Capitolo Diciottesimo: Bocce ferme

Dove eravamo rimasti?

E' passato più di un mese dal diciassettesimo capitolo di Il buio intorno alla luna e non sarebbe corretto scriverne uno nuovo senza prima scusarmi con i lettori che hanno avuto la pazienza di seguire questo lavoro e di aspettare questa nuova parte. Le ragioni del ritardo sono talmente tante che faccio fatica a ricordarle tutte. In primis problemi con il PC e poi con Wattpad, ma poi impegni professionali, varie ed eventuali ecc.ecc. Mi faccio perdonare con un capitolo di una lunghezza doverosamente maggiore, tripla rispetto al solito. Avevamo lasciato Jacopo svenuto nel cortile del palazzo disabitato in centro a Ivrea, tramortito dal professor Graziosi che si rivela essere un personaggio molto pericoloso. Si sentono due colpi di pistola e gente che urla mentre Jacopo chiude gli occhi stremato all'arrivo dei soccorsi......

Ero un lupo! Correvo attraverso una foresta di abeti, incurante dei ramoscelli che graffiavano la pelle sotto il mio pelo grigio. Ero forte, bello e potente. I miei occhi vedevano attraverso il buio e riuscivo a evitare qualsiasi insidia mi si parasse davanti. Correvo veloce, sapevo di dover correre, ma non sapevo esattamente cosa stavo cercando. O da cosa stavo fuggendo. D'un tratto, proprio di fronte a me, vidi una luce filtrare dai rami. Rallentai la mia corsa e uscii dall'intrico di sottobosco per arrampicarmi su un grosso masso. Arrivato in cima mi ritrovai a osservare il fiume che scorreva sotto di me, illuminato da una luna piena gigantesca che rischiarava il paesaggio. Tutto era limpido pur essendo notte fonda, ma guardando la luna ci si accorgeva che l'intenso chiarore, che illuminava i monti e gli alberi che scorgevo, non riusciva a cancellare il buio intorno a essa. Macchia bianca sul nero notte, la luna rifletteva il sole ma non aveva la possibilità di spanderne attorno ad essa il beneficio. Il buio rimaneva buio tutto intorno alla luna, celando qualunque possibilità di vedere il contenuto che la circondava. E in quell'oscurità poteva celarsi di tutto.

Mi accorsi che sulla sponda opposta, proprio davanti alla foresta che proseguiva sul lato del fiume che si affacciava di fronte a me, erano presenti delle sagome. Guardai meglio ed iniziai a riconoscerne i profili. Mi stupii nel vedere mia madre e l'immancabile Paolo accanto a lei, Andrea, Beppe, Clara Segni e il poliziotto che si chiamava Parenti. Alla loro destra, in disparte, era seduta Arianna. Mi guardava, ma non riuscivo a decifrarne lo sguardo. Sembrava rabbia mista a dolore, i lati della bocca curvavano leggermente verso il basso. Mi fece venire voglia di saltare dall'altra parte per abbracciarla e parlarle, ma la sponda era lontana. "Sono un lupo", pensai ed allora mi accinsi a fare un tentativo. Solo allora vidi una figura a sinistra del gruppo, molto distaccata dagli altri. Era lontana e non la riconoscevo, un'ombra che non sembrava avere nulla di famigliare. L'ombra iniziò a sollevare il braccio destro lentamente, fino ad arrivare all'altezza delle spalle, il dito indice sollevato. Compresi che stesse indicando qualcosa alla mia sinistra. Mi voltai verso quel punto e di fronte a me, lo sguardo perso nel vuoto e l'espressione assente, c'era il professor Graziosi.

Mi svegliai di scatto. Ero in una stanza dell'ospedale e accanto a me c'era il medico che mi aveva curato quando Parini mi aveva spaccato la faccia.

- Oh, ben svegliato. Stai diventando un affezionato cliente - disse il dottore. Personaggio curioso. Camice aperto, capelli bianchi, lunghi, barba incolta, più sulla sessantina che sulla cinquantina. Sorriso beffardo e pacioso.

