Chapter 22
«Andrò da sola in ospedale. Tu aspetterai qui.» Mi suggerisce la mamma con ancora le sue mani strette intorno alla mia vita. La sua voce è biascicata e il singhiozzo mi preclude di sentire appieno la frase, ma ne desumo il senso dal suo sguardo accigliato.
«No! V-verro a-anch'io. Lo devo alla nonna.» La mamma tenta di ribattere ma il suo cervello è troppo afflitto dalla notizia tanto che non riesce a trovare le parole giuste per convincermi.
«Vado a levarmi questa veste di dosso e andiamo.» Mi avvisa accarezzando il mio viso con il dorso della mano e levando una grossa quantità di lacrime.
Il divano mi stuzzica e così mi lascio andare. All'orizzonte avvisto minacciosi nembi grigi e temporaleschi abbattersi sulla mia vita che molto presto verrà travolta da un ciclone di proporzioni catastrofiche.
Afferrando la mano di Mathias ho donato a lui il mio cuore, convinta che lui facesse lo stesso, ma così non è stato.
I ricchi non gli sono mai piaciuti e doveva dimostrare ad Alberto la sua superiorità, senza tener conto che l'oggetto del conflitto, ovvero io, possedeva dei sentimenti.
Mi ha accalappiata carpendo il mio cuore e in un lampo mi sono ritrovata senza il muscolo cardiaco e catapultata in una realtà irrisoria.
I consigli datoti dalla Tentazione non si sono dimostrati poi tanto efficaci; ora vorrei suggerirtene uno io: piantala di pensare a lui e sintonizzati sul malore che ha avuto tua nonna.
È la verità! La vocina della mia coscienza ha ragione. Mi reco in cucina raccattando un paio di fazzoletti.
Ora Mathias dovrà uscire dalla porta sul retro poiché da quella d'ingresso la nonna sta bussando incessantemente.
La mamma, in un jeans indossato alla svelta e un maglioncino cincischiato, si pianta davanti; infila il suo braccio in una giacca casual nera e poi l'altro. «Possiamo anche andare...» Ma si interrompe squadrandomi dall'altro verso il basso. «Vuoi venire in abito da sera in ospedale?» Mi domanda stranita.
Abbasso il mento all'ingiù e constato che la mamma ha ragione: mi ero completamente dimenticata che avevo ancora indosso l'abito.
Ci impiego pochi minuti a svestirmi e a indossare una pantalone e una maglietta con delle sneakers comode abbinate; dopodiché raggiungo la mamma, che osserva un punto fisso della parate. «Sono pronta.» Dico con voce flebile.
Avevo timore di interromperla dal suo stato di trance come quando non si deve svegliare un sonnambulo; lei rinsavisce sussultando e con la borsa in spalla, fa compiere mezzo giro alla maniglia.
Ci mettiamo in cammino nel buio della notte; la mamma ha uno sguardo costernato, e i suoi occhi sembrano volersi liberare dallo zelo che necessita la guida.
La mia mente invece sta racimolando i pezzi del puzzle del passato.
In un ricordo, il volto della nonna, paffuto e sorridente, mi osserva con orgoglio mentre io, versione fanciulla, mi diletto a sgualcire un impasto.
Era questo che facevamo di solito quando la mamma mi lasciava da lei.
La nonna, munita di un'infinita pazienza, mi lasciava giocare con i suoi impasti, che di solito sarebbero dovuti diventare torte o pizze fatte in casa.
Ha sempre manifestato la passione per l'attività culinaria e da quando ha terminato la sua professione (professoressa di latino all'università) si è dedicata maggiormente alla cucina, tanto che aveva intenzione di aprire un ristorantino, ma ci ha rinunciato a causa dell'età e dei suoi acciacchi. Ha subito vari interventi al cuore, il primo risale a un paio di anni fa dopo la morte del nonno.
«Zia Alessandra non ti ha aggiornato sulla gravità?» Domando alla mamma e lei si volta sorpresa, poi scuote la testa.
Inspiro con il naso e l'ossigeno si insedia nelle pareti del mio stomaco.
