Chiara - I

Nota: ho elabora uno stile particolare per questa storia. Se incontrate termini che vi possono sembrare antiquati è perché ho voluto renderlo simile a una favola/libretto d'educazione cristiana riposto in soffitta da mezzo secolo.

Insomma, quello stile, se ce l'avete presente🤣




Francesco, padre beatissimo, in questa primavera di milleduecentoventicinque anni trascorsi dall'avvento di Nostro Signore, ristora nella frescura profumata di preghiere e virginale fortezza di San Damiano.

È un linguaggio di dotti. Chiara non è dotta. Le piace pensarsi piccola e ignorante, un asinello, come Francesco ha soprannominato il suo guscio umano. Frate Asino. Il quale è pigro e indolente e facile preda delle tentazioni e si punisce da solo a colpi di febbri e malanni sempre più frequenti e duri.

Il soggiorno al loro convento - alla prima chiesetta restaurata da Francesco con le sue mani - dovrebbe fugare, per un poco, questi malesseri continui. Restituirgli le forze, le energie. Riuscire dove altrove il tempo è scaduto.

Ha gli occhi arrossati Francesco, un glaucoma contratto in Oriente, alla corte del Sultano e negli accampamenti crociati. Quasi, se non completamente, ha perso la vista. Un male allo stomaco, uno alla milza e uno al fegato. Febbri intermittenti non rappresentano una novità, cagionevole lo è sempre stato, ma al calore della pelle si aggrega sangue. Sputato, vomitato. Spurgato dalle bendature attorno a mani e piedi e fianco.

Soffermarsi sui suoi mali non gli apporterà certamente sollievo. Intanto serve che mangi, il digiuno lasciamolo ai sani.

Chiara si munisce della sua ciotola, una pappa d'orzo, e s'incammina oltre il chiostro fiorito, i gerani nei vasi come ventate fiammanti e gli scorci mozzafiato della vallata umbra, i paesini in lontananza di Cannara e Bettona e casolari dispersi nella campagna. Supera il suo giardinetto, una magnificenza di rose e gigli candidi e violette, l'orticello con lo spiazzo incolto accontentante le volontà di Francesco - i fiori sono belli e sfamano le api e fratelli insetti, la tavolozza di Dio - e, addentrandosi nell'uliveto, arriva alla capanna di frasche sistemazione del malato.

Ci sono costantemente frati che assistono alle incombenze delle Sorores a San Damiano, mendicano alla questua insieme a loro, spartiscono mensa, preghiere e la cura ai bisognosi e agli ammalati. Frate Bentivegna, Filippo Longo, Leone, Masseo. Ce n'erano di più prima. Prima dell'ultima regola approvata, quella cavata a pressioni da frate Elia, il cardinale Ugolino e, a differenza dell'approvazione orale di Innocenzo il battagliero, suggellata con la bolla papale.

La nuova regola è più rigida e severa, non il disegno di Francesco, ma ha dovuto scendere a patti, con Elia e una salute sempre più vacillante.

O maggiore spazio alle permissioni, ai beni, conventi in muratura e calzature, libri e istruzione o allo sbaraglio totale. Il Vangelo alla lettera, la povertà di letizia, non era una via percorribile. Non più.

Chiara sa che non hanno iniziato così e non riconosce più Elia, pulce nell'orecchio dei potenti e nuovo Ministro Generale. Non è per questa povertà lussuosa e accomodante che hanno lottato.

Ma la regola riguarda solo i Fratres. Le Sorores non hanno ancora nulla.

Chiara non le lascerà a mani vuote e con una povertà negata. È il loro diritto. È ciò che vogliono. Seguire Cristo nella povertà.

«Ti ricordi quando hai tinto quel raso di Lione nella vasca del blu? Papa era furioso.»

«Io? Se la m-me-» Un colpo di tosse, voce crocchiante. «Se la memoria non mi inganna eravamo in due.»

«In ogni marachella fratello. Ma tu avevi l'iniziativa!»

«Eri un bravo assistente.»

Ah. Riceve visite il loro ospite in odor popolare di santità.

«Angelo.»

Il fratello carnale di Francesco dismette la discussione al suo ingresso. Chiara strascica nell'antro ombroso di frasche con la ciotola sottobraccio. Sorride, venendo incontro ad aiutarla.

«Chiara!»

Non potrebbero essere più diversi i due, a dispetto del sangue in comune.

