Capitolo Trentesimo: Mercoledì
Ore sette e trenta in punto.
Era almeno un'ora che ero sveglio, non mi ero sicuramente addormentato molto tempo prima. Non avevo sognato, almeno, e questa era l'unica nota positiva. Non c'erano stati lupi, significati oscuri, corse a perdifiato nei boschi. Nulla. Ero vuoto. Una parte di me era stata fagocitata dal lato oscuro delle cose e ora stavo saggiando la consistenza del mio malessere interiore, un aspetto di me che fino ad allora non avevo mai avuto modo di conoscere. Mentre stavo facendo il bilancio personale degli ultimi giorni entrò l'agente di guardia con la colazione. Mio padre dormiva sulla solita sedia e non aveva sentito nulla di nulla, sfiancato da tutto ciò che era accaduto la sera precedente e dalla confusione che ne era seguita. Mia madre era tornata nella sua stanza. Era ancora molto debole e sapere che il suo stato di debolezza era stato causato direttamente od indirettamente dalla mia condotta non faceva altro che peggiorare il mio stato d'animo. Entrambe le stanze erano state considerate off limit per tutti. Nessuno tranne la polizia poteva entrare. Un solo medico poteva visitare mia madre. Eravamo segregati in ospedale, insomma.
- A che pensi? -
Mio padre si era svegliato. Non me ne ero neanche accorto.
- A niente. -
Mi guardò negli occhi. Io abbassai lo sguardo.
- O a tutto... -
Scrollai le spalle. Avevo ancora la camicia da notte che mi avevano dato all'ospedale. Visto che nessuno poteva uscire non avevo un pigiama da mettermi. A giudicare dal rumore che proveniva dall'esterno, fuori aveva ripreso a piovere insistentemente. La situazione dei fiumi era critica. La sera precedente erano giunte le prime notizie riguardanti famiglie evacuate nei punti in cui la Dora Baltea aveva esondato. Ad Ivrea il fiume arrivava grigio e gonfio, per esplodere la sua furia proprio sotto il Ponte Vecchio. Poi aveva smesso di piovere e la tregua aveva probabilmente evitato il peggio. Ora però...
- Voglio vestirmi papà. -
- Certo campione. -
Aprì l'armadietto accanto al letto. Dentro c'erano gli abiti lerci e insanguinati che indossavo da tre giorni.
- Cosa preferisci: il completo di Armani o lo smoking? -
- Lasciamo stare. Vado a lavarmi. -
- Non mangi? -
- Mi è passato l'appetito. - urlai dal bagno.
- Si può? -
Socchiusi la porta. Clara Segni entrò nella stanza con un sorriso sgargiante. Aveva un borsone che riconobbi essere il mio e un plico di fogli in mano. Sembrava un'altra persona rispetto al giorno precedente.
- Chiudi la porta del bagno, Jacopo. Ti sto vedendo le chiappe. -
- Scusate. - Richiusi la porta imbarazzato. Dannata camicia da notte. Ascoltavo i discorsi da dietro la porta.
- Buongiorno signor Piccoli. -
- Buongiorno Clara. -
- Mi sono preso la libertà di andare a casa di sua moglie e ho recuperato degli abiti per lei e per Jacopo e anche dei pigiami. Purtroppo non ho trovato nulla di suo. Però se ora sua moglie e suo figlio volessero cambiarsi possono farlo. -
Santa donna.
- La ringrazio anche a nome di mia moglie. Non doveva disturbarsi. -
- No, doveva invece. - replicai dal bagno. - Mi passi qualcosa da mettermi addosso papà? -
- Il fatto che sei in ospedale non ti esime dall'essere educato campione. Ecco qua. -
- Senta signor Piccoli. Io rimarrei qui con Jacopo. Vorrei prepararmi al meglio per questa sera. Se non le spiace le darei il cambio per qualche ora. Lei vada però nella stanza che le indicherà l'agente all'ingresso. E' per sicurezza e per non compromettere l'operazione di questa sera. -
- Io non... -
- Mettiamola così. E' un ordine signor Piccoli. Vada a riposare. Stare su una sedia tutta la notte non è piacevole. -
- Vai papà. - dissi dal bagno.
