Capitolo Ottavo: Il male minore
Mio nonno era morto qualche anno prima, stroncato da un infarto nel sonno. Mia madre pianse per tutte le sei sere successive. Poi una sera sì e una sera no e quindi smise di piangere. Anche quando piangeva mi rendevo conto che era un dolore immenso ma superabile, qualcosa che la mente avrebbe prima o poi assorbito lasciando spazio solo al ricordo e alla malinconia.
Guardando il papà e la mamma di Giorgio Bendini al funerale, era invece palese che questo male non sarebbe mai passato. Con il tempo si sarebbe incancrenito nelle loro teste, facendo chiedere a loro stessi un perché al quale non avrebbero trovato mai davvero una risposta. Nella chiesa un uomo, credo uno zio o un amico di famiglia, sosteneva la mamma di Bendini, in piedi di fronte alla bara, la testa di lei appoggiata sulla sua spalla. Suo padre era seduto e teneva la propria testa tra le mani e per tutta la funzione non la alzò mai. Ancora oggi non ricordo come arrivai al cimitero, con chi ero salito in auto, a cosa avevo pensato, se avessi pianto o meno.
Nei due giorni immediatamente successivi al ritrovamento del cadavere, ero entrato in uno stato di estrema confusione. Continuavo a pensare all'uomo che mi aveva inseguito e al Bendini appeso al salice sulla Dora. Tornavano a presentarsi alle mie orecchie le urla disperate di Ari, il pianto dirotto di Andrea e lo stato di shock di Beppe. Mi ricordavo di mia madre, accompagnata dall'ormai inseparabile Paolo, che mi era venuta a prendere e mi diceva di continuo "oh, povero tesoro, amore mio". Mi ricordo di un batti ribatti tra Paolo e il commissario Galante, ma non a proposito di cosa. E poi la sensazione di totale sconforto che mi assalì quando venni portato via dal luogo del ritrovamento, l'assoluta incapacità di reagire, il dubbio di aver sbagliato tutto.
Al cimitero, tra le lacrime dei presenti, la bara entrò lentamente nel loculo dopo l'ultimo saluto dei parenti più stretti, dei pochi amici e dei
compagni di classe. La mia mano poco prima aveva sfiorato la cassa di mogano e le mie labbra soffiato un "ciao", che fu tutto ciò che ero riuscito a dire. Dopodiché mi ero allontanato di corsa. Andai a finire di fronte al monumento ai caduti in mezzo al cimitero, mi sedetti a terra, fredda e umida, e iniziai a piangere come non avevo mai fatto in vita mia. Tutto inutile: aveva ragione Ari, era stato tutto inutile. Pensavamo di essere la cavalleria, gli investigatori ed invece Bendini era morto, si era suicidato, lo diceva la polizia, non v'era alcun dubbio.
Rimasi assente qualche giorno da scuola non per il dolore, ma per una sorta di malore che divenne totalmente fisico, stanchezza e febbre. Al mio rientro fui felice di rivedere Beppe e Andre.
- Ciao raga. -
- Ciao Jac. Ci hai fatto preoccupare. -
- No, tranquilli. -
Ci sedemmo in silenzio fuori dalle aule ad aspettare il suono della campanella che sarebbe arrivato di lì a poco. Nel frattempo Arianna passò di fronte a noi insieme a Parini. Sembrava volerla consolare, ma a leggerle il viso in quel momento lei avrebbe voluto tutto tranne che farsi consolare da lui. Ci guardò, voltandosi poi quasi immediatamente dalla parte opposta. Probabilmente mi avrebbe tolto il saluto per il resto dei miei giorni, d'altronde avevamo sbagliato quasi tutto e non avevamo salvato Bendini. Anzi, forse nessuno lo avrebbe potuto salvare. Parini, però, si voltò verso di noi.
- Eccoli qui gli eroi. -
- Scusa? -
- Smettila Roberto, per favore. - disse Arianna.
- Sì, dico, gli eroi della scuola, no? "Noi abbiamo visto il Bendini che scappava..." E dov'è adesso il Bendini? Dove sono gli eroi? -
- Parini, non capisco cosa vuoi. C'è anche un morto, insomma vedi tu. -
- Appunto. C'è un morto. Hai fatto uscire la mia ragazza con te e gli hai fatto trovare un morto. -
Ecco dove voleva arrivare. La classica scenata di gelosia, delle più becere e vomitevoli della serie. Intanto il resto del gruppo dei Crucchi si stava avvicinando a dar man forte al leader Parini. Caso mai ce ne fosse stato bisogno.
- Non è che è stato intenzionale. Giusto Ari? Spiegaglielo anche tu. -
- Io... ecco io... sono un po' sconvolta ecco. -
- Vedi? LO VEDI CAZZO? -
La voce si era alzata di proposito. Ma più che la voce mi infastidiva il ghigno. Non gli fregava un cazzo di Bendini e neanche di Arianna. Gli fregava solo che la SUA ragazza era uscita con altre persone, non con lui. Probabilmente Arianna gli aveva nascosto tutto.
- Parini, ascolta, lasciamo stare va bene? -
- Io invece non lascio stare proprio un bel cazzo di niente, chiaro? E tu mezzasega non ti rivolgi a me così e neanche alla mia ragazza, anzi a lei non ci parli proprio! -
- Oh, Roberto. Aspetta un attimo. -
- Zitta, tu! E' chiaro? -
- Zitta a me non lo dici! -
Non pronunciai alcuna parola. Guardai Arianna che sostenne a sua volta lo sguardo di Parini, poi si girò a fissarmi dritto negli occhi. Sembrava furiosa sia con me che con lui. Tutto sommato forse più con me.
- Va bene, allora. Finiamola qui! - esclama, cercando di darci un taglio.
- La finiamo quando lo dico io! -
Non smentiva la sua fama di attaccabrighe da quattro soldi.
- E' chiaro quello che ti ho detto?. -
Mi girai. Eravamo uno di fronte all'altro.
- Chiarissimo! Va bene così. -
Il fatto che Arianna non intervenisse mi stava ferendo.
- Ho sbagliato io. Va bene. -
- Quindi non avvicinarti ad Arianna. Sennò ti assicuro che quel frocio appeso sarà il male minore che tu... -
Il pugno partì dal mio corpo quasi incontrollato, un gancio di destro che raggiunse Parini sulla guancia. Poi cercai di far partire anche il sinistro ma Parini si era già voltato e mi aveva colpito con un cazzotto sullo stomaco e poi in faccia e ancora stomaco e faccia. Cercai ancora di colpire inutilmente. Caddi sul pavimento e Parini mi assestò un calcio sul volto. Sentii il sangue scorrere sulle labbra quando arrivò il secondo calcio e poi urla, gente che correva, qualcuno che mi sorreggeva e io che perdevo conoscenza, proprio lì in mezzo al corridoio, mentre stava suonando la campanella.
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