- Non preoccuparti. I ragazzi dell'ambulanza ti hanno dato un leggero calmante mentre ti trasportavano qui. La botta sulla testa è stata forte ma non ti ha rotto nulla. C'hai il melone duro tu... -

- Zona occipitale? - mi affrettai a chiedere, ancora frastornato.

Risatina del medico.

- Zona occipitale... sì. Ti offrirei una sigaretta ma non fumo più, purtroppo - disse mentre si era girato a cercare qualcosa nel taschino del camice - Ah, ecco qui. -

Tirò fuori una scatolina di gomme da masticare e se ne gettò una in bocca.

- Ah dimenticavo. Io sono Zoppi, il dottor Zoppi. Sei sotto la mia custodia. Lì fuori ci sono tua madre, un preside, un altro paio di persone che non ho identificato e praticamente tutta la polizia della regione Piemonte. E vogliono tutti parlare con te. Ma io gli ho detto di aspettare. Sei sotto la mia custodia e in questo momento sei ancora ufficialmente sedato. A quanto mi han raccontato l'hai combinata bella... Scappato dalla scuola, coinvolto in una sparatoria, omicidio, suicidio, sangue... -

Buttò lì un po' tutto secondo me per vedere cosa sarebbe successo. Ero sicuramente ancora sotto l'effetto del calmante e le parole pronunciate dal medico non riuscirono ad accendermi come al solito. Guardai il dottore sconfortato e atterrito. Riuscii a pronunciare solo una timida difesa: - Omicidio di chi? Suicidio... Bendini... Io .. Io non so come spiegarlo. Mi ha rapito. Quello a momenti mi ammazza. Io non ho fatto proprio nulla e non riesco a convincere nessuno del contrario-

Si voltò e mi guardò attentamente. Sembrava valutarmi.

- Mmmmhh. No, credo proprio di no. Tu non hai fatto nulla... Hai l'aria di uno che incassa bene, ma non di uno che attacca. Tu non sai mentire, ragazzo, alla tua età ero anch'io così, giovane e fesso. Ho tre figli io, me ne intendo. Comunque adesso lo show ha inizio caro il mio signor Piccoli. Tra poco diverrai una celebrità nel bene e nel male. La tua fortuna è che in questo momento io ritengo che le tue condizioni siano critiche e quindi decido io chi e quanto deve parlare. Chi vuoi che entri per primo? -

Pensai che quell'uomo aveva trovato la pace interiore. Nulla poteva scalfirlo o offenderlo. Granitico, divertito, ironico.

- Mia madre, voglio che entri mia madre... Ah, se c'è un uomo che si chiama Paolo faccia entrare anche lui per favore. Posso...? -

- Ogni tuo desiderio sarà esaudito. -

- Se c'è un poliziotto che si chiama Galante... non lo voglio vedere. Voglio vedere solo Clara Segni. -

- Agli ordini. -

- E... c'è per caso una ragazza della mia età...? -

- No, niente ragazze Piccoli. Spiacente. Sei pronto?

Feci un respiro profondo e mi presi qualche secondo di tempo. Poi feci cenno di sì con il capo.

- Si va in scena! - disse il dottor Zoppi. E uscì dalla stanza.