- Sì ma tu non fare l'impertinente con Clara. - rispose.
- Sarebbe una novità signor Piccoli. Vada pure. -
Quando uscii dal bagno c'era solo Clara.
- Eccoti tutto lindo e pulito. Se non ti spiace uso la tua sedia e il tuo tavolino. Non fai colazione? -
- Mangio un paio di fette biscottate. -
- Bene allora il latte me lo bevo io se non ti spiace. - e si sedette a mangiare al tavolino
- Ok. -
Presi una fetta biscottata e ne ruppi un pezzo con la mano in piedi accanto a lei.
-Come stai? - le chiesi.
Si voltò sempre sorridendo.
- Di merda Jacopo. - lentamente il sorriso le si ruppe in volto. Gli angoli della bocca si abbassarono e gli occhi le si riempirono di lacrime. Mi abbassai verso di lei in modo goffo.
- Io... non so cosa... Non sono bravo con le parole. Però non riesco a vederti piangere, Clara. E' tutto sbagliato. E io non posso vederti piangere per un uomo sbagliato. -
- Anche quello che hai detto adesso va benissimo, Jacopo. Abbracciami per favore... - disse singhiozzando.
L'abbracciai cercando di non starle troppo addosso.
- ... e non farti strane idee. -
Ore dieci e quindici.
Clara era andata da Galante che l'aveva chiamata a rapporto. Continuavo a pensare al Lupo e ad Arianna e per distrarmi andai a sbirciare i fogli che Clara aveva portato nella mia stanza. Ne estrassi uno che riportava una sfilza di titoli infinita.
MATERIALE CARTACEO TROVATO NELL'ABITAZIONE DI PIETRO GRAZIOSI:
- Il nome della rosa di U.Eco
- Aritmetica: un approccio computazionale di G. Cesare Barozzi
- Guida pratica allo studio della trigonometria di S.Palmiotto
- Il giovane Holden di Salinger
- Le cronache del ghiaccio e del fuoco di G.R.R.Martin
- Kajira: la trilogia di P.Chiozza
- Vendetta di sangue di Erza
- Pietra su Pietra di A.Varenna
- Beautiful disaster di A.Vasco
- La casa in periferia di C.Chiara
- Il suo sorriso migliore di Dreaming Alba
- Disco Inferno di D.Blackwood
- Fiabe liete e leggende oscure della mitologia norrena di G.Kurt
- Brigida di C.C.Meunier
- Evanaitre di I.Gobbi
- Il Serraglio di F.Friede
- Have you seen this girl? di M.Grignolo
...
Ed una montagna di altri titoli. Ne avevo letto qualcuno. Altri ero stato obbligato a leggerli, quelli scolastici. Per un attimo fui tentato di usare il PC di Clara per andare su internet, ma non volevo essere ucciso. Tornai a sedermi sul letto con l'unico fine di pensare al nulla. Mi avevano eliminato anche il televisore. Che palle.
Fu mentre ero sul letto che un senso di inquietudine cominciò a salire verso la testa a partire dallo stomaco. Che fosse fame? Sentivo stranamente il cuore che aveva accelerato il battito e non sapevo spiegarmi il motivo. Era come se qualcuno avesse premuto il pulsante che fa partire l'opzione ansia. Mi alzai dal letto ed iniziai a passeggiare per la piccola stanza, giù e su, su e giù. Qualcosa mi aveva stranamente messo in agitazione. Guardai il PC, il letto, il cuscino. Addirittura mi chinai sotto il letto. Guardai fuori. Pioggia. Che fosse il tempo, l'ansia? C'era qualcosa che in realtà stava tormentando i miei pensieri. Continuavo a tornare con la mente al quaderno, a Graziosi e stranamente alle botte che avevo preso da Parini a scuola. Ma perchè? Clara rientrò in quel momento.
