove nessuno sapesse cosa Eatiel fosse e chi l'accompagnasse.
Stai compiendo una follia! Gli spiriti sono distanti da lei e portarla per mare vi condurrà alla rovina!
Ha ucciso sua madre, ha ucciso il saggio Delelror e ucciderà anche te!
Il vento è ribelle intorno a lei; i suoi capelli sono quelli degli elfi oscuri, dediti al caos.
Se salperete, non vedrete l'alba di un nuovo anno.
Non andare, Enwelion! Lascia che gli spiriti mettano fine alle sue sofferenze; lascia che Ilimroth l'accolga.
L'aria la consolò con una sferzata gentile che asciugò la lacrima sulla rima dell'occhio prima che potesse cadere. Era bambina quando avevano lasciato Aldarmar, il Reame Frondoso, ma lei rammentava. Gli adulti pensavano che lei non li udisse quando si chiudevano nelle altre stanze con suo padre; quanto si sbagliavano.
Erano passati sette anni dall'incidente, da quando avevano perso la nave e con essa tutto ciò che avevano; da quando Eatiel era fuggita di soppiatto nelle terre degli umani. Papà non le avrebbe mai permesso di andarsene, se glielo avesse chiesto. Chissà se la stava ancora cercando o se, come gli aveva suggerito nella lettera che gli aveva lasciato, era tornato a Nionimren per ricominciare una vita normale senza di lei. Lo sperava: Enwelion meritava un po' di serenità.
«Ecco dove vi eravate nascosta!»
Eatiel trasalì e abbassò lo sguardo per seguire quella voce, ritrovandosi un poco perplessa nel vedere il principe Othen appeso all'albero, tra le vele. Lei si appiattì contro la ringhiera per permettergli di salire sulla piccola piattaforma, osservando i suoi muscoli tendersi nello sforzo di issarsi, ben visibili poiché indossava una leggera camicia di lino a maniche corte, sbottonata sul petto, e dei pantaloni larghi che gli lasciavano scoperti i polpacci. Una volta davanti a lei, Othen fissò il basso da quell'altezza, poi fischiò appena e le sorrise, allungando le braccia per tenersi alla ringhiera e sfiorandole, così, le braccia e i fianchi a essa attaccati.
«Abbiamo il vento a favore: giungeremo a Occhio di Mezzo molto in fretta e credo che voi c'entriate qualcosa.»
In effetti era una cosa che accadeva spesso anche quando era piccola: se la nave su cui stava era un veliero, allora era certa che mai il vento sarebbe stato a sfavore. Forse anche per quello le memorie dei decenni che aveva passato da mercante erano quelle che serbava nel cuore con maggiore gioia, visto che i marinai che papà aveva assunto erano sempre felici di averla a bordo. Erano stati come una famiglia e ora, per colpa sua, erano morti o dispersi.
Una folata più forte delle altre mosse sulle sue forme la lunga tunica di seta bianca come una bandiera, mentre i capelli di neve si mischiavano a quelli corvini del principe, lasciati anch'essi sciolti, difficili da domare. Lui pareva teso, in bilico coi piedi sul bordo della piattaforma, forse per evitare di schiacciarla, e ad Eatiel non sfuggì il modo in cui lo sguardo gli continuava a passare dal suo viso al ponte della nave, sotto di loro.
«Il vento mi comprende. È stato il mio primo amico.»
Quasi come se l'avesse sentita, uno sbuffo selvaggio deviò dalla direzione consona e spinse in avanti il principe con violenza, facendolo sbilanciare e finire addosso a lei. Petto contro petto, i visi vicinissimi. Lei rimase con le braccia rigide lungo i fianchi e quell'inaspettato contatto le tolse il fiato, azzerandole i pensieri e portando la sua concentrazione nelle iridi celesti dell'umano.
Lui, invece, dopo un primo attimo di sorpresa, allungò il sorriso e restò immobile.
«Io non sono vostro amico?»
Eatiel avvampò, sentendo le guance andare a fuoco e il cuore accelerare; la cosa fu imbarazzante, poiché Othen era pressato su di lei e di certo si doveva essere accorto di quei cambiamenti. Gli spettri ghignarono e l'elfa abbassò il capo, perdendo il controllo.
