Chiara - II

«Elia.» lo saluta Chiara, inginocchiandosi deferente, sottomessa all'autorità del porporato e al vicario generale dell'Ordine.

Il sole pomeridiano, al suo massimo fulgore nello zenit, dipinge e plasma il chiostro di lunghe ombre. China ossequiosa il capo davanti al prelato, baciandogli l'anello.

«Vostra Eccellenza Reverendissima.»

Ugolino dei Conti di Segni, cardinale di Ostia, patrono della loro comunità, protettore e amico di Francesco, luccica, impreziosito e appesantito dalle vesti del suo stato. Simulacro di un santuario, fermo, granitico, glabro come un neonato.

Le sorelle si sono volatilizzate all'interno del convento. Una tortora tuba nell'aria pregna di calore. L'aroma dei gerani, in vasi delineanti i colonnati, stordisce.

«Rialzati pure figliola.» le fa cenno il cardinale, la mano in un guanto immacolato guarnito d'oro. Il mantello ingemmato sparge per il chiostro ondate di sfavillanti colori, stridente con la povertà dominante del circondario.

Chiara, in osservanza del voto d'obbedienza, rispetta il comando.

Elia di Buonbarone, loro nuovo superiore, primo compagno di Francesco, suo amico... può ancora reputarlo tale?

Basterebbe un'ispezione veloce a scovare già le prime incongruenze urtanti con la Regola. La prima, la vera, dei Fratres. Il modello approvato oralmente dal Santo Padre - sia benedetta l'anima sua - Innocenzo Terzo. Un cappello piccolo e tondeggiante, della foggia di un Giudio in sinagoga il sabato, calcato sulla tonsura brizzolata. Un saio pulito, intonso dallo sporco e dalla sozzura del servizio.

Elia e la sua Regola Bollata, le sue pressioni su un Francesco stremato e assalito dai dubbi, dalla forte propensione alla solitudine. Più insisteva e più l'altro si ritirava negli eremi, una fuga dal mondo complicato, dagli affanni e quesiti ridondanti di nuovi fratelli numerosi, numerosissimi, più esigenti, più accomodanti, ai quali la vita degli albori, libera e basilare, sposati a Madonna Povertà, mal si conciliava.

La diffidenza di Angelo è fondata, in parte. Francesco ha davvero ammorbidito la Regola, modificandola, diluendo di molto il messaggio evangelico che voleva ci fosse alla base, oppure Elia e i piani alti hanno inficiato con il loro zampino?

Ormai è fatto. Solo per i Fratres. Chiara ha in mente una regola apposita per le Sorores, vergata di suo pugno. Saranno ramo dell'albero di Francesco, in seno alla famiglia, ma autonome.

Se solo la Curia l'accettasse! Una donna che pensa una Regola per altre donne. E allora? Che c'è di pericoloso o sovversivo?

«Abbiamo trovato un medico a nostro avviso competente e preparato.» Elia fila dritto al punto. «Esaminerà Francesco, lo sottoporrà a una nuova cura agli occhi. Potrebbe guarirlo. È di Rieti. Naturalmente ciò implicherà che-»

Chiara sospetta cosa implicherà. Un errore. «È ancora troppo presto.»

«Non puoi accudirlo qui in eterno Chiara. Necessita di cure, cure vere e specializzate. Se questa soluzione si rivelerà vincente-»

«Non lo sarà.» Chiara s'irrigidisce. «Quello di cui Francesco ha bisogno è il conforto e la vicinanza in momenti difficili come questo. Lo state torturando inutilmente in trattamenti da cui non ricaverete altro che un pugno di mosche.»

«Chiara.» Elia tenta la diplomazia. «È naturale e perfettamente comprensibile quanto tu gli voglia bene e tenga al suo giovamento. Proprio per questo ti dovrebbe risultare evidente come un prolungamento del suo soggiorno presso di voi sarebbe deleterio alle già precarie condizioni di Francesco.»

Lo pretende ancora. Avventarsi su di lui, esporlo come un'icona, un ninnolo, una bandiera sotto la quale raggruppare proseliti, e affondare gli artigli nella sua carne stanca. Non qui. Ha chiuso Elia.

