Capitolo 6

       

Agalia

I miei occhi scuri sono fissi sul marmo di questa scrivania imponente la cui mole occupa gran parte dell'ambiente, mentre le orecchie ascoltano la consueta musica antica intonata dal rumore della pioggia sulle piante del mio giardino, che riporta alla memoria i miei trascorsi e quelli dei miei fidati subalterni. Questa immersione nei ricordi viene spezzata via da un inatteso alito di vento, che si intrufola silenziosamente e, con garbo, espande il profumo di menta e tabacco del sigaro che ho tra le mani. Con deliberata lentezza sollevo lo sguardo per puntarlo sull'intruso che, inosservante delle regole, entra chiudendosi la porta alle spalle senza attendere il consenso.

"Marcus" dico semplicemente.

Nessuna intonazione o emozione traspare dal mio timbro e la mia espressione neutra gli comunica la mia indisposizione. Odio le improvvisate e detesto chi si prende simili libertà con me. Il mio stesso fratello avrebbe dovuto rammentarlo.

"Agalia, abbiamo un problema" risponde prendendo posto su una delle sedie dinanzi a me.

Ha gli occhi seri e il volto è una maschera indecifrabile.

"Di cosa si tratta?" domando appoggiando il sigaro acceso nel posacenere e lasciando che si consumi con lo scorrere del tempo.

"Ho fallito" soffia chinando il capo.

"Tu non fallisci" ribatto appoggiando i polsi sul piano, mentre mi inclino in avanti con il busto per scrutargli il viso da vicino.

"Invece è quello che è successo", conferma guardandomi nuovamente negli occhi, "ti ho mentito e questo è il risultato."

"Nessuno può mentirmi" contesto con un ghignetto sulle labbra.

"Allora diciamo che ho omesso una parte della verità."

Queste parole suonano aspre nelle mie orecchie e la sua voce stride sul mio spirito.

"Spiegati meglio" ordino perentorio, prima di abbandonarmi sullo schienale di capra e di incrociare le braccia al patto.

"Durante la mietitura di quindici anni fa non ho fatto il mio dovere."

"Mi avevi detto di averli eliminati tutti", ribatto sentendo la collera macerare nelle mie viscere, "come hai potuto mentirmi?"

"Mi avevi chiesto se avevo ucciso l'ultimo Hunter a cui davo la caccia e ti ho detto la verità. Quello che ho tenuto per me è stato che quel giorno ne ho incontrato un altro che mi ha salvato la vita. Ero in debito con lui e l'ho risparmiato in cambio di un suo ritiro."

"Immagino non abbia funzionato" mormoro con asprezza.

"In realtà ha funzionato. Lui non si è mai interessato alla questione, ma a quanto pare lo è anche suo nipote."

"Fammi capire", prendo la parola ed essa suona d'ira, "non solo hai lasciato in vita un Hunter, ma non hai neanche pensato di uccidere i suoi familiari prossimi?"

"Esatto", conferma abbassando gli occhi, "ecco il mio errore."

"Il tuo errore è ben più grande di quanto pensassi", dichiaro alzandomi in piedi, "dunque è il ragazzo l'hunter dell'isola?"

"Sì."

"Lo hai ucciso?"

"No."

"Perché?" incalzo avvicinandomi a lui con passi lenti e misurati. Nonostante la rabbia stia avviluppando ogni parte del mio corpo, il tono è tornato regolare come la mia espressione.

"Lo sai quanto adoro picchiarli a morte, no?"

"Vai al sodo" gli intimo, mentre le mie mani si posano sulle sue spalle.

Un sospiro esce dalla sua bocca mentre ammette: "In definitiva è arrivato un tizio con i capelli rossi che lo ha portato via."

"Un tizio?" rimarco aumentando la presa sulle spalle, "E come ha fatto a sfuggirti, questo tizio?"

"È svanito nel nulla, Agalia."

"Il tuo amico cacciatore è ancora vivo?"

"Sì."

Al suono di questa risposta la mia mano sinistra aumenta la stretta e si allenta solo quando il rumore delle sue ossa in collisione non mi raggiunge.

Percepisco il suo respiro trattenuto, ma neanche un lamento si leva dalla sua bocca.

"Avresti dovuto ucciderlo."

"Il patto", soffia a stento, "e comunque è venuto quello a prendere anche lui."

"Mi hai deluso, Marcus", ammetto sollevando le mani per ritornare alla mia poltrona, "e la delusione non è un sentimento che m'appartiene."

"Lo so."

Torna a guardarmi con i suoi occhi d'ebano ancora fieri, nonostante il dolore.