- ...non sei stato ripreso da nessuna telecamera. Nessuno ti ha visto salire sull'auto del professor Graziosi e quindi non risulta alcuna traccia di costrizione nel seguirlo. Gli inquirenti stanno ancora verificando ma pare che le telecamere sul percorso fatto da te e Graziosi inquadrino solo lui sull'automobile. L'unica tua presenza tangibile si registra con le tue urla quando eri nel cortile del palazzo disabitato. L'allarme l'hai dato tu quando eri già lì ma tecnicamente al momento è come se ti fossi materializzato nel palazzo direttamente dalla scuola. E' chiaro che sei stato minacciato e ferito perchè il bozzo che hai sulla testa è quello del calcio di una pistola, per le urla, la chiamata e tutto il resto, ma non c'è altro che provi l'aggressione alla scuola se non il tuo racconto. La pistola è ovviamente quella che ha usato Graziosi per uccidere sua madre e che poi ha usato contro se stesso per ammazzarsi. L'incendio appiccato da Graziosi in casa della signora Actis, spargendo la benzina su di lei dopo averle sparato e facendo la stessa cosa su di se prima di spararsi a sua volta, ha cancellato qualunque prova ci potesse essere addosso al professore e alla sua povera madre. Da quello che è rimasto nell'appartamento, non ci sono elementi significativi che avvallino un rapimento, perchè il punto è questo Jacopo. Il rapimento da parte di Graziosi. Non c'è alcun dubbio che abbia tentato di ammazzarti, ma quello che si vuole capire è il tuo coinvolgimento in tutta questa storia. In ragione di ciò a casa del professor Graziosi sono stati recuperati dei video sul suo PC definiti "interessanti" e che sono al vaglio della procura. Ho fatto domande sul contenuto recuperato e se c'era qualcosa che ti riguardasse. Non mi hanno risposto ma secondo me, e non so se è una buona notizia, non hanno nulla -

Rimasi a guardare Paolo a bocca aperta alla fine del suo riassunto.

- In poche parole, Jacopo, nulla nega il tuo racconto, ma allo stesso modo non c'è nulla che lo avvalli. E' il tuo racconto e basta per ora -

Il silenzio avvolse il salotto di casa. Avevo la testa fasciata. Pur non facendomi male, il dottore mi aveva detto di tenermi quel bendaggio ed ancora molto tempo. "Fa scena e poi fa colpo sulle ragazze" mi aveva detto. Dopo neanche ventiquattro ore ne avevo già abbastanza. Mia madre si teneva la testa tra le mani, invece. La sua di testa doveva farle malissimo. Aveva passato gli ultimi due giorni in quella posizione. Il giorno precedente, in ospedale, aveva pianto molto. La colpa era mia. Non per il rapimento, il ferimento o il rischio corso. Mia madre era sconvolta perchè le avevo nascosto l'intera faccenda.

- Sentite... Ve l'ho già detto. So di aver sbagliato a non raccontarvi tutto. L'avrei fatto ieri sera insieme a Clara. -

- Clara... Ma sentilo... - Mia madre alzò finalmente la testa, gli occhi rossi per le lacrime e la stanchezza.

- Sì, Clara... Ecco... L'ispettore, credo, Segni. Lei... è l'unica che ha creduto al nostro racconto. -

Mia madre sbuffò e si alzò per andare in cucina. Tirò fuori dal vano sotto il lavandino una borsa e da lì una bottiglia di vino bianco. Costoso a vederla da lontano. Cercò un cavatappi, stappò senza tante cerimonie e si versò un bicchiere. Paolo si avvicinò.

- Adele, lo sai che... -

- Non rompere e non ci provare Paolo. Questa è la bottiglia delle grandi occasioni. - bevve un sorso. - E se non è una grande occasione questa... -

Riflettè qualche secondo. Poi finì il bicchiere quasi in un sorso. Posando il bicchiere sul tavolo in salotto iniziò a parlare.

- Jacopo... tu non sai quanto io sia felice che tu stia bene. Anzi, lo sai, ne sono sicuro - si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia. Poi mi diede un ceffone a mano aperta. Cinque dita stampate sul volto. A scuola avrei raccontato che era stato il professore prima di spararmi.

- ... quello che non sai è quanto sono incazzata, Jacopo. Ma tanto, tanto. Perchè tu, piccolo idiota, hai fatto un sacco di cose senza dirmi nulla! -

- E' vero ma... - mi affrettai a rispondere ma fui subito interrotto.