Il vibrare del telefono si espande dalla mia gamba, ma rigetto l'idea di scoprire chi mi cerca. Alberto? Mathias? Impossibile. Ormai per lui sono come un telefonino usa e getta.
***
La mamma parcheggia alle spalle dell'ospedale.
Una sontuosa struttura creata dall'architetto più rinomato da queste parti si erge in tutta la sua altezza.
Le vetrate, ampie e quadrangolari, compaiono da ogni lato e le candide luci rendono l'edifico vivo rispetto al resto delle abitazioni spente.
Io e la mamma ci inoltriamo nell'ampio corridoio vuoto, dove le pareti linde sono fiancheggiate da una serie di panche bluastre in plastica e fissate al suolo.
La mamma si precipita a chiedere informazioni alla centralinista, ma zia Alessandra irrompe indicandoci la via dell'ascensore.
È molto diversa dalla mamma e in effetti non sembrano affatto sorelle. Il suo colorito d'occhi è di un castano chiaro e i suoi capelli lunghi della stessa tonalità; anche la forma del mento non combacia: quello della zia Alessandra è più paffuto mentre quello della mamma più allungato.
«Ciao Margaret.» La saluta con baci casti su entrambe la guance. La mamma ricambia e quindi viene il mio turno.
«Che reparto si trova?» Domanda lei sistemandosi il carré.
«Terapia intensiva. L'hanno intubata.» Risponde zia Alessandra infilando le mani nelle tasche e incurvando le spalle.
Il suo golfino è rattoppato in alcune parti e il suo jeans è consumato sulle caviglie. A causa del marito che molto spesso si dà al gioco d'azzardo, la zia è in precarie situazioni economiche ed è costretta a svolgere un lavoro piuttosto umile, come dimostra la pelle sgretolata e ruvida delle sue mani.
I miei cugini, Marco di cinque anni e Matteo di sette, sono ancora abbastanza piccoli per aiutare la zia e quest'ultima è costretta a rimboccarsi le mani e traghettare la sua famiglia finché le forze le saranno d'aiuto.
«Ti ha chiamata lei?» Domanda la mamma mentre la zia pigia il tasto ovale dell'ascensore.
«Sì. Ho lasciato Matteo e Marco con Osvaldo e sono corsa da lei, ma aveva già chiamato il pronto soccorso.»
«Me l'aspettavo. Non si fa mai cogliere impreparata la nonna.» Mi intrometto con un debole sorriso isterico.
Il din squilla armonioso e le ante di spalancano un frangente dopo. Entriamo è la zia preme sul pulsante che conduce al terzo piano.
«Sì. Ha sempre colto gli studenti impreparati.» Fa la mamma in una subitanea riflessione.
Arriviamo al piano e zia Alessandra avvisa la mamma che ha chiamato anche l'altra sorella, ovvero la madre di Chiara.
Due medici, muniti di gabbanella, si consultano a vicenda e un uomo e una donna siedono impazienti su delle panche di fronte alla reception.
Percorriamo l'androne riservato all'ascensore per poi approdare nella sala accoglienza, dove una centralinista di colore, in una divisa blu cobalto, dà delle istruzioni al telefono.
Ci metto un po' ad abituarmi alla chiara luce emesse dalle plafoniere, sopratutto perché le pareti arancio fanno contrasto.
Sgarbata, la zia chiede informazioni alla centralinista, fregandosi della sua momentanea indisponibilità. La ragazza è costretta a staccarsi la cornetta dall'orecchio e fingere di non essersi infastidita.
«Lei è mia sorella. Possiamo vedere nostra madre?» Domanda e la centralinista affondo la testa verso il basso per poi ritornare alla discussione.
Percorriamo il pavimento in linoleum a quadri fino a giungere la stana.
Affissa, poco più in alto dei cardini in acciaio, c'è una targhetta d'orata da cui si legge: B-83.
Le tendine non permettono di vedere al di là dello spiraglio di vetro. Un buco nero prende di mira il mio stomaco nell'esatto momento in cui la zia si accinge ad aprire la maniglia meccanica.
L'odore di disinfettante si fa spazio nel mio olfatto e quando la zia apre porta comincio a intravederla, la nonna.