- Dunque, Jacopo, devo fare un po' di allenamento. A casa tua ho recuperato il tuo giaccone. Tu cammini un po' gobbo per cui... C'è qualcosa che non va? -
- Credo niente... Non so... Sto continuando a pensare a cose che non hanno senso. -
- Hai una faccia... Vuoi che chiami un medico? Ti senti male? Hai subito un fortissimo stress in questi giorni. Ma adesso devi stare tranquillo. Sta per finire tutto. -
- Ho la sensazione che ci sia qualcosa di importante che mi sia sfuggito. -
- Stai pensando ad Arianna? -
- No, non è lei. E poi non vorrei parlare di lei. - mi trincerai dietro la miglior poker face che riuscii a fare in quel momento.
Clara capì e lasciò perdere.
- No, hai ragione. Scusa Jacopo. Allora dicevo, devo prepararmi. Fammi vedere come cammini... -
Ore dodici e trenta.
Io, mio padre e mia madre eravamo nella stanza a chiacchierare. Mamma stava visibilmente meglio. Strano a dirsi, la vicinanza di mio padre forse le aveva fatto bene. Non si sarebbero amati mai più ma il fatto che mio padre fosse lì anche con lei in quel momento per lei era stato importante. Bussarono alla porta. Il commissario Galante entrò con un uomo di circa cinquant'anni, alto, biondo, visibilmente straniero.
- Vi presento l'ispettore Frank Boyer dell'Interpol. E' arrivato da Lione con la sua squadra per aiutarci questa sera. E' un mio amico personale e ha accettato di buon grado. Ha compreso la situazione ed ha... aggirato... le varie autorizzazioni che altrimenti avrebbero compromesso l'operazione. -
Superati i convenevoli e le presentazioni arrivammo al punto.
- Ecoute moi, Jacopo. - disse Boyer - Tu sei l'unico che ha visto la lista di quei nomi. Hai capito che quella gente è tutta matta, assassini probabilmente. Io vorrei sapere se, in via informale, ti ricordi di qualche nome di quella lista. -
- A dire il vero ci ho pensato diverse volte. -
- ... e ? -
- Mi ricordo qualcosa dei primi nomi che erano proprio di Lione. Come lei. -
- Perfetto. Speravo proprio in questo. Riesci a darci un nom, prenom? -
- Un nome mi è rimasto in testa perchè era un po'particolare. Mi ricordo un certo Christian Herrè, Hege... qualcosa del genere. E poi di un Bertrand. -
Il commissario Boyer si fece scuro in volto e guardò Galante. Poi si rivolse nuovamente verso di me.
- Christian Hergé? -
- Sì, esatto, proprio lui. -
Boyer si voltò ancora verso Galante che lo guardava con aria interrogativa. Dopo qualche secondo fece sì con la testa. Il gelo era sceso nella stanza. Io e i miei ci guardavamo perplessi. Non sapevamo cosa stava accadendo ma era evidente che quel nome era importante.
- Va bene Jacopo. Ci sei stato molto utile. Ora vi lasciamo tornare alla vostra tranquillità. -
Mio padre intervenne.
- Beh, commissario Galante, ci spieghi però cosa sta succedendo. -
- Nulla. Sono nostre indagini interne. A più tardi. -
E detto questo uscirono entrambi lasciandoci colmi di interrogativi.
Ore quindici e trenta.