Disteso sulla stuoia, intabarrato nelle coperte nonostante l'aria di primavera, il maggiore emana serafica pace, i capelli nerissimi zampillanti intorno al viso livido come torrenti feroci. Barba rada, lineamenti smunti dalla malattia. Occhi d'un azzurro sconfinante nel grigio, la sfumatura della pioggia, sono irritati, rossi, annuvolati dal glaucoma. La luce lo infastidisce, per questo la capanna è un riparo di buio, ombra e ristoro. Quando esce all'aperto Francesco si protegge con una benda, simile a quelle...

Chiara deglutisce, lo sguardo scorrente sulle gambe deboli contenute in calze speciali cucite da lei, un paio di pantofole altrettanto da lei confezionate dalla pianta rivolta all'interno, cosicché che non carichi il peso sul chiodo. Le mani guantate e bende strette intorno ai palmi. Ha promesso di non farne menzione con anima viva.

Angelo sa? Francesco ha... ha ritenuto lecito condividere questa verità con il fratello riabbracciato?

Il suddetto fratello minore, di quattro anni, è l'antitesi del maggiore. Esibisce anch'egli i toni pallidi e cavallereschi della Francia materna, ma coniugati ai boccoli biondi di Madonna Pica, iridi d'un verde acqua.

«Noto con piacere che ne avevate di che parlare.» Si accovaccia vicino a Francesco, il cucchiaio rimestante.

Lui tenta di sollevarsi. Fallisce e Angelo lo sostiene nell'alzarlo tra i cuscini. È stata un'ardua sfida persuaderlo a tenerli. Le prime volte si rizzava come ustionato, prendendoli e scagliandoli via, pieno di ribrezzo.

«Toglimelo! Toglimelo che non voglio più tenere il diavolo sotto la testa!»

Un lusso per Frate Asino. E Frate Asino non si concede lussi.

Ci sono volute suppliche, moine e imposizioni - Chiara non gliel'ha mandate a dire quanto fossero necessari alla sua salute - ma, alla fine, l'hanno spuntata.

«Rivangavamo nell'infanzia.» minimizza Francesco. Dovrà imboccarlo lei, le mani gli tremano a sostenere il minimo peso.

«Oh, interessante.»

Angelo ne appare compiaciuto. «Eravamo degli scapestrati.»

«Parlate per voi.» rimbecca ilare Chiara, muovendo la prima cucchiaiata.

«Pappa?» inquisisce l'allettato, annusando il contenuto a pochi centimetri dalla sua bocca. «Di nuovo?»

«Lo sai che sostieni poco o nulla. È sostanziosa e nutriente.»

«Ma me la rifili tutti i santi giorni!»

«Qualcuno si lagna...» bisbiglia divertito Angelo.

Suo fratello, per ripicca, replica con un pernacchia.

Adesso cominciano. Chiara ripropone il pasto, sospingendo il cucchiaio praticamente a un palmo di naso dall'amico.

«Tu mi obblighi a non massacrami di digiuni e a ingerire almeno un'oncia di carne. Adesso io ti obbligo a non lasciarti deperire. Mangia!»

«Il cibo è un dono di Dio.» prova a divagare l'altro. «Ma sono certo che fratelli uccellini lo reputeranno più-»

Chiara si è assunta l'onere e il piacere di curarlo. Non indietreggerà davanti alle sue vane resistenze.

«Francesco

Il tono intransigente non ammette proteste. Si arrende, docile. Francesco ha ammansito un lupo, lei le sue storie.

«Pianticella mia, sei motivata.»

Per lui? Per il bene del suo Maestro? C'è seriamente da dibatterne?

Acconsente a nutrirsi, Chiara che lo imbocca e Angelo che assiste. Un progresso rispetto ai giorni passati dai. Se l'è scofanata quasi tutta.

Pianticella.

Il suo soprannome, Francesco l'ha rinominata così, anni fa. La mia prima pianticella. Il primo virgulto dell'immensa, intricata selva fiorita dal seme della sua parola, della predicazione, emanante una fragranza soave, intensa e irresistibile incantante moltitudini. Una premonizione, forse, chissà. San Damiano non è l'unico nucleo di povere dame in terra umbra o italiana. Aldilà delle catene alpine la figlia del re di Boemia, Agnese, ha rinnegato agi e fasti per donarsi a una vita di servizio e sacrificio, ispirata dall'esempio... non dal suo.

Lei non è nulla. Se lo deve ricordare, prima di cadere nella superbia. Solo il vetro attraverso cui si riversa la luce divina. Una particella minima. Una fogliolina al vento.