- Sta zitto! Zitto. - riprese il bicchiere e fece per versarsi un altro bicchiere di vino, poi guardò Paolo e posò il bicchiere scocciata. - Io mi chiedo a cosa serva la scuola, studiare, darti da mangiare, comprarti vestiti, libri, cellulari, computer... se poi ti metti a giocare all'investigatore... fai le indagini... corri dietro a degli assassini Jacopo, DEGLI ASSASSINI, DIAMINE! ...E TU NON MI DICI UN CAZZO DI NIENTE??? -

L'urlo fu interrotto dal suono del campanello. Paolo andò a vedere.

- Jacopo, mi stai facendo morire... Io non so cosa abbiamo sbagliato... -

- L'uso del plurale, mamma.. - Mia madre mi guardò ferita. - L'uso del plurale fuori luogo. Questo potrebbe essere già considerato un errore. -

Fece per dire qualcosa, ma non riuscì a dire nulla.

- Dov'è papà? Mi hanno quasi ammazzato, mamma. E dov'è papà? Tu ci sei e ti ringrazio, ma papà? -

- Buonasera Jacopo. Come va? Forse però non è il momento... -

Clara Segni era entrata in salotto scortata da Paolo e dal poliziotto che si chiamava Parenti. Quest'ultimo era in borghese e da lì capii che era una visita non ufficiale. Mia madre si asciugò le lacrime che stavano iniziando a sgorgarle dagli occhi.

- Buonasera signora. - Strinse le mani a mia madre che pareva riluttante. - La prego ancora di credermi quando le dico che sono davvero spiacente per tutta questa situazione. - poi si voltò verso di me - ... e soprattutto di Sherlock, qui - e mi grattò la testa con la mano incurante della fasciatura - che non ha riferito assolutamente nulla a lei, neanche che ieri sera sarei passata. - io iniziai a grattarmi la testa facendo smorfie di dolore. - Non far scene, Jacopo, tanto lo so che la testa non ha assolutamente nulla, sono un poliziotto, ricordi? -

- Mio figlio è coraggioso, lo devo ammettere... - tirò su con il naso - ma è un imbecille totale -

- Lei è una donna molto saggia. Jacopo, sei un vero imbecille. Ma cosa ti è saltato in testa di agire in quel modo, il palazzo, il quaderno, i sospetti, le persone che ti hanno inseguito, la dichiarazione spontanea al commissario, senza informare la tua famiglia? -

- Gli altri ragazzi? -

- Sì, abbiamo parlato anche con loro. Tutte tombe con i genitori. Una congrega di geni. Il ragazzo paffutello, Mitrescu, ecco... quello secondo me non vedrà più la luce del sole per sei mesi. La mamma e il papà erano rigidi come due colonnelli del KGB. Vedi che casino, Jacopo? -

- Arianna? -

Non rispose subito, fece passare qualche secondo.

- La Colombo... Si è spaventata, ecco, mettiamola così. E' spaventata e ha bisogno di starsene un po' tranquilla. -

- Ma noi volevamo solo scoprire cosa era successo a Bendini e nessuno faceva nulla. Neanche voi. Avevamo delle prove e non ci avete dato retta. -

- Sì, ma siete anche venuti solo venerdì scorso a raccontare tutta la versione... E poi avete agito da soli senza avvertire noi e i vostri genitori. La storia del palazzo e del quaderno e tutto il resto ve le siete tenute per voi fino all'altro giorno. Sono cose pericolose, Jacopo, probabilmente nelle vostre indagini avete dato fastidio, molto fastidio, a Graziosi. -

- Cosa dice il commissario? Cosa ha fatto Graziosi per prendersela con Jacopo? - chiese mia madre

Guardò tutti i presenti, si rischiarò la voce.

- Parenti, esci per favore. -

- Ma no Clara, non far cazz... -

- Ho detto esci, Guido. Ti prego. - il tono era perentorio.

Quello di Parenti era preoccupato e riluttante. Ma uscì dal salotto e da casa nostra - Buona serata -

Clara riprese a parlare.

