Chapter 9
Perché sono stata così ingenua? Credevo che Mathias fosse simile ad Alberto e invece mi sbagliavo di grosso.
Lui è irascibile e non possiede un cuore.
Svolta a destra e il mio telefono segna le 7 e 15. È domenica, le strade sono deserte e io vagabondo in cerca di una fermata adibita agli autobus con le lacrime che scendono imperterrite dal mio viso.
Tento di pulirmi, ma nella mia testa riverberano le sue parole. Mi ha annichilita lasciandomi senza risposte. Mathias si è preso gioco di me come se fossi una delle tante con cui va a letto.
Come mi è potuta soltanto balenare l'idea che io potessi piacergli?
Era aggressivo, furibondo e sembrava si compiacesse alla vista delle mie sofferenza e credo che questo sia più che necessario per affermare che non gli importi nulla di me.
Mi abituerò alla mancanza di quegli occhi sfumati che tanto mi attirano e saprò cavarmela, ma non adesso; in questo momento la testa è sul punto di cedere.
"L'ho fatto per puro divertimento" Mi ha baciata perché mettere zizzania nella mia relazione, è il suo stile, un marchio di fabbrica.
In un anno di relazione Alberto non ti ha mai ferita, invece a lui sono bastati pochi giorni e ti ha già distrutta. Constata la vocina della coscienza.
Ho intravisto in lui uno scorcio di positività all'inizio della conversazione, ma quando mi ha rivelato il vero motivo per cui mi ha baciata, sono rimasta letteralmente sbigottita e la mia voce è andata a farsi un giro in un altro continente.
Una lieve foschia copre buona parte della zona, ma riesco a intravedere una piccola fermata.
Al di là del marciapiede, una piccola gattina emette dei miagoli di sofferenza acuti e intrinsechi di dolore.
Vorrei urlare anch'io, liberarmi di tutti i pensieri che mi dilaniano e che mi lasciano senza respiro, ma non posso, mi prenderebbero per pazza anche se, con il trucco che cola come una cascata, dubito che mi prendano per una sana di mente.
Butto uno sguardo sia a destra che a sinistra e neanche una sola macchina percorre la stradina. Giungo nei pressi della fermata e il tabellone elettronico segnala che l'autobus verrà, all'incirca, fra cinque minuti.
Tiro su col naso dandomi una sistemata; devo trovare un escamotage per uscire indenne da questa situazione in cui io stessa mi sono cacciata.
Cerco nella rubrica il numero di mia cugina Chiara; a causa dei continui litigi che aveva con il padre e solo dopo aver intrapreso la strada per l'università, si è affittata una casa dove tutt'ora vive.
Il telefono squilla e io tento di reprimere il singhiozzo.
«Sofyyy, da quanto tempo! Come stai?» Dice lei dal telefono con una voce radiosa.
«Ciao Chia'. Bene, tu?» Ribatto io malinconica.
«Non direi dal tuo tono.» Insinua.
«Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Esponi i tuoi problemi alla cugina saggia.»
«Devi dire a mia madre che stanotte ho dormito da te.» Dico sperando in una risposta positiva.
«Ma certo! Perché non dovrei aiutare la mia cuginetta in difficoltà? Sarà fatto. Ma cosa ti è successo?» Insiste lei.
«È una lunga storia e ora non ho proprio voglia di parlarne.» Le rispondo premendomi una mano sulla fronte.
«Riguarda un ragazzo. Noi donne siamo così. Io con Marco ho passato l'inferno. Ma tu non eri fidanzata con quell'Alberto?»
«Sì, ma non riguarda lui.»
«Oddio! La mia cuginetta si è risvegliata da un lungo letargo. Te l'avevo sempre detto che quell'Alberto non faceva al caso tuo. Il tuo ragazzo ideale è un altro.» Dice.
«Ti prego Chiara, in questo momento non ho neanche la forza di ragionare. Ti chiamerò appena deciderò di venirti a trovare; ora è arrivato l'autobus. Ti lascio.» Mi alzo dalla panca gelida e mi appronto a posizionarmi sull'orlo del marciapiede.
«Okay! Ti aspetto, ciao.» Riaggancia.
I freni stridono a pochi centimetri dalle mie scarpe, e ora che presto più attenzione, un bruciore si espande dal tallone ostacolandomi nella camminata.
«Sei l'unica. Di domenica non ci sono molte persone.» Dice il conducente aprendo le ante del autobus.
«Immagino.» Rispondo presa alla sprovvista e passandomi, frettolosamente, i palmi delle mani sulle occhiaie.
