Capitolo Venticinquesimo: La Cosa Giusta Da Fare

Pioveva ormai da due ore. Dapprima furono poche gocce a ticchettare sul cemento, fuori. Poi il ritmo crebbe vertiginosamente e il tic tic diventò uno sciame furibondo. Dalla finestra dell'ospedale potevo osservare i tetti di Ivrea diventare translucidi sotto l'effetto levigante dell'acqua. Erano le sei del mattino e non avevo mai staccato gli occhi dalla finestra. Non avevo sonno. Non avevo pianto. Non avevo urlato. Non avevo parlato. Ero sotto shock, dicevano i medici. Al pronto soccorso mi avevano iniettato un... boh... qualcosa, forse un calmante. Acqua. Da quando ero sceso dalla macchina per raggiungere mia madre e avevo visto Paolo non ero più riuscito a dire nulla ed ero rimasto in stato catatonico. Avevo accompagnato mia madre sull'ambulanza dopo che la polizia ci diede il permesso di salire. Era evidente che qualunque domanda quella sera non avrebbe avuto risposta. Ricordo l'arrivo di Galante insieme a Parenti e a Clara. Tutto intorno alla casa di Paolo era stato messo un nastro bianco e rosso. Un gruppo di almeno quindici agenti stava setacciando il prato e la vettura di Paolo portandosi dietro dei grossi fari. Tutta l'area era illuminata a giorno ed in breve si cominciarono a vedere i furgoni della Rai e di Mediaset nella zona. Io e mia madre eravamo sotto due coperte. Mia madre non aveva smesso di piangere e mi teneva la mano. Quando vide il cadavere di Paolo, Clara si portò le mani alla bocca per qualche secondo. Sembrava che stesse per scoppiare in lacrime, poi riacquistò il controllo e iniziò a parlare con Parenti. Galante era una maschera di ferro. Non aveva alcuna espressione. Si fermò davanti a Paolo senza ostacolare il lavoro dei colleghi, le mani sprofondate in un giubbotto che pareva essere di marca. Poi si voltò verso Clara puntandole il dito verso il viso. Non seppi mai cosa le disse esattamente, ma Clara non riusciva a staccare gli occhi da Galante e continuava a fare cenno di sì con la testa, quando invece non guardava i propri piedi. Andò avanti almeno un quarto d'ora. Finita la reprimenda, fece un cenno verso Parenti e gli disse qualcosa. Parenti venne verso di noi, ci fece salire sull'ambulanza e e ci seguì in ospedale dietro di noi insieme ad un collega su una Freemont della Polizia. Mia madre venne portata in una stanza dell'ospedale mentre i primi giornalisti stavano già arrivando a cercare notizie fresche. Io venni portato dentro quella che sembrava la stanza degli infermieri. Chiusero la porta a chiave. Ecco ci siamo, pensai, sono ufficialmente un delinquente. Mentre osservavo la pioggia cadere la porta si aprì.

- Ma guarda un po' chi si rivede. Certo che ti piace proprio vedere Ivrea da qui. -

Era Zoppi, il medico che mi aveva curato la volta precedente. Mi guardò e poi andò a cercare qualcosa nell'armadio delle medicine. Armeggiò per qualche minuto.

- Eccola! -

Si voltò con una bottiglietta in mano. Dentro c'era quello che pareva essere una fisiologica, o qualcosa del genere.

- Grappa di Barolo. Fa resuscitare i morti. -

Ne versò qualche millimetro in un bicchierino.

- Bevi. -

- No. -

- Sono io il medico. Bevi. Sarà il nostro segreto. Se mi beccano a far bere un minore, sai che casino... -

Guardai il bicchierino. Ce n'era veramente poca, giusto per bagnare il palato. La presi e la buttai già tutta d'un fiato. Mi scaldò immediatamente.

- Buona vero? -

- Scalda. Ma mi fa schifo. -

- De gustibus. - Si versò un bicchierino e se lo buttò in gola.

Tornai a guardare Ivrea.

- Paolo. Il fidanzato di mia madre. E' morto. -

- Lo so, Piccoli. Mi spiace molto. Il problema è che ci sei di nuovo tu con entrambe le scarpe nel bel mezzo di questo omicidio. -

- Sì. Credo di sì. Stamattina ero con lui e dovevo andare in un posto con lui ieri sera. -

Venne a guardare Ivrea con me.

