Angelo - I
Angelo si sdraia sull'erba e inala il palpito umido e corposo della terra, brulicante di vita. Creature del Signore, le vezzeggia Francesco.
Eh, Signore benedetto, quanto gli è mancato suo fratello.
San Damiano è una rocca di quiete e pace, dove l'animo teso si slancia in un'impeto amoroso all'infinito e trova casa, nido, riposo.
Ha ragione Chiara. Mentirebbe a dire che Francesco non fosse cambiato. Completamente. Uscito di senno. Zimbello di Assisi e... sta correndo troppo. Non ha dato subito di matto appena rimesso piede in casa, tutt'altro.
È stato un processo. Suo, loro. Di distaccamento e comprensione. Di abbandono e affidamento. Di dolore.
«A Papa costò un patrimonio.» Strappa un filo d'erba e lo sfrega tra i polpastrelli. «Ma dopo un anno di mediazioni del Comune e danaro raggranellato lui e altri figli dei potenti poterono uscire di prigione.»
«Non nelle forze migliori.»
L'aveva scorto in fondo alla strada, lì dove l'acciottolato discende, arteria laterale della piazza del Tempio di Minerva. L'aveva scorto, il suo adorato fratello, nei confronti di cui innumerevoli novene e speranze erano state rivolte alla Santissima Vergine, e, preda d'una felicità incontenibile, Angelo gli era corso incontro, strepitante gioioso il suo nome, travolgendolo nel suo abbraccio.
Francesco barcollante, i brandelli dell'armatura ridotti a cenci, e ardente, gli occhi due tizzoni. Scottava. Angelo si era ritratto, spiazzato.
«No.» assente, ruminando il filo in bocca, le braccia incrociate a reggere la nuca. «Nelle peggiori condizioni possibili.»
I figlioli di Pietro di Bernardone dei Moriconi costituivano la sua gioia e il suo orgoglio.
Affiatati, uniti, un divario di quattro anni non rappresentava uno scoglio. Francesco, scatenato e vispo, crogiolo di tutte le speranze, sogni e ambizioni paterne, una dissonanza spesso malaticcia di nero e bianco. Gagliardo e generoso a oltranza con gli amici, la gioventù trovava in lui la sua espressione. Angelo, costituzione forte, biondo e riccioluto come un cherubino, la riservatezza schiva dei francesi, ma scaltro e affabulante al banco da vero italiano.
Giorno e notte in accordo. Niente di più diverso e niente di più stretto.
Legatissimi, compagni di giochi e di stanza, nei primi anni, collaboratori dietro il bancone. Si nutrivano famelici delle chanson della mamma. Madonna Pica filava accanto alla finestra, il profilo delicato bagnato dalla luce, e narrava racconti di terre lontane, intrepidi paladini. Orlando, Rolando, Re Artù, Lancilloto.
Francesco e Angelo, dentro quelle storie, ci si perdevano. Cavalcavano le parole della mamma come fossero destrieri, si immaginavano grandi e forti, salvatori di donzelle in pericolo e conquistatori di principesse.
«Diventerò un cavaliere famosissimo!» Francesco, una scodella di capelli neri come l'inchiostro rovesciata sulle guance bianche, s'alzava in piedi e lo proclamava certo.
«Anch'io!» Angelo, come in tutto, lo imitava. Dove se la filava Francesco eccolo accollato, affezionato al maggiore che del mondo sapeva di più, molto di più, sua guida e faro e sicurezza. «Sarò Orlando!»
«E io Lancillotto!» Raccattava uno spadino di legno, suo fratello, vibrando una stoccata. «In guardia!»
«Vincerò io!»
Lame sbozzate dal legno s'incrociavano, risate argentine saturavano l'aria.
«No, io! Sono più grande!»
«Io più intelligente!»
«Io so a memoria tutte le chanson di Maman.»
«E io becco i voti più alti.» I canonici di San Giorgio erano compiaciuti del suo rendimento in latino. Diversamente da Francesco.
L'infanzia scorreva come sassolini di fiume, ingrossandosi nel torrente impetuoso e roboante della giovinezza. Afosi, assonnati pomeriggi estivi, il trillo di uccelli nell'aria immobile. Un arricciolarsi di vigneti lungo i dolci pendii. Francese combinato all'italiano. Ballate, canzoni, risa. Banchetti sguaiati e fenomenali di cui suo fratello era il re, un principe gaudente e spendaccione.
Tanto pagava il loro padre.
Papa. Maman. François. Ange. Tortore tubavano e il frullo delle allodole sotto i tetti rossi e ardenti, guizzi di piumaggio terroso. Estati di papaveri fiammanti e spighe di grano, fiordalisi spruzzanti i campi.
La guerra aveva spazzato via tutto questo in un lampo.
Da Francesco perlomeno. Un anno angoscioso di lontananza e lo riavevano febbricitante e malmesso, la degenza a letto protratta per mesi. Niente più giochi nei magazzini straripanti di broccati, velluti, sete. Lontano ricordo le gare a perdifiato nelle concerie dei tintori, fuori, oltre Assisi. Luoghi bui e maleodoranti, dove uomini dalle unghie bluastre e mani consumate dal lavoro immergevano e appendevano le fibre, il colore scorrente a vampate nell'acqua putrida.