«Voi, voi sì, anche voi siete mio amico. Mi avete salvata, avete... avete accettato di viaggiare con me, nonostante tutto.»
Othen staccò una mano dalla ringhiera e le prese il mento tra due dita, accompagnandolo con dolcezza verso l'alto per incrociare di nuovo i suoi occhi.
«No, voi... tu hai salvato me.»
Perché sembrava che quelle parole nascondessero mille significati?
Lui era raggiante ed Eatiel trovò obbligatorio allungare le dita a sfiorargli una guancia, mentre le pupille presero a vagare sui suoi lineamenti fino a raggiungere le labbra sottili, troppo invitanti: sarebbe stato un crimine lasciarle da sole.
Eatiel chiuse le palpebre e lui comprese, poiché si avvicinò di più e la baciò dapprima in modo casto, poi si lasciò travolgere dalla passione. Gli spettri urlarono e fischiarono, persino, eccitati e gongolanti. Per Eatiel non fu difficile ignorarli e concentrarsi sull'uomo, su quel bacio che per lei era il primo; se ne rendeva conto solo in quel momento, mentre le loro lingue danzavano e le dita si perdevano tra i reciproci capelli mossi dalle correnti.
Era bello, era intimo e puro, in un certo modo, perché sembrava che i loro corpi si muovessero in sintonia, legati da qualcosa che lei aveva percepito fin dalla prima volta in cui l'aveva visto in quel lurido vicolo a Bawic.
Spezzarono quella piacevole unione e ripresero fiato, gioiosi nel sorridere a un centimetro l'uno dall'altra. Othen provò ad allontanarsi un poco, ma Eatiel gli afferrò il tessuto della camicia e lo trattenne in un gesto istintivo.
«Tu sei il drago.»
Bisbigliò, poggiando i polpastrelli sulla pelle nuda del suo petto, sotto ai vestiti, e lui annuì.
«Per te, posso essere qualsiasi cosa.»
L'elfa si sentì strana, le viscere aggrovigliate e la pelle che ormai andava a fuoco, ma era felice. Si conoscevano da poco, eppure qualcosa le diceva che non c'era posto più accogliente delle braccia del principe, dove trascorrere il resto dei suoi giorni. Lui guardò verso il basso e indicò qualcosa.
«Ho le allucinazioni o Jaira si è messa un abito da donna?»
Eatiel corrugò la fronte e si sporse, constatando che in effetti la guerriera stava vagando per il ponte a passi affrettati e guardandosi intorno, indossando una tunica verde che non le aveva mai visto addosso. Gli spettri risero, maleducati, mentre Eatiel restò in silenzio e la seguì per qualche secondo, fino a che non la vide sparire sottocoperta.
«Deve essere andata a pranzo. Che dici, la imitiamo?»
Othen trasudava tranquillità da ogni poro e aveva parlato con una certa convinzione, tuttavia Eatiel non aveva alcuna voglia di allontanarsi da lui. L'erede di Reah sapeva chi lei era, cosa fosse; conosceva la sua maledizione, eppure non aveva avuto timore di starle accanto. Quando aveva chiesto aiuto era accorso da lei, apparendo dal nulla, e le aveva detto che la voleva proteggere.
Nessuno a parte suo padre l'aveva fatta sentire accettata; nessuno l'aveva trattata come una persona e non come un essere strano, alieno, da schernire o di cui approfittarsi.
Allan e Jaira non contavano poiché continuare a vederli morti le aveva fatto sviluppare un attaccamento diverso, morboso, d'obbligo, che le ricordava quando lei fosse diversa.
Vicina a Othen, invece, Eatiel non era più una ragazza maledetta, non era più un'elfa o un'emissaria; non era più nemmeno una bambina, ma semplicemente una donna. Quella piccola consapevolezza la pervase, facendole capire cosa lei volesse davvero. La lingua le guizzò sulle labbra, prima che la bocca le si storcesse un poco di lato.
«Io non ho fame.»
Forse era stato il tono malizioso che aveva usato o forse il linguaggio del suo corpo a sorprendere il principe che rimase un istante accigliato, prima di sbuffare una risatina.
«Be', dobbiamo comunque scendere.»