Una raggrinzita, innocua e impotente pianticella innaffiata da Francesco.

Sazio dal pasto, s'addormenta in un battibaleno. Angelo l'ha preceduta all'uscita. Chiara sosta al capezzale dell'amico fino a quando, finalmente, il sonno non lo reclama, rassicurandosi un'ultima volta delle sue condizioni. Fronte fresca. La febbre l'ha sciolto dal suo giogo. Una vittoria, perlomeno oggi.

Sull'erba tenera e verde, popolosa di fiori campestri, Angelo siede in silenzio, ammirando il panorama intorno a sé.

Assisi. Una compagine di case arroccatte al fianco scosceso dell'imponente monte Subasio, scolpite nella tenue pietra rosa, cavata dal suo grembo, che al tramonto e all'alba brillano come perle ornanti il diadema d'una regina. Tetti e finestre e porte asimmetriche, simili a un mucchio bottoni sparpagliati, o entrate sghembe. Traboccante di gerani, scoppiante di papaveri e sterminate distese di grano incandescente alla luce di Fratello Sole come fasce d'oro cesellato. Pendii rigogliosi d'ulivi, barbagli argentati sfumanti nell'azzurro, torreggianti cipressi, là dove l'occhio si perde nell'ondeggiare morbido delle colline raggrumanti paesini e casolari diroccati e monti svanenti nell'infinito.

È un monte che si spalanca nell'infinito il Subasio. Di terra e cielo. È una città di pietra, paglia, nodoso legno d'ulivo.

Chiara ha sognato di poter salpare per mare e andarsene in Marocco, a diffondere la parola di Nostro Signore e intavolare dialoghi con i gran Sultani dei saracini, esattamente come Francesco, a suo tempo, ha agito. Magari anche trovarci il martirio e versare il suo sangue per il Figliolo di Dio. Non se ne rammarica, ma ora riconosce che il suo posto è qui.

Ad Assisi. Nelle mura risonanti di preghiere e carità di San Damiano.

«Rimuginavo sui tempi andati.» le dice Angelo, lo sguardo commosso da tutto quel concentrato di bellezza. «Sui primi.»

I più sbandati. «L'allegra gioventù.»

«Ignara degli affanni dell'esistenza.» Angelo annuisce. «O dei progetti di Dio.»

«Credo che ne siamo ancora tutti ignari.»

Scappa a entrambi una risata.

È ritornato dopo Angelo da Francesco. Dopo una lunga divisione, incomprensione, sua e della famiglia. Chiara, da ragazza, lo conosceva di vista, a dispetto della vicinanza all'amico. Il secondogenito di Pietro di Bernardone dei Moriconi, il più agiato mercante di tessuti della città, e della sua graziosa, flessuosa e devota moglie francese, Pica del casato dei Bourlemont.

Meno in vista dello scanzonato, gioviale fratello maggiore.

«Erano anche tempi duri.» rievoca Chiara. «Guerra, discordie, inimicizie...»

«Lo rammento. Tempi incerti.»

«Come l'animo di Francesco al ritorno dalla prigionia, vero?»



Favarone di Offreduccio degli Scifi, nobile famiglia d'antico lignaggio, viveva circondato da donne.

Una moglie assisiate quanto lui, Ortolana dei Fiumi, e quattro splendide figlie, ognuna eccelsa in virtù e fascino: Penenda, Chiara, Caterina e Beatrice. Nel loro palazzo, direttamente affacciato sulla piazza centrale del duomo di San Rufino, con il suo rosone ricamato in spirali e pizzi di pietra, la sua coraggiosa, retta consorte educava il loro quadrifoglio di bambine alle dilettevoli attività muliebri.

E non solo. Ortolana era una donna fuori dal comune. Avvantaggiata dal suo rango, certo, ma pia e caritatevole. Dal suo desco i poveri e gli afflitti sapevano di poter ricevere qualcosa. Aveva intrapreso pellegrinaggi in solitudine, Ortolana, senza la scorta di uomo alcuno. In Terra Santa, al Sepolcro del Salvatore, a Santiago, nelle lande ispaniche, sulla tomba di Giacomo. A Roma, a pregare sui resti dell'Apostolo. Inculcava nelle sue figlie generosità e abnegazione, umiltà e adorazione.

