Il giorno specifico

Non avrei mai più guardato una lavatrice allo stesso modo.

Questa era una delle pochissime certezze che mi erano rimaste e avevo acquisito per colpa di Dante.

Come non avrei mai più guardato il soffione della doccia allo stesso modo.

Sempre per colpa di Dante.

Mi sentivo quasi stupida ad esser così stupefatta per cose del genere, io che dai tredici fino ai ventitré anni ne avevo lette di ben peggiori, ma era anche vero che, a discapito del mio lato fangirl, ero sempre stata convinta che il divario tra fantasia e realtà per me sarebbe rimasto incolmabile, certo mai mi sarei aspettata che un giorno, a causa di un ragazzo infame, non solo lo avrei annullato del tutto, ma addirittura mi sarei ritrovata a sperare di poter superare le aspettative che mi facevo durante le letture.

C'erano però dettagli che i miei amati libri non avevano pensato a mettere, nella scene successive a quelle che mi facevano tanto avvampare.

Uno di questi erano le fitte costanti di dolore a tutto il corpo, le cosce specialmente. I muscoli sembravano esser diventati spugne pregne d'acqua, impossibilitati a rilasciarla, così pesanti che muovere anche le gambe richiedeva un'energia immensa. Le ossa, invece, molle arrugginite, in estrema difficoltà ad effettuare qualsiasi mossa con la stessa agevolezza di prima.

Quelle della zona bacino in particolar modo, a causa dell'elettrodomestico che per i prossimi mesi avrebbe tormentato i miei sogni: la lavatrice.

Ma esisteva una preoccupazione persino più grande a tutto quello, al mio passo di tanto in tanto claudicante, i lividi che si stavano forma proprio sul bacino, la fatica che sperimentavo anche per un gesto banale come quello di sedersi e il mio volto a fuoco.

Ovvero i gemelli.

Per la precisione, i gemelli se avessero capito quanto successo tra me e Dante.

Riuscivo già a sentire le perle che avrebbero potuto tirar fuori e i festeggiamenti che avrebbero imbandito, e sebbene Agatha Fangirl fosse pienamente concorde con loro, la parte razionale che mi era rimasta mi ricordava tutti i problemi che ancora non avevo risolto all'interno della parte della mia vita che non coinvolgeva Dante, le domande e i dubbi su papà, il desiderio con Dio, il prezzo da pagare, i pericoli in cui rischiavo di incorrere e di far correre anche a loro che non c'entravano niente.

Non sapevo nemmeno dare una definizione su cos'eravamo a dati oggettivi, io e Dante, dopo quanto successo tra noi. Non potevamo nemmeno definirci amici, prima, perciò... ora come avrei dovuto vederlo e chiamarlo? Qualunque tipo di risposta bastava per terrorizzarmi.

Così, una volta essere usciti dalla doccia ed esserci asciugati, dopo aver finito di ripulire la tavola che avevamo lasciato ancora apparecchiata, ieri, in preda all'ansia dissi a Dante, mentre lui, al mio fianco, preparava il caffè alla macchinetta «Io... Dopo aver preso il caffè, voglio tornare a casa.»

Lui non rispose subito, avviò la macchinetta, prima di voltarsi a guardare il mio viso ormai in costante fase incendiata. «Non posso continuare a indossare i tuoi vestiti» buttai fuori tutto insieme, mentre torturavo le dita intrecciandole tra di loro, a livello del grembo, «e... devo cambiarmi anche la biancheria, quindi...»

Ero cosciente del fatto che il mio piano fosse palese: non farmi beccare da quelle due piccole pesti con addosso gli abiti del loro fratello maggiore. Non avrei potuto utilizzare alcuna scusa per giustificarmi, se mi avessero vista in quel modo, ci sarebbero arrivati subito. Tuttavia, era stato Dante a venirmi a prendere con la sua macchina, il giorno prima, e sicuro come la morte non mi avrebbe permesso di tornarmene a casa a piedi, da sola. Non mi era rimasta nessun'altra scelta se non quella.

Lui inarcò appena le sopracciglia, capii solo a guardargli gli occhi di esser stata smascherata, ma mi sorprese, invece, dicendo: «Non ci sono problemi.»

Ero stupefatta, il rumore della macchinetta che iniziava a versare il caffè nella sua brocca riempì per qualche secondo il silenzio tra di noi. «Ti riaccompagno a casa» prosegui, con una voce serena che invece che confortarmi mi allarmò, «ma sappi che ho già detto ai due flagelli che resti a pranzo da noi.»

La mandibola mi cadde a terra. «Come?!»

Un ghigno malefico calcò le sue labbra, mentre tirava dalla macchinetta ora spenta la brocca fumante di caffè. «La famiglia che li ha ospitati mi ha chiesto di passarli a prendere, poco fa, per messaggio, perché la loro macchina si è impannata. Quindi possiamo passare prima da casa tua, così te cambi, e poi da loro, per prenderli.»

«Quando ho detto che sarei rimasta a pranzare da voi?!»

«Mica l'hai detto. L'ho deciso io.»

L'indignazione mi investì come uno tsunami, generata dalla sua faccia tosta: parlava e si muoveva come se nulla fosse, intento a versare il caffè nelle nostre tazze, il sorriso sadico che gli sollevava le labbra era la sola prova di quanto stesse gongolando dentro. «Non posso restare anche a pranzo, io-»

«Ehhh» mi bloccò, il tono pregno di crudele sarcasmo, «va bene, allora. Avvertirò i flagelli che c'hai dato buca.»

«Io non ho dato buca! Sei tu che hai preso impegni al posto mio!»