Eatiel inclinò il capo, pensierosa.
«Vai prima tu e aspettami.»
Othen alzò un sopracciglio, poi estrasse un nastro sottile dalla tasca dei pantaloni e legò i capelli, litigando contro al vento, prima di afferrarsi alle corde dell'albero e cominciare la discesa, attento ma rapido.
Lei lo scrutò tutto il tempo per accertarsi che non gli accadesse nulla e rise quando lo vide alzare la testa a osservarla con un palmo a coprirsi gli occhi dal sole. Scavalcò la ringhiera della coffa e percorse qualche passo sul legno del pennone, attenta a non calpestare le corde che tenevano le vele e allargando le braccia per mantenersi in equilibrio.
L'aria le faceva ondeggiare i capelli, la gonna, e smuoveva le lunghe e ampie maniche della tunica, ma non la intralciava, anzi, pareva cullarla tra le correnti. Si sentì chiamare ed era proprio lui, col naso all'insù e un'espressione preoccupata sul viso. Gli spettri borbottavano, tuttavia l'elfa non si era mai sentita tanto viva e sicura di sé come in quel momento. Abbassò le braccia e prese un lungo respiro ricco di salsedine e pace, prima di buttarsi.
Fu meraviglioso, liberatorio, ed Eatiel dovette preoccuparsi solo di tenersi abbassata la gonna, poiché il vento la circondò, frenando la sua caduta e tramutandola in una morbida discesa a spirale che terminò su Othen, già pronto ad afferrarla. Lasciò che lui la sorreggesse e gli portò le braccia intorno al collo, ridendo anche per l'espressione attonita del principe. Coi capelli legati in quella coda, i lineamenti spigolosi del suo volto risultavano marcati e lo rendevano ancora più interessante.
«Mi hai fatto prendere un grande spavento! È proprio vero che sei amica del vento.»
Incurante dei marinai e dei cultisti che avevano visto la scena, fermando le loro attività e ammutolendosi, lei sbatté le ciglia un paio di volte, poi gli rubò un piccolo bacio e assaporò l'odore del suo collo, posando la guancia nell'incavo.
«Però amo i draghi.»
♪ ♫ ♪
Dov'erano finiti tutti?
Quello era un veliero grosso, ma Jaira non riusciva proprio a capire quali fossero i posti dove nascondersi. Erano partiti da qualche ora e lei se n'era stata alla sua amaca tutta la mattina, leggendo uno dei testi sacri dei cultisti di Ilimroth pur di tenere la mente impegnata.
Allan era stato via l'intera prima notte che avevano passato in porto e lei non aveva chiuso occhio, tesa nell'immaginare cose terribili. Poi, però, era tornato alle prime luci dell'alba e non aveva dato alcuna spiegazione; il suo orgoglio le aveva imposto di non chiederne.
Non si erano praticamente più parlati neanche nei due giorni passati ad attendere la partenza e Jaira non riusciva a capire se le dispiacesse oppure no. Aveva trascorso il tempo con Eatiel e Othen, mentre il bardo pareva aver scelto la solitudine. Quando s'incrociavano lui sorrideva e a volte Jaira sentiva le melodie del liuto provenire dai dormitori o da qualche parte tra i ponti e i castelli della nave, ma qualcosa era cambiato.
Stritolò il cucchiaio con lo sguardo perso nel vuoto, incapace di bere anche solo un altro sorso di quella zuppa di verdure. Il refettorio, illuminato dalle piccole finestre circolari lungo lo scafo, era composto da tre lunghi tavoli di assi e sei panche, in modo da creare quanti più posti a sedere col minimo ingombro. I cultisti mangiavano tra loro, così come i marinai, e lei se ne stava sola in un angolo. Allan non era ancora arrivato e neanche gli altri due.
«Si saranno gettati in mare.»
Bisbigliò a sé stessa, poi si trattenne dallo sbattere un pungo al tavolo.
Ma magari! Che si buttassero pure, che sparissero tutti! Infine lei sarebbe stata libera, in pace!