È distesa supina sul letto con le braccia inermi e delle flebo conficcate nel braccio; lo spesso tubicino ialino è collegato ad una borsa flaccida contente del liquido trasparente.
Respira grazie al sostegno di alcuni macchinari che permettono di far defluire ossigeno dai respiratori artificiali e il battito del suo cuore è segnalato da un monitor che ritrae la sua bassa frequenza cardiaca in linee verde acceso.
Un comodino in legno è stata posto di fianco al letto e un apposito lume è poggiato sopra. Percepisco il tonfo della porta alle mie spalle come la collisione di un aereo al suolo.
«Cosa hanno detto i medici?» Domanda la mamma a primo acchito guardando il viso pallido della nonna.
I capelli corti e di un biondo lucente sono schiacciati sul cuscino e nonostante la nonna abbia gli occhi chiusi, il suo volto è contratto come se stesse lottando nella dimensione onirica.
La zia china il capo mentre la mamma si avvicina al lettino. A stento riesco credere ai miei occhi.
Faccio qualche passo raggiungendo la sedia di fianco al giaciglio. La osservo, le sue palpebre tremano e le sue dita si muovo debolmente.
A poco a poco avverto l'anima essere risucchiata dal suo sonno e lo stomaco aggrovigliarsi in una morsa asfissiante.
Vedere la nonna in questo stato equivale ad un proiettile dritto al cuore.
La mamma bisbiglia qualcosa con la zia, ma io sono troppo impegnata a catturare ogni sintomo di vita della nonna.
D'improvviso si preme una mano sulle labbra e scoppia in un pianto irrequieto.
La zia le dà ristoro e insieme escono dalla stanza.
La porta si chiude e rimaniamo solo noi due, io e la nonna.
Le stringo le sue soffici mani rugose sporcate da cerotti. So che è stupido, ma serro le palpebre sperando con tutta me stessa che si risvegli, ma il miracolo non accade e la frustrazione aumenta.
Butto le testa fra le spalle e le mie ghiandole lacrimali protestano. Questa serata le ho tenute impegnate.
Proteggo la mano inerme della nonna fra le mie e prego affinché apra un occhio.
Mi pento per non aver passato più tempo con lei e nello stesso momento il telefono comincia a vibrare.
Distacco bruscamente le mani da quelle di mia nonna e stizzita sfilo il telefono dalla tasca.
Non scorgo neanche il nome poiché sbatto con tutta la forza che ho in corpo lo smartphone al suolo con un boato.
Il trillare scema sino a diventare silenzio. I componenti di vetro del telefono si distribuiscono sul pavimento.
«T-tua madre si arrabbierà.» Il mio cuore cessa di pulsare quando mi volto e incontro lo sguardo stanco della nonna posato su di me.
Gli occhi mi si illuminano di speranza ma anche di lacrime.
La nonna sbuffa tossendo e io mi isso con l'intento di chiamare la mamma e la zia, ma sento il gelo della sua mano avvinghiato al mio polso. Mi risiedo e la osservo.
«P-potresti l-levarmi q-questi affari dal bocca?» Domanda irritata e vengo colta alla sprovvista. La sua voce è debole quasi impercettibile.
«N-nonna, non respireresti.» Ribatto sbigottita.
«Non preoccuparti, ci riesco.» Mi rassicura ma mi rifiuto di crederle.
«Possiamo anche parlare senza che ti levi il respirator...» Ma mi blocca.
«Sofy, sono arrivata alla fine. È saggio arrendersi quando si capisce che tutto sta per terminare.» Cosa significa che tutto sta per finire? La nonna non può lasciarmi e non può sapere con certezza quando il suo cuore si fermerà.
«Nonna, ti riprenderai.» Le rispondo contrariata e cieca.
Lei sghignazza e i suoi occhi blu notte si posano sui miei. «Sei cresciuta e sei abbastanza grande da capire che s-sto a-andando incontro-»
«NO! Non è vero.» Mi spolmono respingendo a denti stretti le sua resa. «Non puoi arrenderti.» I miei occhi diventano pozzanghere di sentimenti.
«Dobbiamo accettarlo senza opporci. È questo l'elemento che ci accomuna.» Distinguo a malapena i suoi occhi: un balugino di un azzurro intenso.
