Angelo - II
La febbre si accanisce, fortissima e violenta.
Intingono pezze, strizzano. Un ripetitivo alternarsi al capezzale di Francesco tra Angelo, Chiara e gli altri frati. Suo fratello brucia, un incendio racchiuso in pelle umana, grondando sudore. Sfamarlo è una prova di pazienza, trangugia a fatica. Occorre assecondarlo, massaggiargli la gola contratta. Tamponargli la fronte e il collo d'acqua gelida, abbassante il calore.
Combatte Francesco, nel suo giaciglio. Guerriero di Dio. Cavaliere di Gesù.
Angelo veglia, sosta e ne ascolta i deliri. Il viso sconvolto dal dolore, spettrale.
«Maman... maman ou êtes vous?» In francese, ti pareva. L'idioma dell'infanzia e delle sue prediche esuberanti, saltimbanco celeste. «Maman?»
Sgrana gli occhi, la pupilla opaca, compromessa dal glaucoma. Si slancia in avanti, inebriato, allungando le mani. Sfinimento gli ara il viso, a fazzoletti e lievi tocchi provano a deviare le gocce, il rigagnolo di sudore. Ha già le iridi insanabili di suo.
«Je suis devenu chevalier Maman... chevalier...» Sorride a un punto indefinito, le maniche larghe che dondolano. «Seigneur, chevalier du Seigneur...»
«Oui François.» Angelo rispolvera la loro comunicazione di bambini. Peripli tra lingue, saltellavano intercambiabili. «Un grand chevalier.»
«G-Grand?»
«Le meilleur.»
«Comme Charlemagne?»
«Beaucoup plus.»
«Je n'ai pas de chansons pour... p-pour moi...» Fremito di ciglia, ripiomba nel sonno.
«Le scriveremo Francesco.» Quando se ne sarà andato. Non le gradirebbe in vita, lo conosce. Angelo si rannicchia e gli cerca la mano, la manica un intralcio.
«Non toccarlo!»
Fragore di terracotta frantumata, passi in avvicinamento. Chiara si frappone tra di loro, scansa Angelo e il tocco che stava per sfiorare il fratello. Frastornato, Angelo scosta la mano. Che reazione è?!
«Volevo solo-»
Chiara respira, si placa, si ricala nel contegno. «Gli dolgono le mani.» Si stropiccia la fronte, occultando le mani dell'amico, le maniche riprendenti a penzolare. «Molto male. Si fa toccare solo da pochi.»
Lui è suo fratello, carne della sua carne! Perché Francesco non gli consente di toccarlo? O non l'ha informato? Fluttua tra la lucidità e il delirio, respinge approvvigionamento e si contorce, dolori insostenibili. Adesso si assommano pure le mani? Bizzarro. I piedi li ha deteriorati, praticamente consunti dal cammino, chilometri e chilometri macinati. Ma le mani?
Il tono scostante e l'atteggiamento evasivo di Chiara piantano la semente del sospetto. «Non puoi vietarmi di toccarlo.»
«No, ne assumo consapevolezza. Solo...»
Ambiguo restringere tutto a un poco specificato dolore alle mani.
Chiara ripone Francesco a letto, allargando un pezza sul viso. Aderisce alla pelle, s'incolla ai contorni roventi. Lo bacia sulla fronte, il fiato di suo fratello che sbuffa sull'orlo, traspirante di sudore.
«Chiara.» C'è un segreto aleggiante in giro dal quale hanno ritenuto previdente tenerlo all'oscuro. Per il benessere di suo fratello Angelo è disposto a rischiare il tutto e per tutto. Non lo spiffererà ai quattro venti. «Puoi rivelarmelo. È al sicuro con me.»
Spalle che cedono, lei si arrende.
«Giuri di mantenere il segreto?»
«Su mia moglie, sui miei figli, lo giuro.»
«Molto bene.» Afferra il braccio molle di Francesco, rimboccandogli le maniche. Emergono le dita affusolate, le... le bende... il...
Impossibile.
Gli manca l'aria, vertigini assurde. Angelo fugge nel prato, appigliandosi al primo nocchiuto ramo d'ulivo. Scandisce i respiri, la vista distorta, ballante. Suda freddo, brividi serpeggianti s'annidano nel petto.
È impossibile. Assolutamente impossibile. Un evento che si è verificato una sola volta e suo fratello, suo fratello-
«Angelo?»