Si divertivano a memorizzare le soluzioni, i segreti magici dei colori.
Ginestra per il giallo. Lapislazzuli per ottenere un blu sgargiante. Con la robbia e la cocciniglia ne ricavavi un rosso vibrante. Pestando i chicchi di melograno nel mortaio si procurava l'arancione bello intenso.
E l'allegra brigata? Le notti di sollazzi, di canti e vino?
Francesco non le cercava più. Angelo non lo riconosceva più.
Sembrava... spento. Esattamente, spento.
Si chiudeva in silenzi ermetici, estraniato da loro, dalla vita. Vagava per la campagna soleggiata, errante nelle sterminate distese di papaveri e grano, all'ombra frastagliata degli ulivi. Sulle tracce di chi? Di cosa?
Francesco non parlava, Angelo ne soffriva e Maman si crucciava.
«Non sta ancora bien il nostro François?»
«Ah, non preoccuparti!» accantonava i timori Pietro di Bernardone. «Sono gli strascichi della malattia. Ci ha fatto penare, vero. Ma tra poco ripartirà in sesto.»
Papa aveva affinato l'arte della preveggenza o conosceva Francesco come le sue tasche. L'annuncio di voler ritentare la sorte e il cammino di cavaliere al seguito di Gualtiero di Brienne, indomito condottiero diretto nelle Puglie, da dove poi sarebbe salpato alla volta della Terra Santa, per liberarla dagli Infedeli, venne recepita felicemente dal loro padre, con angoscia dalla loro madre e rabbia da Angelo.
La prima rabbia di molte.
Non gliel'aveva confidato.
Non esistevano segreti tra lui e Francesco. Mai. La loro fiducia reciproca era indistruttibile. Ma, da quando era tornato, quell'equilibrio, quella fiducia, si erano irrimediabilmente incrinati.
Francesco non si apriva più con lui, con Maman. Con nessuno.
I suoni della natura, l'estate infuocata, conservavano l'inquietudine che gli si leggeva in volto. Angelo, abituato alle retrovie di secondogenito, ora avvertiva la lontananza dal fratello per cui avrebbe sacrificio persino un arto.
«Mi abbandoni così?!»
La sera prima della partenza di Francesco prese coraggio, avventurandosi nella stanza da cui stava alla larga da giorni.
«Come?»
Una parola finalmente. Francesco, seduto al baldacchino dalle impalpabili cortine, staccò gli occhi dal libro in mano.
Angelo s'impose di mantenere la calma.
«Mi abbandoni così. Senza dirmi niente. Senza pormi al corrente di questa tua nuova pensata.» Si avvicinò, la voce spezzata dal dolore. Una nonnulla, a pensarci a ritroso, una sbucciatura se paragonata alla spada trapassante il cuore successivamente. «Siamo sempre stati complici, le architettavamo insieme. Avresti potuto dirmelo. Avrei potuto saperlo.»
Sguardo lontano. Non osava incrociarlo.
«Q-Questa volta si trattava d-di una cosa diversa.»
«Questa volta?!» Che gli aveva fatto? Lo odiava? Non gliene aveva dato ragione! Lui era suo fratello. «Si può sapere che ti prende?!»
«Angelo-»
«Non sei più tu. Ti isoli e non smozzichi parola con nessuno. Che diavolo ti ha posseduto? Perché non ti apri? Perché non mi vuoi?»
Francesco si mangiò il labbro inferiore, ignorando i suoi occhi dardeggianti collera, dispiacere. Amarezza.
Angelo aveva bisogno di suo fratello.
«Non puoi capire.» replicò evasivo e criptico. «N-Non puoi capire cosa sto-»
Si interruppe. No. Adesso no.
«Cosa stai cosa?! Come faccio a capirlo se non me ne parli?»
Francesco rimase fermo, fissante il muro, le intersezioni e le cavità delle pietre, i tratti tirati dalla tensione.
Lontano, come ormai era da prassi.
«Cosa mi sta divorando dentro.»
Angelo restò interdetto. L'inquietudine rodeva l'animo di suo fratello. Ma cosa voleva dire? Che significava? Divorato dentro. In che... in che senso? Indicava un nuovo morbo, una febbre appestante?
Ma era suo fratello e il suo dovere prescriveva la vicinanza.
«E che cosa ti sta divorando dentro Francesco?»
Silenzio e un accavallarsi di domande nella sua mente. Perché queste parole? Qual'era il loro significato nascosto? Francesco stava soffrendo, ma per cosa? Di cosa? Poteva aiutarlo? Scagionarlo da un secondo carcere? Come?
«Un fantasma che si aggira in me. Il vuoto.»
Il vuoto. C'era una cura al vuoto?
«Un vuoto colmato da Dio.»
Chiara si sistema il velo, accavallando le gambe sotto il saio. Risuona il frinire indolente delle cicale negli arbusti. Angelo si rialza seduto, sgranchendosi le braccia intorpidite, ingolfandosi il petto d'un respiro.