La nonna ruota il capo verso di me facendo scendere la sua mano. Congiungiamo le nostre dita come facevamo un tempo quando lei mi portava al parco giochi. Ero felice allora, ma adesso sono straziata dal dolore.
Lo capisco dai suoi occhi, dal suo strano modo di guardarmi e avverto una strana sensazione che questa sarà la nostra ultima conversazione; combatto ma inevitabilmente mi arrendo all'idea e voglio ricordare ogni singolo istante per poi forgiarlo nella mia mente, come un ricordo base.
Stringo la sua mana grinzosa e tremo, mentre la nonna mi sorride quasi serena.
«Non p-piangere, cara.» Con l'altra mano cerco di arginare le lacrime.
«Perché non devo chiamare la mamma e la zia?» Le domando tirando su col naso.
La nonna tentenna senza però distogliere lo sguardo. «P-perché ho d-deciso che le mie ultime parole le spenderò con t-te al mio fianco.» Tossisce e io ricado nel vizio delle lacrime.
Mi aggrappo alla sua mano con la speranza di allungarle anche di qualche minuto la vita. Il mio affetto può riuscirci.
«Come v-va con il t-tuo fidanzato?» Rido strozzata. La nonna da giovane era una gran bella donna.
«Non così bene.» Le rispondo calando lo sguardo. Avverto il bisogno di dirle tutto quello che sto passando, ma non voglio sprecare neanche un secondo.
«Sei uguale a t-tua m-madre ed entrambe condividete la capacità di c-credere...» Pronuncia lei in un rantolo.
«Credere in cosa?» Ritento la disperata impresa di scacciare le lacrime.
«Nel vero amore, n-naturalmente.» Singulto al suo sguardo benevolo. Perché mi deve lasciare? È troppo presto.
«Su chi h-hai puntato g-gli occhi?» Ora sorride e sfoggia un'espressione sornione. La sua fuorviante allegria per scacciare un'ombra oscura mi contagia e sorrido anch'io di rimando.
«Su un altro ragazzo, Mathias.» Le rispondo aprendo il baule della mia anima.
«Mhhh... Quando pronunci il s-suo n-nome ti si illuminano gli occhi.» Fa lei divertita nutrendosi delle mie emozioni.
«Sì, ma lui è complesso.» Complesso potrebbe essere une degli infiniti aggettivi per descriverlo.
«Non quanto una donna. Noi siamo articolate e ci aspettiamo che loro ci capiscono s-sempre. Ah... T-tuo nonno era un mascalzone. M-me ne ha fatta passare di cotte e di crude.» Scoppio un momento di ilarità mentre la nonna rivà con la mente nel passato. «Quelle lacrime ti rovinano il viso, c-come il trucco, d'altronde t-te l'ho sempre detto. Il tuo viso è bello senza queste due cose.» Mi ammira con gli occhi pieni di amore verso una nipotina che lei ha visto crescere sin dal suo primo vagito.
«Sai... Non dovrei dirlo, ma nell'esatto momento in cui sei n-nata ho a-avvertito una c-connessione nascere dentro di me.» Tossisce mentre io comincio a martellare il piede sul pavimento.
Mi mordo le labbra e la nonna rigira la sua testa verso la porta. «Sapevo da tempo c-che questo momento s-sarebbe arrivato...» Una lunga pausa. «E così mi sono p-prevenuta.» Si sforza a parlare.
«Nonna, non riesci a parlare, non fa niente.» D'istinto unisco le mie mani sulle sue.
«No. Ti ho g-già c-confessato la mia decisione. Ti affido le mie ultime parole.» La pelle si rizza e l'emozione bighellona nel mio corpo.
«Ora a-ascoltami...» Tenta di drizzare la schiena, ma non ci riesce.
«Ti aiuto!» Ma lei chiude l'altra mano sulla mia e ora i nostri arti sono uno sopra l'altro.
Mi scava nel profondo con i suoi occhi e il suo battito accelerare leggermente. Tuum!