È saltato fuori senza fornire spiegazioni. Che figuraccia imbarazzante. Chiara sapeva, realizza. Chiara sapeva e non ha reagito sgangherando come lui.
Gli si è inaridito il palato. «Sono autentici?»
«Sì.» Zero fronzoli e ornamenti verbali. Sicura. Una sicurezza che Angelo le invidia.
«Q-Quando... come?»
Voltarsi a incrociare Chiara è uno sforzo sovrumano. Lei sapeva e ha trattenuto il segreto. Indefessa.
Esattamente come in questo istante odoroso d'ulivo e gerani, pollini turbinanti.
«Sulla Verna, il quattordici settembre scorso.» Un bozzo tremolante nella gola, Chiara stronca l'emozione della memoria. «Il sigillo d'Amore di Nostro Signore inciso nelle carni di Francesco.»
Cinque piaghe. Due buchi aperti sulle mani, due sui piedi. Un contorno enfiato, la capocchia grumosa d'un chiodo. Una bocca trasudante sangue corrente lungo il costato.
«Quanti ne detengono l'informazione?»
«Con te siamo in tre. Io, tu e Leone.»
Leone, presente sulla Verna. Primo testimone di quel prodigio, di quel miracolo. Chiara prosegue, particolarizza. L'apparizione di un Serafino in croce, Francesco svenuto e ritrovato nella neve, un manto di sangue sul tappeto bianco.
«Ce l'ha fatto giurare.» termina, come liberata d'un peso. «Non vuole che il segreto venga divulgato, venire venerato alla stregua d'un Santo, un fenomeno da baraccone a cui piagnucolare grazie e favori.»
Stimmate.
Ha un sapore stravolgente sulla lingua.
Il figliolo pazzo di Pietro di Bernardone. Assisi se ne burlava delle diavolerie di suo fratello. Dilapidava, elargiva a secchiate, a grandinate, a torrenti! Qualsiasi cosa a chiunque, gratuitamente. Ori, argenti, sete, denari.
Oppure spariva dalla circolazione per giorni, riapparendo tra i viventi macilento e bucherellato, tasche vuote e un canto giulivo sulle labbra. Si metteva a cantare, sì, cantare, intonando armonioso i soavi e vezzosi versi provenzali che l'avevano abbagliato da bambino. Piroettante e allegro, il passo leggero che volteggiava sui lastricati d'Assisi.
Ma a uno scopo.
Le pietre per riparare San Damiano.
Angelo non sapeva che spiegazione accampare. Francesco in bottega ci stava poco, meno di un minuto. Fulmineo, si toglieva di torno la mattina e trascorreva la giornata immerso nei suoi vagabondaggi idilliaci. Papa tollerava sempre di meno le sue intemperanze. Un figlio usciva, va bene, ma l'altro a servire i clienti ci doveva pur restare! Per chi li aveva presi? Un ostello?
Perciò suo fratello si era ridotto a un'ombra, un miraggio. Come la luna sbiadiva il mattino e ricompariva la sera. Mani sporche, butterate di calli, unghie incarnite di sudiciume. Abiti marezzati di sudore. Occhi accesi d'una febbrile contentezza.
Doveva sentirsi lieto, si ripeteva Angelo in quei giorni, Francesco sembrava ricondotto alla gioia, alla serenità interiore. Rifulgente di benessere.
Ma lui, a quanto urlavano le assenze di suo fratello, non aveva più ruolo nella sua esistenza. Un abbellimento di contorno. Il fratellino minore. Le confessioni, la vicinanza, l'affetto sfegatato, sepolti in fondo al cuore.
Francesco si apriva, ma non con lui. Rideva, un riso enigmatico che Angelo tentava di decodificare. Non poteva seguirlo, tenerlo d'occhio, Papa era già bizzoso di suo, la condotta deplorevole del figlio che lo teneva sulle spine. A tendere troppo la corda si sarebbe spezzata e non era questo l'obiettivo di Angelo.
Le scenate di rabbia di Pietro di Bernardone erano temibili.
Cinghie, sberle, botte, percosse ravvivanti le membra in una mappa di lividi e contusioni. Calci, schiaffi, pugni.
Stava bene attento a non aizzare quel rogo. Francesco, dal canto suo, stava ammassando legna sul fuoco.
«Ma non si vergogna?» Papa, a cena, una sera, Francesco ritardatario cronico, seppellì disperato il viso tra le mani. «Non si vergogna?»