Francesco dorme e il pomeriggio splende.
«Eri geloso?» gli pone Chiara, un tarlo che si trascina da tempo. «Quando abbiamo avuto i nostri primi contatti dico. Quando c'incontravamo al lazzaretto o altrove nelle campagne, lui ed io.»
L'altro increspa le labbra, ponderando in silenzio. «Poco.» Sta mentendo. Una spintarella lo smuove. «Scherzavo: molto. Parecchio. Si stava incamminando su un sentiero a me oscuro, lo stavo perdendo. Divergevano le nostre rotte e collimavano parallele le vostre. Sentivo come se me lo stessi...»
«Rubando?» sorride Chiara.
«A voler appoggiare la schiettezza: sì.»
Nelle Puglie Francesco non c'era giunto mai. Una febbre improvvisa l'aveva debilitato lungo strada, costringendo lui e il seguito a una sosta forzata. Dio si era rivolto al Suo servo nei sogni, risvegliando il fantasma delle prigioni, l'irrequietezza, il malumore vuoto e privo di senso. Gliel'ha rivelato tempo dopo.
«Francesco, chi è ideale seguire? Il padrone o il servo?»
«Il padrone...»
«Allora perché lasci il padrone per seguire il servo?»
Una leva al ritorno, segnale definitivo di come quella non fosse la sua strada.
«Vendette cavallo, bardature, armature. Tutto.» Angelo si raccoglie le ginocchia nella cerchia delle braccia. «Al vederlo tornare a mani vuote Papa s'accigliò, ma non disse nulla. Ne dedusse che la carriera a cui Francesco era chiamato fosse un'altra.»
«Mercante.» sintetizza Chiara
«I suoi figli avviati a mandare avanti l'attività di famiglia. Dovevi vederlo, tronfio d'orgoglio. Saremmo divenuti socii nei suoi piani, impresari di prima categoria.»
«Il Signore decise diversarmente.»
«Lui e Francesco.»
Una figura, dal fondo del giardino, s'ingrandisce, avanzando in direzione del duo. Suor Pacifica - al secolo la cara amica di Chiara Pacifica di Guelfuccio - riprende fiato piegata sulle ginocchia.
«Chiara, sorella Chiara. Frate Elia e Sua Eminenza il Cardinale Ugolino sono qui. Desiderano conferire con te.»
Elia e Ugolino. Angelo ingurgita l'acido che gli corrode lo stomaco alla menzione di quei disgraziati. Che vogliono adesso? Non hanno già spolpato suo fratello abbastanza, esasperandolo con Regole e illogici cambiamenti?
Tradimenti, occorrerebbe dire. Francesco lo riprenderebbe. Ma Francesco dorme.
Gli ideali, nella mente di Angelo, non si uccidono.
«Con me?» Chiara è dubbiosa. «Non vedere Francesco?»
«Li ho informati che stava riposando, pensavo-»
Angelo precede Chiara ancor prima che costei apra bocca.
«Hai fatto bene sorella.» L'occhiata di rimprovero che s'attira lo scuote assai poco. «Finalmente dorme placido. Non vorrai disturbarlo.»
Un sospiro di sopportazione. Chiara assente. «No, certo che no. Verrò subito a omaggiare i nostri ospiti.» S'alza in piedi, scrollandosi i fili d'erba dal saio. «Posso fidarmi della tua vigilanza naturalmente Angelo.»
«Mia e degli altri. Filippo, Leone e compagnia cantante sono sempre nei paraggi.»
«Non esitare a chiamarmi, casomai dovessero...»
Francesco è un relitto scassato, in termini di salute, è ovvio, ma, al momento, sorvolando su febbri intermittenti e tosse saltuaria, San Damiano sembra apportargli beneficio più di tutti i sapientoni medicanti e ciarlatani che l'hanno visitato.
San Damiano... o la vicinanza di Chiara?
Angelo sguscia all'interno della capanna in frasche quando, rassicurata Chiara, resta solo. Solo e con il respiro sommesso e regolare di suo fratello. Coperte rimboccate, le mani inghiottite dalle maniche inconsuetamente lunghe e cascanti del saio rattoppato - in quello che oramai è un rituale - da Chiara. Tutto infagottato, tra calze e pantofole spesse e bende di qua e di là, gli occhi di Francesco spiccano enormi.
Un bimbo nelle sue vesti flosce, bisognoso di cure.
«Che vorranno da Chiara secondo te?»
Mugolio incoerente. Sì, Francesco dorme proprio profondamente.
Chissà se nei sogni si può rivedere il passato.
- Il sogno con la voce e il discorso del padrone e del servo non fu l'unico che ebbe Francesco lungo la strada per le Puglie alle quali mai approdò. Abbiamo resoconto di un altro, dove lui sogna un castello pieno zeppo d'armi e una donna affascinante sua sposa (presagio dei suoi "cavalieri" i frati e delle sue nozze con Madonna Povertà)
- Elia e Ugolino, altresì detti i casinisti, soprattutto dopo la morte di Francesco. Il primo Ministro Generale contraddittorio e ancora oggi in ombra, il secondo futuro Papa Gregorio IX.
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