«Ce rimarranno malissimo, erano emozionati al massimo per telefono, quando gl'ho detto che ce stavi pure te. Me sa che Dorian si rifiuterà proprio di magnare. Dory sicuro smetterà de ditte che sei una gran donna.»

Ero allibita.

«Mi stai... ricattando... con i tuoi stessi fratelli

«Nah, non è un ricatto, sto solo descrivendo quello che accadrà.»

L'indignazione assoluta mi corrugò la fronte, lui continuò nella sua recita di totale innocente, lasciando le tazze ora piene di caffè sul ripiano, per aspettare che si raffreddassero abbastanza da poterlo sorseggiare, per poi voltarsi a guardarmi col suo sorrisetto impertinente, pienamente ereditato dai gemelli. «Non è divertente!» tuonai furiosa, inducendolo a sghignazzare.

«Non lo è, infatti» replicò come al solito, avanzando d'improvviso verso di me. Indietreggiai, ma mi ritrovai bloccata in fretta tra il suo fisico davanti e il ripiano della cucina dietro di me.

«Non è nemmeno adorabile!» mi difesi disperata. Uno squittio mi sfuggì, non appena le sue mani mi afferrarono per la vita, costringendo il mio intero corpo a posarsi sul suo. «E non sono un pomerania!» dichiarai all'istante, nell'attimo in cui scorsi le sue labbra aprirsi per ribattere.

Mi sentii incenerire, quando le sue braccia mi circondarono in un abbraccio che fece sprofondare il cuore nel calore più innocente che avessi mai conosciuto. Venir coccolata così da un uomo rientrava nella lista di sogni di Agatha Fangirl che sempre ero stata convinta non sarei riuscita a realizzare nella vita vera. Mi aggrappai con le mani al suo petto, stringendo il tessuto del suo maglione tra le dita, tra l'imbarazzo mio e lo sconfinato entusiasmo di Agatha Fangirl.

«Non vale... cercare di distrarmi così» fui in grado di balbettare in balìa della disperazione, con lui che si chinava per stamparmi un bacio sulla guancia. Mio Dio, stavo per morire sul serio. «Sto facendo un discorso importante...»

«E io te sto ascoltando.»

«Non è vero!»

«Sì, invece» replicò fermo, spostando il suo bacio sulla fronte. «Non sei adorabile e non sei un pomerania, e non stai facendo tutto questo perché non vuoi fatte beccà dai due flagelli, giusto?»

Il corpo si scosse involontariamente per esser stata scoperta così facilmente. «Non... Non è quello...»

«Ah no?»

«No» gracchiai, trasalendo quando scostò la chioma di ricci per mordicchiare il lembo delicato della pelle sul collo. «È... che è presto... e non voglio... non voglio che si facciano chissà quali aspettative, solo perché noi due... Noi due...»

Non seppi proprio che parola usare, in mente ne avevo fin troppe, ma una più oscena dell'altra.

Ovviamente, lui scelse di tirar fuori la più sfacciata di tutte: «Abbiamo scopato?»

Subito provai a colpirlo con una ginocchiata alla gamba, ma la sua stretta su di me fu così forte da bloccarmi, potei solo nascondere il viso contro il suo petto per celare il rossore acuto, mentre udivo i suoi sghignazzi in sottofondo.

«Non è divertente!» ero già sulla soglia della disperazione, perciò tirai fuori la carta che avrei preferito non usare mai. «Guarda che non conviene nemmeno a te far esultare così Dory e Dorian!»

«Non mi conviene?»

«Loro...» Stavo per morire per autocombustione, a causa delle sue continue carezze e baci. «Loro... una volta mi hanno detto... che vogliono che mi trasferisca qui.»

Crudele da parte mia mettere in luce subito la questione spinosa della "convivenza", seconda solo alla tremenda parola "matrimonio", specie per una coppia come la nostra, che era appena nata e in via ufficiale neppure era da considerarsi una coppia, lo sapevo, ma non vedevo alternative. Vagavo così tanto nella nebbia dello smarrimento da non saper più a cos'altro aggrapparmi se non le poche sicurezze ottenute osservando i litigi amorosi altrui.

Tra queste, quella che la fatidica convivenza, per un uomo, di solito, era un terribile pugno allo stomaco, specie se tirata in ballo così in fretta.

Da parte di Dante ci fu un lungo silenzio che mi strinse la bocca dello stomaco per l'ansia. Quanto disse qualche istante dopo rischiò di procurarmi un infarto: «Non è brutta come idea.»

Trasalii tra le sue braccia, affondando ancor più il viso contro il suo petto per nasconderlo. «Sì che lo è!» gli ricordai disperata.

«Per niente.»

«Stai scherzando?»

«Assolutamente no.»

«Mi stai prendendo di nuovo in giro, vero?!»

«No, stavolta no, te lo giuro sui due flagelli.»

Mi girava la testa, fui per forza di cose costretta ad aggrapparmi di più a lui, per impedirmi di svenire sul posto. «Non ha senso» balbettai. «Per queste cose bisogna prendersi il tempo necessario e-»

«Non voglio più che tu te stai da sola come prima.»

Il fisico intero si congelò sul posto, la sola fonte di calore che mi rimase fu l'abbraccio in cui mi stava stringendo a sé, così intenso da farmi pensare di star annegando in un oceano di fuoco. «Non un giorno de più» proseguì, andando ad accrescere il mio stupore e gelo. «Sei stata da sola per troppo tempo, non te lascio proseguì per questa strada, manco per un'ora.»