«Loro non si d-dovranno preoccupare di nulla...» Tossisce e trema allo stesso tempo. Si riferisce ai suoi figli. «Ho già diviso il mio patrimonio, così zio Orlando non dovrò preoccuparsi. S-sai com'è.» L'affanno filtra le parole in un sibilo lento e angosciante. «Un v-vecchio a-amico di tuo nonna è già a conoscenza che alla mia morte tutti i miei figli dovranno recarsi in banca e ritirare la loro somma.» Fa sempre più fatica a parlare.
«Quest'anno ti diplomerai e io q-quasi sicuramente non assisterò al tuo esame, ma so che lo supererai.» Le sue parole sono schegge acuminate. La sento che si sta allontanando, ma io non voglio che se ne vada; ho paura di abbandonarla. «A-sscoltami attentamente....» Ritenta di drizzare la schiena e ci riesce.
«Nonna, ti prego, non sforzarti.» Le intimo con un groppo assillante alla gola.
«Appena completerai il tuo percorso e ti sentirai pronta, d-devi recarti...» Si interrompe. Rantola e respira affannosa. Poi tossisce e del sangue le esce dalla bocca. Tuuuum!
Questa volta la frequenza subisce una crescita maggiore e il macchinario lampeggia in un paradosso di verde speranza.
«Nonna, non parlare più.» Mi isso di scatto dalla sedia e le appoggia la mani dietro la schiena, per sorreggerla.
«Esaudisci il m-mio ultimo desiderio. Tenimi le mani, Sofy. Più forte che puoi.» Ubbidisco e la lacrime sgorgano.
«In Via Sofia, 14. Lì c'è una banca. D-dovrai andare nel c-caveau e digitare questo codice nella cassetta di sicurezza numero 98: 3208.» Tuuuuuum! Il battito cresce sempre di più e il viso della nonna diviene pallido.
Delle stille di sudore le imperlano il volto. Mi tiene la mano deglutendo e sforzandosi di buttare giù la saliva. «Lì c'è qualsiasi s-sogno tu abbia coltivato sin d-da bambina.» Avvinghia veemente le sua mani alle mie e la lacrime precipitano sulle lenzuola bianche. Tuuuuuuuuum!
«N-non l-lasciarmi n-nonna.» La mia mente è offuscata e osservo la nonna sino all'ultimo secondo. «R-resta. S-solo un a-altro po'.» La prego e lei sorride nonostante del sangue le coli dal naso.
«Non posso. Il nonno mi aspetta.» Stringo forte i miei occhi e il suo battito supera il limite. Osservo il macchinario che comincia ad strillare in un suono acuto.
«S-Sofia, Amor vincit omnia.» È la sua ultima frase.
Il macchinario strilla ma il mio udito è ovattato e non percepisco più nulla. Mi aggrappo alle sua mani e lei fa lo stesso, finché può, finché la vita glielo permette.
Di sfuggita intravedo la porta aprirsi con i dottori che corrono allarmati.
La presa della nonna diventa sempre meno forte, il cuore va troppo veloce e i miei occhi sono vitrei, i suoi invece vanno all'insù.
Mi sta lasciando, la vita le ha concesso il privilegio di dirmi le sue ultime parole. La sue mani lasciano le mie. Il suo corpo cessa gli spasmi e si abbandono al letto.
La Vita le sta levando le vita stessa. Alcune infermiere mi intimano di alzarmi, ma io il mio sguardo è fisso su di lei, sulla nonna. Biiiiiiiii!
Il cuore smette di pompare e la sua anima abbandono il corpo e con lei una parte di me.
La testa comincia a ruotarmi vorticosamente e le infermiere impazienti mi sollevano.
Mi dimeno, ma avverto le gambe tremare fin quando mi lascio andare al buio. Riesco a vederla: Amor vincit omnia. L'Amore vince tutto.
[SPAZIO AUTRICE]
Ragazze fatemi sapere nei commenti cosa cose ne pensate di questo capitolo. È STRAPPALACRIME lo so, anch'io mi sono emozionata a scriverlo. 😢😢😢
Vi aspetto più che calorose al prossimo aggiornamento della storia. E vi ringrazio per essere così in tante a seguire la storia. Siete fantastiche.❤😍😍😍😘
-LaVoceNarrante💙
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