Capitolo Ventesimo: Sherlock, Waltz E Altre Deprecabili Recite

Era il pomeriggio seguente alla notte di fuga per le vie di Ivrea. Avevo passato la mattinata a dormire un sonno agitato e pieno di incubi, di quelli che non riesci a ricordare esattamente ma che ti lasciano stremato al risveglio. Evidentemente i sogni erano diventati parte integrante della mia esistenza. Fino a qualche giorno prima non ne ricordavo uno, in quel momento, invece, i sogni erano definiti e terribilmente realistici. Uno in particolare mi era rimasto impresso. C'era Graziosi che mi diceva un nome e un numero, gli stessi che mi aveva detto prima di lasciarmi stordito nel cortile del palazzo abbandonato. Gli eventi successivi al rapimento mi avevano fatto scordare quel particolare, che non era emerso neanche negli interrogatori subiti in ospedale dalla polizia. Naturalmente, da sveglio, non c'era verso di ricordarmi nome della via e il numero .

- Vedi cosa succede? Scappare non è mai la scelta migliore. Guardati, sei distrutto. Prossima volta se papà da fastidio lo mettiamo alla porta e basta. Ne stai già passando troppe... -

Povera mamma. Se solo avesse saputo dell'incontro che avevo avuto nella notte ne sarebbe morta. Dovevo trovare il modo di incontrare Andrea e Beppe per dir loro tutto ciò che era accaduto ed avvertirli del pericolo. Solo che non sapevo come fare.

- Vabbè mamma, è pur sempre papà, no? -

- Ah sì, certo. Oggi sì, domani chissà? Siamo nelle mani del destino. -

- Come mai hai tirato fuori la camicia e il pullover grigio? -

- Perchè... Perchè... tra poco dobbiamo andare al commissariato. -

- Un'altra volta? E basta... Ho già raccontato tutto almeno tre volte ieri. -

- E con la prossima fai quattro. Rapimento, omicidi, suicidi. Sherlock, mica crederai che sia tutto come in tele.. -

- Guidi tu? -

- No, viene a prenderci il poliziotto di ieri, come si chiama... Parenti, ecco. -

Il campanello della porta.

- Vieni Paolo, è aperto. -

- Anche lui? -

- Caro, è l'unico avvocato che ci possiamo permettere. Perchè è gratis. -

Una volta che l'immancabile Paolo si accomodò in salotto il campanello suonò di nuovo.

- Tuo padre. -

- Il tuo ex marito, vorrai dire - risposi senza alcuna inflessione nel tono della voce.

Poco dopo arrivò Parenti e tutti e cinque andammo al commissariato allegramente. Ci accomodammo in sala d'aspetto. Lì trovai Andrea, mesto e a testa bassa, insieme a sua madre, suo padre e a un un uomo sulla sessantina che immaginai essere l'avvocato.

- Jac, Jac... cazzo Jac - esclamò Andre balzando in piedi e abbracciandomi. Mi colse di sorpresa, facendomi anche commuovere. - Stronzo di un merdaiolo a momenti ci facevi rimanere secchi dalla paura. -

Approfittai dell'abbraccio.

- Dobbiamo parlare - dissi sottovoce.

- Eh? -

- Parlare... Dobbiamo parlare. Da soli. Anche con Beppe. -

- Siamo nella merda? - chiese sottovoce.

- Non immagini quanto... -

Nel frattempo arrivò anche Beppe con sua madre e una signora sulla quarantina. L'avvocato, pensai.

- Ciao, mitico - corsi ad abbracciarlo.

- Sei scemo? - il solito Beppe freddo e distaccato.

- Vi devo parlare. - sempre sottovoce.

- Anch'io. - disse lui di rimando.

Ci staccammo e lo guardai con aria interrogativa.

- Buongiorno. Il commissario vuole vedervi tutti e tre insieme. Con i genitori e gli avvocati, naturalmente. -

La voce era quella di Clara Segni. Era raggiante, radiosa. Parenti rimase persino spiazzato a vederla così felice, era sorprendentemente cupo addirittura.

- Con i genitori e gli avvocati, che novità. - si lasciò sfuggire Paolo.

Il commissario non era solo. Insieme a lui erano presenti due signori distinti sulla cinquantina. Uno con lo sguardo severo, la corporatura imponente e massiccia. L'altro gioviale e un po' più arrotondato, molto sorridente.

- Il poliziotto cattivo e quello buono - dissi sottovoce.

- E Galante? -

- Il poliziotto stronzo... -

Andre e Beppe soffocarono una risata. Non so perchè ma quello severo parve aver sentito e si lasciò andare ad un sorriso satanico. Finiti i convenevoli scoprimmo che il poliziotto cattivo si chiamava D'Onofrio e quello buono Sarcoli. Galante prese la parola.

- ... dunque... alla luce degli ultimi avvenimenti... ho deciso, anzi lo staff ha deciso che... -

Lo sguardo scivolò sugli altri due. Il viso del commissario Galante era una maschera. Ad ogni parola la mascella si contraeva. Quasi non riusciva a pronunciare le parole, come se stesse violentando se stesso per farle uscire.

- ... di verbalizzare ufficialmente tutto il vostro ... racconto. Quello che è successo fino a lunedì. In modo da avere un perfetto quadro della situazione. -

- Compresa la teoria delle fasi lunari? - chiese Andre.

- Sì. Specifico che verbalizziamo perchè è un'ipotesi interessante nell'ambito di un'altra indagine che nulla ha a che vedere con quanto stiamo raccogliendo in merito al suicidio del professor Graziosi. - si alzò in piedi e, camminando verso la finestra, in un attimo riacquistò la sua solita arroganza.