«Non l'avete già sfiancato a sufficienza?»

Un'audacia basente Elia e Ugolino. «Chiara?»

«Ha accondisceso alle tue inoponate richieste Elia, ha riscritto la Regola da capo, zittendo i suoi dubbi e le sue idee. Ha soppresso il vecchio per lasciar spazio al nuovo, adottando le aggiunte da te consigliate.» Lui e altri. «È distrutto, ha compiuto tutto il possibile. Ora lascialo in pace.»

«Chiediamo solo di curarlo!» s'intromette Ugolino.

«Di massacrarlo. A Francesco servono quiete e ristoro.»

Elia è contrario. «Cosa sai tu cosa serve a Francesco?»

Conosco il suo cuore, è un frammento di me. «Tu come sai di cos'hanno bisogno i novelli frati?»

Colpo incassato in maniera maldestra, impreparata. «L-Li ho ascoltati! Ponevo orecchio alle loro rimostranze e ai loro problemi mentre Francesco predicava in Oriente presso il Gran Sultano!»

E per ringraziarti ti hanno eletto al vertige della dirigenza?

«Devoti di Cristo che considerano un'utopia vivere il Vangelo letteralmente... ossimoro non trovi? Paradossale.»

«Perché non può essere altrimenti Chiara! Il mondo, il mondo reale, non è un'idillio campestre di tramonti e papaveri e topaie di lebbrosi da raddrizzare. Ci sono stimoli, pretese da soddisfare, bisogni materiali di cui occuparsi.»

«Poveri con sofferenze da alleviare, cibo e assistenza da donare, elargirla gratuitamente, fino all'ultimo respiro. Incombenze a cui possiamo ottemperare noi, con il lavoro delle nostre mani e il sudore della nostra fronte. La Provvidenza in cui confidare. Amare, amare senza aspettarsi nulla in cambio.»

Il messaggio di Cristo. Amare fino in fondo, spendere fino all'ultima goccia di se stessi. La vita che Chiara ha scelto, per cui ha lottato. L'ideale di Francesco.

Non ci rinuncerà per tutte le comodità e le agiatezze del mondo.

«Uno sogno.» lo etichetta cinico Elia.

«Una realtà.» s'impone Chiara. «Possibile.»

Elia ha smesso di crederci da molto. Una fantasia inquinata. «Non più.»

Sono su piani incompatibili. Chiara volta loro le spalle, sospira, uno scorcio della vallata fertile e verde nel reticolo di casupole di San Damiano.

«Lo potrete chiedere a Francesco stesso.» conclude. «Quando si sentirà maggiormente in forze. Sta riposando al momento.»

«Comprendiamo.»

Ugolino ed Elia smontano dalla scena in un fruscio di vesti, baluginio di gemme e tristezza interiore. Elia ha smarrito la retta via. Ugolino immette ingerenze di Papi e vescovi e Curia senza che qualcuno l'abbia richiesto.

L'Ordine esiste, sopravvive, saldo.

Ma non è più lo stesso.

Chiara si circonda il corpo con le braccia, il saio ruvido raspante sulla schiena, e si ricorda che i cocci di questo vaso lei potrà riassemblarli. Con buona lena e tenacia. Coraggio e determinazione.

I frati si sono sistemati. Direzionerà le sue sorelle.

E il carisma di Francesco non scolorirà nella sua Regola.



Vinta la guerra le famiglie nobili scacciate si rimpadronirono d'Assisi.

Lo zio Monaldo gongolava lieto, una litania d'improperi aggrovigliati nella barba plumbea indirizzati a quei guastafeste presuntuosi d'artigiani tonti, come aveva preso a schernirli.

Una torva di sciocchi che s'illudeva di ribaltare l'ordine costituito. Lo sanno tutti, ghignava Monaldo, che Iddio Nostro Signore ha concepito la società in fasce, così come ha creato diversi uccelli e diversi animali. Un tordo non potrà mai sperare di diventare un falco o una colomba aspirare alle giravolte spettacolari di un'allodola.

Un'allodola.

Spiccavano il volo intorno alla case d'Assisi, le allodole, uno stormo che si librava libero nell'aria, innalzandosi al cielo e poi calando a picco, in una danza piumata. Calzavano il piumaggio della terra e nella terra costruivano i loro nidi.