L'attesa stava diventando spasmodica. Mancava un'ora e mezza all'inizio dell'operazione. Clara sarebbe andata all'appuntamento con il Lupo travestita da Jacopo Piccoli, ossia con il mio giaccone e i vestiti che aveva recuperato a casa mia. Naturalmente avrebbe avuto l'appoggio della sua squadra al completo. A quanto avevo avuto modo di capire, l'operazione era stata coordinata in gran segreto proprio per evitare fughe di notizie e proprio perchè non si voleva coinvolgere altri elementi della polizia visto che in fin dei conti almeno un paio di loro erano pesantemente coinvolti. Fu mentre io e i miei discutevamo di questa operazione che Galante e Clara entrarono nella stanza.
- Abbiamo ottime notizie - esordì Galante.
- Ci dica, commissario. -
Galante non riusciva a nascondere un'espressione trionfale. Clara accanto a lui era un po' meno tronfia. Sorrideva ma sembrava poco solidale con il commissario.
- Abbiamo arrestato il Lupo. -
Restammo attoniti. Nessuno di noi aveva il coraggio di parlare.
- L'informazione che ci hai dato oggi è stata determinante, Jacopo. Christian Hergé è un funzionario dell'interpol. Ha eseguito viaggi in Italia proprio nei periodi degli omicidi e risulta essere qui ad Ivrea da un mese. Lo abbiamo arrestato in un appartamento in Via Palestro, poco lontano da dove era scomparso Bendini. Nell'appartamento abbiamo trovato foto e materiale interessante. E' lui il Lupo. Ecco perchè c'erano quelle XXX sul file della scheda SD. Perchè non c'è un vero e proprio Lupo in Italia. E' lui che ricopriva il ruolo ad interim. -
Non riuscivo a crederci. Preso. Finita. Tutto finito. Mia madre scoppiò a piangere dalla gioia e mio padre si alzò per andare a stringere le mani di Galante e Clara.
- Ha confessato? - sbottai.
Galante mi guardò torvo. Stavo rovinando la festa evidentemente.
- Certo che no. Non ancora, Piccoli. Non l'abbiamo ancora interrogato formalmente. Ma vedrai che confesserà a breve. E ora Piccoli, possiamo dedicarci alla seconda fase dell'operazione. Quella presso la villa. -
Non insistetti. Troppo bello per essere vero. Troppo. Feci semplicemente cenno di sì con la testa, ma ero francamente incredulo e non capivo il motivo.
Ore sedici e quaranta.
La polizia aveva allentato la sorveglianza alla mai stanza. Erano tutti euforici. La polizia aveva finalmente trovato il Lupo e finalmente l'incubo era finito. I miei avevano tirato un sospiro di sollievo ed erano andati a coricarsi, stremati dalla tensione. Io invece continuavo a passeggiare nervoso per la stanza. Niente da fare. Quella sensazione non era passata. Continuava a tormentarmi, nonostante fosse evidente che la polizia avesse chiuso il caso. La mente continuava a riportarmi al giorno della rissa con Parini e non riuscivo a comprenderne il motivo. Ripercorsi mentalmente quel giorno ma non riuscivo a capire cosa fosse che non andava. Tra tutti gli avvenimenti terribili che mi erano capitati chissà perchè in quel momento non avevo in testa null'altro.
Intanto la pioggia era peggiorata. Ormai si parlava insistentemente di alluvione e di lì a poco ponti e strade sarebbero state chiuse anche nel centro di Ivrea. E quella giornata sarebbe dunque stata epocale per almeno due ragioni. L'alluvione e la cattura del Lupo.
Il Lupo. Christian Hergé. Era lui che mi aveva parlato nel cesso della scuola? A me non sembrava un accento francese. Graziosi non era di sicuro. Però potevano essere Squillante o Parenti. O forse Parini. No, Parini non era possibile. Me ne sarei accorto. Ma poi... Ma quando mi aveva bloccato al parco. Beh, allora mi aveva detto chiaramente che era il Lupo. Era la stessa voce. Ma non c'era sicuramente un accento francese.
Mi fermai accanto al letto e dovetti appoggiarmi perchè sentivo le ginocchia piegarmi.