«François ha solo scoperto una nuova sensibilità.» Maman lo difendeva a qualsiasi costo, una flebile resistenza.
«Sensibilità? L'hai rimbecillito con le tue vanesie sciocchezze francesi donna!»
«Lui... lui è diverso dagli altri ragazzi. Non lo capite monsieur?»
Angelo, seduto in mezzo, padroneggiava la sua tecnica sopraffina: il silenzio e l'estromissione. L'avrebbero interpellato comunque.
«Diverso eccome!» sbottò Pietro di Bernardone, picchiando i pugni sul tavolo, la cristalleria tremante. «Uno svitato è uscito! Mi raccomando Angelo.» Infatti, eccolo interpellato come previsto. «Tu non imitarlo, intesi?»
Abbassò gli occhi, sottomesso. «Sì Papa.»
«Una posizione a questo mondo la si conquista a guadagni e fatica. Ho sudato tanto per voi, affinché cresceste educati, eleganti e bravi, con un notevole patrimonio sulle spalle. Siete avvantaggiati, dovreste ringraziarmi.»
Era proprio questo l'altro capo del filo: gratitudine filiale. Angelo voleva bene a Messer Pietro - a discapito di tutto, persino ora - e deluderlo, vanificare gli sforzi e i travagli che aveva affrontato pur di lasciare a lui e al fratello un futuro dignitoso, gli sarebbe sembrata un'ingiustizia immane, un'offesa colossale.
Come ci si rivaluta col tempo, eh?
Un figlio era diligente e grato al genitore che lo introduce al mondo. Coscienzioso, attaccato alla famiglia, i precetti che gli erano stati inculcati.
Disonorare l'impegno del loro padre, come Francesco? Era... e-era errato, controcorrente. Irrispettoso verso Pietro di Bernardone.
«Io ti sono grato Papa.»
«Un figlio sano mi è rimasto allora!»
Il maggiore dei suoi figli edificava chiese in rovina, mendicava pietre e cantava la Parola di Dio come un fringuello amoreggiante a primavera. Papa sbraitava sotto i denti e imprecava in sua assenza.
«Di questo passo ci impoverirà tutti!»
Era lui che s'era impoverito. D'averi e di rapporti. S'intratteneva solo con la figlia dello Scifi, la bionda ragazzina Chiara, in colloqui ameni e avulsi al mondo nelle pianure rigogliose di raccolti e papaveri. Le malelingue ne godevano, un frutto prelibato quella frequentazione clandestina degli opposti. Lei appena sportasi alla giovinezza, lui un ventenne in penata ricerca di chissà cosa.
Approcciarsi a Francesco di notte? Egualmente impossibile. Echeggiava un salmodiare perenne nelle pareti della sua stanza, una geremiade di salmi e preghiere oppure il silenzio sovrano, sinonimo del sonno sceso sul suo svampito fratello.
Stavano divenendo due pianeti lontani, due mondi paralleli, ma distanti. Una distanza sofferta, soffocante. Il bancone frenava Angelo e la sua curiosità, i suoi mille perchè.
Una sera, evento miracoloso, lo convinsero a riformare la comitiva, bighellonanti in taverna tra vino e signorine procaci, e, sulla via di casa, gli amici su piedi malfermi di vino e lazzi osceni, Francesco si trattenne indietro, pensoso su un muretto.
«Cosa t'impensierisce Francesco?» pose, laido, Silvestro, destinato a una brillante carriera ecclesiastica.
Pietro Cattani, già impiantato in uno studio da notaio, si aggregò. «Pensi forse di prendere moglie?»
«Scommetto che si tratta dell'avvenente fanciullina degli Scifi...» civettante, Bernardo di Quintavalle, le crociate il suo richiamo, arricciò le labbra, parodiando un bacio. «La piccola Chiara...»
«Sto meditando d'ammogliarmi, mi avete scoperto.» replicò candido Francesco. «La mia sposa sarà la più bella, nobile, pia e operosa!»
«Chi?» pose Angelo.
«Madonna Povertà!»
Inutile soffermarsi sulle risate.
Un cambiamento inspiegabile avveniva in suo fratello e Angelo non ci si raccapezzava. Doveva avere una ragione, si diceva, Francesco non agiva mai senza un motivo, un tornaconto. Lui sapeva sempre tutto, sua stella polare.