Un gruppetto di marinai cominciò a ridere e Jaira non ebbe bisogno di voltarsi per capire che si stavano prendendo gioco di lei. A Lebrook nessuno si era mai permesso di farle notare quanto strana potesse sembrare una donna tutta muscoli di quasi due metri con indosso una tunica decorata, ma nella sua città lei era ben voluta, era capita.
A Lebrook, Jaira non era un mostro e si sentiva bella sia in armatura che con gli abiti di seta; avrebbe potuto brandire una spada o una rosa e non ci sarebbero state differenze. Adesso, invece, desiderava rimpicciolirsi, diventare invisibile.
Abbassò il capo e lasciò vagare le memorie, tornando al primo incontro con Lisandra, ai loro appuntamenti segreti, alle notti di passione. Presto, però, il viso della regina si frappose a quello dell'elfa. Eatiel le somigliava così tanto e non solo fisicamente: era dolce, gentile, e pareva fragile e indifesa, ma la sua anima era forte. Ascoltava con attenzione e rispondeva pacata, trovando sempre la cosa più intelligente da dire, senza offendere nessuno.
Pensare a lei le provocava le stesse sensazioni che solamente Lisandra era riuscita a donarle e Jaira era combattuta, poiché era evidente che l'elfa avesse un debole per il principe. La situazione era caotica, quindi perché lei continuava a indugiare su quei pensieri frivoli e inutili? C'erano in gioco le loro vite e il destino di un regno, no, di due regni! E poi, il casino con gli spiriti che Jaira non aveva compreso a pieno. Lei era una guerriera, era stata una comandante e avrebbe dovuto comportarsi come tale.
Si sforzò di finire la zuppa per affrettarsi ad andarsene, constatando che la mensa si era riempita e lei era stufa di mascherare il disagio che sentiva nello stare a volto scoperto in mezzo a tutte quelle persone. Si alzò e tornò sul ponte a passi rapidi, felice di sostituire il vociare fastidioso della gente della nave con il rumore delle onde. La giornata era incantevole e il vento pareva soffiare solo sulle vele, poiché la nave non rollava in modo eccessivo.
Aguzzò lo sguardo e scrutò da poppa a prua, ma dei suoi compagni non c'era traccia. Prima di recarsi a mangiare era andata a bussare alle loro cabine e le aveva trovate vuote, però era passato del tempo; forse erano tornati. Raggiunse la base del castello di poppa e si apprestò a bussare alla porta di Eatiel, ma si bloccò quando vide che quella di Othen era socchiusa e dall'interno sembravano provenire dei versi singolari.
Strinse il pugno contro al petto, indecisa e col cuore a mille, mentre sentiva gocce di sudore gelarsi dietro al collo. Avrebbe dovuto voltarsi e andarsene, avrebbe dovuto farsi gli affari suoi e sparire nel nulla, ma il suo corpo si mosse, lento e silenzioso. Non c'era nessuno, in quel momento, che potesse vedere ciò che stava facendo, quindi si avvicinò allo spiraglio e sbirciò dentro, trattenendo il fiato.
Eatiel dava le spalle alla porta, stando in ginocchio sul pagliericcio con le gambe aperte; era nuda e la morbida chioma ondulata le percorreva la schiena fino ai glutei, muovendosi sinuosa assieme a lei. Non era sola, visto che sotto di lei c'era un uomo supino di cui Jaira riuscì a scorgere solo le gambe, incastrate tra quelle di lei, e i lunghi capelli neri che ricadevano lungo il lato del giaciglio.
La guerriera indietreggiò prima di farsi scoprire e si portò le mani alle labbra, scuotendo la testa.
Che idiota, che razza di stupida era stata. Eppure lo sapeva, no? Lo sapeva che non avrebbe mai avuto speranze. In fondo, essere invisibile non era ciò che più desiderava?
Poteva quasi sentire il rumore del suo cuore che si lacerava ed era lo stesso dei colpi di frusta, del lento scorrere della lama sulla pelle della faccia.
Affinché nessuno più venga ammaliato dal tuo viso.
Nascose il volto tra le mani e si morse le labbra, correndo verso la scala che l'avrebbe condotta sottocoperta.
Che Meg'golun fosse dannato, lei voleva essere invisibile per tutti, tutti! E invece ogni fottuta persona su Endel poteva vederla, tranne lei: tranne Eatiel.
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