Capitolo Ventiduesimo: Uno Zero Sette Quattro Quattro Cinque

L'idea di tornare a scuola non mi fece dormire quella notte. Il pomeriggio del giorno precedente erano giunti ai miei compagni di classe gli inviti per una riunione che si sarebbe tenuta nella palestra della nostra scuola. Io non avevo ricevuto nulla, come probabilmente era ovvio, in quanto tutti mi credevano sotto shock per gli avvenimenti. Io invece me la presi moltissimo e, una volta messo a conoscenza da Andrea dell'incontro, dissi a mia madre che avrei partecipato, senza discussioni. Inizialmente riluttante, alla fine mia madre accettò.

- ...però ti accompagna tuo padre. -

- Perché papà? -

Eravamo a cena. Lei posò la forchetta con la solita insalata già infilata nelle punte e si schiarì la voce.

- Jacopo, sembrerà assurdo detto da me... però... ecco, io penso che tu... tu debba passare un po' di tempo con tuo padre. Non sono sicura che l'atteggiamento che hai... che abbiamo preso sia quello corretto. Ieri al commissariato l'hai ignorato e oggi non hai voluto vederlo. -

Iniziai a scuotere la testa.

- No... Senti, non se ne parla. -

- Jacopo... L'altra notte... Papà e io, ci siamo spaventati molto. Io non voglio che tu soffra Jacopo, soprattutto in questo momento. Io... a volte esagero un po' su tuo padre... Se non viene da noi spesso... è anche un po' colpa mia. -

- Colpa tua? Mica sei tu che ti sei rifatta una famiglia in Normandia, o sbaglio? -

- Questo cose succedono, caro. Io e papà non andavamo più d'accordo da tempo. E lui... si è innamorato di un'altra... e io... io... gli ho impedito in tutti i modi di tornare qui. E' capitato che lui volesse venire a trovarti e io l'ho impedito con tutte le mie forze. Sbagliando. Un po'... -

Non mi guardava, oppressa dai sensi di colpa. Forse lo avevo sempre saputo. Forse dentro le bottiglie scolate nei mesi precedenti c'erano un po' di questi sensi di colpa. Forse ero io che ero un inguaribile egoista, insensibile alle emozioni degli altri.

- Va bene. - risposi.

- Che cosa? -

- Vado con lui domani mattina. -

- Bene. Ok, bene. - sorrise, un sorriso stanco. - Io e Paolo verremo comunque con la sua macchina perchè voglio sapere cosa ci dice il Preside. -

In realtà avevo la testa piena zeppa di pensieri contrastanti: i baci di Arianna, la teoria di Beppe, la necessità di trovare un quaderno che non avevo la minima idea di dove andare a scovare. E poi, su tutto, il Lupo. E ora anche il ritorno a scuola, che mi inquietava ma che sapevo di dover affrontare quanto prima. Un mix di pensieri micidiale, che ottenne il risultato di farmi passare una notte insonne e di presentarmi al mattino totalmente rintronato, borse gigantesche sotto gli occhi e ancora più nervoso di quanto potessi essere. Il lato positivo era che non dormendo ero riuscito ad elaborare teorie, piani, stratagemmi...

Quando salii in macchina, il mattino successivo, mio padre mi salutò e mi sorrise. Io lo salutai svogliatamente, indossai i miei Ray Ban e mi misi gli auricolari nelle orecchie. Ascoltavo i Kasabian. Non avrei concesso molto a mio padre nonostante avessi accettato il consiglio di mia madre. A un certo punto, quando ci fermammo a un semaforo, mio padre prese gli auricolari e me li tolse dalle orecchie, deciso ma delicato.

- Ma che fai? -

- Sono sempre tuo padre. Volevo parlare un po'. -

- Sarebbe una novità... -

Guardava di fronte a se'.

- Ascolta Jacopo... so che nell'ultimo anno le cose sono diventate un po' difficili per tutti. Per te, per la mamma... ma anche per me. Molto difficili. -

- La tua "donna" ti ha mollato? -

Risatina.

- No, per fortuna no. Ti piacerebbe, sai? E' una brava ragazza. Neanche per lei è stato facile. -

- Ne dubito. -

Nel frattempo ripartimmo.

- Ci siamo innamorati. Non era previsto, ma è successo. E' una donna semplice e meravigliosa. Io la amo come amo te. E come ho amato mamma in passato. Non scordartelo mai. Succede. Se uno potesse farlo vorrebbe evitare tutto questo, però succede di innamorarsi di un'altra donna. E le cose... con mamma... insomma, andavano male. Molto male. -

- Me l'ha già detto mamma. -

- Beh, ne sono felice che anche lei... -

- Papà, credo che tu non ti renda ben conto dei pesi in gioco. - cercai di parlare con la massima calma e chiarezza che i miei quindici anni mi permettevano - Mamma beveva. Tanto. Mamma è diventata quasi alcolizzata negli ultimi mesi. Alcolizzata. Lo sai cosa vuol dire trovarla il mattino reduce da una sbronza colossale almeno tre giorni a settimana? A me fa piacere che tu sia felice, però qui al sud le cose non vanno così bene come da te. -

Ci fermammo davanti alla scuola.

- Jacopo, io sapevo dei problemi di tua madre. Ma ti assicuro che non mi ha lasciato alcuna possibilità di intervenire. La conosci. -

Sapevo che era la verità. Mia madre non avrebbe lasciato alcun spazio di manovra ad un uomo che aveva deciso di allontanarsi.

- Vedi papà. Lo so che è vero. Però... però ritengo che tu non abbia fatto poi molto per starci vicino. -

E anche questa era la verità. Mio padre mi guardò e tacque mentre spegneva il motore dell'auto noleggiata da Hertz.