Ma che ragione giustificava le stoffe trafugate dal fondaco? I sorrisi incantati al volo delle allodole o al fischio dei nibbi?
«Francesco.» prese coraggio Angelo una mattina, mentre lui si preparava a una nuova giornata di muratura. «Francesco, ti prego, spiegami che ti succede!»
«L'amore Angelo!» Esaltato, l'afferrò afferrato e lo fece girare in tondo, una trottola, un girotondo rintronante. «L'amore!»
E via, a scappare, a spalare e incastrare pietre e mendicare.
A sperperare i fondi di Papa.
Piombò di botto in bottega quel pomeriggio, esagitato, fremente, scintillante di monelleria e risolutezza. Affrettandosi su per le scale, dove una finestra campeggia sopra l'arcata del passaggio sottostante, le braccia zeppe di stoffe, velluti, damaschi, sete, Francesco gettò tutto al vento, fuori dalla finestra.
Una pioggia di ricchezze, di denari tintinnanti, un tripudio ruggente di colori e tinte e ricami raccolto e conteso da mendicanti, storpi, pezzenti. Una folla s'assiepiava, insistente, vorace. Francesco prendeva, buttava, i tessuti voleggianti dai rotoli come vele d'un vascello. Raccoglieva monete, svuotava forzieri.
Esterrefatti, sia Madonna Pica che Angelo, ammutoliti da una tale baldanzosa scenata. Papa sarebbe esploso di collera al suo ritorno.
Francesco le avrebbe prese.
Francesco che sapeva, d-doveva seguire un ragionamento, un f-filo tutto questo trambusto! Lui sapeva quello c-che...
Chi voleva imbrogliare?
Le azioni folli di suo fratello non stavano ne' in cielo ne' in terra. Tuttavia, ne' in cielo ne' in terra, Angelo sarebbe stato passivo spettatore della punizione che, assodata, sarebbe rovinata su Francesco.
Corse, parandoglisi davanti, bloccandogli il passaggio.
«Fermati!»
Francesco, sgomitando, inondò i poveracci d'un nuova espulsione di stoffe e denari.
«Per quale motivo?»
Angelo, basito, si avventò a strappargli un velluto fiorentino trapunto d'oro. «Mi domandi pure quale?! Stai dilapidando i soldi di nostro padre!»
Francesco ghermiva il suo prezioso malloppo, Angelo forzò uno strattone, lacerando la stoffa. Uno brandello in mano, gli rimaneva un brandello in mano.
Un brandello del suo Francesco.
Non ne sembrava affatto dispiaciuto.
«Donare Angelo! La chiave di tutto è donare!» Illuminato, un bimbo solare. Buttate altre ricchezze, dal basso salirono grida d'esultanza. «Spogliarci di tutto e donare!»
Madonna Pica si tormentava la veste, esangue, costernata.
«François, mon François...»
Il suo François ben retribuito da Papa al suo immediato ritorno. Strilla furibonde soverchiarono il baillame. Pietro di Bernardone, estorcendo la merce rubata ai mendicanti, si intrufolò, paonazzo e ribollente d'ira.
La punizione era in agguato. Angelo si era promesso di impedire che Francesco si beccasse le nerbate, piuttosto se le sarebbe prese lui! Il brandello di stoffa però, Francesco che rifiutava i contatti, sordo alla ragionevolezza, allo scampare dalla punizione, che proseguiva imperterrito e deciso...
Arretrando in disparte, Maman che gli artigliava il polso, illividita alle botte annunciate sul suo figliolo adorato, Angelo se ne tenne fuori.
Il Francesco che conosceva, che amava, era ridotto a un brandello.
Un rimasuglio agrodolce del passato.
«Papa!» l'omaggio d'un Francesco schiacciato dal peso delle stoffe. «Che bello vedervi qui! Venite, aiutatemi, da solo non ce la faccio!»
Angelo appallottolò il pezzo, stritolandolo.
Strabuzzante, imporporato, Papa si paralizzò un istante, vacillando disorientato.
La quiete prima della tempesta. Assalendo il figlio, aggredendolo, mani al collo, scuotendolo, sballottandolo. Francesco scaraventato al muro, barcollante, cascante in terra, raggomitolato in posizione fetale.
«Disgraziato! Infame! Assassino!»
«Padre!» Sorrideva, bersagliato di botte, pestato, malmenato, e si ostinava a sorridere innocentemente. «Padre capitemi! Capitem-ah!»