- Il commissario ritiene che Graziosi sia coinvolto nel suicidio di Bendini, ma che non vi sia alcun legame con l'omicidio della Sensi. Ci sono due video. In uno si vede Bendini con Graziosi. Mentre... insomma... -

Lo immaginavo, ma sentirselo dire mi fece molto effetto. Bendini e Graziosi erano, per così dire, amanti. Clara si prese una pausa come a riflettere se dire o meno quanto stava per pronunciare.

- Il commissario ritiene che anche tu possa essere coinvolto in qualche misura nel suicidio di Bendini. Non posso dire altro. Anzi, forse ho già detto troppo. -

Mia madre crollò sul divano.

- E' una menzogna. Ma che cazzo, ma io non capisco... Quello quasi mi ammazza e ancora insiste... -

- No, Jacopo. Ragiona razionalmente. - mi interruppe. - Pensaci. E' vero, Graziosi ha sicuramente, innegabilmente tentato di ucciderti prima di dare fuoco a sua madre e a lui stesso. Ma se tu potessi guardare da fuori ti assicuro che quasi certamente avresti più di un sospetto. -

- Ma io non... -

- E io ti credo... Davvero Jacopo, io ti credo. Però il commissario non si fida. Ne ha viste tante, troppe. Credimi non è così facile crederti. -

Un nuovo silenzio avvolse il salotto. Clara pensò bene di interrompere quel momento di stasi.

- Bene. Io non ho detto nulla. E se per caso qualcuno volesse usare comunque questa discussione in un processo quel qualcuno verrà immediatamente denunciato e io negherò ogni cosa. Vi rinnovo i miei auguri. Riguardati Jacopo, non sai quanto mi ha sconvolto la tua chiamata di ieri. Per fortuna è finita bene... O quasi. -

- Lo so Clara.. e tu... sei stata grande, insomma. -

Mi guardò sorridendo e con un sorriso che mi parve di affetto sincero.

- Grazie. Anche tu. Molto ma molto più di me. -

La accompagnai all'uscita. Dalla finestra vidi Parenti che si fumava nervosamente una sigaretta.

- Ma senti Clara. Ma tu e Parenti, per caso... -

- Jacopo - disse Clara sorridendo mentre infilava il cappotto - Saresti un buon poliziotto, ma ... fatti i cazzi tuoi. Ok? - sorriso smagliante - Ecco, bravo. -

- Clara? -

- Dimmi -

- Cosa c'era nell'altro video? -

Si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia.

- Nulla che abbia a che fare con qualcosa di simile a un qualunque tipo di sentimento positivo. Vivi e sogna bene. -

E uscì per andare a prendere un Parenti che iniziò a protestare animatamente nella più assoluta indifferenza di Clara.

Quella notte sognai di nuovo di essere un lupo. Ero al fiume e come il giorno prima guardavo la luna piena dominare il paesaggio notturno. Dall'altra parte del fiume c'era una ombra non ben definita. Mi accorsi che era la figura che avevo visto nel sogno del giorno precedente. Lentamente la figura sollevò il braccio. Mi svegliai di soprassalto. Avevo udito un rumore ben definito, fuori, sulla strada. Andai alla finestra. C'era un ombra dall'altra parte della strada. Raggelai quando riconobbi in essa la figura vista in sogno. Guardava me, ne ero certo. Improvvisamente l'ombra iniziò a camminare verso casa mia. Non riuscivo a staccare gli occhi da essa, ero sconvolto dal terrore. Quando l'ombra arrivò sotto la mia finestra vidi che alzò lentamente il braccio destro, proprio come nel sogno. Dopodichè alzò il dito e si avvicinò ancora di più a casa mia. Un'automobile passò e illuminò per un attimo l'ombra, facendomi così accorgere del mio errore di valutazione. Mi precipitai verso la porta della camera e scesi le scale alla velocità della luce, proprio mentre il campanello si mise a suonare. Aprii la porta e rimasi a guardare imbambolato la figura del sogno che ora avevo di fronte a me. La figura mi guardò a sua volta e poi emise un suono.

- Ciao Jacopo -

- Ciao Papà -

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