- Ah, Ivrea... A guardarla da qui sembrerebbe quasi bella davvero. - fece silenzio qualche secondo. - Lo vuoi un consiglio? -

- Non so. -

- Io te lo do lo stesso. E' gratis, come la grappa. - Si allontanò dalla finestra e si sedette sul divano della piccola stanza. - Tu sei uno tosto, Piccoli. Uno di quelli che parla poco, che sembra sempre nascosto dietro le linee. Uno che non fa particolarmente casino, ma che non è addormentato. Uno che si applica, ma non eccelle. - fece una pausa per contemplare il bicchierino vuoto che aveva ancora in mano. - E invece dentro hai il fuoco, hai l'intelligenza e il coraggio degli eroi greci. Sei uno tosto, Piccoli, me ne sono accorto subito. -

Prese gli occhiali e iniziò a pulirseli col camice bianco.

- Ma non sei immortale. E quelli che sono là fuori lo sanno. Per cui hai un problema. E questo problema devi risolverlo, in un modo o nell'altro. Perchè quelli là fuori prima o poi arrivano a te. Io non so cosa sia successo esattamente, ma dubito che il tuo avvocato c'entrasse qualcosa con le tue vicissitudini. Eppure non hanno esitato a ucciderlo. - Si fermò per asciugare il vetro che si stava appannando. - Per cui, Piccoli, quando sarai fuori di qui dovrai stare in campana. Avere mille occhi. E quando sarà il momento di agire dovrai fare la cosa giusta. -

Feci cenno di sì con la testa.

- Non so quale sia la cosa giusta da fare. -

- Lo saprai nel momento in cui dovrai decidere. Qui fuori c'è tuo padre. Faccio entrare? -

- Sì. -

Mio padre entrò quasi in punta di piedi.

- Jacopo. -

Mi mise una mano sulla spalla.

- Papà... -

Non volevo. Cercavo di trattenermi. Non devo, pensavo, non devo. Non davanti a lui che se ne era andato, che era fuggito, che con Paolo non c'entrava nulla e che magari lo odiava pure. 

- Jacopo, tesoro mio. -

Gli occhi mi si riempirono di lacrime.

- Papà. E' colpa mia. Solo colpa mia. -

- No, Jacopo, non è colpa tua. Stai tranquillo. Ci sono io. Ci sono io qui, adesso. -

Mi abbracciò forte ed io abbracciai lui. In quel momento era di nuovo il mio papà che mi aveva insegnato ad andare in bici, che mi portava al cinema e che mi faceva giocare a pallone in cortile.

Scortati da Parenti, andammo da mia madre che stava dormendo profondamente. Era stata sedata di brutto a quanto capii. Al di fuori della stanza degli infermieri c'era sempre un poliziotto. Passai lì diverse ore fino a quando non tornò Parenti con un poliziotto che non avevo mai visto prima.

- Vieni con noi, Piccoli. -

Mio padre fece per alzarsi.

- No lei no, signor Piccoli. -

- Ma, come no, mi scusi. E' mio figlio. -

- Suo figlio viene con noi. L'agente Squillante in qualità di tutore temporaneo, le consegno il mandato. Lo portiamo alla questura di Torino per interrogarlo insieme alla Colombo che aspetta qui fuori. Lei può seguirci insieme alla famiglia del dottor Colombo. -

- Ma... Ma è inaudito. Tutto ciò è assurdo. -

- Mi spiace signor Piccoli. Ordini della questura. Come potrà capire la questione è diventata estremamente delicata ed urgente. E' anche nell'ottica di tutelare i ragazzi. I colleghi andranno a prendere anche gli altri due. -

- Io protesto. Non ho ancora avuto il tempo di contattare il mio avvocato... -

- Lo faccia al più presto, signor Piccoli. -

Uscimmo e in corridoio vidi Arianna che mi corse incontro per abbracciarmi.