- Vieni, scendiamo. - mi disse.

Aspettammo mia madre e l'immancabile Paolo e poi tutti insieme andammo verso l'ingresso della scuola. Mentre ci avvicinavamo mi accorsi che i ragazzi e i loro genitori si giravano a guardarci e poi parlottavano tra di loro. Io guardavo verso terra e i miei accompagnatori cercavano di far di tutto per far finta di niente, anche se vedevo mio padre rosso in volto dall'ira. Quando poi entrammo nella palestra già affollata l'effetto fu plateale. Il vociare concitato si affievolì rapidamente fino quasi a spegnersi. Le persone, i genitori, i miei compagni, si voltarono a guardarmi. Poi un gruppo a dire il vero nutrito di genitori e figli si avvicinò per salutare i miei e me e per chiedermi come stavo. Allora la tensione si sciolse un po' e il vociare riprese fitto. Poco lontano notai Parini accompagnato dalla sua solita cricca, Steven e Gruccia. Parini mi stava fissando con il suo sorriso migliore e nel contempo passava il pollice sotto la gola. Nello stesso momento entrò il Preside che prese posizione davanti al solito microfono.

- Mi sentite? Forte e chiaro anche là in fondo? Sì? Bene comincio allora. Buongiorno a tutti e grazie per aver partecipato così numerosi a questo incontro. Innanzi tutto, a nome dell'istituto, del provveditorato e del corpo docenti vorrei che accettiate tutte le nostre scuse per quanto accaduto. Le indagini della polizia chiariranno sicuramente gli eventi, ma, dal nostro punto di vista, l'episodio ha creato tutta una serie di interrogativi e illazioni alle quali vogliamo rispondere come istituto. In primo luogo vogliamo dissociarci dalla condotta del professor Graziosi, la cui tragedia personale  ha sconvolto l'intero corpo docenti. Vi posso assicurare che... -

Mentre il Preside parlava vidi Beppe avvicinarsi dopo che si era scostato leggermente da sua madre. Parlammo sottovoce.

- Ciao. -

- Ciao. -

- Bel fegato a presentarti qui. -

- Ormai amo il rischio. -

Il Preside andava avanti con il suo discorso volto, stavamo capendo, a difendere l'istituto, a distaccarsi dall'operato di Graziosi e ad evitare un ritiro di massa degli studenti.

- Non ho dormito stanotte. -

- Neanch'io. -

- Molte cose non tornano. -

- Vero. -

Pausa di riflessione.

- Chi ha preso il quaderno? - disse Beppe.

- Graziosi. -

- Sì, ma perchè? -

- Per me si voleva parare il culo. Nel caso le cose fossero andate davvero male per lui. -

- Quindi quello che è venuto a cercarti nel bagno della scuola... -

- Non era Graziosi. Era il Lupo. -

- Nella scuola? -

- La palestra è accessibile a tutti. Poteva essere chiunque. Poteva essere anche venuto da fuori. -

Altra pausa.

- Sì, ma esporsi così... -

- Credo che il quaderno a questo punto meriti il rischio. -

- Quindi quando ti hanno messo a soqquadro casa tua... -

- Non lo so... -

- Cosa? -

- Non so chi sia stato. Se quello che mi ha minacciato a scuola era il Lupo, chi cavolo è andato a casa mia la stessa mattina? Ci ho pensato. Non quadra. E' vero che era la prima ora, ma anche fare quel disastro a casa richiede tempo. -

-Cosa intendi? -

- Sto iniziando a pensare che ce ne sia più di uno. Coinvolto intendo. -

Pausa.

- Cazzo. -

- Questi ci fottono quando vogliono, ma devono avere il quaderno. Non possono rischiare. -

- Ma con il quaderno in mano? -

- Ci fanno fuori. -

- E che fanno... una strage? Ma dai. -

- Ci ammazzano e spariscono  dalla circolazione alla velocità della luce. -

Beppe mi guardò senza parlare.

- Ci ammazzano come dei cani, e senza la minima esitazione. -

Nel frattempo il Preside stava rispondendo alle domande dei genitori.

- Ma come fa a garantirci che altri docenti non siano coinvolti? -

- Guardi posso garantire personalmente. Anche le indagini della polizia sembrerebbero scartare il coinvolgimento di altro personale di questo istituto. -

- Mia figlia è rimasta piuttosto sconvolta. Vorrei sapere se c'è qualcuno che possa aiutarci a superare questo momento. -

- Ecco. A tale proposito. C'è uno studio di specialisti a disposizione per superare la vicenda del professor Graziosi, naturalmente tutto pagato dall'istituto. Si trova in via del Collegio... -

- Uno zero sette quattro quattro cinque - urlai. Il numero che mi aveva detto Graziosi prima di suicidarsi mi era esploso nella testa non appena avevo udito la via. Uno zero sette quattro quattro cinque. E poi: Via del Collegio.

Tutta la sala si girò verso di me. Mia madre mi guardò come se fossi impazzito.

- Com'è, Piccoli? Dice a me? - rispose il preside.

- No, no. Chiedo scusa. -

- Sì. Tranquillo, Piccoli. Non c'è problema. Stia tranquillo. - mi disse assecondandomi.

- Ti da di volta il cervello? - mi sibilò Beppe.

- Beppe, ci siamo. -

- Cosa? -

- So dove si trova il quaderno. Per lo meno, conosco la via. Domani andiamo tutti dagli psicologi. -

- Ok sei andato fuori. C'era da immaginarselo. -

- Beppe. Non sono mai stato dentro del tutto, lo sai. -


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