Perchè non prendiamoci in giro. Quella voce non era quella di Parenti e neanche quella di Squillante. Quella era la voce del Lupo. E non parlava francese di sicuro. Era la voce di un italiano.
Tutto sbagliato. Avevano di nuovo sbagliato. Mi sentii mancare l'aria.
Il Lupo era nella scuola il giorno in cui mi aveva minacciato nei bagni. E stava sorvegliando casa mia quando scappai nella notte. E poi c'è quel maledetto particolare di stamattina. Dopo che avevo guardato la documentazione di Clara, la lista dei libri, il PC...
Flash. Illuminazione. Fiamma. Esplosione. Tutto chiaro. TUTTO CHIARO. Ma certo che era così. Non poteva essere che così. Che stupido. Ma chi altri poteva essere se non lui. Tutto sbagliato. La polizia aveva sbagliato tutto. Lui sarebbe arrivato all'appuntamento alle diciassette e non avrebbe trovato nessuno. E lui sarebbe andato via. E avrebbe trovato il modo di vendicarsi. Oppure semplicemente di sparire. Lui. Proprio lui. Il responsabile di tutta quella carneficina. No. Non potevo permetterlo.
Sedici e quarantacinque.
Uscii nel corridoio. Mi ero preso il giaccone. Non c'era neanche un agente. Anzi. Eccone uno.
- Agente, mi scusi. E' importante. -
- Torni in camera sua, Piccoli. -
- No lei non capisce. Devo parlare con il commissario e con Clara. -
- Non sono qui, torni in camera sua. -
- Mi stia a sentire, li avverta. C'è stato un terribile errore... -
- Rientri nella sua stanza le ho detto. -
Lo guardai. Era finita. Lui se ne sarebbe andato. Sparito. Volatilizzato. Mi incamminai verso la mia stanza. Incrociai il dottor Zoppi.
- Ehi Piccoli. Ma guarda chi si vede. Dove vai così mesto. -
Mi fermai e lo fissai. Mi vennero in mente le sue parole. E quando sarà il momento di agire dovrai fare la cosa giusta.
- Devo fare la cosa giusta. -
- Come? -
E partii. Superai di slancio l'agente di guardia che non ebbe il tempo di reagire.
- Piccoli, ma che cazz... Centrale. Qui Rolandi. Il ragazzo... -
Scesi le scale che portavano all'ingresso ma svoltai verso destra. Svelto, veloce, l'agente era grosso e fuori forma. Non mi avrebbe mai ripreso. C'era un'uscita che dava verso la parte posteriore di Piazza della Credenza. Se riuscivo ad infilare quell'uscita... Come prevedevo era libera. Probabilmente all'ospedale erano rimasti solo uno o due agenti. Tutti gli altri erano impegnati o con l'alluvione o nelle operazioni collaterali all'arresto di Hergé.
Sedici e cinquantatre.
Ero fuori dell'ospedale. Scesi le scale che portavano a Via Arduino. Iniziai a sentire un rombo molto forte, come se ci fossero una serie di camion degli anni settanta sull'autostrada. Non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Percorsi Via Arduino a perdifiato fino a Piazza Gioberti. Il rombo aumentava di intensità. Infilai Via Guarnotta e sbucai sulla circonvallazione, proprio di fronte al Ponte Vecchio.
Sedici e cinquantanove.
Il fragore era assordante. L'acqua, marrone di fango e ciarpame raccolto durante il suo folle viaggio, moltiplicava la sua forza nella strettoia formata dalle rocce che reggevano l'arcata. Gli spruzzi d'acqua disegnavano un arco sopra il ponte, oltrepassandolo, mentre il fiume, diventato oceano infuriato trattenuto a stento nella piccola città, lambiva le pietre della parte inferiore della struttura.
Lo vidi, oltre la nebbia formata dalla furia degli eventi. Era là dove aveva promesso, proprio dall'altra parte del ponte. Ebbi un attimo di esitazione, poi iniziai a camminare verso di lui.
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