Chapter 36
Scuoto la testa camminando a passo spedito. Le rossastre nubi del tramonto oscurano la luce e a poco a poco la notte comincia delinearsi.
Ho chiamato papà mandandogli la mia posizione attuale.
E ora allungo il collo sperando di vedere la sua auto, ma dovrò pazientare ancora per un po'.
La stradina è isolata e le automobile passano di rado. Al di là della panca sui cui sono seduta la piccola boscaglia è sinistra e i lampioni tardano ad accendersi.
Stringo le mani in grembo, agguantando dalla mia tasca le cuffiette.
Il frinire alle mia spalle si attenua nell'esatto momento in cui pigio play; "L'ultima notte al mondo" di Tiziano Ferro riempie i miei timpani catapultandomi in una realtà provvisoria.
Un auto, precisamente una Fiat Panda, sfreccia davanti a me illuminando momentaneamente l'asfalto consunto.
Sull'altro marciapiede è presente una staccionata traballante in legno e dipinta con bombolette a spray di vari colori.
Chino il capo e al verso "Ho incontrato il tuo sorriso dolce con questa neve bianca adesso mi sconvolge" il volto di Mathias compare nitido annebbiando i miei pensieri e tutte le mie preoccupazioni.
Passa uno scooter e mi domando cosa aveva di tanto importante da discutere con Lucas.
Per lui tutto ha più valore di te, mia cara Sofia. Fin quando rimarrai incantata da questo sonno fiabesco indotto dalle sue parole, non riuscirai mai a capire che lui non conosce la parola amore. Sibila decisa la vocina della coscienza.
Ancora una volta la paranoia si impossessa del mio stato d'animo.
Assorta nei pensieri non mi rendo conto che una sagoma oscura si è avvicinata.
Avvisto l'ombra che si riflette sul marciapiede poiché gli instabili lampioni hanno preso magicamente vita.
Il battito del mio cuore accelera e il terrore attanaglia ogni muscolo precludendomi di muovermi.
Debolmente alzo lo sguardo e un ragazzo, intento a ficcarsi un passamontagna in lana, avanza frenetico.
Un immaginario getto d'acqua fredda si infrange sul mio corpo costringendomi a restare impiantata sulla panca, con le cuffiette nelle orecchie e la canzone terminata.
I passi risuonano. I suoi occhi sono iniettati di sangue e mi fulminano.
Cosa faccio? I circuiti del mio cervello tardano a trovare una soluzione, ma l'istinto prende il sopravvento e intraprendo una corsa con il cuore che batte in gola.
Levo le cuffie e constato che il ragazzo mi sta rincorrendo. Vado nella rubrica e il primo contattato che mi appare è quello di Mathias; lo chiamo e i passi del malintenzionato sono alle calcagna.
È più veloce di me, non riuscirò mai a fuggire. Le pulsazioni aumentano.
«Fermati, ho un coltello. Se non lo fari te lo ficcherò nello stomaco.» Dilato le pupille e il respiro diventa sempre più ansante.
Percorro la stradina sinuosa e d'improvviso le mie corde vocali decidono di attivarsi autonomamente. «AIUTOOOO!» Mi sgolo, ma ormai il ragazzo ha arpionato le dita nell'incavo della mia spalla.
Vengo travolta da un brivido viscido e pensieri sibillini affollano la mia mente.
«Fine della corsa, puttanella!» Sogghigna e la sua voce viene filtrata dal passamontagna.
Anche se lo conoscessi non saprei distinguere chi si nasconda dietro la maschera.
Strabuzzo gli occhi e il ragazzo, brutale, mi volta verso di lui.
Ora siamo faccia a faccia: le mie mani tremolanti e il cellulare sembra essere vittima di un attacco isterico. Lui brandisce saldamente il coltellino dalla punta affilata.
Sul manico dell'arma è disegnato uno strano disegno simile a un triangolo; vengo catturata dall'idea che da un momento all'altro il metallo del coltello possa essere conficcato nel mio stomaco.
