Capitolo Diciannovesimo: Fuggire nel freddo di una notte di inizio marzo

- ...e solo tu ci mancavi. Proprio tu! Che ritorni dal nulla nel cuore della notte spaventando a morte tutti quanti! -

- E cosa dovevo fare, secondo te? Starmene buono buono in Francia mentre mio figlio rischia di essere ammazzato? -

- Ah, se è per questo in Francia ci sei rimasto fino a oggi e non ti sei mai fatto grossi problemi. -

- Ma sentila... nostro figlio viene quasi ucciso e lei tira fuori le nostre faccende! Ma lo sai cosa vuol dire scoprire da internet che mio figlio ha rischiato la vita? Lo sai? -

L'uomo che aveva suonato il campanello era infine entrato in casa nostra e sembrava come se qualcuno avesse gettato un fiammifero acceso all'interno di una tanica di benzina. Mamma era scesa ed era rimasta impietrita. Io invece non avevo resistito alla tentazione di abbracciarlo e di sentire nuovamente la sua mano che mi accarezzava i capelli. Se non fosse stato così tardi gli avrei chiesto di uscire e giocare a pallone insieme, ma mi avrebbe risposto che non aveva tempo. Come sempre. Dopo il primo momento di sorpresa era iniziato il finimondo. Mentre mamma e papà discutevano, io, seduto sul divano, osservavo quella persona calva, robusta e dalle mani gigantesche. Era cambiato. Era invecchiato rispetto a un anno prima. Nonostante lo vedessi una volta al mese, solo in quel momento me ne stavo rendendo conto. Oppure il fatto del mio ferimento lo aveva davvero colpito e gli aveva fatto ricordare di essere un padre.

- Le "nostre faccende"? Giuliano, che cazzo dici? Le nostre? Ma ti rendi conto che sei praticamente sparito da casa nostra e ti sei dimenticato di noi? -

- Beh, senti, non vi ho mai fatto mancare nulla. -

- Oh santamariadammilaforzatiprego. Ma stai parlando sul serio? Ma ti senti?

Prese un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e si asciugò la fronte.

- Senti, ti mando un bonifico da millecinquecento euro ogni mese, mese e mezzo. Forse è capitato che tardassi, una volta...

- Tre! -

- Come? -

-Giuliano, in Normandia viaggiate con un fuso orario differente. Mi mandi un assegno ogni tre mesi. Non ogni mese e neanche ogni due. -

- Va bene. Qualche ritardo, prometto che da ora in poi sarò più regolare. Però renditi conto che ci sono padri che non sborsano un quattrino. Padri che non versano nulla. Dimmi la verità, Adele, cosa vi manca? -

- Manchi tu, papà. -

Il gelo scese in salotto. Mia madre a petto in fuori davanti a mio padre come a dirgli "... e adesso che rispondi?". Mio padre in un silenzio imbarazzato e il volto affranto. Soldi, Francia, un'altra famiglia, casini... Ma chi se ne frega, pensai. Ma cosa mi importava di tutti quei casini? Il punto è che io non sapevo con chi parlare. Mai. Questo era il punto. Dov'era la persona che mi doveva guidare nella vita? Se magari ci fosse stato lui non avrei giocato al poliziotto. Se ci fosse stato lui gli avrei chiesto cosa potevo fare e come comportarmi quando Bendini mi aveva detto del Lupo. Se ci fosse stato lui sarei andato alla polizia con lui e Galante non avrebbe fatto lo sbruffone come aveva fatto finora. Se solo ci fosse stato...

- Io... Jacopo... Certe cose non si possono evitare. Te l'ho già spiegato. Io non potevo evitare ciò che è successo. E non avrei mai voluto farti del male. E... -

Non c'era. Non c'era lui e non c'era nessun altro. I miei amici non c'erano. Arianna non mi amava e io non avevo un padre e forse non l'avevo mai avuto. Così venne fuori tutto, all'improvviso, come aprire un rubinetto al massimo, un lampo degli abbaglianti, il tasto ON dello stereo con il volume sparato a manetta...