Tirato per un braccio, un calcio alle gambe, percosso sulla spalla. Caduto, ripreso, rotolante giù per le scale. Maman conficcò le unghie nel braccio di Angelo, incollata al maltrattamento del figlio, sull'orlo d'un pianto isterico. Angelo osservò immobile, pietrificato. Era Francesco ad aver sbagliato, non poteva intervenire. Aveva strappato il loro legame come quello scampolo, lacerandolo, irreparabile.
«Ladro! Sei un ladro disgraziato! Un delinquente!»
Indiavolato, Pietro di Bernardone raccattò un bastone, assestando scudisciate vigorose. Francesco gemette, il labbro tumefatto, naso sanguinante.
Aveva sbagliato. La loro fratellanza sgretolata. Aveva sbagliato e andava giustamente punito. Angelo si morse l'incavo della guancia, gelido. Era giusto così. Conveniente. Il brandello di stoffa penetrato dalle unghie.
Piangeva? I criminali non si meritano l-lacrime.
Un figlio ingrato è un criminale. Un fratello irriconoscente lo è ancor di più. Francesco rispecchiava ambedue le categorie.
Famiglia e bottega il mantra trasmesso da Papa. Riconoscenza. Pensieri rivolti costantemente al benestare del parentado. Francesco aveva calpestato tutto ciò. Le sue azioni oltraggiavano gli sforzi di Papa e il loro amore.
«Non!» Una cantilena d'improperi in francese da parte di Pica. «Non! Non! Mon enfant! Arrête! Arrête! Mon Dieu François!»
«Zitta donna!» Occhi di brace, il fiato intrappolato dentro Angelo a quello sguardo di fuoco. «Zitta o lo ammazzo! Giuro su Dio che lo ammazzo!» Braccato per il colletto della giubba, raccolto da terra, ammaccato, Francesco trascinato nel sottoscala. Una grata formava una gabbietta. Lo sgabuzzino dei servi cattivi, lo chiamavano da bambini Angelo e Francesco, poiché Papa imprigionava là sotto i lavoranti svogliati e inetti. Sbarre spalancate in uno stridente cigolio, suo fratello sbattuto nel buco tenebroso. «Un figlio, anche se matto, non infangherà mai il mio nome scialacquando il mio patrimonio! Rimarrai qua sotto finché non sarai rinsavito!»
Francesco ansimava, costellato d'ecchimosi e graffi, una creatura in gabbia.
Avrebbe impietosito... non Angelo. Lui era figlio di Papa. Doveva ringraziarlo, mostrarsi riconoscente. Non lo impietosiva. Era corretto.
«Andiamo.» Pietro schiodò una piangente Pica. «Lasciatelo stare.» Gli occhi di suo fratello, vivi e lucenti, infiammati da un incomprensibile. Quell'incomprensibile misterioso. Dagli occhi si può dedurre molto. Lo guardavano. Scavavano. Profondi. Una bruma avvolgente. «Angelo! Lasciatelo stare ho detto!»
«S-Sì Papa.»
Occhi perseguitanti. Non lo mollarono un minuto, fino a tarda notte. Non riuscendo a prender sonno, la sensibilità ai suoni veniva amplificata. Gli occhi di Francesco e un cuculo barboso. Gli occhi imploranti, sfolgoranti d'un'energia contagiosa, un'euforia, una libertà che attecchivano nel cuore. Chiedevano. Sfidavano. Azzardavano.
Gli occhi bigi di Francesco.
Un rumore d'un tratto nella notte sospesa. Sferragliare di metalli, stridere lamentoso di-oh no.
Oh Signore.
Catapultandosi giù dal letto, giù dalle scale di corsa, Angelo potè appurare il misfatto solo a opera compiuta.
Maman imbracciante le chiavi dell'angusto bugigattolo, la grata ancor dondolante dello schizzo di Francesco. Era fuggito. L'aveva liberato.
Il suo sguardo consapevole, lucido, abbinato a un sorriso di giustizia.
«Sta seguendo il suo cuore mon Ange. Non possiamo opporci.»
Papa sì, l'aveva e l'avrebbe fatto. Se non per riprendersi il figliolo uscito di senno quantomeno a nome della rispettabilità del negozio. Un'attività costruita con sacrifici, rinunce e privazioni deturpata per sempre dalle eccentricità di Francesco.