E così uno spasmo mi coglie alla sprovvista e lo smartphone strabuzza al suolo con un tonfo sconnesso.
Sofia... Sofia. Pronto... È la voce di Mathias; giunge alle mie orecchie ovattata. La mia attenzione è rivolta alle iridi castane e brulicanti d'odio dell'individuo che ho davanti.
Lui mi squadra attentamente; dopodiché incurva il suo busto e con gli occhi rivolti verso di me, raccatta il cellulare.
«Non accoltellarmi. Ti darò tutto.» Dico biascicata e con i capelli arruffati che oscurano la mia visuale. I polmoni lavorano ininterrottamente e il mio cuore martella nel petto.
Sofia... Cosa cazzo sta succedendo? La voce di Mathias stona i miei timpani, ma il ragazzo termina la chiamata spegnendo abilmente lo smartphone.
È un po' più alto di me, ma nonostante ciò lo osservo come se fosse il monte Everest.
Le lacrime si accalcano in prima fila per poi sfociare e inondare le mie guance.
«Non piangere, non ti farò nulla. Stronzetta insolente. Ora voglio la borsa.» Mi ordina austero il malvivente e io senza indugio gli porgo la borsa; lui, contro ogni aspettativa, la capovolge rovesciando ogni singolo oggetto presente al suo interno.
Il mio portafogli griffato si infrange al suolo, e il ragazzo, come se avesse il fiuto dei soldi, lo pesca dalla pira formata da fazzoletti e quaderni. La mia vista si annebbia, mentre il ragazzo razzia il portafogli.
«Hai solo cinquanta euro qui dentro!» Sbotta inferocito e io indietreggio tentando di schermirmi con le mani.
Lui avanza, ma in lontananza, i fari di un auto ci bagnano di luce.
Il ragazzo ruota il suo collo verso la fonte di disturbo poi di soppiatto giunge al mio fianco.
Il mio muscolo cardiaco è sul punto di dichiarare forfait quando le sue labbra si avvicinano al lobo dell'orecchio. «La prossima volta chiama tuo padre, non chiamare il tuo fidanzato.» Pronuncia le ultima parole stracolmo di perfidia per poi inoltrarsi in una corsa forsennata.
Di sbieco, noto un grosso neo nei pressi della collottola del delinquente. Poi precipito con il sedere per terra.
Chi era? E perché mi ha consigliato di chiamare mio padre e non Mathias?
Ma decido di piangere a dirotto immergendomi le mani tremanti nei capelli . Subito dopo, un dolore lancinante alla spalla si manifesta.
Non dovevo attendere mio padre in una strada deserta. Stupida, mi ripeto tirando su col naso.
I freni stridono acuti e i pneumatici si impiantano sulla strada. Non bado al rumore della portiera poiché il terrore di quello sguardo ingurgita ogni pensiero positivo.
La sensazione di quel tocco viscido mi provoca un senso di ribrezzo mischiato al voltastomaco.
«Sofia!» È mio padre e il suo tono di voce è sbigottito. «Cosa diamine è successo?» Si inginocchia proteggendomi con le sua braccia nerborute.
Non possiedo più le corde vocali e così mi aggrappo al suo collo singhiozzando e bagnando la sua pelle ruvida.
«Ehy... Calmati.» Le sua mani callose si posano sulla mia chioma, accarezzandola.
Boccheggio riprendendo fiato e mio padre mi aiuta a rialzarmi. Il suo calore mi infonde un senso di protezione come se fra le sue braccia non potesse accadermi più nulla.
«Hai subito una rapina?» Domanda con un cipiglio. Annuisco e le lacrime si moltiplicano.
«Okay, allora... Ti accompagno in macchina, tesoro...» Prende il mio volto fra le mani cercando di asciugare le lacrime con l'uso dei pollici. «Va tutte bene. Ora ci sono e sei al sicuro.» Mi stringe forte a sé per poi accompagnarmi sino alla portiera.