Chiara le contemplava garrire nel cielo azzurro e le invidiava. Erano libere. Niente vincoli. Niente catene. I loro parenti non stressavano a proporre matrimoni e mariti. Penenda era convolata a nozze. Era giunto il suo turno ora.

Si poteva rimandare di qualche anno, va bene, ma una ragazza così bella e di buona famiglia si sarebbe accasata di certo con un facoltoso, blasonato partito!

Francesco le osservava, le allodole tinte di terra e polvere, e rifletteva.

Il loro primo incontro, saltando quel secondo eclatante di sguardi? Nella campagna che avvolge Assisi, se la memoria l'assiste. Ragazzi. Dodicenne o tredicenne lei, circa, una donnina in miniatura. Andante sui ventidue o ventitré lui.

Egualmente persi, nella natura e in un futuro fosco.

«Sei il figlio di Bernardone vero?»

Lui sussultò, il suo nascondiglio un cantuccio tra i papaveri frementi nel pomeriggio afoso. Spostò il sguardo, liquido e afflitto, su di lei, pesante come se trascinasse un macigno. Chiara, un canestro di pagnotta da regalare ai lebbrosi, i capelli biondi e fluenti una cascata di luce, gli sorrise.

Forse gli stava arrecando disturbo.

«Scusami.» si affrettò a rimediare all'impaccio. «Non volevo infastidirti. È solo che sembravi...» Ebete adesso che l'aveva sobillato dai vagheggi. «... strano.»

«Mi sento strano.» mugugnò sottovoce Francesco.

Assisi ci sparlava sopra delle sue stranezze. Fallita l'avventura crociata il figlio del mercante di tessuti si stava adattando alla vita di bottega. Convincere il cliente, adocchiarlo, commerciare le stoffe più belle e raffinate nelle fiere di Provenza e Champagne, nei mercati caleidoscopici della Borgogna.

Un abito che gli andava stretto, ciarlavano le comari, sussurravano i bambini, sghignazzavano fradici di vino gli uomini nelle taverne.

«Ho sentito dire.» riportava Penenda a cena, a pranzo, ovunque traesse pretesto per smerciare informazioni e succose novità. «Che una volta, in bottega, è entrato uno straccione. Un logoro mendicante a fare la carità. E indovinate cos'ha fatto il nostro Francesco? Dapprima l'ha scacciato in malo modo, dopodiché, qualche minuto dopo, gli è corso dietro e l'ha abbracciato! Un mendicante! E come se non bastasse si è pure sfilato i suoi abiti e gliel'ha dati!»

«La prigione ha tolto qualche rotella a quel ragazzo.» commentava lo zio Monaldo e infilzava i suoi cosciotti, il forchettone in comunione al tavolo unto.

Chiara non era convinta che Francesco fosse matto. Allora lei, che in segreto portava viveri e supporto a quelle povere anime sventurate morte al mondo, era ancora più matta di lui.

«Vorresti venire insieme a me?» gli pose discreta.

«Dove?»

«Ad aiutare degli amici.»

Venne Francesco, impallidendo alla vista del fatiscente lazzaretto. Un tugurio tomba di uomini e donne e bambini sepolti vivi. I lebbrosi. Provava, Francesco, una fobia immane nei riguardi dei lebbrosi. Le loro piaghe infette, le ulcere crostose, gli arti che si decomponevano e seccavano, aprendo gorghi sanguinanti e pustolosi.

La campanella immancabile, foriera di morte viva.

Quel giorno, contrariamente a ogni pronostico, la paura non prevalse.

Chiara se lo pittura dinanzi, un quadro limpido.

Francesco che, all'apparenza, retrocede, mosso dal ripugno. Il lebbroso più vicino, un uomo, il bastone scampanellante suo sostegno, seduto a una roccia. Chiara era indaffarata a servirli, a spezzare pane e rammendare bende. Francesco che emerge dalla vegetazione, arranca verso il pover'uomo, e si fionda su di lui, circondandolo in un abbraccio. Il prigioniero che, invano, si divincola, stupefatto, terrorizzato.