"Non posso lasciare questo tuo errore impunito", dichiaro in modo discorsivo, "affinché sia d'esempio a tutti coloro che desiderano contrastarmi."

"Accetto quello che verrà", esprime a denti stretti, "ma concedimi la possibilità di rimediare."

"Simili concessioni le fanno in cielo" asserisco con un sorrisetto ironico.

"Ti prego, Agalia" mormora stringendo un pugno sul marmo screziato.

"Si pregano i Santi, Marcus."

"Maledizione, Agalia!" reagisce scattando in piedi, "Sono tuo fratello e ti ho sempre servito in modo ineccepibile."

"Non sempre", lo contraddico alzandomi a mia volta, "se così fosse stato, ora non ti troveresti in questa situazione."

"Cosa vuoi fare? Uccidermi?" incalza fissandomi negli occhi.

"Dovrei", confermo sostenendo lo sguardo, "ma trovare sottoposti validi è diventato difficile."

"Dunque, qual è la mia sorte?" chiede moderando il tono e tornando a sedersi.

"Perderai i tuoi privilegi di rango e non farai più parte del consiglio di Reggenza."

"Mi releghi a semplice Demone?" domanda atterrito.

"La giusta punizione è la morte", spiego con calma, "ma questa è adeguata alla tua colpa."

I suoi occhi sfuggono al mio sguardo, percepisco la sua rabbia quando mi chiede: "Cosa vuoi che faccia?"

"Lascia la sede e tutti i tuoi beni. Trovati un posto, guarisci e poi vai a cercare questi maledetti Hunter e uccidili."

"Entrambi?"

"Non farmi ripetere, Marcus e tieni bene presente che una prossima volta non sarò così clemente."

"Sì, Signore!" ribatte alzandosi in piedi.

"Non farmene pentire" dichiaro un ultima volta, mentre lo vedo uscire dallo studio.

Questa sua rivelazione mi ha messo di cattivo umore. Non mi sarei mai aspettato un tale affronto e tento meno una sua menzogna. È una delle mie doti sviscerare gli Esseri, Umani o Aberranti, per carpirne i segreti e lui, mio fratello, ha osato mentirmi.

Un senso di oppressione mi preme sul petto e uno di insoddisfazione mi colma le membra formicolando sulla pelle, palesando il mio reale volere.

Avrei dovuto ucciderlo! Penso alzandomi in piedi. Con tocco deciso abbottono la giacca di questo completo antracite ed esco per raggiungerlo nelle sue stanze.

Quando mi ritrovo nel lungo corridoio privo di finestre, dai soffitti alti e le parete in velluto damascato, mi sembra che l'aria sia stata risucchiata dalle pareti. Ancora il senso di vessazione mi coglie impreparato, un momentaneo sgomento, che dura il tempo di avanzare pochi passi. Non sono impressionabile, eppure, sono stato appena vittima di una reazione sconosciuta. Proseguo a passo svelto nel dedalo di famiglia, accompagnato dal suono delle mie suole che ticchettano sulla pavimentazione in ardesia fino a raggiungerlo.


Senza tentennamenti ruoto la maniglia ed entro con un movimento sicuro.

"Agalia!" sussulta facendo cadere il libro che tiene tra le mani e che stava riponendo in una piccola sacca.

"Marcus, mi hai tradito" dico semplicemente avvicinandomi a lui.

"Hai cambiato idea" comprende con un ghigno sarcastico.

"Non ho cambiato idea. Il perdono, Marcus, non è nella mia natura."

"Neanche nella mia", replica con un mezzo sorriso, "ti capisco. Sapevo, che non avresti mai potuto sopportare la mia vista."

"Non ti dirò mi dispiace" proseguo afferrandogli il collo.

"Non me lo aspetto, fratello, fai ciò che devi."

Mi guarda dritto negli occhi, i suoi d'ebano brillano di orgoglio mentre le labbra accennano un sorriso d'accettazione.

Con un movimento deciso gli spezzo il collo. Ecco il mio dono per lui, una morte rapida, decorosa e indolore.

Adagio il suo corpo sul letto e lo osservo nella sua umana essenza sentendomi più leggero.

L'insoddisfazione è svanita.

Ho fatto quello che era giusto e ora posso usare la sua morte come esempio dopo avergli dato una degna sepoltura. Era pur sempre mio fratello.

*Mio spazietto*
Ciao a tutte/i!
Grazie come sempre di esserci ☺️ Ve lo aspettavate?
Il prossimo capitolo renderà alcune di voi felici😍
Alla prossima!

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