Il bus della notte


Il riverbero giallastro dei lampioni si rifletteva debolmente sui vetri dell'autobus. Di tanto in tanto, lame di luce tagliavano il mezzo per tutta la sua lunghezza illuminando poche facce di viaggiatori mal assortiti.

Il conducente procedeva lento, erano appena passate le due e trenta del mattino e la notte era ancora lunga. Chiuso nel suo gabbiotto anti-aggressione se ne stava curvo sul volante, gli occhi spenti e fissi sulle strade della città dormiente.

Subito dietro di lui, un uomo anziano che puzzava palesemente di rancido aveva la fronte incollata al plexiglas e guardava l'uomo al volante come si fa con le bestie allo zoo. Sembrava una bestia rara in effetti, un uomo così a posto in quella parte così merdosa della città.

L'autista svoltò leggermente a destra. L'autobus emise un netto cigolio come se fosse sul punto di spezzarsi, poi si rimise in piano e il cupo rombo del vecchio motore ritornò a farla da padrone nell'ambiente chiuso e maleodorante.

Un ragazzo e una ragazza, che dormivano avvinghiati nelle loro felpe larghe e logore, furono svegliati dalla manovra e si aggiustarono l'un l'altra le teste negli incavi del collo. Il ragazzo alzò lo sguardo verso il fondo dell'autobus, i suoi occhi scivolarono su tutti i passeggeri senza neanche soffermarsi un istante. Diede poi una controllata nella tasca anteriore della felpa scura e con un leggero tintinnio tirò fuori qualche pipa per meth e una siringa. Le rimise a posto, grato che fossero ancora li.

Una sgualdrina dall'altro lato della fila di seggiolini lo guardò dilatando le pupille. Da quanto tempo non si faceva quella. Rimase lì a fissare il punto in cui le mani dell'uomo erano scomparse di nuovo nella tasca della felpa, quasi si aspettasse che da un momento all'altro uscissero decine di siringhe e venissero da lei cantando e agitando gli aghi come cagnolini scodinzolanti. Chissà da quanto tempo non si faceva.

La polizia, da qualche settimana, rastrellava le strade in cerca di puttane per poi sbatterle in galera insieme ai loro clienti abituali. Finiva che parlavano, parlavano sempre. Bastava che ne prendessero una poi tutta la rete cadeva giù in pochi giorni. Forse questa era scampata, ma di certo non aveva voglia di rimettersi in strada con tutto quel casino in giro.

I suoi lunghi capelli ossigenati ondeggiavano piano, assecondando leggeri gli scossoni di quel vecchio bus malconcio. Quell'idiota di autista forse lo faceva di proposito a centrare tutte le buche. L'ennesimo scossone le fece scivolare la frangia sugli occhi e con un movimento del pollice riportò il ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Un uomo, seduto qualche fila di seggiolini dietro di lei, la guardò tra le palpebre pesanti e semichiuse. Lei lo fissò un secondo appena, poi la sua attenzione si rivolse di nuovo alla tasca della felpa del ragazzo.

L'uomo assonnato invece reclinò la testa all'indietro e sbuffò, sofferente. Anche lui non si faceva da troppo tempo. Da circa qualche ora a dir la verità. Quantomeno, però, aveva la decenza di non fissare uno sconosciuto nel bel mezzo di un autobus. Si sfregò gli occhi arrossati, più dall'eroina che dal sonno, e poi appoggiò la fronte al vetro freddo del finestrino. Fuori le vie si ripetevano tutte uguali: saracinesche, case dalle porte sprangate, piccoli porticati ricolmi di sacchi d'immondizia e vecchi mobili. Quella notte erano passati di lì già tre volte. Non era certo un autobus che portasse da "qualche parte" quello. Più che altro era un "punto di passaggio". Una sosta, ecco tutto. Il bus della notte era la casa per le sere troppo gelide o un riparo per le scorribande della polizia.