Le gengive iniziarono ad ardere per la furia con cui serravo i denti, lacrime acide e pesanti mi scorticarono la gola. «N-Non è necessario arrivare a tanto per-»

«Se te succedesse qualcosa come accaduto con quei dementi giornalisti o te sentissi male, puoi garantirmi che 100% tu me lo dirai?»

I muscoli ancora dolenti s'indurirono per la vergogna, lo udii sospirare contro il mio capo, tra i ricci avviluppati, freschi di phon. «È... è una questione che riguarda me, quindi...» La voce mi morì in gola.

«Forse prima sì, ma ade' non più» replicò con tono fermo, invidiavo visceralmente la sicurezza che mi mostrava, quell'assolutismo con cui sembrava esser certo di ogni sillaba che pronunciava, una stabilità mentale ed emotiva che in me mancava del tutto, portandomi ad oscillare da un dubbio all'altro senza mai ottenere la grazia di potermi fermare. «Non ce sei più solo tu, ce so' anche io. Ce siamo noi

Noi.

Il calore che percepivo dal suo corpo dilagò, andando a scontrarsi con violenza contro il gelo dei miei ultimi anni, l'inverno della solitudine in cui avevo vagato da sola, nel vuoto, senza più alcun filo a cui potermi affidare per ritrovare la strada. E adesso era lì, invece, proprio davanti a me, e non era più uno solo, ce n'erano tantissimi, saldi e decisi, a infiocchettarsi al mio mignolo prima, il mio polso poi, il mio cuore dopo.

Lo sai cosa devi dire allo specchio, Agatha?

Le due sole persone al mondo a cui mai avrei voluto rivelare il mio segreto erano sempre state papà e Betsy. Troppe volte mi ero ritrovata a guardarli, anche in momenti quotidiani, e a sentire in me il bisogno urgente di far sgusciare fuori dalle labbra i sentimenti a cui mai avevo dato voce, far prendere una forma vera, non più solo visiva, all'incubo di quegli anni, concretizzare in parola ciascuno di quei miei giorni passati a cercare di essere brava, di essere amata in qualche modo, di far la cosa giusta, senza mai riuscirci.

Ma poi pensavo alle loro reazioni semmai avessero scoperto la verità, l'orrore e il disgusto che avrebbero calcato i loro occhi una volta saputo quanta mostruosità conservassi in me già da bambina, il modo in cui mai più mi avrebbero guardata con quell'affetto di cui ero stata privata per tutta la mia vita, e così tale necessità esplodeva come un palloncino bucato da un ago, scomparendo del tutto, quasi non fosse mai esistita.

Adesso, stretta tra le sue braccia, mi sentii di nuovo sopraffare da quel bisogno con Dante. Forse perché erano passati così tanti anni, non ricordavo quanta violenza e ferinità attuasse in me pur di essere ascoltato, pur di invogliarmi a parlare. Era sadismo puro, una tortura allucinante, smembrava i miei pensieri uno ad uno così da lasciare intatto solo quello che portava il suo nome, un'emicrania tale da sentirla ad ogni respiro.

Agatha, mi dispiace...

Non è per quello... che lo facevo...

Vivida e ustionante sorse alla mente l'immagine del 5 marzo dei miei dieci anni. Il viso di lei, una maschera di sangue, sangue ovunque, a pitturarle la faccia e sgorgarle dalle labbra, formare una chiazza vermiglia sui suoi capelli biondi, rigoli continui sul volante contro cui il viso era schiacciato, l'orrore a rubarle la luce negli occhi verdi, una volta aver ascoltato la verità che le avevo rivelato.

Un nuovo terrore m'inasprì la saliva in gola, per la prima volta da quando si era scoperto di papà, a spaventarmi non fu tanto la paura che Dio mi avrebbe punita, se avessi rotto il nostro patto e l'avessi rivelato a qualcuno, ma la reazione che Dante avrebbe potuto avere, venuto a conoscenza del contenuto del mio desiderio. Soprattutto lui, ancora in eterna lotta col rimpianto per quanto accaduto a Jane.

O forse... proprio per quel motivo... avrebbe potuto capire? Forse, invece che orrore e disgusto, nei suoi occhi avrei potuto trovare comprensione, se glielo avessi rivelato?

Era la mia bambina! E tu me l'hai portata via!

Strinsi violenta il suo maglione tra le dita. Era ancora troppo presto per pensarci, c'erano ancora troppe cose che dovevo capire. «Io...» guaii alla fine, «non posso... trasferirmi qua... così d'improvviso, non mi è ancora chiaro...» Inspirai a fondo. «Non sono pronta, non... È letteralmente successo tutto stanotte e io... Non sono il tipo che fa queste cose così...»

«Così?» mi provocò.

«Folli!» esplosi alla fine, non appena udii il suo tono divertito, ancora stretta tra le sue braccia.

«Mica è follia.»

«Chi mai vorrebbe andare a convivere con la ragazza con cui ha passato solo una notte insieme?!»

«Lilith direbbe: un uomo, un vero uomo.»

«Non osare appellarti ai tuoi fratelli ora!»

«Non me so' appellato, ho detto la verità.»

Provai a colpirlo di nuovo con una ginocchiata, udii la sua risatina sottovoce, causa di un'altra ondata di stizza in me; un'imprecazione piena di sdegno mi partì dalle labbra quando mi abbracciò con più ferocia, iniziando a lambirmi il collo di baci. «Non vale così!» squittii, sempre più disperata. «Mi stai distraendo apposta!»

«Se te distrai è colpa tua, non mia.»

«Non mi trasferirò qui!» tuonai in crisi, tremando nel sentirlo mordicchiare il sottile strato di pelle proprio sotto la mandibola.

«Va bene» pronunciò calmo, risalendo alla guancia.

Ero già in modalità fornace.

