Capitolo Ventiquattresimo: Sssshhhhh!
- No, no, non ti preoccupare. Sono tutti qui da me nello studio. Sì. Mangiamo un panino insieme e stanno qui da me. Cosa fanno? Beh... gli spiego un po' di cose... legali... robe così via... Ma, sai, con tutto quello che è successo si sono incuriositi, sai come sono fatti i ragazzi. Stai tranquilla li accompagno io a casa. Avverti tu gli altri genitori? Sì, i ragazzi hanno già chiamato i genitori ma dì loro che sono al sicuro, sono ospiti del mio studio. Così, per ulteriore conferma e sicurezza. Va bene. Sì, ok. Non facciamo tardi. A dopo. Bacio. Ciao. -
Paolo interruppe la chiamata con mia madre e tornò a guardarci con quello sguardo accusatore. Poi si sedette e si mise le mani nei capelli. Stette così un minuto buono. Poi prese la cornetta del telefono fisso e premette un pulsante.
- Silvia? Senti, quali sono gli appuntamenti di oggi? Sì... Sì... No... Allora Guidi lo sposti alla prossima settimana che tanto ci fa perdere solo un sacco di tempo. Gli altri due... Facciamo domattina, tanto Preda è pensionato ed è un amico e non dovrebbe avere grossi problemi a passare in mattinata. Senti la signora Berardi, se ti fa questioni chiamami che cerco di farla passare stasera, ma un po' sul tardi. Per due ore non ci sono per nessuno. Ah, e cercami Loreni, per cortesia, e fallo venire qui. Grazie. -
Riappese e ci guardò uno ad uno negli occhi.
- Ma mi spiegate come cazzo fate a finire in questi casini? Ma Jacopo, santa miseria, vieni aggredito e minacciato da un assassino e non racconti nulla? Ma ti sei bevuto il cervello? -
- Se parlo con qualcuno che non sia del gruppo quello ci ammazza. E ammazza quelli con cui ho parlato. Potenzialmente sia tu che Ari siete in pericolo di vita. -
- Sì avvocato. Guardi che se non ci ha fatto caso ci sono stati un bel po' di morti finora... - disse Andre.
- E poi ... No, però, Jacopo. No, io no. Io sono del gruppo come voi. - mi corresse Arianna.
-Sì, ma il tuo nome non l'ha fatto e io... -
- Stop. Stop. Stop! per la miseria. - Paolo era visibilmente rabbioso. - Jacopo, quello è un assassino. Un assassino! Bisogna andare alla polizia. E poi...andiamo, credi davvero che abbia gli occhi dappertutto? -
- Ah, finora è arrivato dappertutto, quindi sì. Ha gli occhi dappertutto. Lo racconto alla polizia o alla mamma e cosa succede? Lo hai visto Galante oggi? Sono scappato di casa in piena notte, mi ha raggiunto e mi ha minacciato. Poteva ammazzarmi sul posto e nessuno avrebbe visto nulla. -
Non rispose. Parve soppesare attentamente le mie parole.
- E poi io non voglio che succeda nulla a mamma. Ne' a nessun altro. Il piano che abbiamo in mente funziona. Troviamo il quaderno, facciamo finta di consegnarlo e andiamo alla polizia. Semplice e lineare. Nessuno si fa male. Guarda, non voglio neanche leggerlo il quaderno. A questo punto non mi importa di nulla. -
- No. Non mi piace. No, per nulla. Io chiamo la polizia, ragazzi, state giocando con il fuoco. -
Intervenne Beppe.
- No, mi ascolti bene, non lo faccia. - si schiarì la voce come quando faceva prima di essere interrogato. - Per quanto possa sembrare scombinato il piano che abbiamo messo in piedi è l'unico che abbia un senso. Supponiamo di chiamare la polizia. Supponiamolo per un momento. Non abbiamo il quaderno. Non ce l'ha neanche il Lupo. Non abbiamo prove. Non abbiamo niente se non le minacce del Lupo. Il Lupo però è ancora libero e la polizia non sa neanche da che parte girarsi. E'davvero convinto che quello non trovi il modo di farcela pagare? Non dico a tutti. Ma uno a caso lo prende. Ne basta uno. Uno solo. -
Paolo parve riflettere ancora sulla situazione. Continuava a grattarsi la fronte e poi i capelli. Quindi emise la sua sentenza.