Salgo gli scalini e dall'altro lato del marciapiede vedo la gattina che poco fa urlava, contorcersi al suolo ruzzolando.
Una morsa si prende gioco del mio stomaco, ma quando l'autista avanza, anche la gattina rimane alle mie spalle, come Mathias.
Per tutto il tragitto rimprovero me stessa e le mie azioni da sprovveduta: il bacio nel camerino mentre Alberto si provava una felpa, la serata in discoteca finita come una sciatta, ma sopratutto la convinzione che piacessi a Mathias.
Ho colto dei segnali che mi hanno indotta a credere che lui fosse interessato a me dalla prima volta su quella terrazza
La vocina della mia coscienza aveva ragione: Mathias voleva farmi ubriacare per portarmi a letto, ma non ci è riuscito considerando che ho vomitato per l'intera serata.
Provo un strano senso di sollievo, dopotutto non ha ottenuto il suo intento e questo mi rincuora.
L'autobus si ferma a pochi metri da casa mia e l'autista mi saluta gentilmente. Il rumore del motore si fa sempre più lontano e il silenzio comincia ad incombere.
Inserisco la chiave nella serratura del portoncino e il rumore metallico echeggia spettrale nel viale, gli alberelli però fungono da deterrente e bloccano l'amplificarsi del suono.
Mi precipito a raggiungere l'ascensore e approdo sullo zerbino di casa mia: HOME SWEET HOME, è scritto sul materiale gommoso.
Sento un acceso diverbio al di là della porta. Questa è la voce di mio padre. Una piccola consolazione, ma mi domando perché i miei genitori stiano litigando.
Apro la porta e il loro battibecco cessa.
Si affacciano all'unisono dalla cucina e la mamma è sorpresa di vedermi. «Tesoro, pensavo che avresti dormito a casa di Serena. Di solito è sempre così. Ti ho chiamata ma non mi hai risposto.» Esordisce e papà mi guarda sorridendo.
La sua chioma brizzolata gli permette di essere un quarantenne attraente, e le sue iridi verde cristallo fanno di lui un gran bell'uomo. La mamma ci ha visto giusto quando l'ha sposato. Delle piccole rughe gli compaiono ai lati degli occhi quando sorride. Indossa una camicia azzurrina con sotto un pantalone nero classico e delle scarpe quasi da gala.
«Sì, ho dormito da Chiara.» Mento buttandomi fra le braccia di mio padre. Di sottecchi vedo mia madre che assume un'espressione sornione. L'avrà bevuta?
«Fatti abbracciare un poco, porcellino di papà.» Allarga le sue grosse braccia e io mi getto contro il suo petto.
Mi sento protetta fra le sua braccia come se nessuno potesse farmi dal male. Mio padre è il mio angelo custode. Chiude la presa intorno al mio busto e mi stringe a sé.
«Mi sei mancato» Dico con la bocca di sbieco sul suo torace accogliente. «Ehy, la sera ritornavo ma tu eri sempre a letto.» Risponde lui e sento la voce nascere dalla gabbia toracica.
Mi distacco e sorrido. «Ma ritornavi di notte e io dovevo andare a scuola.»
«Hai ragione. Ti vedo assonnata, forse è meglio che vai a dormire. Vuoi sfrenarti il sabato e poi la domenica mattina non vali un fico secco.» Risponde lui prendendomi in giro.
«Mi hai dato un ottimo suggerimento.» Mi avvio nella stanza senza degnare di uno sguardo mia madre. Sospetterebbe anche di un minimo segnale e io non voglio.
Mi spoglio febbrile e la testa riprende a tamburellare come se un'orchestra fuori tempo suonasse al suo interno.
La mamma ricomincia a bisbigliare, forse non vorrà farmi sentire. Staranno discutendo degli orari di lavoro di mio padre, ne sono certa.
Mi abbandono al letto affondando la testa nel cuscino.
Lui e suoi maledetti occhi. Si cela solo arroganza dietro quel sorriso beffardo? È vero che mi ha baciata soltanto per divertirsi? Ma se continuerò ancora a scervellarmi il cervello esploderà e così precipito nel baratro dei sogni.
Sei una puttana. Mi ha tradito. Ti ho dato tutto di me, e tu cosa mi hai dato in cambio?
Alberto bercia e io resto in silenzio rimpicciolendomi. Non riesco a parlare. Sono muta e lui urla ancora di più. Io piango, piango più forte e lui è una belva.
****
Mi sveglio di soprassalto tirandomi su. Mi reco in cucina riempiendo un bicchiere d'acqua. Sofia, calma. Era soltanto un incubo, che può diventare realtà.