- Le due indagini sono e rimarranno separate. Non voglio che nessuno, NESSUNO... - rimarcò la parola guardando Clara Segni - ... cerchi di collegare due eventi così distinti. -

Clara guardò il commissario e poi noi. Si schiarì la voce e poi:

- Va bene, ragazzi, dai. Allora raccontate tutto di nuovo. E cercate di ricordarvi tutti i particolari. -

Stavamo per parlare quando sentimmo bussare. Clara andò ad aprire ed apparve Arianna accompagnata da suo zio e da sua madre. Rimasi attonito a guardarla, come un ebete, non seppi nemmeno salutarla. Sentii Clara che chiedeva sottovoce "Te la senti?" e lei che fece cenno di sì con la testa. Ero felice di vederla, non riuscivo a trattenere l'emozione. Lo sguardo però mi cadde sulle mani e poi sui polsi dove notai le fasciature che spuntavano dalle maniche del maglione. Lei notò il mio sguardo e si tirò giù i polsini.

- Ciao. - mi disse. Sorrise. Arcobaleno dopo il temporale.

- Ciao. -

Ci guardammo e per un momento ci fummo solo noi nella stanza.

- Partiamo? - disse Clara e mi sferrò un impercettibile schiaffo dietro il collo.

Ci mettemmo tre ore. Raccontammo nuovamente tutto. Momento per momento, particolare per particolare. O almeno così ci sembrò. Tranne l'episodio della notte precedente ovviamente. Clara spuntava su un plico di fogli ogni dichiarazione ed ogni riga e annuiva con la testa. Il poliziotto buono e quello cattivo si interessarono in particolare agli episodi del palazzo disabitato e alle minacce nel bagno della palestra. Dovetti ripetere il racconto diverse volte ma alla fine sembravano abbastanza soddisfatti. Non percepii domande trabocchetto o tentativi di farmi cadere in contraddizione. O semplicemente non vi caddi perchè stavo raccontando solo la verità. Si interessarono poi alla teoria di Andre e lì Clara ricapitolò gli altri delitti e le tempistiche. I poliziotti prendevano nota, annuivano e si consultavano a bassa voce. Ad un certo punto ci congedarono e ci accompagnarono verso le uscite. Mia madre prese da parte Clara.

- Dottoressa Segni, credo che mio figlio e anche gli altri... -

- Verificheremo signora. - ci guardò - ...però, sì. Credo abbiano detto la verità. Hanno ripetuto esattamente tutto il racconto della scorsa volta e del quale fortunosamente avevo salvato copia della dichiarazione. Adesso tocca a noi. Dobbiamo indagare. Non escludo però che torneremo da Jacopo se avessimo bisogno di altri particolari. -

Lasciati soli nel parcheggio ci stavamo salutando quando pensai ad una boutade. O la va o la spacca.

- Sentite ragazzi, ci vediamo domattina? -

Gli altri rimasero sorpresi.

- Beh, io... -

- Tu Andrea sei in punizione e non uscirai prima di tre settimane. -

- Beppe, stessa cosa. -

A quel punto, beh, sapete quando le cose si fanno veramente difficili e uno magari ritrova forze da dove meno se l'aspetta oppure corre come un ghepardo. Ebbene io iniziai a recitare come Christoph Waltz.

- No, aspettate. Sì abbiamo sbagliato, ma... lo abbiamo fatto a fin di bene... Non volevamo fare male a nessuno ma solo trovare Bendini. Non vi abbiamo detto nulla... per non spaventarvi. Ecco. Domani dobbiamo incontrarci. Perchè... dopo tutto ciò che ho passato ne ho bisogno. Ecco. Vi prego. - Sguardo che si sposta verso il basso. Poi a sinistra verso un punto indefinito nell'orizzonte. E poi di nuovo verso il gruppo dei genitori. - Lasciateci qualche ora per noi. Ne ho e ne abbiamo bisogno -

- Forse ha ragione... - - Dopotutto... - - Suvvià, non possiamo incarcerarli. -

- Ti darei quattro schiaffi. Ma guardalo... - mia madre ovviamente.

- Beh, signora, non siamo troppo severi. Potete venire a casa nostra, nella depandance. Staranno tranquilli. - lo zio di Arianna.

No, no, no no. Arianna no. Arianna non doveva entrarci. Doveva starne fuori. Non doveva succederle nulla.

- Ma io intendevo... - dissi.

-No non si discute. Alle dieci da noi. La Greta preparerà qualcosa. -

- E' la cuoca mamma. Hanno la cuoca. E anche il maggiordomo. C'hanno la depandans, mamma. - disse Andrea -Secondo me c'hanno anche le guardie private i ... cosi... i bodyguards. -

- No, ma io intendevo... - protestai.

Allora Arianna si avvicinò e si mise di fronte a me di modo che sentissimo solo lei ed io.

- Jacopo, non mi tagliare fuori per favore. Ti prego. - non l'avevo mai vista così fragile - Sono una dei vostri. Ne ho bisogno.

Non seppi che dire se non sì.

- Bene alle dieci allora da noi. -

Ci salutammo. Mentre salimmo in auto mio padre non disse nulla. Mia madre si girò verso di me e sentenziò la frase che ne fece definitivamente la madre più "figa" del mondo.

- Non so cosa stai tramando, non so che cosa vuoi combinare, non so il motivo di quella scena indegna ma sappi che se mi stai nascondendo qualcosa passerai il resto dei tuoi giorni a marcire in un collegio. - e non parlò più fino a casa.

Quanto mi sarebbe piaciuto spiegarle tutto. Ma la stavo proteggendo. Stavo cercando di proteggere tutti. Per quanto possibile.




Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top