La piccola, biondissima Chiara pregava e snocciolava preghiere sui sassolini e scappava. Una brutta abitudine, bofonchiava lo zio Monaldo, perennemente immusonito come se avesse succhiato un limone.

Il fatto era, a ripassarci sopra dopo tempo, che le piaceva.

Poco l'ebrezza della fuga, i suoi piedini di bimba che saettavano sui ciottoli e le pietre scottanti di sole d'Assisi, tanto la meta. L'eccitava sgattaiolare di nascosto e imbucarsi nei ritiri dei lebbrosi, degli emarginati, consolare le loro miserie distribuendo pagnotte e vestiti vecchi, destinati all'immondizia.

Stava in mezzo all'immondizia umana, la giovanissima Chiara, e si sentiva a casa molto più di quanto si sentisse mai nel suo comodo, riscaldato palazzo.

Francesco come si sentiva nella sua esistenza di festini e bagordi?

Il Re della Gioventù, allegro e mondano, il privilegiato figlio del mercante di stoffe. Non c'era comare d'Assisi che non spettegolasse sulle sue bravate. Banchetti incredibili, degni di un re. Un vanitoso arrampicatore, lo bollava lo zio Monaldo, a cui tutti quei borghesi arricchiti proprio non andavano giù.

Esuberanze di gioventù, rideva orgoglioso Pietro di Bernardone.

Francesco sempre al centro delle brigate, amante dell'ostentazione. Andava in giro con il giustacuore spartito in quattro, ogni scompartimento una pezza diversa, costosa, giusto perché il mondo capisse di quanti quattrini disponeva Pietro di Bernardone dei Moriconi. Francesco che a scuola, dai canonici di San Giorgio, si applicava poco e non se la cavava con il latino ampolloso della liturgia, per questo preso in bottega subito, terminati gli studi e al banco con il babbo.

Francesco che riempiva le notti di melodie francesi e la sua mente di eroiche imprese cavalleresche. Sensibilità provenzale, dicevano le donne al lavabo. Ha preso dalla madre. Uno sbandato, lo criticava Monaldo degli Scifi.

Chiara si chiede - e lo fa da tempo - se prevedesse quale ciclone stesse per abbattersi sulla sua vita, quel ragazzo spensierato innamorato di saghe.

La guerra non si prevede mai in effetti.

L'anno era millecentonovantottesimo dall'Incarnazione di Cristo Gesù Nostro Signore e Assisi ribolliva di dissapori e contrasti. Un vento di rivolta covava nei cuori dei borghesi, i mercanti, i vanitosi arrampicatori tanto detestati dallo zio Monaldo.

Maiores. I feudatari blasonati, proprietari terrieri radicati alla tradizione immutabile del vassallaggio. Minores. I mercanti, la classe nuova, aperta al mondo e alle novità.

Una convivenza effimera, fragile. O uno o l'altro.

I Minores si mossero per primi.

«È guerra! Guerra!» L'urlo di Ortolana, irrompente nella sua cameretta di bimba, spartita con le sue sorelle, è vivido ancora oggi. «Ci attaccano!»

«Chi?» Chiara schizzò dal letto, correndo a pensare alla lattante Caterina nella culla. «Chi ci attacca?»

«Il popolo!»

Ortolana spalancò l'armadio, buttando addosso alle bambine i primi abiti afferrati e prelevando Caterina dalle braccia della sorellina.

Il popolo. Lo bevve con scetticismo, la piccola Chiara. Cosa l'ha spinta, si pone l'adulta adesso, a scostare la tenda dalla finestra e schiacciare il viso contro il vetro? Curiosità? Paura? Il fragore tumultuoso che saliva dalla piazza?

Il popolo che insorgeva contro i nobili. I nobili protetti da Federico, sapeva e sa Chiara, dall'imperatore puero partorito da una monaca e istruito alla custodia del signor Papa Innocenzo Terzo. Assisi si ribellava al dominio imperiale.

«Cosa fai? Vieni via!»

Ortolana la spinse all'interno. Ficcata in un abito a casaccio, allacciato in fretta e furia il mantello e via, fuori dalla stanza, a precipitarsi lungo le scalinata, attraverso uscite secondarie, a fiondarsi in carrozza.

Un piano che Chiara non rispettò fino in fondo.

Lo sbaraglio, l'anarchia rivoltosa infuriante all'esterno, le barricate. Uomini armati, soldati nobili e seguaci della lotta. Cavalieri, destrieri impennati, cataste di legno. Fumo, fuoco, ferro.