«Allontanati, allontanati da me! Ti contagerò! Io sono la Morte!»

«No.» Francesco lo baciò sul viso sfigurato dal morbo. Baciato. Un lebbroso. Un sofferente. Con le lacrime agli occhi sia lui che la preda del suo abbraccio che Chiara. «Tu sei la Vita, fratello.»

Da lì in avanti fu un fiume trasportante l'avvenire, trascinante chiunque nei flutti e nei mulinelli del suo risveglio. S'incontravano, Chiara e Francesco, nei campi fuori Assisi, tra i covoni di grano, sotto le cupole degli alberi. Ulivi argentati. Fiori meravigliosi. Paglia. Polvere. Ronzare d'insetti. Conversavano di tutto e niente. Dio e la natura, la bellezza e il senso dell'Amore, delle cose,

Francesco mutava e Chiara leggeva con lui il libro della natura.

Francesco s'imbatteva in un cavaliere diseredato? Snudata la spada e lacerato il mantello in due, copia di San Martino. Il padre lo mandava a Foligno a riscuotere i guadagni d'un affare? Bene, Francesco, sulla strada del ritorno, vendeva sacchi, buoi e carro e il ricavato lo sganciava a...

«San Damiano, non so se la conosci.» le disse un pomeriggio radioso, strali luminosi trafiggenti la boscaglia. Assisi era un coro di rintocchi.

Chiara ci meditò sopra. San Damiano. Un rudere di chiesetta abbandonata tra le siepi e i rovi, diroccata, lungo i declivi, immersa nell'uliveto.

«È dimenticata, non la frequenta più nessuno.»

«Qualcuno c'è.» Francesco scarabocchiava per terra, l'indice stilo.

«Chi?»

«Cristo.»

All'espressione confusa di Chiara si sbrigò a specificare. «Un crocifisso in legno, scomposto e ciondolante. Il suo sguardo possiede un potere, un'influsso... non so come spiegartelo. Mi piace. Mi ricorda un lebbroso.»

Il Figliolo dell'Onnipotente assomigliante a un lebbroso? «Perché?»

«È morto all'esterno, ma continua a vivere all'interno.»

Morto, ma sempre vivo. Una monaca si seppellisce al mondo, ma permane viva, inondata dall'Amore. Parole profonde.

Francesco mutava, Chiara apriva gli occhi su diversi orizzonti e Assisi viveva per le stravaganze del figlio del mercante.

Scambiava le sue ricche vesti per quelle d'un cencioso, mettendosi a implorare la carità ai passanti. Vendeva, vendeva a dismisura la roba paterna e sua, comprando pietre con cui restaurare San Damiano. Francesco muratore, ridevano Assisi e amici. Lui, dalle manine bianche e curate, adesso rovinate dai calli e dalla calce. Attento Francesco, ti buscherai un accidenti a sgobbare sotto il sole, malato di corpo e partito di testa che sei! Povero, povero Pietro di Bernardone, un figliolo matto...

Ma la follia ha il suo culmine, lo strappo dal passato non può dirsi completo senza un gesto inaspettato e sbalorditivo.

Francesco ha sempre mostrato talento nello sbalordire.

Così, mentre riparava le macerie di San Damiano, ricostruiva anche quelle del suo cuore.




«Chiara! Chiara! Chiara vieni subito! Corri!»

Si rituffa nel presente, San Damiano in piedi e i suoi muri sudanti d'umidità. Da dove proviene la voce? Leone. Frate Leone - Pecorella di Dio, l'ha soprannominato Francesco, appassionato di soprannomi per gli amici, mansueto e gentile - che le sfreccia davanti, la tira per il braccio.

«Vieni! Vieni subito!»

Una preoccupazione allarmante. Chiara balza in piedi. «Che succede?»

«Francesco, lui...» boccheggia Leone nell'arsura. «Non ne ho idea, non lo so, si è svegliato e tossiva, tossiva! Sta tossendo sangue!»

Sangue. Signore benedetto. No.

