Capitolo Ventiseiesimo: C'era Una Casa Molto Carina...

"...e ora ancora un aggiornamento da Ivrea sugli incredibili avvenimenti che hanno fatto seguito all'omicidio di un noto avvocato della zona e alla fuga di due ragazzi che si pensa siano coinvolti nell'omicidio. In particolare sembra che uno di loro sia stato già interrogato più volte e..."

"...Si prevedono ancora forti piogge. La Protezione Civile ha emesso un'allerta meteo per i prossimi tre giorni..."

"...cadavere. Poco fuori Albiano, tra le colline della zona. Ci sarebbe dunque un poliziotto morto e uno ferito. Le informazioni che stanno arrivando sono ancora frammentarie. Il nostro inviato..."

"...La polizia ha ritrovato nella serata di ieri la vettura di servizio abbandonata vicino al casello autostradale di Albiano d'Ivrea. Non c'è traccia dei due ragazzi di quindici anni che sono in fuga. Sono al vaglio degli inquirenti le immagini delle telecamere..."

"...Perché vedete... La violenza fa ormai parte della vita dei nostri ragazzi. La televisione, i fumetti e i cellulari stanno minando le menti dei nostri poveri figlioli. La Chiesa da tempo stigmatizza..."

Spensi il televisore da quaranta pollici di fronte al letto matrimoniale. I telegiornali del mattino erano quasi interamente dedicati alle notizie riguardanti gli avvenimenti degli ultimi due giorni. A quanto pare tutta la trafila di eventi luttuosi dei giorni precedenti aveva fatto di Ivrea la capitale nera d'Italia e, sfortunatamente, io ne ero diventato il sindaco. Non ero neanche scioccato: ero infastidito. Probabilmente non mi rendevo esattamente conto della dimensione e della portata di tutto ciò che stava accadendo oppure mi stavo semplicemente abituando all'orrore. Arianna dormiva di fianco a me in un sonno agitato da sogni presumibilmente terribili.

La casa era davvero bella. Il parquet in mogano era lucidato a specchio. Qua e là si intravedeva della polvere, segno che la casa era rimasta chiusa per parecchio tempo. L'orologio del televideo segnava le sette e trenta del mattino. Avevo ancora negli occhi la fuga rocambolesca che ci aveva fatto arrivare alla villa dove avevamo dormito.

La sera precedente la macchina della polizia che Arianna stava guidando era scesa fino quasi al casello di Albiano. Pioveva a dirotto. Nonostante fossero le quattro del pomeriggio la coltre nera delle nubi che ricopriva il Canavese aveva cancellato i colori del paesaggio intorno a noi uniformandolo in un grigio asfalto. Nessuno aveva fatto caso agli occupanti della Freemont che scivolava lentamente dalle colline. Avevamo dunque viaggiato indisturbati e quasi senza meta. Poco prima del casello autostradale, Arianna accostò. Eravamo davanti al cimitero, entrambi ancora fradici di pioggia, lo sguardo fisso di fronte a noi, gli occhi sgranati dall'adrenalina. Rimanemmo fermi lì per qualche secondo. Aveva guidato bene, assorta in una concentrazione innaturale. In tutta onestà io non ci sarei mai riuscito. Ma in quel momento, con l'auto ferma, era rimasta pietrificata dalla paura, dalla tensione e dalla stanchezza.

- Mi è venuta un'idea. - disse quasi tra sé e sé recuperando un barlume di lucidità.

- Qualunque cosa è ben accetta. -

- C'è una casa qui vicino. Non ci va mai nessuno. Mai. So dov'è la chiave. -

Il respiro era affannato. Le parole uscivano inciampando.

Ragionai un attimo.

- Quanto è distante? -

Ari chiuse gli occhi e appoggiò la fronte al volante.

- Non so. Tre o quattro chilometri, più o meno. Non mi ricordo la distanza. Ma che domande mi fai? Ma che ne so...-

- Ok. Ok. Va bene. Va bene. Calma... Ok. - cercai di respirare lentamente per elaborare un piano. - Non possiamo arrivarci con questa auto, Ari. Finora ci è andata bene. -

- A piedi è un casino con questo diluvio. -

- Dove si trova la casa? -

- E' una villetta. Giù di là, lungo la strada a destra. E' isolata. Ma so dove mettono la chiave di scorta. C'è anche la chiave... il coso... per disattivare l'antifurto. -

Guardai fuori. Stava arrivando un trattore con rimorchio guidato da un vecchietto. Scese lentamente alla nostra destra per infilare proprio la strada indicata da Arianna. Il contenuto del rimorchio era coperto da un telo di plastica chiuso alla bell'e meglio. Un lembo di esso svolazzava a destra e sinistra sulla parte posteriore.

