Capitolo Sesto: Giovani, ribelli e sospetti

La situazione precipitò di mercoledì mattina, durante l'intervallo delle dieci e trenta. Mentre andavamo a scuola in bus accennai a Beppe e Andrea della omosessualità presunta di Giorgio Bendini. Poteva essere un elemento importante e non sapevamo bene se poteva andarsi a incastrare con il resto del puzzle. Ci trovammo durante l'intervallo per discuterne. Eravamo soli nell'aula della 2a F, i cui alunni sarebbero stati in palestra per le successive due ore.

- Non so, Jac. Anche a me sembra che possa essere importante ma non so come farlo quadrare con il quaderno e tutto il resto. -

- Io ho pensato a qualcosa di simile a un ricatto. Qualcosa del genere insomma... - affermò Beppe.

- Io non l'avrei mai detto, raga. -

- Ma... un po' sì, Andre, dai. Lo dicevi anche tu che Bendini è strano forte. Magari quello "strano" che diciamo noi è solo che è omosessuale, tutto lì. Comunque il suo orientamento sessuale non sono affari nostri a meno che non abbia a che fare con tutta questa storia. -

Tacqui e poi ripresi la parola:

- Per alzata di mano: per voi dobbiamo indagare anche su questo? Potrebbe essere una cosa antipatica. Non sono affari nostri ma dobbiamo capire cosa è successo quella sera. Per cui potremmo doverci impicciare degli affari sessuali di Bendini. -

Alzai la mano. Beppe subito dopo di me. Andrea ci guardò e poi alzò la mano anche lui, visibilmente a disagio.

- Ragazzi, ci stiamo infilando in un casino. -

Dalla porta dell'aula vidi arrivare alcuni agenti in divisa che si fermarono di fronte al bidello. Il preside li stava accompagnando. Il bidello puntò il dito verso la porta. Verso di noi.

- Mi sa che nei casini ci siamo già. -

Andrea e Beppe guardarono verso i poliziotti e il preside, quando quest'ultimo prese la parola.

- Piccoli, Della Casa e Mitrescu. Questi signori devono accompagnarvi in commissariato. Il commissario vi deve parlare a proposito delle vostre deposizioni dell'altro giorno. -

Ci guardò e notò il nostro disagio.

- State tranquilli, ragazzi. Immagino si tratti solamente di una formalità, non è vero agenti? -

Si girò preoccupato verso gli agenti che non proferirono parola. Ogni coppia di agenti prese in consegna uno di noi. Uno degli agenti disse:

- I vostri genitori sono stati avvertiti e si presenteranno al commissariato. La ringrazio professor Lorenzi. Non possiamo rilasciare dichiarazioni e la preghiamo di fare altrettanto.

Ci dirigemmo verso l'uscita della scuola, quando il mio sguardo incontrò quello di Arianna, in piedi davanti a Parini. Feci una specie di sorriso, ma il risultato fu solo una smorfia. Assistetti allora a una scena piuttosto particolare. Arianna disse qualcosa a Parini. Parini sembrò arrabbiarsi ed indicandomi disse qualcosa di forte ad Arianna. Arianna allora pronunciò qualcosa in risposta e Parini si arrabbiò ancora di più cominciando ad agitare dall'alto verso il basso la mano destra, con il pollice e l'indice a forma di "O". Voleva puntualizzare qualcosa in maniera piuttosto chiara, forse imporre un concetto. Per tutta risposta, Arianna se ne andò verso la sua aula e Parini la mandò a stendere, dopodichè tornò verso la sua Cricca.

Il viaggio sull'auto della polizia verso il commissariato fu uno dei peggiori che mi ricordi. Ero seduto sul sedile posteriore e gli agenti non dissero nulla per tutto il viaggio. Avevo paura, non capivo cosa stesse accadendo, ma avevo il forte sospetto che la nostra posizione non era del tutto chiara al commissario.

Al commissariato fui messo a sedere di fronte ad una scrivania vuota. Attesi per circa un'ora in quella posizione, non ebbi neanche il coraggio di chiedere di andare in bagno, fino a quando non entrò un uomo piuttosto alto, elegante, sulla cinquantina. Aveva i capelli neri come la pece, pettinati all'indietro e un paio di baffetti tipo Hitler. Fui contento di vedere dietro di lui mia madre, un po' meno quando arrivò anche Paolo, piuttosto trafelato.

- Accomodatevi, accomodatevi, è una chiacchierata informale. Doverosa però signori, non lo nego. -

Sedendosi, mia madre visibilmente sconvolta disse:- Oh Jac, tesoro, dimmi che non hai combinato nulla. -

- No, mamma stai tranquilla. -

Nel frattempo quello che avevo compreso essere il commissario estrasse un blocco da un cassetto e lo mise al centro della scrivania facendo attenzione che fosse posizionato esattamente diritto e al centro. Dopodichè da un altro cassetto estrasse un mazzo di penne tipo Bic nere. Le guardò attentamente e ne scelse una che a quanto pare aveva le caratteristiche che più lo convincevano. La posò diligentemente accanto al blocco e poi allargò il più splendido e falso sorriso che uomo possa esprimere. Un agente nel frattempo era entrato nella stanza posizionandosi vicino alla scrivania.

- Caro Jacopo Piccoli, mi presento, sono il commissario Arturo Galante. Scusa se ti ho, per così dire, "prelevato" Scommetto che ti starai chiedendo perchè sei qui... -

- beh, sì... insomma... non so... credo di sì, vorrei saperlo insomma. -

- Vedi Jacopo, ti posso chiamare così vero? Jacopo, dicevo, nella tua deposizione c'è la possibilità che vi siano delle falle. -

- Falle? Guardi che ho raccontato solo la verità. -

- Non so Jacopo. Io ascolto ma solo tu sai se ciò che dici è vero. -

Mia madre mi guardò sgomenta. Io ero sull'orlo delle lacrime.