Il buonsenso esigeva che stesse dalla parte di Papa, si annotava mentalmente a iosa Angelo, ignorando le ingiurie e le maledizioni lanciate a suo fratello quando ne apprese la fuga. Cancellando dalla memoria le botte, i pestaggi. Accettando tutto, qualsiasi cosa. Per buonsenso e pudore. Devozione e rispetto filiale. Però, però gli occhi di Francesco... non se li staccava di dosso.
Forse una possibilità c'era, riflettè. Uno spiraglio, un pertugio in cui ritrovare il vecchio fratello maggiore allegro ed estroso. Tentare non nuoce. Ma come avvicinarsi a Francesco quando Papa scrutinava la bottega - e il lavoro che si aspettava che svolgesse - con piglio da falco?
La sera. Al tramonto sfumato e pastoso, una poesia tramata d'oro e nembi rosa, il cielo un connubio di viola e guerreschi arancioni. Protetto da un mantello, Angelo si catapultò a rotta di collo nella campagna, attraversando gli uliveti, superando coltri di grano maturo, sospirante alla brezza dei vespri.
San Damiano costeggiava il pendio, un punto dove gli ulivi estinguono il loro scoppiettio baluginante d'argento e la pianura esordisce, calando lieve.
Una calamita di lebbrosi e scansafatiche pulciosi, quello era. Epicentro d'un ammassarsi nauseabondo di avanzi della società. Non solo i pustolosi schifosi, ma anche storpi, gobbi, ciechi, menomati. L'agglomerato di capanne sorgeva sotto, negli spazi aperti e lussureggianti della piana. Quassù venivano a pregare, pretendere risposte da quel Dio che li aveva, inspiegabilmente, odiati, punendoli con un corpo corroso dal morbo, soggiogato dalla sofferenza.
Angelo li scansò, il tanfo insostenibile, un fazzoletto preservante le narici da quella puzza rivoltante. Suo fratello viveva in mezzo a quest'individui?
Individui, suvvia. Lo sapeva chiunque, addirittura un poppante, che un lebbroso dell'individuo non custodiva neanche la dignità, l'essenza stessa. Erano esclusi, a buona ragione! Untori viventi, morti viventi!
Orribili mostri che suo fratello, a quanto pare, si era reso amico.
Lo stanò in bilico su un'impalcatura alzata alla bel meglio, un sistema di corde, stecchi, assi e pulegge ingabbiante i detriti pericolanti di San Damiano. In fondo, dove la volta venata di crepe s'abbassava, stava appeso un crocifisso scheletrico.
Risoluto, dritto, diverso dagli straziati cadaveri immortalati negli spasmi sussultanti dell'estrema agonia. Vivo. Trionfante, come se assaporasse già le delizie del Regno del Padre. Un corpo colorato, circoscritto in un contorno di rosso e di nero, accentuante la sua vitalità, la sua vittoria sulla morte. Figure rimpicciolite, la Vergine Santissima, San Giovanni, le Marie, Longino e altri, ai lati in un corteo di testimoni.
Un crocifisso dagli occhi sbarrati, densi. Fattura bizantina, rilevò.
Francesco spalmava un grumo di calce, lo appiattiva e posizionava la pietra. Un affaccendarsi continuo, il suo, che aveva già risollevato mezza porzione di parete. Vestiva di sacco, una veste rattoppata, spenta, piedi nudi e impolverati.
«Francesco.» Angelo, trillante di contentezza nel riaverlo vicino, tirò un sospiro di sollievo, distanze azzerate entrando in quel rudere. «Ti ho trovato finalmente!»
Accortosi del visitatore l'improvvisato carpentiere sbattè la pala nel secchio, saltando a terra, ciuffi d'erba germinanti tra le piastrelle dissestate.
L'abbracciò ridacchiando. Abbracciato. Dopo tempo. Angelo domò il groppo alla gola. «Dove t'immaginavi mi fossi cacciato fratellino?»
«In tutti i posti meno che qui. È...» Studiando l'ambiente nudo, miserabile, il suo entusiasmo si affievolì. «... triste. Che ci ricavi a sgobbarci di fatica?»
«Riparare la casa del Signore che versa in rovina.» rispose genuino. «Come lui mi ha comandato di fare.»
Cristo parlante a Francesco. Seh, questa era bella.
«Una catapecchia infestata da feccia, da immondi lebbrosi, vorrai dire.»