- Stai giù, non ci devono vedere. -

Abbassammo la testa e ci accucciammo tra i sedili e la plancia. Il trattore passò davanti a noi a giudicare dal rombo che udimmo prima avvicinarsi e poi allontanarsi. Poi però ci accorgemmo che il rumore non stava più diminuendo. Alzai lentamente la testa e vidi il trattore, fermo, un centinaio di metri di fronte a noi. Avevamo il cuore in gola. Il vecchietto scese dal trattore con un ombrello in mano ed entrò nel cimitero. E lì mi venne l'idea.

- Ari, al mio tre seguimi correndo. Saliamo sul rimorchio. -

- Ma sei impazzito? -

Presi il quaderno di Bendini e me lo infilai sotto la camicia e nei pantaloni.

- Uno. -

- Dai Jacopo, è una follia. -

- Perchè, finora? Due. -

- Io non... -

- Tre! -

Aprii la portiera e partii di corsa. Anche Arianna era scesa dalla macchina e mi seguiva correndo. La pioggia era diminuita ma era comunque fastidiosa, le strade stavano diventando corsi d'acqua. Corremmo a più non posso per raggiungere il trattore. Speravo che il vecchietto rimanesse impegnato nel cimitero per un lasso di tempo sufficiente. Il fatto che avesse lasciato acceso il trattore, però, significava che ne aveva per pochissimo. Venti metri, dieci metri, eccoci. Afferrai il bordo della sponda del rimorchio con una mano e mi girai verso Arianna per aiutarla. Facendo leva sulle maniglie di blocco del rimorchio riuscimmo ad issarci e ci infilammo rapidamente sotto il telo in plastica. C'era un puzzo terribile. In quel momento il vecchietto uscì dal cimitero. Stava fischiettando sotto l'ombrello. Raggiunse la parte posteriore del rimorchio e sistemò il telo proprio sopra di noi sempre fischiettando. Noi non stavamo respirando. Salì sul trattore e ripartì. Solo allora prendemmo fiato. Arianna tirò un gran respiro poi tossì.

- Cosa c'è qua dentro, Jacopo. -

- Beh a giudicare dall'odore... -

- Nooo. Dai. No! -

Ari accese la torcia del cellulare. Letame. Come immaginavo. Sistemato verso l'altro lato del rimorchio, fortunatamente i nostri piedi calpestavano il legno del fondo.

- Che schifo, schifo, schifo, schifoooo... -

- Sshhhh, spegni il cellulare e leva la batteria. -

- Schifo!. -

- Subito, cazzo, Ari. Subito. Dobbiamo spegnerlo sennò ci trovano in un lampo. -

- Ma che dici? Perchè la batteria? -

- L'ho visto in un film. Si fa così. -

- Se lo dici tu... -

Tutti e due spegnemmo il cellulare e rimuovemmo la batteria dalla sede. Arianna era quasi in lacrime e ripeteva "schifo" sottovoce.

- Guarda fuori. Dimmi quando vedi la casa. -

Aprì uno spiraglio tra il telo e la sponda, infilò la testa fino a sporgerla fuori dal rimorchio ed iniziò a respirare aria pulita a pieni polmoni.

- Fa attenzione a non farti vedere. -

Passò qualche minuto.

- Secondo me ci siamo quasi. -

Il trattore si fermò nuovamente.

- Dobbiamo scendere. -

- Ma io non so se...-

- Fregatene, Ari. Non possiamo scendere mentre è in corsa. Dai svelta, scendo prima io. -

Eravamo ad un incrocio con una strada sterrata. Scivolai da sotto il telo stando attento a non farmi vedere. Dalla mia posizione potevo vedere il vecchietto che stava armeggiando con qualcosa all'interno della cabina. Ad un certo punto alzò quella che mi parve una bottiglia e se la portò alla bocca. Saltai giù dal rimorchio. Ari mi stava seguendo a ruota quando il trattore ripartì. Arianna rimase appesa al bordo con una gamba a penzoloni e l'altro piede appoggiato alla sponda.

- Jacopoo - un grido soffocato.

- Dai, Ari dai. Lasciati andare. - stavo correndo dietro il trattore mentre questo stava prendendo velocità.

- Jacopo prendimi. Non lasciarmi. -

- Ora! -

Ari si lasciò andare. La presi al volo e rotolammo a terra. Il vecchietto non si accorse di nulla per fortuna. Il trattore proseguì per la sua strada fino a quando curvò a destra per sparire dalla nostra visuale. Mi alzai dolorante.