- PAPA', CAZZO, SEI SPARITO! NON VOLEVI FARMI DEL MALE? BEH, HO UNA NOTIZIA PER TE. MI HAI FATTO MALE, HAI FATTO MALE A ME E ALLA MAMMA. DOVE ERI? DOVE SEI STATO? A CHI DOVEVO RACCONTARE TUTTO CIO' CHE MI E'SUCCESSO SE TU NON C'ERI? COME FACEVO A DIRE ALLA MAMMA CERTE COSE CON TUTTO QUELLO CHE AVEVA PASSATO? VIENI GIU' UNA VOLTA AL MESE. NON MI CHIAMI, NON TI INTERESSA NULLA DI CIO' CHE FACCIO. CI HAI DISTRUTTO PAPA'. VAFFANCULO. -

Corsi verso l'ingresso e aprii la porta. Iniziai a correre sulla strada con tutto il fiato che avevo in gola. Così com'ero, in pigiama e le pantofole nei piedi. Sentivo urlare il mio nome dietro di me ma non mi importava. Superai un furgoncino con il simbolo della RAI sopra, probabilmente sorvegliavano la casa in cerca di scoop. Pensai "massì, riprendetemi mentre corro via, il complice del professore, l'altra vittima del professore, quello che volete voi, chi se ne frega." Correvo a perdifiato e iniziai a piangere, con le lacrime che si seccavano sul mio viso asciugate dal freddo vento notturno. Cambiai percorso un paio di volte per far perdere le mie tracce, senza una meta precisa, solo la voglia di buttarmi fuori da tutto ciò che stavo vivendo. Dietro di me non sentivo più nulla, i miei erano stati colti di sorpresa e i metri stavano rapidamente diventando chilometri, fagocitati dalla mia voglia di scappare da tutto. Arrivai al parco giochi vicino al centro stremato, ed andai a sedermi sull'altalena. Tre chilometri, valutai. Avevo corso per tre chilometri alle due di un mercoledì mattina. Il professore di ginnastica ne sarebbe stato contento, peccato che la scuola avesse chiuso per tutta la settimana a causa dello "scandalo" del quale ero anche protagonista involontario. Ero in un bagno di sudore ma l'adrenalina mi aveva abbandonato al freddo di una notte di inizio marzo. Gelida per chi come me era fradicio di sudore, in pigiama e pantofole. Pantofole distrutte in quella folle corsa, peraltro. Tra le lacrime iniziai a pensare a tutto ciò che era successo nelle ultime settimane e a come tutti questi avvenimenti mi stavano cambiando. Dolore, sofferenza, violenza, minacce, morte. Tanti morti. Chissà cosa facevano i miei amici in quel momento. Arianna? Come stava veramente Arianna? Era preoccupata per me come lo ero io per lei? Clara era stata un po' enigmatica, sembrava non mi avesse detto tutto ciò che sapeva. Mentre ero perso nei miei pensieri, sentii un rumore di rami spezzati. Mi voltai ma dietro di me non c'era nessuno. Mi alzai dall'altalena guardando a destra e a sinistra. Poi mi rigirai e mi trovai di fronte l'ombra del mio sogno.

- Papà, mi hai spaventato. -

L'ombra rimase ferma di fronte a me. La luce fioca di un lampione alle sue spalle ne definiva dei contorni piuttosto vaghi. Dopo averlo guardato per qualche secondo, decisi che l'ombra indossava quello che sembrava essere un giubbotto scuro. Il viso era in ombra, nero come la pece. Mi sovvenne che mio padre... mio padre... sì, mio padre, indossava un cappotto.

- Chi... sei? - riuscii a dire. Ancora una volta totalmente incapace di muovere un muscolo.

Avanzò di un paio di passi. La faccia era nera e non si vedeva perchè aveva addosso un passamontagna.