«Mi funge da scuola. Sto imparando da loro.»
«Cosa?»
«Com'essere felice.»
Il luccichio tremulo dei suoi occhi. Nuovamente. La felicità nascosta che trapelavano.
«Felice?» chiosò Angelo sardonico. «Felice in un porcilaio?» Aggrappandosi al suo avambraccio mutò in un tono conciliante. Magari faticava a intendere. «Francesco, ascoltami, se torni a casa ora possiamo elaborare un piano per convincere Papa a mostrarsi clemente nei tuoi confronti!»
Fune lanciata. Francesco la recise.
«No, no Angelo.» Testa scossa, togliendolo gentilmente. «La mia casa è questa adesso, insieme ai miei fratelli.»
Casa. Fratelli. Il braccio di suo fratello si mosse a includere i reietti circostanti. Gli sconfitti, i deboli, i malati. Quel branco di nullità suoi fratelli.
Il mondo di Angelo si disintegrò in un batter d'occhio.
«I tuoi... fratelli?»
Rabbia, tradimento. Esasperazione. Anni di giochi, di passioni comuni, d'affetto, di sogni, d'allegri, di bravate sparse al vento per quei fratelli. Lo sostituiva. Lo faceva sloggiare dalla sua esistenza. Lui, lui che non l'aveva mai accusato o incolpato di nulla! Che non aveva mai mosso un dito sulle sue trovate!
«S-Stai perdendo la r-ragione: io sono tuo fratello! Il tuo unico fratello!» L'istinto di picchiarlo era predominante. Angelo serrò il pugno, controllandosi.
«Ogni uomo è fratello, ogni donna è sorella.» Braccia tese al cielo, spalancate a circondare ogni cosa. Il timbro musicale e limpido. «Sole e luna, acqua e fuoco, terra e vento. Estensioni dell'amore divino, nostri fratelli e sorelle, figli del Padre. Cristo è padre e madre, sposo e amico, figlio e fratello.»
Blaterava di Cristo, fratellanza universale. Angelo era spaesato.
«Francesco...»
«Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali.»
L'aveva già sentita. «Citi il Vangelo?»
«La Vita.»
«U-Un libro!» esclamò sbigottito e confuso.
«No, il cartello indicante il mio cammino!» Si tese, prendendolo per le spalle, il sorriso d'un pazzo. «Oh Angelo, è come se mi avessero scrostrato il fango dagli occhi e vedessi tutto chiaramente per la prima volta!» Scosse di gioia incontenibile. «Il Vangelo è una guida, il Vangelo è verità.»
Dai derelitti emarginati al Vangelo. Con che nesso? «I-Io non... non ti sto seguendo...»
«C'è un uomo nel Vangelo. Un uomo che ride e piange, s'adira, ama, lotta, prega, vacilla. Insomma... un uomo come noi. E se lui è vissuto com'è vissuto allora cosa impedisce a noi di copiare il suo esempio?»
Era rincitrullito: Cristo un uomo qualsiasi, un uomo simile a quei disperati? Puzza d'eresia! Il Signore Santissimo non era un poveraccio!
«Lui era Cristo!»
«Appunto! E si è fatto umile tra gli umili, povero tra i poveri.»
Basta. Meglio chiuderla lì. Arretrando, rizzato di paura, Angelo abbandonò qualsiasi speranza di ricucitura. «Tu... t-tu sei diventato pazzo, proprio come dice la gente, sei matto, fuori di zucca! N-Non ti riconosco più!»
Un'ombra passeggera annuvolò l'allegria raggiante di Francesco.
«Nemmeno io riconoscevo più me stesso fratello.»
Era un lebbroso suo fratello o aveva udito male? I lebbrosi, gli afflitti. Un ributtante coacervo di scarti umani.
Loro. Preferiva loro a lui.
Il loro legame... polverizzato. Abbandonato. Finito.
Scappare, correre a casa, le lacrime incandescenti come lapilli: Angelo non potè fare altro.
Allontanati ora come allora. No, si corregge Angelo. Francesco ha avuto ragione, fulminato dall'amore, ora come allora.
Il segreto che nasconde non rappresenta una roba da poco.
Segnato dalla Passione di Nostro Signore. Ispira, placando il ciclone. Meno gente ne sa, meno si corre il rischio di fama, di voci. Non vuole venire venerato come santo, lo capisce. Dimenticare la portata di tali ferite, per contro, diverrebbe blasfemia? Insulto? Vedere l'uomo e non l'icona.