Chiara lo asfalta, agitata, i piedi secche scudisciate sulle pietre lucidate. Plana dritta nell'angusta capanna, Leone immediatamente alle calcagna. Angelo è chino sul fratello posseduto dagli spasmi, fazzoletti e panni contaminati dal rosso muco. Francesco annaspa, agonizzante, s'imbocca d'aria e si ricurva a espettorare, scatarrando dovunque, fiotti scarlatti colanti dalle labbra.

Cereo, diafano da rasentare il trasparente, il nero delle ciocche madide di sudore, occhiaie calcate. Si piega in due, spezzato, battendosi il petto.

Si cerca altro dolore così attuando. Il palmo che tocca. Quel palmo.

Chiara accorre, dismette veloce Angelo dal percuotergli la schiena. È accanto a lui, lo prende, rantolante.

«Francesco.» Viso incorniciato dalle mani, concatena i loro sguardi, per quanto cieco sia il suo. «Francesco, guardami. Guardami. Sono qui, sono qui per te.»

«Chiara...»

«Sono qui Francesco. Non me ne vado. Nessuno se ne va. Io, Angelo, Leone, siamo qui per te. Con te.» Se lo pressa al petto, un dolce peso morto, fiacco.

Esonda un conato, un gorgoglio di sangue spumeggia sulle labbra inquietantemente colorate nel biancore allucinante. Francesco le vomita in grembo, rigurgitando e rammollendosi, privo di sensi.

Chiara non batte ciglio.

Volevano estirparlo, trarlo via da questo posto. A girovagare per l'Italia e stremarlo. In questo stato. Le sovverebbe da ridere in circostanze più solari.

«Oh Francesco... a cosa vogliono ridurci?»

Lo accarezza, deponendolo, sostenuta dall'ausilio degli altri, sul giaciglio bitorzoluto. Calore comincia a fermentare là sotto. Febbre. Pure.

Erano liberi, erano spensierati. Sposi e cavalieri di Madonna Povertà, discepoli di Gesù Cristo Nostro Signore e Salvatore, Unigenito Figliolo del Padre. Erano allodole del buon Dio, taglianti il cielo con le loro giravolte.

Alzavano chiese e verità.

Cos'è rimasto? Le briciole d'un sogno.

«Rivivrà Francesco...» gli mormora, scompigliandogli i capelli. «Non consentirò che appassisca.»

Credesti d'essere chiamato a innalzare chiese dopo chiese con pietra e calce, e con la semplice carità hai innalzato un santuario nel cuore di milioni di uomini.

Avrà mai il coraggio, qualcuno, di riprendere in mano pala e puleggia?






- Chiara si opporrà sempre e tenacemente ai tentativi di Ugolino/Gregorio IX di costringerla ad adottare una regola meno rigorosa e dedita alla povertà, arrivando a uno scontro diretto con il papato (emblematica la risposta al prelato, quando costui la minacciò di negare la comunione al suo monastero, dato che Chiara già protestava il proprio dissenso digiunando a oltranza. "Toglieteci anche il pane spirituale, dopo che ci avete tolto quello materiale"). Sopravvivendo ben ventisette anni a Francesco, non muovendosi mai da San Damiano e Assisi, sopportando malattie e tribolazioni che la resero inferma a letto, sbaragliando un'orda di saraceni invasori alle porte della città (Federico II faceva le sue magagne in giro per l'Italia ok?) esponendo solamente il Santissimo, Chiara ottenne alla fine la sua vittoria, spuntandola due giorni prima di morire. Della serie: non tiro le cuoia finché non mi date quello che voglio XD. Il suo privilegium paupertatis, Privilegio dell'Altissima Povertà, fu approvato e la sua Regola, la prima nella storia della Chiesa scritta e ideata per altre donne, volle che le venisse cucito al saio. Spirò due giorni dopo, l'11 agosto 1253.
- Come lo stesso Francesco ci rivela nel Testamento: "Il Signore, così, dette a me, frate Francesco, di iniziare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi pareva cosa tanto amara vedere i lebbrosi, ed il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. Ed allontanandomi da loro, ciò che mi pareva amaro mi fu mutato in dolcezza di animo e di corpo. Ed in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo." Gli facevano proprio schifo da giovane, prima della conversione. Ma d'altronde sappiamo come andava la mentalità medievale.

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