L'uomo si tirò su il cappuccio del vecchio giubbotto scostandosi dal vetro e si diede un occhiata alle spalle. Una vecchia megera sonnecchiava con la testa reclinata all'indietro. Forse era lei che puzzava di rancido, adesso che ci faceva più attenzione. O forse erano entrambi. I due vecchiacci come capofila e chiudifila di quell'autobus di dannati. L'autista ovviamente non ne faceva parte, il suo gabbiotto lo escludeva come in un comparto stagno.

"Al diavolo", pensò rigirandosi mentre l'ennesimo scossone gli si piantava nel coccige. ''Che cazzo di importanza ha chi puzza di più o di meno? Puzziamo tutti in questa fogna.'' Si sorprese inconsciamente ad annusarsi il giubbotto. Aveva un'odore di stantio, un'odore che avrebbe definito "bianco". Sapeva, in qualche modo, di... 

''No, ti prego'', pensò in quell'istante. ''Non ora.''

Ma già la sua mente aveva incominciato a galoppare veloce. 

"Ero,ero,ero,ero,ero."

Si calò con forza il cappuccio sulla testa e con la mano sinistra incominciò a tormentarsi la barba sfatta e lunga, ruvida. "Ero,ero,ero,ero,ero." 

"Ti prego dammi un po' di tempo'', si disse, incominciando a dondolarsi leggermente sul seggiolino in plastica. La mente parve rispondere con un'eco vuota, malvagia: "Ero,ero,ero,ero,ero".

Guardò di fronte a lui. La prostituta probabilmente aveva rinunciato a sperare in un qualche atto di beneficenza dei due giovani che ancora se ne stavano abbracciati l'un l'altra. Si era portata le ginocchia al mento e le cingeva con entrambe le mani. Il mento appoggiato sopra e la testa leggermente piegata come se pensasse a qualcosa di importante. Probabilmente pensava a come procurarsi una dose senza spendere un centesimo, un bel dilemma. Anche nella testa dell'uomo l'eco inesauribile dell'eroina echeggiava ancora in quelle stanze vuote. Doveva distrarsi. Indubbiamente, doveva portare il suo cervello verso qualcos'altro.

Piantò più forte gli occhi sul corpo della sgualdrina. La immaginò come poteva essere mentre lavorava. La vide con un ombrello in un serata di pioggia. L'ombrello rosso che le nasconde il viso mentre grosse gocce si infrangono in tonfi sordi sulla superficie plastica. Una macchina lenta si avvicina. E' una berlina nera con una targa sconosciuta. La ragazza si fa avanti, alza leggermente l'ombrello mentre il cliente abbassa il finestrino del lato del passeggero. ''Quanti anni hai?'' chiede quello. ''Diciannove'', risponde lei sorridendo e mostrando una chiostra di denti giallastri. ''Sali'', fa l'altro.

Immagina se stesso in questo momento, seduto su di un auto nascosta dall'ombra a qualche metro di distanza. Si vede mentre apre il portellone e scende velocemente, la pistola spianata verso l'auto. ''Fermi, polizia'', dice, si sente un eroe, gonfia il petto mentre gli uomini al suo comando escono dalle stradine laterali e circondano l'auto. La ragazza lo guarda. Gli occhi azzurrini riflettono leggermente la luce arancione di uno dei lampioni. Sembrano accusare e al tempo stesso avere mille domande nascoste dentro. La guarda ancora e gli occhi della ragazza traballano. "Ero,ero,ero..."  La sua mente sussurra ancora.

Gli occhi che si ritrovò davanti furono gli stessi della visione. La ragazza lo guardò per mezzo secondo ancora, un riflesso arancione le scivolò sulla faccia, poi si girò volgendo la testa verso il conducente.

L'uomo si premette le meningi. Per qualche minuto c'era riuscito, aveva messo a tacere l'assurda voce che si propagava tetra nel suo animo. Un richiamo assurdo e doloroso. Lo aveva raffigurato come il canto del flauto per i ratti che, nella famosa fiaba, andavano a morire seguendo il suono di uno strumento così diabolico. Dio, quella fiaba gli aveva sempre fatto paura. Uno sterminio di topi ammaliati dal suono di un flauto, cosa c'era di più terrificante?