«Con me siete in una botte di ferro.» assicura a Chiara e le pieghe della sua espressione si distentono. «Non lo saprà anima viva senza il suo permesso.»
«Grazie.» China il capo velato, sorridente.
È bella, osserva Angelo. Una bellezza immutata, bionda, sottile, iridi di zaffiro in un assortimento di ciocche imbrigliate d'oro zecchino. Rasate corte, s'appunta, tagliate da Francesco quando-
«Maman! Maman!»
Altri viaggi destinati ad altri momenti. Francesco, vero cavolo. Assorti nella loro discussione l'hanno dimenticato.
Si rituffano svelti nella capanna, Angelo e Chiara. Il fraticello s'inarca sul giaciglio, protendendosi in un'allucinazione attizzata dal delirio, sovraeccitato. Cerchi sanguinanti si coagulano, intorbidendo il bianco delle pezze, al centro dei palmi.
Mantieni il segreto, fallo per Francesco, a onore dell'amore che gli serbi.
«M-Mam...» Trema, una foglia serrata dai brividi, sbattendo i denti. «Devo, devo andare...»
Chiara se lo addossa contro il petto, caricato sulle ginocchia, la testa di Francesco che grava floscia sulla sua spalla. «Dove Francesco?» L'accarezza, padroneggiando una dimestichezza e delicatezza sopraffini lo asciuga dal sudore, gli rinfresca la fronte, gli incavi del collo, la barba rada e gocciolante.
«D-Devo riparare la sua casa che c-crolla...»
L'ha riparata, vorrebbe tranquillizzarlo Angelo. San Damiano e la Porziuncola e la Chiesa universale di Dio. Le cappelle intime nei cuori di milioni, una fiamma divampante, eterna, imperitura.
«Ci penseremo.» Chiara lo culla, fronte pigiata contro fronte. Francesco s'assopisce, fiacco, un bimbo smarrito. «Adesso riposa.»
«Mmh...»
«Non puoi ricostruire la chiesa di Nostro Signore se sei esausto no?»
«No...» Flebile, a tratti impercettibile. I suoi respiri rallentano quando Chiara e Angelo lo ripongono sulla paglia.
Stanno a scrutarlo scivolare nel sonno, una fuga dai limiti imposti dalla malattia. Improvvisamente, un fulmine a ciel sereno, Chiara profana la pace di quella visione, incrinata in un pianto, il singhiozzo strozzato con il palmo.
«Dio lo chiamerà presto a sé, lo vorrà accanto a lui, ma guardalo! Guardalo!»
«La sofferenza è l'anticamera della beautitudine.» Cristo Gesù patente le sue pene dalla vetta del Calvario e risorto il terzo giorno lo decanta al mondo intero. Angelo avvolge un braccio intorno alla sua figura minuta. «Non c'è giorno senza notte Chiara.»
«Ma la notte è rischiarata dalla luna e dalle stelle.» Si pulisce il viso accartocciato in una smorfia, coglie lacrime dalle ciglia. Risoluta e tosta, di nuovo la loro Chiara. «Sarò la sua luna Angelo, illuminerò il suo breve, scarso ultimo tratto di vita.»
Sorella luna. Argentata, virginale, purissima.
Onnipresente.
- Le stigmate, unico stigmatizzato riconosciuto ufficialmente nella storia della Chiesa, sono descritte da innumerevoli suoi contemporanei e confratelli (Frate Leone che ne fu testimone, per citarne uno). Un fenomeno mai verificatosi prima d'allora, stupente chiunque, ma che, finché Francesco visse, volle che fosse mantenuto stretto riserbo e segreto. Chiara gli confezionò delle pantofole su misura, con la pianta curva, delle piccole barche, cosicché l'escrescenza carnosa del chiodo non posasse a terra, provocandogli dolore. Tra le reliquie conservate nella Basilica di Santa Chiara ci sono pervenute anche delle specie di calze (più simili a delle calzamaglie) macchiate di sangue. Tommaso da Celano, principale biografo di Francesco nelle sue Vite, ci dice che: "Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell'esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande".
- Sì, le toppe sul alcuni sai di Francesco sono prese dal mantello di Chiara, è stata rinvenuta questa corrispondenza. Una nota molto dolce a parer mio del loro rapporto.
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