«E non voglio che Dory e Dorian si facciano strane idee, perciò non devi dire niente!»

«Va bene.»

«Sono seria!»

«Anche io» ribatté deciso, scostandomi il capo con le mani quel che bastava per farmi vedere il suo sorrisone tutt'altro che sincero. «Non dirò niente, te lo assicuro.»

Il mio viso avvampò, con le dita lui sistemò dietro l'orecchio una ciocca di ricci che mi era finita in viso. Mi stavo già abituando ad esser toccata così, in quel modo, e questo mi terrorizzava allo stesso modo in cui mi emozionava. «E non devi... neanche...» sentii ogni cellula del viso bruciare, non appena pronunciai la parola: «coccolarmi così.»

Il suo ghigno si fece gigantesco, avrei voluto prenderlo a calci. «Pensavo te piacesse.»

Mi piaceva alla follia quanto il suo parlare sporco mentre eravamo a letto, ma non avevo cuore di ammetterlo. «Capirebbero subito, se ti comporti in questo modo» farneticai.

«Famme capi', quindi, nel tuo piano, io e te dovremmo comportarci come se nulla fosse davanti ai due flagelli, così che pensino non sia successo niente de niente?»

L'intero corpo si fece di pietra, mi ritrovai a borbottare: «Non... niente di niente... solo... Dirglielo... più tardi... quando tutto sarà più chiaro...»

«Cioè, il tuo piano geniale sarebbe rimandare tutto?»

«È... È il metodo Betsy.»

«Il metodo Betsy?»

Un'altra mossa infame da parte mia, quella di colpevolizzare Betsy per le mie necessità, si sarebbe alterata da morire, se ne fosse venuta a conoscenza, perché lei applicava il suo metodo solo e soltanto per il suo nemico giurato - lo studio - e mai per i sentimenti.

«Quando avevamo degli esami alle porte o... qualche progetto da fare... Betsy diceva sempre "Ci penserò dopo"» spiegai imbarazzata.

Corrugò la fronte. «Quindi era semplicemente 'na procrastinatrice incurabile.»

La dura verità era stata detta.

«Non era incurabile» mi scoprii a difenderla, altra cosa che mai avrei creduto mi sarei trovata a fare, una volta. «Era solo... aspettava di sentirsi pronta... per fare i compiti, tutto qua.»

La sentivo, la sentivo proprio: Betsy che dal paradiso mi lanciava saette e fulmini, urlando a gran voce "Ipocrita!", poiché io ero la stessa che l'aveva insultata in ogni modo e forma proprio perché attuava quel suo metodo di studio.

«Ecco... possiamo pensarci dopo... a cosa dire a Dory e Dorian... una volta che avrò capito esattamente cosa noi due-»

«Stiamo insieme.»

Se non fossi morta d'infarto entro quel giorno, non l'avrei più fatto per il resto della mia vita. Lo guardai tremando ovunque, con la paura ancestrale a spolparmi dentro, in preda alle fiamme, mentre lui mi fissava con la sua tipica espressione un po' austera. «Stiamo insieme» ripeté categorico, la sua voce non lasciava spazio a obiezioni. «Tu stai con me e io sto con te, siamo una coppia. Niente di più, niente de meno.»

«N-Non è così che funziona.»

«No?»

«No» risposi con voce fine. «Per mettersi insieme, c'è bisogno di una frequentazione, prima, e poi-»

«Non ci sono delle regole tassative per 'ste cose, non funziona così per tutti, e non funziona così per noi.»

Ebbi l'impulso di piangere, ma non ero sicura se per il timore, il sollievo o entrambe le cose. Certo era che la paura mi tormentava, non avrei però più saputo dire di cosa avessi paura. Nel corso degli ultimi mesi avevo assistito alla rottura dei pochi capisaldi che mi erano rimasti e così la casa di agonie e tormenti in cui avevo risieduto mi era crollata addosso, lasciandomi inerme su un campo di macerie e dubbi.

«Lo so che sei spaventata» mi disse, sempre più sicuro, la sua mano andò a cullare la mia guancia, mi fu impossibile distogliere l'attenzione dai suoi occhi ambrati, la delicatezza intrisa nel loro nocciola limpido. «C'hai tutti i motivi per esserlo. Sei stata sola per tutti questi anni, non sei più abituata a poter contare sugli altri. E proprio per 'sta ragione, se te lascio scappa' come al solito, tu te ne ritornerai a com'eri prima, perché è la sola cosa che conoscevi.»

Mi morsi il labbro, incapace di rispondere. «Ma non è più come allora» mi bisbigliò sulla fronte, prima di stamparvi un bacio che mi provocò migliaia di brividi così piacevoli da farmi sentire sciogliere tra le sue braccia. «Non devi più affronta' tutto questo da sola. Te l'ho detto: so' forte e testa di coccio abbastanza da potermi fare un po' carico de quello che te grava sulle spalle. Non me spaventa fallo, me spaventa vederti tornare a com'eri prima che c'incontrassimo.»

Gli occhi, adesso, mi bruciavano al punto che non riuscivo più a vederlo. «Non dirò nulla ai flagelli, se è questo quello che vuoi» disse, «ma me rifiuto de finge' che sia tutto come una volta.»

Non fui capace di dire o pensare niente, solo di annuire con grande fatica.

Lo sai cosa devi dire allo specchio, Agatha?

No, Signora.

Non lo so più.

Forse non l'abbiamo mai saputo.

Né io... né te.