«Tesoro, cos'è successo?» Domanda la mamma appoggiandosi al cardine della porta scorrevole attigua al soggiorno.
«Ho fatto un brutto sogno.» Le rispondo deglutendo l'ultimo sorso di acqua ghiacciata.
Le vado incontro sfoggiando un debole sorriso.
«Sofia, se c'è qualcosa che ti turba la tua mamma è pronta ad ascoltarti. L'importante è che non sei incinta.» Dice lei in tono sarcastico.
«Mamma, ma cosa ti passa per la testa? Sto benissimo. Ora ho solo bisogno di una doccia.» Continuo inscenando il copione.
Pochi minuti dopo mi immergo sotto al getto d'acqua bollente.
Voglio epurarmi della giornata di ieri, cancellare tutti i ricordi e le sensazioni che quella mente contorta mi ha fatto provare.
«Mathias...» Sibilo solenne mentre il gorgoglio dell'acqua rimbomba tra i mosaici affissi alle pareti.
Il suo nome, sette lettere, tre vocali, ma un numero infinito di emozioni e nonostante mi abbia trattato come una pezza da bagno, non riesco a scacciarlo dalla mia mente.
È un virus, uno di quelli incurabili e che danneggiano gravemente la mia psiche trasportandola in una realtà fatata, quella in cui i suoi occhi sono esclusivamente per me.
Ma che stupida che sono adesso che ci rifletto su.
Possiedo tutto: dei genitori che si amano, un ragazzo fantastico e sul piano economico non mi posso lamentare e tralasciando le azioni sconsiderate di Serena, anche una vera amica.
Eppure, nonostante i miei privilegi, ho come il presentimento che la mia vita sia piatta e priva di vere emozioni che sappiano travolgermi.
E quando sto con Mathias, per magia, quelle emozioni risorgono irrefrenabili; ma lui non mi vuole, ero soltanto un gioco per lui, uno di quelli che si comprano in un centro commerciale e si cestinano il giorno dopo.
Per lui non ero una persona che provava emozioni, ero un pezzo di carne, una delle tante.
L'acqua bollente ha creato una leggera nube grigia che oscura l'intero bagno. Ruoto il pomolo d'acciaio addobbato con uno Swarovski (alla mamma piace arredare la casa con vari gingilli di lusso) e ostruisco il flusso dell'acqua.
Sorpasso il parapetto della vasca agguantando il mio accappatoio di un lilla quasi abbagliante.
Stringo la cintura in vita e una vibrazione, proveniente dal mobiletto in legno, mi fa prendere uno spavento.
Sono troppo tesa, sento che i nervi sfiorano la mia pelle. Asciugo le ultime gocce che percorrono maratone sul mio corpo e mi accingo a raccattare il telefono.
Pulisco con il gomito il vetro appannato riproducendo uno stridulo simile al gesso a contatto con una parete liscia.
È Alberto: dobbiamo vederci. Ho urgente bisogno di parlarti.
Mi aggrappo al manico in marmo blu e tiro su un interminabile sospiro.
Devi parlargli e confermargli che non è successo niente. Vocina coscienziosa all'attacco.
Di' che hai passato tutta la notte con Mathias e che ti sei ubriacata in un locale a pochi metri da lui. Sogghigna la voce malefica.
Ma Mathias mi ha confessato che per lui non sono niente, mentre per l'Alberto sono una certezza. Tremo e anche lo smartphone.
Scrivo, ma poi cancello. Tento di nuovo ma cestino l'idea. Alla fine risponde con un misero "VA BENE". Alberto starà già pensando che ho qualche remora a vederlo, o forse anche un po' di paura, ma devo. Sento il bisogno di farlo.
Ti avviso io quando sono sotto casa tua. Mi risponde poco dopo e l'ansia si impossessa dei miei pensieri.
Mi vesto aspettando che Alberto venga a prendermi. Domando alla mamma, papà dove sia, e lei mi risponde: "È dovuto ritornare a lavoro" in un tono afflitto. Alle 15 la mamma esce avvisandomi che la sua metà è "La casa della nonna".
Resto con il cellulare in grembo aspettando il fatidico messaggio di Alberto, e che arriva puntuale alle 15 e 30.
Scendi, sono arrivato.
Spruzzo del profumo sul mio collo (pochissimo) e mi armo di una borsa alla Merry Poppins e giacca anti proiettile, poiché già so che Alberto mi scaricherà una pioggia di accuse taglienti.
Lo avvisto, serio e con lo sguardo inflessibile e rigido. Ha le mani posate sullo sterzo e ora muova la bocca. Quando Alberto compie quel gesto sta a significare che è infastidito.