Le note del suo flauto erano quelle dolci e melodiose dell'eroina. Niente a che vedere con ratti e suonatori magici. Quando però incominciava a cantare dentro la sua testa, poco sarebbe bastato a contrastarla, se non un'altra dose, beninteso.

Uno scossone lo distolse dalle sue elucubrazioni, l'autobus stava decelerando. "Ero,ero,ero..." mormorano le note armoniose nella sua testa, ma con non poca forza tentò di ignorarle. Il mezzo rallentò ancora, poi, con l'ennesimo sussulto, si fermò. L'uomo spremette la faccia contro il finestrino: non si vedeva nulla al di fuori del cono di luce dell'unico lampione che avevano superato qualche metro prima. Ascoltò lo sbuffo dell'aria compressa rilasciata mentre la bussola anteriore si apriva e vide un'ombra farsi avanti dall'oscurità.

La voce dell'autista arrivò sorda e lontana nel retro del bus. ''Biglietto?'' disse assonnata. ''Sì'', rispose la voce di un uomo mentre una sagoma scura incominciava a salire i gradini. ''Eccolo'', fece mettendo finalmente i piedi dentro il mezzo.

Le melodie nella testa dell'uomo tacquero per qualche istante, sorprese anche loro. La figura che era entrata era quanto di più distante si potesse immaginare dal passeggero standard del bus della notte.

Portava un lungo impermeabile di un grigio brunito e, sotto di esso, lucide scarpe nere si muovevano leggere sul materiale plastico del pavimento. L'autista, che fino ad allora era rimasto a guardare la strada di fronte a sé, si girò di scatto e chiuse a fessura gli occhi. Non era certo abituato che qualcuno pagasse per la corsa, o tanto meno che avesse in tasca il biglietto.

Lo sconosciuto frugò un secondo nell'impermeabile svelando al di sotto un maglioncino elegante grigio chiaro. ''Ecco'', disse finalmente estraendo un foglietto spiegazzato e infilandolo nella timbratrice. ''Si accomodi'', disse l'autista, la voce ridotta ad un sussurro e gli occhi ancora a fessure, guardinghi.

Lo sconosciuto gli fece un cenno col capo, poi, con disinvoltura, camminò verso il fondo del mezzo. Oltrepassò la stragrande maggioranza dei posti vuoti, senza posare lo sguardo su nessuno dei passeggeri. Dal canto loro quelli gli avevano dato semplicemente un'occhiata e, dopo aver appurato che non si trattava di una minaccia, erano ritornati a dormicchiare poggiando la testa ai finestrini.

L'uomo assonnato e dagli occhi arrossati dalla droga, invece, parve risvegliarsi dal torpore. Le voci suadenti, gli echi della eroina, si erano stranamente acquietati nella sua testa. Il nuovo arrivato aveva un ché di familiare.

Lo vide avvicinarsi sempre di più finché non si fermò proprio accanto al seggiolino vuoto di fronte a lui. L'impermeabile frusciò leggero quando alzò una mano indicando il posto vuoto. -Posso sedermi?- domandò. Il bavero dell'impermeabile gli nascondeva il viso in una penombra scura.

Gli fece un cenno d'assenso con la testa, gli occhi ancora piantati sul volto di quello sconosciuto. Si sedette in silenzio, la luce arancione dei lampioni lo illuminava a tratti mentre il bus traballante riprendeva a correre nella notte.

-Bella serata- disse lo sconosciuto guardando il panorama che fuori dal finestrino scivolava inesorabile verso il retro del veicolo. L'uomo assonnato ascoltò quella voce con un crescente disgusto, poi aspettò che l'uomo con l'impermeabile abbassasse definitivamente il bavero per sussultare finalmente di paura.

Quello si girò verso di lui, gli occhi sorridenti e la bocca schiusa in una smorfia divertita. -Sì, è proprio quello che credi.- Le guance rasate di fresco si distesero sotto quel sorriso.