- Jacopo. Mi spiace. Mi spiace tanto. -

- Ari, non capisco più niente. Dobbiamo andare a Torino. -

- Sì lo so. Lo zio si è arrabbiato di brutto e anche l'avvocato ma i documenti sono chiari e... -

- Presto seguiteci, non abbiamo tempo da perdere. -

Arrivò Clara Segni.

- Parenti... -

Non era la solita Clara. Era affranta e stanca, aveva perso la sua solita verve

- Ok Clara li portiamo noi. Tu raggiungici a Torino. -

- Io... Sì d'accordo. Ciao ragazzi come state? Jacopo, mi spiace davvero -

Non ebbi il tempo di rispondere, venni trascinato via. Non capivo il motivo di tutta quella urgenza, comunque.

Salimmo sulla pantera della polizia, ovvero il solito Freemont. I due agenti davanti, io e Ari dietro. Ci prendemmo le mani. Arianna me le accarezzava piano. Io ogni tanto non riuscivo a non tremare. Avrei voluto baciare Arianna, ma avevo anche paura. Parenti prese la radio.

- Doppia Vela. Qui Terzo Savona siamo partiti. Il parcheggio dell'ospedale è pieno di giornalisti. Deviamo verso il casello di Albiano. Non vogliamo che ci seguano. -

Perfetto, pensai. Così anche mio padre e lo zio di Arianna sarebbero passati dal casello di Ivrea e ci avrebbero "perso" anche loro. Fantastico!

- Avete fame ragazzi? -

Era l'altro quello che si chiamava Squillante. Erano le tre del pomeriggio ormai. Non aveva smesso di piovere neanche un minuto dalla mattina. Le strade stavano diventando dei ruscelli ma nonostante ciò la volante della polizia si stava dirigendo verso Albiano ad una velocità piuttosto sostenuta.

- Io a dire il vero sì. -

- Squillante, che ne dici se facciamo una piccola deviazione? Compriamo qualcosa da mangiare, anche io ho un po' di fame. -

- Massì dai, cosa sarà mai qualche minuto di ritardo. -

Arrivati ad Albiano anzichè dirigerci verso il casello, Parenti, che era alla guida, cominciò a salire verso le colline. Strano, pensai, non mi ricordavo supermercati in quella zona. Ad un certo punto la volante prese una stradina di campagna. Io e Arianna ci guardammo, mi feci coraggio, mi sporsi al centro dei sedili anteriori e chiesi:

- Scusate ma dove stiamo... -

Squillante si voltò con una pistola in mano e me la puntò in fronte.

- Zitto, ragazzo, zitto e seduto. -

Spalancai la bocca e guardai Arianna che stava dicendo: -Nonononono... -

- Ari, calmati Ari. -

- Finitela tutti e due. - ci intimò Parenti.

Non proferimmo più parola. Intanto i due agenti avevano spento la radio. La strada si faceva sempre più stretta. Passavamo tra alberi e filari di vigne. Arianna era sconvolta dalla paura e francamente anche io. Le vigne. Solo allora capii.

- Il casolare di Graziosi. -

Nessuna risposta.

- Voi... Voi siete il Lupo. -

Nessuna risposta.

- Voi avete ucciso Paolo e Gloria e Bendini... Voi. -

Squillante si girò e mi colpì con il calcio della pistola.

- Ma vuoi startene zitto una buona volta? Eh? Ma non hai ancora capito in quale razza di casino sei andato a finire? Eh? Non hai ancora capito il bordello che ci hai creato? - Si portò la mano sulla fronte. - "Voi siete il lupo...". Minchia, Parenti questo non ha ancora capito un cazzo! -

- E non preoccuparti che non ha bisogno di capire. Anzi, meno capisce meglio è. -

Io e Arianna ci guardammo sconvolti. 

- Eccoci. Siamo arrivati.

- Scendete forza. Svelti. Muoversi. -

Scendemmo dalla macchina e ci trovammo nella pioggia. Parenti e Squillante avevano un ombrello a testa ed entrambi pistola alla mano. Io e Ari sotto la pioggia gelata

- Parenti, ma tu... Come puoi fare una cosa così. -

- Ma Clara... -

- Ma risparmiami la predica. Ha ragione Squillante. Sei talmente ciuccio da non aver capito nulla del casino che hai combinato. Avanti. Entra, per la miseria entra.. -

Dove? Pensai. Mi voltai e vidi quello che era il casolare di Graziosi. L'aveva ristrutturata in un modo talmente maniacale che era diventata praticamente una minuscola villetta.