Scattai d'improvviso e con la maggior rapidità che le mie forze e quello che rimaneva delle pantofole potessero permettermi. Mi diressi alla destra dell'ombra che partì ad inseguirmi. Non era veloce ma io ero praticamente scalzo e dopo una ventina di metri già lo avevo alle spalle. Fuori dal parco giochi. Corri, Piccoli, corri ripetevo fra me e me. La salita al castello dalle rossi torri. Se riesco ad arrivarci... Non ci riuscii: l'uomo mi sgambettò e caddi a terra. Mi prese di forza, mi trascinò dietro ad un bidone dell'immondizia e mi schiacciò il viso a terra puntandomi qualcosa di affilato sul collo. La salita verso il castello non ha neanche una casa nei dintorni, forse non era stata una grande idea.

- Ascoltami bene Jacopo. - sibilò - Se urli sei morto. Morto, chiaro? Fai sì con la testa. -

Mossi la testa per come potevo. Voce camuffata. La conferma definitiva che chi mi aveva minacciato a scuola non poteva essere Graziosi. Girai di poco la testa. Riuscii a vedere nella sua mano destra un coltello con una lama di una ventina di centimetri. Mi schiacciò di nuovo la testa sul marciapiede. Le rare automobili passavano lontano da lì, il traffico era poco e il parcheggio della zona era davvero poco utilizzato. Ancora una volta nessuno poteva vedermi.

- Il quaderno deve saltare fuori. Capito? Se non salta fuori ne pagherai le conseguenze tu e la tua famiglia. Vi ammazzo tutti. Come dei cani. -

Poi si mise a ridacchiare piano.

- Sai che ti aspettavo qui fuori stanotte? Me lo sentivo che avresti fatto una cazzata. Sei giovane, stupido e prevedibile. E se non salterà fuori quel quaderno sarai giovane, stupido, prevedibile, orfano e morto. -

- Io non ce l'ho. -

Ridacchiò di nuovo. Aumentò la pressione sulla mia testa

- E allora trovalo, Jacopo. Perchè se non lo trovi faccio una strage. Non me ne frega un cazzo di come puoi trovarlo, basta che tu e i tuoi due compagni lo troviate. Tanto a te arrivo in ogni momento, quando voglio, come puoi vedere. Arrivo a te e ai tuoi amichetti, vi ammazzo tutti. Vi do una settimana di tempo. Voglio che veniate tutti e tre qui con il quaderno alle diciassette di mercoledì prossimo. Tutti e tre e con il quaderno. -

Mi sollevò la testa e me la fece sbattere a terra due volte. La fasciatura attutì il colpo.

- Questo per non esserti fatto i fatti tuoi al momento giusto. La polizia e i tuoi non devono sapere nulla, sennò vi ammazzo tutti. Avverti i tuoi amichetti e riferisci il messaggio. E che nessuno di voi parli con nessuno. Questa notte tu sei scappato e sei caduto a terra, per questo ti sei fatto male e hai la faccia sporca. Se scopro che hai parlato di questa discussione con qualcuno che non siano i tuoi amichetti, uccido tua madre. Se vai alla polizia, uccido tua madre. Se non trovi il quaderno uccido tua madre. E dopo uccido te e i tuoi amichetti in ogni caso. E ti assicuro che se parlate io lo vengo a sapere. Tu e i tuoi amichetti siete miei, a partire da questo momento. -

- Tu... ci... ammazzi... comunque... -

- Se trovi il quaderno potrei decidere di no e sparire. Dipende tutto da voi. -

Si incominciarono a sentire delle voci che urlavano il mio nome avvicinarsi.

- Hai una settimana, ricordatelo. -

Lasciò la presa dai miei capelli. Feci per respirare, ma subito mi schiacciò nuovamente la testa a terra.

- Mi stavo dimenticando... a scanso di equivoci... sia chiaro... -

Mi passò lentamente la punta del coltello per due centimetri sul collo tagliandomi superficialmente.

- Io sono il Lupo. -

Si alzò e lo sentii allontanarsi camminando. Rimasi coricato a terra per un minuto circa. Poi mi rialzai e mi sedetti appoggiando la schiena contro il bidone dell'immondizia.

Sentivo chiamare il mio nome, ma io ero rimasto senza voce per rispondere, senza lacrime, senza un briciolo di volontà. Ero totalmente svuotato ed incapace di reagire. Ero in balia del Lupo.

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