L'altro uomo si strinse nel suo giubbotto logoro, improvvisamente un'ondata di freddo intenso gli aveva attraversato le membra congelandolo. ''Non può essere'' pensò fissandosi le scarpe vecchie. ''E' solo l'eroina che mi fa questi brutti scherzi''.

Una risatina nervosa gli scappò dalle labbra secche mentre guardava di nuovo lo sconosciuto che non aveva cambiato espressione e lo continuava a fissare divertito.

-Sono io, John. Sono te- disse inclinando la testa da un lato. -O meglio, sono quello che saresti dovuto essere.-

Il freddo gelido che gli aveva attanagliato il corpo sembrò stringerlo ancor più forte. Che diavolerie stava raccontando quell'idiota? Era forse un suo sosia? O forse si trattava di qualche stupido programma televisivo che faceva candid camera? Si strinse ancor di più nel giubbotto. ''E' solo l'eroina'' pensò socchiudendo gli occhi e cercando di pensare ad altro. ''E' solo l'eroi...''

-Non è l'eroina, maledetto tossico.- I suoi pensieri furono interrotti dalla voce dello sconosciuto, anzi dalla sua stessa voce.

-Non puoi essere me- disse il John drogato decidendosi ad aprire bocca. -Che saresti? Una specie di fantasma venuto per tormentarmi?-

Quello rise, i denti accessi di luce arancione a causa dei lampioni notturni. -No, John. Avremmo preso questo autobus oggi, indipendentemente da come le nostre due vite si siano separate. E' solo per questo che mi trovo qui, idiota egocentrico.-

John lo osservò più attentamente. Aveva il volto pieno e fresco, la barba rasata gli dava quel tocco di professionalità e affabilità che completava l'ottima fattura degli abiti che portava. Era proprio la sua figura sdoppiata, solamente pulita e candida.

-Sei me, quindi?- gli chiese.

-Sì, John, sono te.-

Nella mente di John il drogato, gli echi dell'eroina erano lontani, soppiantati totalmente da quella situazione così fuori dal comune che li aveva fatti tacere. Che diavolo stava succedendo? Aveva veramente chiesto a quell'uomo se fosse sé stesso? Era qualcosa di talmente assurdo che non riusciva a crederci nemmeno, stentava perfino a pensare che quelle parole gli fossero uscite dalla bocca. Questo era il mondo reale, non esisteva gente sdoppiata e altre cose pazze come quella. E non era neanche possibile che fosse l'eroina, non si faceva da ore ormai e sentiva perfino i morsi dell'astinenza avvinghiarglisi per le braccia. 

"Che cazzo sto facendo?"

Si guardò intorno, a disagio. L'autobus avanzava nel buio tetro della notte e i suoi occupanti dormivano o sonnecchiavano come al solito, solo quello strano individuo con la sua stessa faccia e la sua stessa voce lo osservava con un sorriso stanco dal seggiolino di fronte. Che diavolo voleva? Chi diavolo era?

-Senti, io non so chi cazzo sei ma...-

-Non posso essere te?-  lo interruppe. -E' questo che vuoi dire, John? Che è impossibile?-

Quello non rispose, si passò una mano sulla faccia e i peli ispidi della barba nerastra gli grattarono il palmo. Gli occhi bruciavano di sonno e di... "ero, ero, ero."  la sua mente sussurrò molto lontana. Scosse la testa cercando di allontanare quei flebili echi.

-Smettila di combatterti, John, ormai è finita.- L'uomo con l'impermeabile tirò su col naso e si stirò le pieghe dei pantaloni sulle gambe.

-Che cavolo significa che è finita?-

-E' finita, tutto è finito. Non puoi tornare indietro.-

John il drogato si mosse a disagio sul seggiolino indurito. "Non si può tornare indietro". Questo l'aveva sempre saputo in realtà, non c'è redenzione per chi affonda nel peccato. Non c'è possibilità di cambiare ciò che si è fatto, il passato rimane lì in un limbo evanescente e immerso nella nebbia pronto ad emergere quando meno te l'aspetti.

-Tu che ne dovresti sapere?- chiese all'uomo, anzi a se stesso.