- Entra, ho detto, vai. - Squillante mi puntò la pistola contro.

- No! -dissi.

- Oh santa pazienza - disse Parenti. E puntò la sua pistola alla tempia di Arianna. 

- Nooooo... Jacopo, no. Ti prego, Jacopo. -

- Fermi, fermi, fermi, fermi. Entro, va bene? Entro. Cosa devo fare? Sto entrando, guardate...-

La porta era aperta. Entrai in quello che si rivelò un monolocale arredato con gusto. Da una parte un letto con lenzuola nere e un paio di fari davanti alla testata. Il muro sullo sfondo era rosso. Quella parte della stanza era ordinata in modo maniacale. Sull'altro lato della stanza si trovavano pile e pile di libri e quaderni, un numero inverosimile, buttati alla bell'e meglio.

- Cerca il quaderno e daccelo. Non abbiamo tempo. Veloce, svelto. -

- Perchè io... -

-Perchè sappiamo che lo hai visto e non possiamo prenderci tutta questa roba. E poi sbigati. -

Non me lo feci ripetere due volte. Iniziai a scartabellare tra i vari mucchi sul tavolo. Si portava a casa di tutto. Ricerche, compiti, esercizi. Di tutto.Riconobbi anche un mio quaderno di una ricerca di una settimana prima e poi... lo vidi. Eccolo. Proprio lì in bella vista sul tavolo. Vicino c'era un tagliacarte affilato.

- Allora? Non cerchi? -

Presi il quaderno e lo consegnai a Squillante.

- Bravo il mio bimbo. Fuori ora! - si voltò per guardare fuori un secondo. Fu un attimo. Presi il tagliacarte e me lo misi sotto il giubbotto. Non sapevo esattamente cosa avrei potuto fare. Tornammo fuori nel vigneto. Non passava nessuno. Nessuno. Parenti teneva d'occhio Arianna e si guardava intorno.

- Bene. - disse - Dai Squillante. -

- Lo facciamo qui? -

-E dove sennò dai sbrigati, cazzo. Hai sentito quello che ci ha detto lui no? Sbrighiamoci che poi dobbiamo mettere in scena tutto il cine. -

- Cosa volete fare? - chiese Arianna tra le lacrime.

- Mettigli in mano la pistola. - disse Parenti.

Squillante posò l'ombrello aperto a terra.

- Vieni stronzo. - mi prese per il collo con forza, non me l'aspettavo. Il suo braccio mi aveva bloccato ogni altro movimento. Mi costrinse ad alzare la mano destra verso l'alto e mi stava ficcando in mano la pistola.

- Ecco dai, Parenti spostati un po', ecco bravo. - 

Avevo capito. Parenti aveva sempre sotto tiro Arianna ma si era allontanato verso la mia sinistra e si guardava intorno, i lineamenti stravolti dalla tensione.  Io avevo davanti a me Arianna. Il mio bersaglio. Squillante stava prendendo la mira con la mia mano sulla pistola. Dovevo essere io l'assassino di Arianna. 

- Allora quanto ci metti cazzo. -

-Se ti sembra facile vieni qui tu, all... Aaahhh. Ggglll. -

Avevo preso il tagliacarte dal giubbotto con la mano sinistra e con tutta la forza che avevo glielo avevo ficcato in gola alle mie spalle. Parenti era rimasto con la bocca aperta impietrito. Deviai il braccio mio e di Squillante verso di lui e partì un colpo che lo raggiunse alla gamba destra. 

- Aaaahh, cazzo, Squillante. Squillante, tienilo fermo. -

Squillante non poteva fare più nulla. Mi era caduto addosso e aveva iniziato a tremare tutto mentre dalla sua gola uscivano flotti di sangue. Parenti cadde a terra anch'egli nella pioggia, la pistola che gli scivolò dalle mani. Arianna ferma, bloccata, a guardare davanti a sè, tutta un tremito. Riuscii a spostare il corpo morente di Squillante e raccolsi la sua pistola e poi quella di Parenti. Mi chinai verso di lui e puntai la pistola alla sua tempia. Respiravo affannosamente. Infreddolito e stanco. Troppo stanco.