- Ventiquattro ore a partire da questo momento. Ventiquattro, non un minuto di più. Non voglio storie ne' complicazioni. Mi date sin d'ora i numeri dei vostri cellulari. Tutti mi scrivete un messaggio ogni ora con su scritto "TUTTO OK" e io vi rispondo con lo stesso messaggio. Fino alle dieci. Questa notte il messaggio lo mandate all'una alle quattro e alle sette. A partire dalle sette si ricomincia ogni ora fino all'una di domani. Mettetevi una sveglia e mandate il messaggio. Al termine delle ventiquattro ore o è saltato fuori il quaderno e siamo andati dalla polizia oppure vado io dalla polizia e racconto tutto quanto. Chiaro? -
- No, Paolo, dai... E' un casino... -
- Non si discute. Mi sto già pentendo, ma parte di quello che dite potrebbe avere un senso. Per cui... -
Si sentì bussare alla porta dell'ufficio e un uomo sui cinquanta rosso di capelli, un po' sovrappeso e dall'aspetto gioviale entrò senza attendere il permesso.
- Ciao Paolo. Vedo che hai organizzato una rimpatriata con i tuoi compagni di classe...-
- Ciao Valter. Eh magari... Ah, ah... No, guarda, sono gli allievi del tuo amico, il professor Graziosi. -
- Oh, scusate ragazzi. E non dire più che è mio amico. Non dopo quello che ha fatto... -
- L'avvocato Loreni è un civilista. Si è occupato di assistere il professor Graziosi in una causa qualche anno fa a proposito di un terreno o di una casa in campagna. Non ricordo... -
- Un vigneto con un casolare. I proprietari del vigneto volevano farlo abbattere in quanto abusivo. In realtà con il condono edilizio di una ventina di anni fa non c'era alcun problema. Infatti vincemmo la causa facilmente. -
- Ora, ecco, non vorrei essere indiscreto o violare il segreto professionale... -
- Dimmi Paolo. Credo ci sia ben poco da nascondere su questa faccenda. -
- No, intendevo la settimana scorsa, quando Graziosi è passato di qua. -
Loreni riflettè qualche secondo.
- Ah, ho capito. Ora ricordo. No, quella fu una visita di cortesia. Mi parlò di quel casolare e di altre piccole questioni. -
- Senti, non è che ha citato dei documenti, del materiale... o ti ha lasciato addirittura qualcosa. Sai, sembra siano spariti dei compiti in classe di matematica che il nostro amico Graziosi si era portato a casa a correggere. - mentre stava finendo la frase avvicinò il dito indice al naso come per grattarsi la punta. Era chiaro il segno di tacere.
Loreni pensò ancora tra se' e se'.
- No, no. Direi di no. Ma neanche prima, a dire il vero, al tempo del contenzioso. Le uniche pratiche che abbiamo sono quelle comunali e dello studio relative al caso. Null'altro. -
La delusione si dipinse sui nostri volti. Loreni se ne accorse.
- Suvvia ragazzi. Che sarà mai un compito in classe? Non so neanche se possa avere ancora valore dopo tutto ciò che è successo. - poi si fermò come colto da un'illuminazione. - Però... però... adesso che ci penso... Mah, non so se possa essere importante. Dovete sapere che per quel casolare Graziosi pagava la corrente... -
- Il casolare è allacciato alla corrente? - chiese Paolo.
- Non chiedermi nulla. Di preciso, Paolo, non so come abbia fatto. So soltanto che è riuscito ad allacciarsi in regola. Pagava le bollette insomma.Comunque per lui era una specie di seconda casa in mezzo al nulla. Fatto sta che quando è passato la volta scorsa non ha fatto altro che parlarmi di quanto è bello questo casolare e che ci teneva le sue cose. Questa seconda frase me l'ha ripetuta più e più volte. Parliamo di quella che è registrata come una rimessa per gli attrezzi o poco più, chiaro Paolo? Però lui diceva proprio "Ci tengo le cose più care" e me l'ha ripetuto cinque o sei volte almeno. Si vede che voleva che me lo ricordassi. -
E si vede di sì, pensai. E lo pensarono un po' tutti.
- Dove si trova? -
- Ad Albiano, sulle colline dove ci sono le vigne. Fanno un vinaccio che te lo raccomando. Terribile. -
- Va bene Valter, adesso sappiamo dove poter cercare. Speriamo insomma per i miei amici...-
- Eh, ma ti ci vuole il mandato. -
- E chiederemo alla polizia. Grazie mille. -
- Vabbè, ciao ragazzi. Ciao Paolo. -
Una volta che Loreni se ne fu andato, Paolo si alzò ed andò alla finestra. Poggiò entrambe le mani al davanzale e guardò fuori. Poi si voltò e poggiò le natiche sul marmo, le dita della mano destra a tormentarsi il mento.