«Entra in auto. Ti raggiungo fra un secondo.» Lo guardo raccattare tutti i quaderni sparsi al suolo.
Il singhiozzo non ha intenzione di cessare e così cerco nel cassettone della BMW un pacchetto di fazzoletti; lo trovo e comincio a pulirmi il viso annerito dal trucco.
Nel cercare, una busta bianca marchiata dalla scritta verde "CLINICA PSICHIATRICA DI ERTERA" è cascata sul tappetino gommato. Ma non mi sono soffermata a guadarne il contenuto.
«È scappato in quella direzione l'individuo che ti ha fatto la rapina?» Mi domanda papà una volta rientrato in auto. «Ti ha toccata?» Nella seconda domanda di mio padre c'è un minimo di incertezza, come se fosse avesse paura di ricevere un esito positivo.
«S-olo q-quando...» Respiro poggiando il fazzoletto fra le mie gambe. «È-è andato via.» Parlare è troppo faticoso.
«Cosa ti ha fatto?» Rintuzza lui acuendo il suo tono.
«L-a spalla.» Ribatto indicando il punto percosso. Lui sospira serrando per un effimero momento i suoi occhi.
Senza avvisarmi, circonda le sua braccia intorno al mio busto e solo adesso che avverto il suo affetto insidiarsi nel profondo del mio cuore constato quanto mio padre mi sia mancato.
Lo abbraccio anch'io, ma non riesco a congiungere le dita intorno al suo tronco.
«La cena di stasera credo sia saltata. Che ne dici di andare a fare un salto alla centrale di polizia? È sempre un'attività volta alla riconciliazione padre-figlia.» Papà tenta di risollevare il mio morale e ci riesce, facendomi strozzare una risatina isterica.
Accetto la sua proposta e inseme ci rechiamo al centrale di polizia.
***
Una volta arrivati in centrale, un maresciallo ha avviato la procedura standard domandomi una serie di consuetudini: "L'hai visto in volto?" "Cosa ti ha rubato?" "Era armato?".
Io ho risposto a tutte le domande, ma quando il maresciallo mi ha chiesto se l'aggressore avesse segni particolari, io ho tentennato per poi rispondere NO.
Ho pensato che chiunque essere umano potesse avere un neo sulla collottola e da questo mio ragionamento ho estrapolato che non si trattava di un segno particolare; così ho deciso di omettere ciò che ho visto limitandomi a rispondere negativamente.
Il maresciallo mi ha affidata ad un suo collaboratore, e quest'ultimo mi ha condotta in una sala in cui si svolgono le indagini.
Il poliziotto ha raccolto uno schedario che racchiudeva le foto segnaletiche delle persone con la fedina penale macchiata.
Mi ha domandato se l'aggressore fosse uomo o donna e io gli ho risposto timidamente per il sesso maschile.
La mano del malvivente mi sembrava quella di un ragazzo.
L'agente ha proseguito avvisandomi che le indagini saranno piuttosto complicate considerando che il volto era oscurato dal passamontagna.
Io, colta da un senso di impotenza, ho accettato questa sorte e poco dopo mi sono approntata a raggiungere mio padre.
Il maresciallo nel frattempo ha preparato le solite carte da firmare, e una volta ottenuto il mio autografo, ha messo a verbale la denuncia.
Sapere che il ragazzo che mi ha aggredita pascolerà per la città mi ha recato una fitta al cuore.
Sento che dentro di me si è insediata la fobia di camminare come un cane abbondato e se tento di riandare a quegli attimi di panico nel mio stomaco viene a formarsi un vuoto dilaniante.
«Okay! Ora saliremo e dirai alla mamma tutto quello che ti è accaduto.» Papà parcheggia la sua auto. «La nostra riappacificazione non è avvenuto come speravo, ma almeno è avvenuta, non credi?» Domanda attendendo con ansia una mia risposta.