Prima di partire per andarmi a cambiare a casa e poi passare a prendere Dory e Dorian, Dante mi costrinse a riapplicare la pomata per i lividi che avevano iniziato a nascermi sulla zona del bacino, proprio a causa della lavatrice. Fu imbarazzante come non mai, sia perché mentre me la metteva ricordavo alla perfezione il momento in cui me li ero procurati – inducendo Agatha Fangirl all'ennesima crisi d'alcolista cronica – sia perché così ebbe modo di rivedere il grasso adiposo di tutto il mio corpo, in particolar modo la pancia.

«C'hai una cicatrice, poco sotto l'ombelico, è piccola, però, prima non l'avevo notata» commentò mentre stendeva la pomata fresca, in bagno, la mia faccia un'unica ustione. 

Quel suo commento, per lo meno, mi aiutò a distrarmi dalla vergogna che mi stava liquefacendo. «Oh... Ecco... sì, è per l'appendicectomia che ho fatto a ventitré anni» balbettai.

La vidi guardarla per qualche secondo, per poi allontanarsi per rimettere il tubetto della pomata sul pensile sopra il lavandino. «Credevo fosse dovuta all'incidente stradale» ammise, ed io sussultai. Il suo era un dubbio lecito, d'altro canto.

«Oh, no» risposi con un soffio, tirando il più in basso possibile la maglietta per nascondere la pancia. «Ho qualche cicatrice, ma dato che ero piuttosto piccola, all'epoca, molte si sono sbiancate così tanto da essere a malapena visibili. Inoltre...» mi bloccai per qualche secondo, «io sono stata molto fortunata, in quell'incidente, gli organi vitali non sono stati compromessi. Il problema principale sono state le fratture alle ossa, le gambe in particolar modo. La BMW che ci investì... colpì appieno il lato del guidatore, penso sia per questo che è stata mia madre quella che ha subìto più danni.»

Era sempre più difficile parlare di lei a Dante, sempre più difficile lasciar uscir fuori solo le parole dovute e non quelle che volevo esprimere. Alla domanda che mi pose dopo, tuttavia, non fui capace di mentire: «Che macchina guidava, tua madre?»

«Un maggiolino.»

Una volta esser passati da casa mia ed essermi cambiata - Dante mi impose un quarto d'ora di tempo - con la prima felpa e jeans che trovai a disposizione, andammo a prendere i gemelli. La famiglia che li aveva ospitati non abitava così distante da loro, perciò ci impiegammo pochissimo. Uno dei tanti edifici un po' diroccati e rovinati del quartiere, di almeno sette piani, con l'intonaco sciolto e le finestre così scorticate sui bordi da sembrare labbra aperte colpite da una pericolosa afte.

Io restai in macchina, sul sedile dell'accompagnatore, per evitare di esser riconosciuta dalla famiglia che aveva ospitato i gemelli, mentre Dante andava al portone per recuperarli. In mente, non potei che pregare ci impiegassero più tempo possibile, quel che mi bastava per riuscire ad assumere un tono di contegno e sembrare naturale, la solita Agatha di sempre, come se non avessi passato quasi tutta la notte a far sesso con il loro fratello maggiore e la mattina dopo a farlo di nuovo contro la lavatrice del loro bagno.

Ci impiegarono sei minuti.

Lo sportello dei sedili posteriori si aprì con un tonfo che mi fece sussultare sul posto, l'attimo dopo udii il grido estasiato di Dorian alle mie spalle: «Thaty!»

All'istante, d'istinto, allargai al massimo la mascherina così che coprisse tutto il mio viso. Mi girai col capo per guardare in faccia Dory e Dorian, il primo a sinistra e la seconda a destra. A vederli in quel momento, sarebbero potuti esser scambiati per due cherubini: indossavano come al solito abiti uguali, due maglioncini rossi e un paio di pantaloni bianchi, delle giacche invernali dal rivestimento in pelliccia sintetica. Dory aveva lasciato sciolti i suoi capelli biondi, mentre Dorian aveva i suoi volutamente spettinati, con quell'acconciatura sbarazzina pienamente appresa dal fratello maggiore.

Scorgerli così emozionati confortò in parte l'ansia che mi stava tendendo tutti i muscoli, andando a peggiorare le fitte d'indolenzimento causate dalla notte trascorsa.

«Buon anno» li salutai col sorriso. «Vi siete divertiti, coi vostri amici?»

Dory annuì fiera di sé, mentre si allacciava la cintura. «Il cibo era bono. Non come il tuo, chiaro.»

«Anche perché pure i genitori di Stephy e Clark so' poracci, mica come te.»

«E alla loro mamma mancano le tette stratosferiche, n'altra cosa che non va bene, però ce semo divertiti.»

Aprii la bocca per parlare, ma proprio in quell'attimo lo sportello del guidatore si aprì e Dante entrò a sua volta in macchina, provocando subito in me un getto di nervosismo che mi portò per istinto a riportare il capo davanti, alla strada vista dal finestrino, mentre lui avviava il motore.

Allargai ancor più la mascherina, rischiando di strapparla, e mi calai al massimo la visiera del cappello sul viso. Alle mie spalle, udii Dorian domandare con tono malevolo: «E a voi com'è andata?»

Era iniziato, quindi.

L'interrogatorio.

Speravo lo avrebbero fatto una volta ritornati a casa loro, che mi concedessero almeno quel sollievo.

Disperata, guardai Dante, ma lui mantenne gli occhi sulla strada, colsi però il primo tremito all'angolo delle sue labbra: era già pronto a prendermi in giro, sicuro come non mai che quei due mi avrebbero smascherata all'istante. L'oltraggio riprese ad invadermi.

«È andata bene» dichiarai con irritazione, stringendo i pugni sopra le cosce, rifiutandomi di guardare in faccia tutti e tre i membri di quella famiglia di infami. «Siamo... andati al cinema.»