-Io sono te, John. Io so quello che provi.- Inclinò la testa da un lato e lo guardò dritto negli occhi costringendolo a distogliere lo sguardo. Aveva ragione, in fin dei conti, lui sapeva di essere un debole e di non avere la forza per uscire dal buco oscuro in cui si era rintanato. Non aveva la forza di allontanarsi da ciò che era diventato e nemmeno di combattere per farlo, sapeva di non avere speranze.

Sollevò di nuovo lo sguardo, l'uomo ora rivolgeva la sua attenzione alla strada che scivolava fuori dal finestrino. Era così uguale a lui, così dannatamente simile...

-Che lavoro fai?- gli chiese torcendosi le mani.

-Scava nella tua mente, John- rispose quello allungando un dito e facendo un cenno verso la sua testa - Sono sempre stato lì, sempre.-

John lo guardò un secondo ancora. -Sei un poliziotto?-

-Bingo!- esclamò quello con un sorriso. Nessuno nell'autobus però parve sentirlo, tutti rimasero a sonnecchiare o a guardare fuori dal finestrino, persi nei loro pensieri.

-Tu... sei sposato? Come va la tua vita?- gli chiese mosso dalla curiosità.

Quello lo fissò ancora, un sorriso triste ora ad illuminargli il volto. -La domanda è come va la tua vita, John, non la mia. E sì, sono sposato e ho una figlia. Si chiama Margaret.-

John il tossico spalancò gli occhi arrossati, quel nome pescava in lontani ricordi, soppressi e congelati in celle frigorifere nella sua memoria.

-Come...- disse in un rantolo.

-Già, come la mamma.-

-Lei... sta bene?-

-Da quanto non la vedi?- chiese brusco il John poliziotto interrompendo quello scambio di battute, gli occhi che ritornarono seri.

Delle lacrime amare si ammassarono ai lati delle palpebre dell'altro John. -Da molto tempo- rispose.

-Tua madre è morta, John.-

Qualche lacrima, non più trattenuta, scivolò dalla coda dell'occhio per andare a scontarsi col giubbotto logoro in un tetro picchiettio.

"Sto davvero parlando con quest'uomo?" si ritrovò a pensare mentre osservava il colore del giubbotto farsi più scuro dove la goccia era affondata nel tessuto. "Sto davvero rispondendo alle sue domande?" Eppure la curiosità gli annebbiava la mente e tutta quella discussione lo stava distogliendo da echi ancor più tetri, dalla voce dell'eroina, quindi, reale o no, non era del tutto negativa. 

Il ricordo di sua madre baluginò leggero nella sua mente, abbastanza per fargli muovere le labbra in un'ennesima domanda. -Quando?- gli chiese, la voce mezza impastata.

-Non lo so- rispose l'altro, uno scossone dell'autobus gli smosse il bavero che con perizia rimise al suo posto. -Nella mia vita nostra madre è ancora viva, ma so per certo che nella tua se n'è già andata anche se non con precisione quando.-

John il tossico annuì passandosi una mano sul naso gocciolante, i sensi di colpa che gli artigliavano il cuore e l'anima come morsi di ghiaccio.

-A causa mia?- chiese in un soffio.

Il John poliziotto non rispose, per qualche secondo si limitò ad aggiustarsi l'impermeabile e a tirare su col naso. Poi disse: -Ti ricordi quando quell'idiota di Erik ci offrì una dose?-

-Sì- disse piano il John drogato, i sussulti dell'autobus sembrarono assecondare il moto dei suoi pensieri e riprendere, in tutto e per tutto, le vibrazioni dei bassi che quella sera in discoteca scuotevano il locale.

-Lo sai che cosa ci ha differenziato?- fece John il poliziotto con voce sottile. -Io ho accettato, tu no.-

John rialzò gli occhi ancor più arrossati e umidi. Non capiva.