«Sì.» Rispondo debolmente. «Ora è meglio che la mamma sappia cos'è successo.» Apro la portiera, ma la frase inaspettata di mio padre mi cristallizza:
«Non ho mai avuto intenzione di scomparire della tua vita, Sofia. Ti voglio bene.» Lo guardo per qualche istante, osservando la sua barba perfettamente rasata.
«Anch'io.» Rispondo chiudendo la portiera. Salgo le scale e poco dopo la mamma mi accoglie sorridendo, ma appena nota la mia espressione mesta, parte con la prima domanda:
«Sofy, è successo qualcosa di terribile, vero?» Annuisco raccontandole tutto l'accaduto.
La mamma reagisce scatenandosi e perdendo il senno. «Questo farabutto non può passarla liscia. La mia bambina è stata aggredita. Io ora chiamo gli emittenti televisivi e ne faccio un caso nazionale. La difesa in questo paese fa PENA!» Si spolmona passandosi freneticamente una mano nei capelli.
«Mamma, sto bene. Calmati!» Mento. Ora sono le sue mani a tremare d'ira.
Papà entra dalla porta e con il suo aiuto riusciamo a stemprare la stizza della mamma, senza però evitare che un vaso di porcellana si schianti al suolo.
«Fammi controllare la spalla.» Dice premurosa e io le mostro la zona percossa.
Un piccolo livido viola si è formato sotto pelle. La mamma si posa una mano davanti alla bocca per reprimere lo stupore.
«Sapresti riconoscerlo? Io lo ammazzo, giuro che commetto un omicidio.» Fa lei con gli occhi iniettati di sangue.
«Mamma è tutto okay! Ora voglio solo mettermi nel letto e cercare di riposarmi un po'.» Le rispondo rassicurandola.
Lei mi abbraccia per poi avviarsi verso la porta. «Sofy.» Dice solenne e di spalle. «Perché eri sola?» Mi prendo qualche minuto per rispondere.
Gli omini del quartier generale del cervello lavorano per formulare una risposta valida. «Perché nessuno poteva accompagnarmi.» Mento.
La mamma sentenzia con un verso. «Forse è il momento che tu ti iscriva a scuola guida. Ti cederò volentieri la mia auto.» Si volta sorridendomi.
«Wow! Allora mi fionderò a prendere la patente.» Rido ma con l'intento di dimostrare a mia madre che ho assopito il trauma.
«Buonanotte.» Chiude la porta e una volta che lei è andata via, le lacrime sgorgano bagnando il cuscino.
Se Mathias mi avesse degnata di un saluto e si fosse offerto di accompagnarmi, forse mi sarei risparmiata una fobia. Quello che è accaduto fa parte del passato e non resta che lottare per superare il trauma. È questa la mentalità giusta.
Eppure una minima colpa ricade su di lui e sulla sua convinzione che io penda dalle sue labbra. Questa fase deve pur giungere a una conclusione.
Mathias ha sentito gli attimi di panico dal cellulare e dopo alcune ore dall'accaduto non si è degnato di cercarmi. È questo quello che mi tormenta.
Lo stomaco si avviluppa su se stesso mentre nella mia testa prende piede l'idea che durante quest'ultimo periodo la mia vita è stata popolata da decisioni sbagliate.
Perché non mi ha cercata?
Sono davvero messa in secondo piano nelle sue priorità? Inciampo nel sonno con la domanda priva di spiegazione.
[SPAZIO AUTRICE]
Cosa ne pensate di questo capitolo? 🤔🤔
La nostra Sofia è stata aggredita... Secondo voi l'aggressore è un conoscente della nostra protagonista oppure no? 🕵🏼♀️🕵🏼♀️🤔
La colpa ricade un po' su Mathias secondo voi?
Esponete le tesi più contorte. Vi voglio nei panni di Sherlock e Watson. 😂😂😂😂
Vi aspetto in tante e più calorose che mai al prossimo aggiornamento. Vi voglio bene ❤️❤️
-LaVoceNarrante💙
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