«Ehhh» udii Dory commentare col suo classico tono da donna vissuta. «E poi che avete fatto?»

«Abbiamo cenato e aspettato la mezzanotte.»

«Thaty, c'hai 'na voce strana» intervenne Dorian, altro maledetto infame.

«Non è strana.»

«Sì che lo è, il gemello mio coi coglioni c'ha ragione. Te stai a sforza' al massimo, Thaty, se vede. Tipo me quando c'ho la stitichezza e devo fa il massimo per cagare bene.»

Santo cielo, quanto avrei voluto che l'autista di quella BMW avesse colpito il mio lato della macchina, adesso.

«E lo scopacimici non sta a di' niente, altra cosa strana» convenne Dorian, d'improvviso in modalità detective. «C'ha n'aria diversa pure lui, eh.»

«Vero, verissimo. Quando è venuto a prenderci, c'aveva l'aria che c'ha quella mongoloide de Dora L'Esploratrice quando trova il mazzo de fiori che non vedeva perché troppo scema per chinare lo sguardo ai suoi piedi. Come se dice? Estatico?»

«Estasiato» la corresse il suo gemello. «Un po' strano, eh, se ce rifletti.»

«Vero, vero. Non lo vedevamo così da un bel po' de tempo, prima ancora del fatidico martello.»

«Che poi, quand'è arrivato, l'ha trasformato in un omo che manco è omo, so' rimasto solo io coi miei coglioni a compensare ai suoi fracassati.»

Avrei voluto spalancare la portiera e lanciarmi dall'auto in carreggiata, ma purtroppo Dante aveva chiuso gli sportelli. Gli lanciai uno sguardo, alla ricerca di aiuto, il bastardo continuò a ignorarmi e a fissare la strada davanti a sé, sollevò solo un dito, l'indice, dalla mano destra serrata sul volante, un modo implicito per dirmi: «Tu vuoi che me sto zitto, perciò me starò zitto.»

«Non è successo niente» chiarii con voce categorica.

«Thaty, perché non te giri a guardacce?» domandò Dorian.

«Sì, sì, perché non lo fai?»

«Soffro il mal d'auto, non mi conviene girarmi o rischio di sentirmi male.»

«Ma se quando andamo al mercato te volti sempre per parla' con noi.»

La loro memoria mi terrorizzava. «Non è così.»

Con mio sommo sollievo, arrivammo al parcheggio vicino al loro condominio. Non appena Dante fermò la macchina, subito mi liberai della cintura di sicurezza e uscii fuori, ma, purtroppo per me, i gemelli erano teste di coccio quasi quanto il loro fratello maggiore. Mi tampinarono di domande persino mentre camminavamo per le viuzze sterrate che conducevano alla loro casa. Una volta entrati nell'appartamento, dopo aver evitato i quesiti tremendi, mi liberai all'istante della giacca, il cappello e la mascherina, in preda al nervosismo e l'imbarazzo, e corsi verso la cucina per prendermi un'altra tazza di caffè. Ne avevo bisogno più che mai.

Sussultai quando, mentre prendevo la mia tazza lasciata nel lavandino, poche ore prima, avvertii la presenza di Dante al mio fianco. «Vuoi che te lo riscaldi?»

Lo sapevo anche senza vederlo: stava sorridendo da un orecchio all'altro, lo stronzo. Proprio per questo, mi rifiutai di guardare in faccia anche lui. «No. Mi va bene freddo» dichiarai con il mio tono di voce più irritato, per poi voltarmi per prendere la brocca di caffè lasciata nella sua macchinetta.

Proprio mentre lo stavo sorseggiarndo, una voce si levò in alto, quella di Dorian, a esplodere nell'intero appartamento con grande gioia: «Hanno scopato.»

Il caffè mi andò di traverso, mi ritrovai a sputarlo fuori persino dalle narici, tra i colpi di tosse e gli occhi brucianti a causa delle lacrime di dolore. Mi voltai all'istante verso di loro, dopo aver mandato giù a forza il sorso che aveva fatto la retromarcia nella mia gola e posato la tazza colpevole sul ripiano.

Erano al centro del salotto, poco più avanti al tavolino dove mangiavamo sempre, i loro visi emozionati, con tanto di stelle al posto degli occhi, mi portarono a urlare a gran voce: «No! Non è andat-»

«Camminata da zoppa improvvisa a causa dei continui sbattimenti come Thaty quando monta la panna: c'è» mi bloccò in un istante Dory.

Dorian annuì: «Scopacimici che non dice niente e c'ha l'aria de un fattone che s'è pippato sette canne una dietro l'altra: c'è.»

«Vi sto dicen-»

Dory si portò le mani alla bocca, era in lacrime per la felicità. «Thaty che non s'è irrigidita manco de un po' quando lui s'è avvicinato a lei: c'è.»

«Solo perché non mi sono irrigidita, non vuol dire che-»

Dorian posò la mano sul petto, all'altezza del cuore, emozionato. «La tazza di caffè che era già stata usata da lei e non ancora lavata: c'è.»

Maledizione, mi ero dimenticata di quel dettaglio a causa della discussione avuta con Dante. «Non è così, io non-»

«Quindi Thaty è rimasta qua a dormire.»

«No, no, che a dormire, gemella mia con la vongola. A scopare. Di brutto, poi, visto come cammina.»

«Ehhh, capisco, capisco, lo scopacimici s'è impegnato per recupera' tutti i mesi de martello. Ce sta, scopacimici, ce sta, c'hai tutto il mio rispetto. Come dice una gran donna, cioè io, per rimedia' al martello, tocca martellare qualcun altro. Non l'avrei mai creduto possibile, ma te meriti de esse' nostro fratello.»

