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Lady
Lady
Il vento soffia
In un' estate lontana
La strada grigia
Segna il percorso
Che non puoi abbandonare
Tu sola stai
Mentre il tuo sospiro
Ha già due nemici
Hai sempre
Troppi nemici
Quando mi recai in Asia per la prima volta avevo in mano questa poesia sgualcita. Me l' ero ritrovata in aereo, sopra al mio sedile.
Il mio nome è Clelia, ho 33 anni. Non vado d' accordo con mia madre da circa otto anni. Sono nubile e mi sono laureata da pochissimo. Due anni fa, un bimbo di nome Tim si è intrufolato nella mia borsa e mi sono accorta della sua presenza solo dentro all' aereo di ritorno... Ma prima di raccontarvi la mia storia, vorrei raccontarvi la sua. Dunque, torniamo indietro all'estate del 2019...
Giunsi in Cina alle 8 di sera. Avevo prenotato una crociera per tutta l'Asia è la prima destinazione era proprio la Cina. Presi l'aereo a Bologna Centrale e mi feci un viaggio di circa 12 ore, senza interruzioni. Ero in seconda classe, ma non mi mancava nulla: potevo accendere l' aria condizionata, camminare su e giù per l'aereo se mi stavo stancando, ascoltare la musica e guardare Netflix dal mio telefono.
Giungendo in Cina ci dissero che la nave per la crociera ci attendeva; ma avevamo circa 3 ore libere prima della partenza.
Per ingannare il tempo cominciai a passeggiare per la cittadina vicino all' aeroporto, quando vidi un bambino di 4 anni e mezzo: aveva la pelle chiarissima e gli occhi di un verde acqua luminoso, benché a mandorla. Indossava una tutina blu ed era così piccolo e delicato che gli avrei dato su per giù 3 anni.
Non fu un bell' incontro. Non per il bambino, il piccolo era meraviglioso; quanto piuttosto per ciò che stava subendo.
C' era un uomo dietro di lui e lo stava sculacciando in mezzo alla strada, quando io li incrociai. In un primo istante credetti che fosse suo padre, un insegnante o un educatore e non ci feci molto caso...
Entrai in un piccolo negozio. Volevo comprarmi un quaderno, per incollarci la poesia che avevo trovato.
Quando uscii fuori il bambino era ancora tra le grinfie di quell' individuo e piangeva disperato perché continuava a sculacciarlo.
Solo quando il piccolo cadde a terra, tra i singhiozzi, la sua mano si allontanò dal suo corpicino e lo lasciò lì. Mi diressi verso di lui, immediatamente, perché così mi suggeriva l' istinto. Cercai in borsa una caramella che avevo portato dall' Italia e gliela offrii, sperando che smettesse di piangere.
Non conoscevo né il cinese né altre lingue asiatiche; ma parlare inglese con un bimbo di quell' età mi sembrava inappropriato. Per ciò cercai di comunicare con lui in italiano. Mi ascoltò e mi disse che si chiamava Tim. Mi fece capire che aveva fame e che voleva mangiare qualcosa.
Io lo presi in braccio, stando molto attenta a non toccare troppo i punti in cui era stato sculacciato, e lo portai in un ristorante.
Anche quando gli portarono il pranzo, non volle allontanare le sue braccia dal mio collo. Era leggero, delicatissimo. Sembrava quasi un pulcino.
Dovetti imboccarlo, perché non voleva lasciarmi. Nemmeno per sedersi vicino a me.
Le tre ore passarono e fui costretta a lasciarlo in città, per salire sulla nave.
Appena percepì che stavo per andarmene, scoppiò di nuovo in lacrime; ma non potevo fare diversamente.
Salii rattristata e mi appisolai su una sdraio, mentre la nave stava partendo.
Quando aprii gli occhi, Tim era vicino a me e si stava massaggiando dove aveva subito quel pesante castigo. "Come hai fatto a salire qui?" Gli chiesi, in italiano. Forse non apprese la mia domanda o forse la comprese anche fin troppo bene, fatto sta che si limitò a guardarmi.
Mi rivolsi al capitano, ma disse che non sapeva niente di lui:
"Ad ogni modo, signorina" espresse "alla prossima fermata chiameremo un orfanotrofio e lo faremo portare via...". Le sue parole bastarono a tranquillizzarmi, dunque tornai al lettino.
Vidi che si era addormentato sopra al mio asciugamano dei Minions. Aveva pianto talmente tanto che le sue guance erano ancora rosse. 'Ma chi può abbandonare un bambino in questo modo?' Mi chiesi 'Quale essere senza anima ti ha lasciato solo?'.
Mi apprestai ad accarezzarlo e sentii che le sue piccole dita cercavano di stringere forte le mie.
"Dai, piccolino, dormi" gli dissi con il pensiero "alla prossima fermata ti riporteremo a casa".
Ancora non sapevo cosa Tim avrebbe combinato pur di non lasciarmi andare...
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