- Cosa vuoi fare ragazzino? Vuoi davvero ammazzarmi? -

Non risposi.

- Ora ti spiego la situazione. Hai appena ammazzato un poliziotto e ferito un altro. E forse non l'hai ancora capito ma quello che tu chiami Lupo non è qui. -

- Ma ho il quaderno. -

- Allora mi spiego meglio. Se tu adesso mi fai fuori quello che tu chiami Lupo fa fuori tua madre, in un secondo, e poi tuo padre, e poi i tuoi amici. Questo prima che la polizia abbia le idee chiare di chi sia il Lupo aprendo il tuo dannato quaderno. -

Non capivo più nulla ma chi era il Lupo, cos'era il Lupo?

- Chi è il Lupo? -

- Ah ah ah. E' Fenrir che scappa sempre dalle sue catene, no? -

Smise di ridere e si palpò la gamba.

- Ma chi credi che abbia ammazzato l'avvocato? Crederai mica che siamo stati noi? Nooo...Ah ah ah. E' stato Fenrir, chi altri? Ah ah ah. Lui sì che ci sa fare con il coltello mica come te. -

Mi alzai.

- Io mi tengo il quaderno e vado via. -

- Ma che cazzo dici adesso ragazzino? Oh porca puttana. -

- Noi adesso spariamo, io e Arianna. Mercoledì vi diamo il quaderno. Alle diciassette sul Ponte Vecchio ad Ivrea. Nel frattempo nessuno, NESSUNO, deve morire. Mercoledì vi diamo il quaderno e sparite voi. Noi non parliamo con nessuno fino a mercoledì, noi spariamo dalla circolazione. Letteralmente. Siamo fantasmi e torneremo ad essere reali mercoledì, non prima. Se qualcuno dei miei si fa male prima io vado dalla polizia con il quaderno. -

Parenti parve riflettere.

- Mercoledì con il quaderno avrete tutta la polizia addosso. Io dovrò accusarvi per tutto ciò che è successo qui, lo capisci vero questo? Ci sarà una caccia all'uomo. Dovrò dire che siete stati voi a fare questo macello. Passerò per un imbecille ma dovrò dare a voi la colpa. -

Era vero. Ma non c'era altra scelta. Se aspettavo la polizia e consegnavo il quaderno in quel momento avrei rischiato la vita dei miei cari. Certamente ci sarebbe stato un morto. Se prendevo tempo con il quaderno avrei avuto la polizia addosso ma con il Lupo avrei avuto il coltello dalla parte del manico.

- Mercoledì arriveremo lì con il quaderno. Questa è la proposta. Prendere o lasciare. Sei un assassino di merda e vorrei vederti morto ora. Ma ho paura per la mia famiglia e i miei amici. Prendere o lasciare, abbiamo tutti una possibilità, una sola per uscirne. A patto che nessun altro muoia. -

- Dove andrete? -

- Non sono cazzi tuoi. -

Pensò per qualche secondo. 

- Parlo io con... con Fenrir. Ah ah ah. Sì, Fenrir... il Lupo. Gli parlo io. Va bene allora. Se sgarri la tua famiglia muore. Non farti trovare da nessuno prima di mercoledì. O tua madre muore. La faccio fuori io personalmente. Chiaro? -

Non risposi. Gettai la pistola lontano da Parenti e andai a prendere Arianna.

- Vieni dobbiamo andare. - L'abbracciai e la feci camminare. Era bloccata e tremante. Aveva ascoltato tutto e non aveva detto nulla.

- Dove andiamo? - mi chiese.

- Non lo so. - 

- Lo so io. Ho un posto. - mi disse - Non ci trovano. Prendi la macchina. -

- La macchina della polizia? -

- E' lontano. Guido io. So guidare, non ti preoccupare. Guido bene. -

Salimmo in macchina. Partimmo.

Due quindicenni innamorati, alla guida di un'auto della polizia, sotto una pioggia torrenziale, dopo aver ammazzato un poliziotto e ferito un altro, braccati dalla polizia stessa e da un Lupo.















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