«E soprattutto è ricca e tu non te lo sei dimenticato. Bravo, fratello, bravissimo. Semo fieri de te. Finalmente c'hai dato la gioia de condivide il sangue con te.»

«T'avemo sottovalutato, scopacimici, né io né il gemello mio coi coglioni c'avremmo scommesso un dollaro che saresti riuscito a bombarla stanotte. Avevamo messo come traguardo massimo la limonata dura.»

«Aspe', gemella mia con la vongola, mo' non è più scopacimici, de cimici non ce stanno.»

«Giusto, giusto, è n'altra cosa.»

«ScopaThaty

Stavo per esplodere dalla vergogna. «Non è andata così, vi sto dicendo che-»

«Il metodo pinguino, ve'?» mi bloccò di nuovo Dorian, sollevando il capo e rivolgendo i suoi occhi emozionati a Dante, ancora al mio fianco e in silenzio. «È il metodo pinguino che t'ha ridato il potere delle palle, per questo mo' lei cammina così, perché l'hai preso alla lettera e l'hai fatta arriva' a camminare come un pinguino.»

In un secondo, feci scattare il capo su Dante con occhi d'ammonimento, lui continuò a guardare in silenzio entrambi i suoi fratellini, le braccia serrate al petto, l'espressione di ogni giorno, ben consapevole dell'ira che avrebbe scatenato in me se avesse rotto il patto di non dir niente.

Di fatto, il patto non lo ruppe.

Perché non disse niente.

Ricorse all'altra arma a cui io non avevo pensato, non essendo mai stata dotata della sua stessa infamia: l'espressività.

Sorrise.

Sorrise in maniera così impudente, diretta e sicura, che non ci fu bisogno di risposte, da parte sua, non una sola vocale. Non lasciò spazio a dubbi con quel singolo gesto, e prima che potessi iniziare a insultarlo furiosa per questo, dal salotto si sollevarono grida d'entusiasmo e nell'aria dei veri e propri...

Coriandoli.

Non avevo la più pallida idea di dove li avessero presi, fatto stava che adesso nelle mani di entrambi c'erano due pacchi giganti di essi, grandi quasi quanto i loro torsi, e che entrambi stavano saltellando in giro per tutta la casa a sparpagliarli come se avessero appena vinto alla lotteria.

«Finalmente!» strillò Dory commossa, gettandone un pugno tutt'attorno a lei e al gemello.

Un singhiozzo sofferto attraversò quest'ultimo, con gli occhi piangenti: «Siamo ufficialmente ricchi

«Arriveremo all'adolescenza con la panza piena!» guaì Dory commossa.

«La nostra gioventù preservata!» continuò Dorian, lanciando un bel po' di coriandoli sul tavolo.

«Potremo finalmente permettece tutte le carte Pokémon che vogliamo!» Dory si inginocchiò a terra, quasi fosse stata sconfitta, tirò dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto e iniziò a soffiarsi il naso.

«Non moriremo come i bambini in Africa» le diede man forte l'altro, soffiandosi a propria volta il naso con il suo personale fazzoletto.

«Io avrò le mie tette stratosferiche!» cinguettò in lacrime lei.

«E io la barba, così almeno ce sarà un omo vero in famiglia.»

«È davvero un miracolo

«Secondo me manco Gesù in persona ce sarebbe riuscito. Camminare sulle acque è facile, sfido io a uscir fuori dalla friendzone da parte de una che manco lo considerava un amico.»

«Fosse stato bono a convertì l'acqua in vino, il rompicoglioni, così almeno lo vendevamo per facce i soldi, e invece manco quello.»

«Però così è meglio, ade' c'abbiamo Thaty garantita.»

«Panza piena, brufoli dell'adolescenza e carte Pokémon in quantità.»

«Il paradiso

«Ce stavo a rinuncia', fra un po', temevo sul serio che dovessimo ricorre' al piano B de te che crescevi così te la scopavi tu.»

«Che comunque sarei stato meglio del rompicoglioni, eh.»

«Continuamo a tenello de riserva, il piano B, gemello mio coi coglioni, non se sa mai nella vita. Se tipo il rompiballe schiatta o lei lo molla perché torna a fa' lo stronzo, tocca che intervieni tu coi tuoi coglioni.»

La mandibola mi era ormai caduta a terra, udii uno sghignazzo inequivocabile al mio fianco e in un attimo la stizza ritornò a pervadermi. Fulminai Dante con gli occhi: il bastardo stava tremando con tutto il suo corpo, tanto si stava violentando pur di non ridere. Avvampai ovunque, e davanti alla mia indignazione palese, lui si premurò di ricordarmi: «Ho mantenuto il patto: non ho detto nulla

Le saette che Betsy mi aveva lanciato dal paradiso mi deflagrano in un istante tutte insieme. «Hai sorriso! Hai sorriso!»

«Non sapevo fosse vietato sorride', mo'.»

«Sai benissimo che intendo!»

«Ho rispettato la tua richiesta, com'è che te stai a lamenta', ora?»

«Certo che mi lamento, è tutta colpa tua!»

«Merito mio, vorrai di'.»

«Non ci provare a usare di nuovo questa tecnica!» Davanti ai suoi continui sghignazzi, mi inviperii persino di più: «E non sono un pomerania!»

«Guarda, gemella mia con la vongola, questa è la famosa tensione post scopata che vedemo sempre nelle telenovelas di Rosemary.»

«La affetti nell'aria come Thaty quando affetta er bisteccone.»

«Thaty è il bisteccone de Dante, in effetti.»