- Tutto ok? Stai bene? -

Si era alzata sotto la pioggia battente e mi fece un sì non molto convinto. Poi guardò alla sua sinistra.

- La casa... laggiù -

A duecento metri da noi sorgeva un villino elegante, colorato di azzurro. Era un'assoluta anomalia in quel paesaggio così arido di civiltà. Stava facendo già buio ma l'impressione era che si trattasse di un'abitazione di un certo livello. Mi chiesi cosa ci faceva una casa del genere in un luogo così isolato. Arianna raggiunse il cancello di ingresso ed iniziò ad armeggiare sotto la colonna di sinistra. Spostò una mattonella.

- Eccole! -

- Ma sono dei geni questi a lasciare le chiavi qui. -

- E' la villetta di Parini. I genitori non sanno di questa copia delle chiavi. -

Guardai Arianna a bocca aperta. Lei mi guardò a sua volta con la coda dell'occhio ma non disse nulla. Disattivammo l'antifurto, aprimmo il cancello e corremmo verso il portoncino. Arianna disattivò un nuovo antifurto, aprimmo ed entrammo velocemente.

- Piccola ma completa di ogni confort. Ti portava in un bel posticino a... - mi fermai.

Arianna si voltò a guardarmi. Era distrutta dalla fatica, dallo stress ed in quel momento anche offesa.

- E' successo una sola volta... Ed è stato un errore. L'ho osservato bene comunque ed ho visto dove teneva le chiavi e cosa ne faceva. Di là c'è il bagno. Non accendiamo le luci e teniamo tutto chiuso. Vado prima io se non ti spiace. Mi sento la puzza di letame addosso. Se guardi laggiù c'è il termostato. Accendilo ora che c'è ancora un po' di luce e vedi qualcosa. Vedi anche se riesci a trovare una torcia. -

- Scusami Arianna. Sono stanco e stavo dicendo una stupidaggine - cercai di abbracciarla ma lei mi scansò.

- Scusami, Ari, lo sai che ti voglio bene. Vedrai che ne usciremo... - andai alla finestra. Sembrava quasi si rasserenasse. Da uno spiraglio tra le persiane riuscii a vedere il cielo. - Riesco a vedere un pezzo di luna. Forse porta bene... -

Si avvicinò anche lei alla finestra. Il suo viso era un misto di rabbia e dolore.

- Quanto mi piacerebbe crederti - mi rispose. Ma il tono era ironico e scoraggiato allo stesso tempo. - Tu mi parli di speranza, di amore, di gioia e di un futuro.. Oddio, il FUTURO.... Tu parli e mi mostri la luna e io la vedo ed è lassù Jacopo, eccola. Ma tutt'intorno c'è il buio, Jacopo, ci sono dei morti e degli assassini... e questo buio fa paura. -

Andò in bagno senza aggiungere altro. Avevo trovato proprio un bel momento per tirare fuori la mia gelosia e quelle stronzate romantiche. Bel lavoro Jacopo. Accesi il termostato e poi a testoni cercai una torcia o qualunque cosa per fare luce. Ne trovai tre in un cassetto in sala accanto ad una scorta di batterie. Evidentemente la luce in zona doveva saltare spesso. Ne sporsi una ad Arianna in bagno

Dopo che mi feci la doccia andammo in camera da letto. Arianna aveva recuperato due pigiami in un cassetto. Faceva freddo. Non facemmo molto caso alle convenzioni, ci coricammo entrambi nello stesso letto e ci addormentammo di sasso nel buio più completo. Mi svegliai solo verso le sei del lunedì quando accesi il televisore tenendo il volume basso per non svegliare Arianna. Fuori aveva ricominciato a piovere ed anche in maniera decisa a giudicare dal rumore.

Dopo la rassegna televisiva mi alzai facendo attenzione a non svegliare Arianna. Avevo lasciato il quaderno di Bendini in sala e volevo dargli un'occhiata. Mi sistemai in sala e illuminai il quaderno. Ecco la verità, pensai. Lì dentro c'erano le risposte a tutte le nostre domande. Rimasi indeciso se leggerlo o meno. Volevo solo levarmelo di torno, restituirlo al Lupo e che tutto quanto finisse come per magia. Ma poi pensai che il Lupo non ci avrebbe mai lasciato andare. Ci avrebbe sbranato senza pietà. E allora pensai che visto che ci toccava morire allora tanto valeva sapere per quale motivo.

Carezzai piano la copertina. Bendini era morto per ciò che era scritto lì dentro e tutto ciò che era accaduto a me, alla mia famiglia ed ai miei amici era legato alla sera in cui avevamo incrociato Bendini vicino al parco. Aprii il quaderno. Avevo paura.


















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