- Okay... Okay... Okay... - Pausa. - Jacopo, io e te andiamo a prendere il quaderno. Questa sera alle sei. E' già buio a quell'ora ma non è tardi. Rischiamo. Alle sei non dovrebbero vederci. -
- Ma come faccio con... -
- Torni a casa e le raccontiamo che stasera ti porto in centro a fare un giro. Saremo a casa per cena. Nessuno si deve preoccupare l'attrezzatura la porto io. -
- Attrezzatura per cosa? -
- Per scassinare l'ingresso del casolare, che altro? Come pensi di entrare? Chiaro che Graziosi ha voluto lasciare dei messaggi chiari per arrivare in quel posto. A te ha indicato il nostro studio. E noi avevamo la parte finale. Geniale. -
- Oh... Chiamalo genio... - disse Andrea.
- Veniamo anche noi. - esclamò Arianna.
- Non se ne parla. Io e Jacopo. Oppure mi alzo subito e vado alla polizia. Prendere o lasciare. -
Ci consultammo per qualche secondo. Alla fine tutti annuimmo.
- Andiamo a casa adesso. -
Quando Paolo ci accompagnò a casa si raccomandò di inviare i messaggi.
Quindici. Inviai il messaggio "TUTTO OK". Dopo qualche minuto arrivò il messaggio di Paolo. "TUTTO OK". Eravamo tutti molto agitati perchè sembrava di essere quasi arrivati alla svolta decisiva.
Sedici. "TUTTO OK". Paolo: "TUTTO OK". Arianna mi aveva già chiamato un paio di volte. Andre una sola volta e aveva chiarito che "se la stava facendo in mano". Beppe mi messaggiava di continuo.
Diciassette. "TUTTO OK". Paolo: "TUTTO OK".
Diciotto. Che faccio? Lo mando il messaggio? Paolo tra pochi minuti sarebbe arrivato a prendermi. Mamma era piuttosto perplessa sull'uscita serale, soprattutto alla luce degli avvenimenti di qualche giorno prima, ma evidentemente si fidava di Paolo perchè alla fine non fece molte storie.
Diciotto e cinque. Mandai il messaggio a Paolo. "TUTTO OK". Non si sa mai, pensai. Magari avrebbe potuto immaginare un attacco del Lupo in casa mia proprio poco prima di uscire. Attesi qualche minuto. Nessuna risposta.
Diciotto e dieci. Rimandai il messaggio. "TUTTO OK". Attesi la risposta. Nulla. E intanto Paolo non arrivava.
Diciotto e quindici. "TUTTO OK". Nulla. Vidi arrivare il messaggio di Ari. "PAOLO NON RISPONDE". "ASPE" risposi.
Diciotto e venticinque. "TUTTO OK". Nessuna risposta ancora. Nel frattempo si susseguivano i messaggi tra me e gli altri. L'agitazione stava prendendo il sopravvento.
Alle diciotto e trenta andai da mia madre.
- Mi porti a casa di Paolo? -
- Ma come mai non è ancora arrivato? L'ho chiamato e non risponde. -
Non risposi. Ero bianco come un cadavere.
- Andiamo a casa di Paolo, per favore? -
In auto nessuno dei due parlò per tutto il tragitto. Non accesi neanche la radio. Paolo abitava fuori città, in un villa che mia madre diceva essere dei suoi. Arrivati sul posto vedemmo l'auto di Paolo con le luci accese nel cortile, il portone della villa era aperto.
- Ecco. Vedi? Un semplice ritardo. Sta partendo adesso. -
Sull'auto accesa, però, non si vedeva nessuno. Mia madre fermò la macchina proprio davanti al portone. Il volto di mamma tradiva emozione e forte preoccupazione, tangibile in ogni movimento che faceva.
- Aspettami qui. -
Scese dall'auto e varcò il portone. Si mise a guardare qualcosa a terra di fronte alla macchina accesa di Paolo. Si scosse e passò dietro alla vettura.
Il primo urlo mi colse di sorpresa. Era quello di un animale ferito a morte. Un suono che non avevo mai udito prima e pensai che mia madre non era capace di emettere qualcosa di simile a quello. Scesi e corsi verso di lei. Il secondo urlo era un "No" che proveniva dal profondo e ruppe tutte le barriere del suo corpo così fragile per uscire fuori. E poi il pianto dirotto. Raggiunsi mia madre.
Era in ginocchio. Piangeva e tremava, ad ogni singhiozzo c'era un "No" soffocato. Teneva in grembo la testa di Paolo. Il sangue le aveva sporcato tutti i jeans Roy Rogers che mia madre amava tanto perchè la facevano giovane e figa. La gola tagliata di Paolo ormai non buttava più fuori sangue. Non c'era più nulla da buttare fuori. Il prato sotto mia madre era rosso.
Sul cemento, di fronte ai fari dell'auto accesa di Paolo, qualcuno aveva usato il sangue per scrivere una semplice onomatopea: "Sssshhhhh!".
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