Madre e sorelle montarono nella sicurezza del veicolo. Chiara no.

Chiara rimase inchiodata tra l'uscio delle cucine e la strada, il mondo circostante che vorticava rocambolesco. Non aveva mai conosciuto la guerra. Non aveva mai sperimentato l'odio. Era... strano. Non doloroso, solo strano. Uomini che uccidono altri uomini. Concittadini contro altri loro concittadini.

Fu allora che lo vide.

Il figlio del mercante, baldanzoso ed euforico, un bambino a un gioco nuovo. Un giovanotto corvino e pallido, imbracciante una spada con un'evidente fatica battuta dal suo entusiasmo. Felice dell'occasione, di una scena dei suoi romanzi cavallereschi prendente vita davanti ai suoi occhi.

«Andiamo!» incitava gli altri. «Andiamo, calciamo a colpi nel deretano questi schizzinosi signorotti! Il popolo si riprenderà ciò che è suo!»

Le transitò davanti, a capo d'uno stuolo di ragazzi infiammati dalle sue parole.

Bastò un secondo.

Congiunzione di sguardi, il celeste incatenato nel grigio temporalesco. Francesco di Bernardone la notò, si bloccò, rimanendo indietro dalla banda.

«Sei... sei la figlia di Favarone, io ti conosco.»

Tutti conoscono tutti ad Assisi. Fino ad allora Chiara l'aveva intravisto a messa o feste popolane o allo sporto della bottega paterna. Mai spiccicato una sillaba. Di una bambinetta gli interessava assai poco.

Si è manifestata già in quell'incontro la favilla del loro legame? L'intesa, una sintonia inspiegabile e mistica. Occhi dentro altri occhi.

È nato un qualcosa.

«Vieni dentro subito!» Zio Monaldo infranse l'incantesimo, braccando Chiara per il polso e tirandola nella carrozza. «Vuoi farci ammazzare?!»

Uno schiocco secco di redini. La carrozza iniziò a sobbalzare. Stavano fuggendo. Dai tumulti. Da Assisi. Da casa.

«Dove andiamo?»

Caterina piangeva nelle sue fasce, Ortolana mormorava carinerie per tranquillizzarla. Chiara era pigiata tra Penenda e la madre.

«Perugia.» La risposta di suo padre. Pragmatico e bonario, solitamente, Favarone di Offreduccio si presentava come l'antipodo dell'irascibile fratello. «Accoglierà molti di noi e ci sosterrà nel riprendere i nostri diritti.»

«Riprenderceli? Come?» Chiara era piccolina, non sciocca. Gli adulti risanavano i torti tramite una sola colla. Che questa volta non fosse-

«Con la spada e il fuoco.» rispose dritto Monaldo, più arcigno del consueto. Il baccano era scemato e il selciato rimpiazzato i ciottoli.

Guerra.

Il rimbombo agitato del suo cuore non le rimuoveva dalla mente lo sguardo del figlio del mercante.




Se sia iniziato lì, un primordio di legame, in quel fugace incontro di sguardi nel cuore di scontri e insurrezioni, Chiara non sa dirlo con certezza.

Sono giunti qui ora. È questo l'importante.

Allunga le gambe, l'erbetta solleticante i piedi nudi. Angelo, rapito dal panorama, dal cielo azzurro, di quell'azzurro intenso e sublime che è tutto italiano, piega la testa di lato, meditabondo.

«Scoppiò la guerra tra Perugia e Assisi.»

«Ero a Perugia all'epoca, una bambina maturante in donna.»

I nobili scacciati si riorganizzarono, assemblando un esercito, Perugia loro alleata. Di quel dorato esilio, stranamente, i ricordi sono vaghi e nebulosi. Sapeva solo che pregava e pregava e pregava incessantemente con madre e sorelle affinché chiunque, nemico o amico, rientrasse a casa sano e salvo.

Francesco si era arruolato, bruciante d'ambizione e gloria cavalleresca. La possibilità di saltare di grado, di qualità, venire insignito degli speroni da un grande signore.

Ne è stato insignito alla fine, pensa Chiara, rossi e crostosi speroni dal più importante dei Signori.