- Ma veramente io... davvero ho raccontato la verità. -

Si alzò dalla sedia ed incominciò a girare intorno alla sedia mia e di mia madre. Paolo era in piedi vicino alla porta.

- Vedi, Jacopo. Abbiamo visionato i filmati di una telecamera vicino in via Palestro e vediamo tu, Della Casa e Andrea Mitrescu da lontano discutere col Bendini. Poi Bendini che scappa via e tu che lo insegui. Come mai non lo hai detto? -

Era vero. Mi ero scordato di raccontarlo. Non avevo raccontato di essergli corso dietro. Di essere caduto nel parco davanti ad Arianna. Anzi non me ne ero scordato. L'avevo rimosso.

- Non lo stavo inseguendo. O per lo meno non per quello che pensa lei. Gli volevo parlare ma è sparito. -

- Sparito dove? -

- Non lo so. Gli sono corso dietro fino al parco, ma lui non c'era. -

-Quindi lo ha inseguito fino al parco e lui non c'era? E dove era finito? -

- Non lo so. A dire il vero non so neanche se al parco c'è arrivato e... -

Ebbi una illuminazione. Mi fermai e balbettai qualcosa. E poi:

- Magari si è fermato molto prima del parco. -

- Jacopo, ti rendi conto che stai cadendo in contraddizione? Ho interrogato poco prima anche i tuoi amici e anche loro si erano per così dire "scordati" di questa corsetta verso il parco. Voi così giovani e ribelli, insomma... -

L'agente guardò il commissario sorpreso per questa ultima frase. La voce di Paolo intervenne potente:

- Mi scusi signor Commissario, ma non capisco. Non era una chiacchierata informale? -

- Non capisco perchè interviene, signor... Lei non è un parente. -

- Sono Paolo Caputo e sono l'avvocato della famiglia Piccoli, pertanto cerchiamo di moderare i toni e di cercare delle maniere un po' meno arroganti ed intimidatorie. -

Il commissario Galante divenne rosso in viso. Sembrava che le vene del collo stessero per esplodere. Mia madre nel frattempo era atterrita e non sapeva più cosa dire o dove guardare.

- Avvocato eh? Non ha perso tempo signora Piccoli, vero? -

- No, guardi ma che ha capito? Io ... -

- Commissario Galante, in quanto avvocato credo che questa discussione... -

Entrò nella stanza un altro agente che si avvicinò al commissario sussurrandogli qualcosa nell'orecchio. Il commissario passò dal primo stupore a qualcosa di simile alla rabbia, dopodichè sfoderò un sorriso ancora più falso del precedente.

- A quanto pare una testimonianza imprevista vi scagiona tutti a voi giovani. Pare. Pare, sottolineo. Verificheremo. Nel frattempo però siete liberi di andare, non vi disturbo oltre. Scusate le maniere, ma sapete che c'è una indagine in corso. Capite benissimo che...-

- Commissario, io non voglio capire nulla. Io vedo e sento. E quello che è accaduto oggi credo sia meglio per tutti che non si ripeta, non crede? Giusto? La esorto in quanto avvocato della famiglia e di Jacopo di utilizzare dei metodi differenti. Lei sta parlando a dei ragazzi che sono visibilmente sconvolti per quanto accaduto. -

Si scambiarono uno sguardo di sfida. La tensione era palpabile. Il commissario uscì dalla stanza senza salutarci. L'agente accennò uno "scusate" con il labiale e ci accompagnò verso la porta. Mia madre si avvicinò a Paolo e lo abbracciò scoppiando in singhiozzi. Io ero totalmente in bambola.

Quando uscimmo dalla stanza vidi Arianna accompagnata dai genitori. Si girò verso di me e mi sorrise e allora capii. Era lei la testimone che mi aveva scagionato. Vidi anche Andrea e Beppe che si avvicinarono. I genitori si misero a parlare tra di loro. Udimmo termini quali "inconcepibile", "assurdo", "vergognoso". Noi quattro invece ci mettemmo a confabulare. Iniziai io.

- Grazie Arianna. -

- Era mio dovere. C'entro anch'io in qualche modo quella sera. -

- Jac, il commissario è un pezzo di merda. -

- Lo so Andre. -

- Si fa dura ragazzi. Questi non ci aiutano. -

- Che ti avevo detto, Beppe? Peggio di quanto immaginassi. -

Arianna ci guardava e non capiva.

- Ari, non ti vogliamo coinvolgere. -

- Se state cercando di capirci qualcosa voglio essere coinvolta. -

La guardammo sorpresi.

- Io sono amica di Giorgio e conoscevo Gloria. E la polizia mi sembra stia facendo un gran casino. Io ci sono. -

Sguardo deciso, fermo, onesto, coraggioso. Se prima mi piaceva molto, in quel momento mi innamorai come mai mi era successo e come mai mi sarebbe ricapitato.

- Ok, ok. Devo dirvi una cosa prima di andare. -

- Dicci Jac, che io voglio solo andare a casa. Non ne posso più. -

- Ci vediamo questa sera da Nino. Trovate una scusa, raccontate che avete bisogno di svagarvi. Almeno io dirò così. -

- Perchè, scusa? -

- Forse so dove è finito Bendini quella sera. Forse lo so. -

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