-Sì, John, te lo ricordi bene- continuò adesso che aveva di nuovo la sua attenzione. -Sono stato molto male dopo quella dose. Ricordo ancora quanto vomitai quella sera e il giorno dopo; dovetti rimanere in ospedale per una settimana in seguito. Tu no, invece. Tu rifiutasti perché il tuo lato da bravo ragazzo ebbe la meglio. Peccato che quel singolo pensiero di testare qualcosa di così alieno per te, ti perseguitò finché non ti ci abbandonasti del tutto. Io avevo avuto una lezione, tu no. Poi sai com'è andata.-

John il drogato lo guardò in silenzio, gli occhi arrossati che si perdevano in meandri di passato che pensava di aver dimenticato. Tante delusioni sopite che venivano violentemente a galla e che violentemente reclamavano la loro dose di veleno per ritornare di nuovo a giacere oltre il pelo dello stagno scuro che erano diventati i suoi pensieri. ''Ero, ero, ero, ero...'' sussurrò la sua mente in un'eco lontana, ma stavolta un po' più vicina.

-Mi... mi...- cercò di dire più volte balbettando John il tossico ma non riuscì a fine, un groppo in gola gli ostruiva la voce.

-Non devi dispiacerti- lo anticipò l'altro, lo sguardo serio che traballava nel movimento ondulatorio del bus durante una curva. -La vita è fatta di scelte, scelte imprevedibili e ineluttabili. Condizionano ciò che siamo stati e ciò che saremo. Non puoi cambiare il passato, John.-

John il drogato sentì lo sconforto riempire il suo corpo quasi a cercare di annegarlo, il freddo tetro che portava con sé lo cinse alla gola. La sua vita scorreva dietro di lui quasi fosse la scia di panorama che si lasciava alle spalle l'autobus della notte: una macchia indistinta, lontana, intoccabile e ormai irraggiungibile. Si portò le mani alla testa e le strinse a pugno artigliandosi i capelli sporchi.

-Non puoi cambiare ciò che è stato, John, non dannarti- fece di nuovo il John poliziotto osservandolo -Non sono qui per quello, non sono qui per cambiare niente. Sono qui perché in ogni caso io e te avremmo preso questo bus. In ogni caso.-

Rimase a fissare le macchie scure lasciate dalle sue lacrime sul giubbotto logoro, poi alzò lo sguardo quando sentì John il poliziotto muoversi sul sedile. Si era girato su un fianco e scrutava attentamente fuori, la luce intermittente arancione che gli illuminava a chiazze il viso.

-Devo andare, John- gli disse continuando a guardare oltre il finestrino buio. -La prossima è la mia fermata, c'è già un taxi che mi aspetta.-

Il John tossico lo fissò interdetto. -Che succederà ora?- gli chiese mentre il bus cigolava e lentamente decelerava per fermarsi.

Il John poliziotto si alzò, si tenne stretto al passamano e si aggiustò ancora una volta il bavero del cappotto. Quando l'autobus si fermò con un fischio basso dei freni, si voltò e lo guardò dritto negli occhi: -Non succederà niente, John, niente.-

-Continuerà tutto come prima?- domandò ancora John il tossico, le mani strette a pugno sulle ginocchia adesso. Sentiva un groppo in gola come se l'intero sconforto gli si fosse piantato lì, nella laringe. -Niente epifania? Niente cambiamento miracoloso? Niente?-

-No, John, niente. Non era per quello che mi trovavo qui, te l'ho spiegato. Avremmo preso questo bus in ogni caso- rispose quello, la faccia nascosta nella penombra con un sorriso triste ad adornarla. Si spense solo quando si voltò per avviarsi lungo la fila di seggiolini.

-Addio, John!- gli fece alzando la voce quando raggiunse l'autista, senza voltarsi ma sollevando un braccio ondeggiante nel buio. Fece un cenno all'autista, poi scomparve oltre i gradini e la bussola si chiuse con un tonfo sordo e un sibilo. Nessuno dei passeggeri si volse a guardarlo dai finestrini mentre l'autobus riprendeva a correre, tutti sonnecchiavano come sempre.

''Addio'' fece John a se stesso mentre nella sua mente l'eco prepotente dell'eroina ritornava allo sbaraglio, più forte come mai prima d'allora. 

"Ero, ero, ero, ero" sussurrò.

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