Era partito al galoppo, salutando padre e madre e fratello, rivestito di corazza e armatura comprati dal padre fiero delle sue prodezze. A Collestrada, tra Perugia e Assisi, milleduecentoedue anni dopo la venuta in terra del Redentore, i suoi sogni erano andati in pezzi. Chiara non ha mai assistito a una battaglia. Ai morti, ai feriti, il lezzo stomachevole di cadaveri sviscerati e corvi che s'accalcano sulle carogne. Vessilli laceri e anneriti, pile caliginose di uomini passati a fil di spada. Nemmeno alla conta dei superstiti successiva. Svestiti e privati di tutto, incatenati e imprigionati.

Perugia trionfatrice, Assisi vinta.

Lo stato benestante del padre era valso da salvezza a Francesco. In cella insieme ai figli dei ricchi, a quelli di cui i genitori pagheranno sicuro in un riscatto. Si macerava in salute, nel buio fetido e stagnante, tra ratti e pulci, e intanto in lui scaturiva un cambiamento, un giro di rotta.

Un'inspiegabile risveglio.

Ancora oggi si domanda cosa sia avvenuto nell'animo di Francesco in quell'anno di prigionia perugina.

«Tornò da voi.» dice Chiara e Angelo si volta. «Diverso.»

«Piegato nel corpo e nello spirito.» Il verde di Angelo si adombra, riesumando quei momenti. «Non era più il Francesco di prima.»

«Ho sentito che, nelle angherie della prigione, trascorreva ore a rimirare lo spicchio di cielo dall'unica finestrella quadrata. Ai suoi compari rideva, affermando che sarebbe diventato un gran principe e che tutto il mondo gli avrebbe reso onore.»

«È sempre stato plateale.» buttà lì Angelo, suscitando una risata per entrambi.

«Singolare, mettiamolo così.» corregge Chiara, esaurito il riso. Alza il volto, raggi traforano le volte degli ulivi. «Al suo ritorno più che mai.»







- Angelo è uno di quei personaggi storici spesso dimenticati nell'ombra dei loro famosi parenti. Letteralmente nel suo caso. Abbiamo pochissime informazioni su di lui e viene menzionato solo in due aneddoti su Francesco. Tutti i film e le serie tv uscite finora amano sottolineare Francesco quale unico figlio di Pietro di Bernardone e di Madonna Pica. Quest'ingiustizia nei confronti di Angelo non mi è mai andata giù, pertanto l'ho reso voce e personaggio attivo in questa storia, lui e la sua discendenza, supplendo con invenzioni e libertà laddove le fonti sono lacunose o silenti.
- La lotta tra nobili e borghesi di Assisi, altolocati e mercanti, che culminò nella battaglia di Collestrada a cui, come sopraddetto, prese baldanzosamente parte anche Francesco, si spense con un patto tra maiores e minores nel 1210. Chiara apparteneva ai maiores, Francesco ai minores.
- Sulla carità e la condotta di Chiara durante il secolo abbiamo testimonianze dal suo processo di canonizzazione. Giovanni di Vettuta, "fameglio di casa" ovverosia un servo o un dipendente armato, oltre che parente, riferisce che: "ben che la corte de casa sua (Chiara) fusse de le magiure de la cità, et in casa sua se facessero grandi spese, nondimeno lei li cibi che li erano dati da mangiare come in casa grande, li reservava et reponeva, et poi li mandava ali poveri. (...) Et essendo lei anchora in casa del padre, portava una stamegna (o stamigna in italiano moderno, in sostanza un cilicio) biancha socto le altri vestimenti. Epsa mammola (letteralmente bambino che sta ancora con la mamma, un termine che si rivedrà sovente nelle testimonianze) era de tanta honestà in vita et in habito, come si fusse stata molto tempo nel monastero."
- Francesco, al contrario, cresceva dissoluto e libertino, una testa calda, viziato e presuntuoso figlio del ricco mercante, ad esempio: "Non solo Francesco era facile a scialacquare denaro in feste e divertimenti (...) ma passava ogni limite nel vestirsi in modo eccessivo, con panni più cari e sontuosi di quelli che sarebbe stato conveniente indossare per uno della sua condizione sociale."
- Un giorno, se ce ne sarà l'occasione, vi racconterò le vicissitudini e traversie legate alle varie biografie di Francesco, un casino nel vero senso della parola (la Legenda Maior, la Legenda Minor, la Vita Prima, la Vita Secunda, lo Speculum Perfectionis, gli Atti del Beato Francesco e dei suoi compagni, la leggenda dei tre compagni, Tractatus de miraculis S. Francisci, i Fioretti e una miriade d'altre) tra le messe al bando, nascoste, bruciate, riabilitate e riscoperte. Un vero ginepraio.

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