Apro la portiera e lo saluto debolmente; lui ricambia accendendo la sua Mercedes e iniziando ad incamminarsi.
Restiamo in silenzio fin quando Alberto sosta in un parcheggio abbandonato, nei pressi del cinematografo UCI Cinema.
Le erbacce hanno avuto la meglio nella battaglia contro l'asfalto e ora crescono indisturbate. Il luogo è deserto e il cielo è leggermente grigio.
Alberto spegne l'auto e capisco che il momento di parlare è arrivato, ma sarò pronta ad affrontare il dibattito?
Inizia Alberto spiazzandomi: «C'è qualcun altro, oltre a me?» Domanda voltando lentamente il suo sguardo verso di me.
I suoi occhi non sono abili abbastanza da poter nascondere la rabbia che prova. La sua bocca, una linea sottile e purpurea, è immobile. I suoi capelli ondulati e sbarazzini sembrano voler comunicare lo stato d'animo attuale di Alberto: frustrazione.
Mi prendo del tempo per rispondere.
Non ti azzardare a dirglielo.
Eccome, se devi. Il ragazzo ha bisogno di sapere la verità.
È una lotta continua tra bene e male.
«No!, ma sei impazzito?» Ribatto sdegnata. L'ho fatto, lo sto mentendo spudoratamente. «Mi ferisci se pensi questo di me.» Continuo offesa.
Brava, Sofia, Lui ti ama. Mathias è stato un momento di sbandamento. Una cosa temporanea. Alberto ti farà riprendere.
Hai letto Shakespeare, "Essere o non essere?". l libri non sono carta, ma sono vita. Di' la verità ad Alberto e non lo ferirai ulteriormente.
Ma a differenza di Amleto, io ho deciso di Non Essere per la mia vocina malefica, mentre per il mio Io ho deciso di Essere.
Disputa, ecco la parola esatta di ciò che si è scaturito dentro di me. Bene e Male, vocina coscienziosa e vocina malefica, ma quella che prevale è la ragione, ovvero il mio Io, la falsità personificata dalla mia espressione falsamente indignata.
«È... che da questa settimana, sei cambiata nel modo di approcciarti a me. Sei più fredda come se ci fosse qualcosa che ti bloccasse.»
E ora cosa mi inventerò? Calo lo sguardo (il suo è troppo vero il mio troppo falso) e giocherello con le mie dita.
Faccio un colpetto di tosse e comincio ad inventare fandonie: «Papà torna a notte fonda tutti le sere e stamattina, dopo quasi due settimane, l'ho rivisto. Sembrava un miraggio e quando l'ho abbracciato, l'ho sentito distante. Però mi mancava terribilmente.» Un fondo di verità c'è in quello che sto dicendo, ma ho ingigantito la faccenda.
Lo sguardo di Alberto diventa meno severo, quasi dolce.
Sono una persona spregevole. Conosco il suo punto debole, Alberto merita una ragazza migliore di me. Io non sono più quella di una volta, quegli occhi grigioverdi hanno risvegliato un lato del mio carattere che erano rimasto assopito da ben diciotto anni.
Alberto sorride girando il suo tronco verso di me. Io lo guardo e vittima del rimorso scoppio in lacrime.
Lui non perde un solo minuto, mi abbraccia dandomi ristoro, ma non è a conoscenza che sta abbracciando un angelo in procinto di passare all'inferno.
Sento il suo fiato sui miei capelli e Alberto mi stampa un dolce bacio sulla fronte.
Non mi merita, io non sono la ragazza adatta a lui. Queste parole le ho già sentite, sì... dalla bocca di Mathias.
«Era questo il problema che ti affliggeva?» Sibila soavemente Alberto.«Scusa se ho pensato quelle cose su di te.» Mi bacia di nuovo.
Incontro il suo sguardo, così puro; quasi lo invidio. Perché si diventa ciechi per amore?
Sembra che il cervello non connetta e vada in ibernazione. Sono le sensazioni che prendono in mano le redine del gioco.
Il suo è viso implume e giovane, privo di peccato; lo contemplo mentre Alberto pulisce il mio viso bagnato.
«Ti amo.» Mi confessa con gli occhioni lucidi. Lui è cieco, ma io non lo sono per lui.
[SPAZIO AUTRICE]
Ragazze è doveroso ringraziarvi tutte. Siete fantastiche. Non mi aspettavo un accoglienza così clamorosa. Grazie, grazie e grazie ancora. ❤
Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate della decisione di Sofia. E vi aspetto al prossimo capitolo più calorose che mai 😍
I love you!💙
- LaVoceNarrante
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