«È il potere delle tette stratosferiche. La mamma c'aveva ragione: vincono su tutto

«Sono capaci di compiere persino miracoli

«Se sente proprio a respiralla, la tensione: ce scommetto il tuo cazzo che mo' scopaThaty se sta a immagina' altri posti in cui scopalla.»

«Non scommettere sui cazzi degli altri, bastarda.»

«Non posso fallo su quello de Dante, se glie se rompe poi non può più scopa' a Thaty e tornamo poracci.»

La bocca tornò a spalancarsi da sola, indignata com'ero, mi girai per guardare le due piccole pesti ancora in lacrime per l'entusiasmo, i due sacchi coi coriandoli ora rovesciati a terra, alcuni di essi a decorare i loro capelli biondi come perle di carta. «Non è andata così!»

«Thaty» mi chiamò Dorian, la mano sollevata in alto per frenarmi. «Ce so' delle regole fondamentali, ora che tu e lo scopaThaty scopate, per l'appunto.»

«Sì, sì» la sua gemella annuì. Iniziarono insieme ad elencarle con le dita, peggiorando drasticamente il mio rossore: «Prima de tutto, per avecce dei bambocci vostri dovete aspetta' che io e il gemello mio coi coglioni famo sedici anni.»

Dorian, alla sua sinistra, annuì, si preoccupò persino di spiegare il perché: «Volemo goderci per bene i traumi della nostra adolescenza, prima de diventa' zii. Sedici anni è l'età perfetta, così ce la siamo goduta abbastanza, ma siamo ancora pieni di gioventù.» Pronunciò quell'ultima parola con vanto estremo.

«Limite massimo de bambocci da sfornare: due» proseguì l'altra. «Non potemo condividere troppo il tuo patrimonio, Thaty, mica è infinito, e noi già semo quattro. Per quanto ricca e con le tette stratosferiche, a meno che non vincemo alla lotteria, non se può fa', oh. Perciò se ve scappano gemelli come a noi due, tocca che ritornate ai preservativi.»

«66% del tuo patrimonio va a noi due, ovviamente» specificò Dorian, l'aria da contabile con trent'anni di esperienza alle spalle. «Voglio di', è per merito nostro che te e Dante ora scopate, quindi ce lo meritiamo tutto, i bambocci che farete nasceranno solo grazie a noi, perciò sì, la fetta più grande spetta a noi.»

«Al matrimonio noi vogliamo esse i testimoni» continuò Dory. «Cioè, lo siamo letteralmente, in fondo, i testimoni delle vostre future scopate, quindi dobbiamo esserlo pure alle nozze, me pare scontato

«Perciò dovete aspetta' che facciamo ventun anni, perché mica potemo fa' i testimoni seri da adolescenti, troppi brufoli.» Dorian si fermò per un secondo, in riflessione: «E poi volemo bere e ubriacacce pure noi, oh.»

«I bambocci che avrete sgravato prima li lassamo alla babysitter pagata coi soldi di Thaty, poi li riprendiamo per fa' le foto fighe e quando so' cresciuti gli diciamo che hanno partecipato pure loro mostrandogliele, così non s'offendono.»

Dorian annuì severissimo: «Le frasi che dovrete dire durante le promesse sono "Come dice una gran donna, cioè io" per te, Thaty, mentre per Dante "E soprattutto sei ricca, non lo dimenticare".»

La testa iniziò a girarmi per la vergogna, non riuscivo nemmeno a percepire il mio viso a causa delle fiamme che lo stavano travolgendo, rischiai persino di cadere, ma Dante mi afferrò in tempo, proprio mentre il corpo stava per fare la fine di un sacco di patate rovesciato per terra. Sentire la sua presa sicura addosso ridonò coraggio alla mia indignazione. «Non vale così!» gridai furibonda, mentre la mia faccia finiva contro il suo petto. «È tutta colpa tua se sto in queste condizioni!»

«Ripeto: ho mantenuto la parola, non ho detto niente

«Quel sorriso valeva più di mille parole e lo sapevi benissimo!»

«Guarda come se la sta spupazzando, Dory, c'ha proprio preso gusto, e lui è uno che odia spupazzare gli altri, di solito.»

«Capiscilo, gemello mio, s'è martellato per mesi, era un caso disperato. Se sarebbe pure ficcato una mano nel culo da solo pur de uscì dalla temibile friendzone

«Da parte de una che manco lo considerava friend, aggiungiamo.»

«Nemmeno lui ce sperava più de potersela scopare.»

Nell'udire il petto di Dante vibrare a causa delle risate, iniziai a colpirlo lì coi miei pugni e con tutta la forza che avevo a disposizione. «Non è divertente!»

«Non lo è, infatti.»

«Non è nemmeno adorabile!»

«Aggiungiamo pure queste alle cose da dire al momento delle promesse, ve', gemella mia?»

«Assolutamente sì, gemello mio. Assolutamente sì

Se pensavo che con la famiglia Mitchell non c'era fine alla mia umiliazione, pensavo bene.

Le ore e i giorni che seguirono furono sempre più assurdi e imprevedibili, per me, l'ennesima dimostrazione di quanto continuassi a sottovalutare l'infamia di quei tre fratelli che, se collaboravano insieme, potevano dare vita ai piani più malefici in assoluto.

Tra questi, vi fu quello di informare tutti quanti del mio cambio di status con Dante. O, per meglio dire, renderlo così palese ed evidente da non poter in alcun modo nasconderlo o celarlo. Il primo dell'anno, infatti, dopo un pranzo in cui rischiai di morire per autocombustione a causa dei gemelli e Rosemary, si aggiunsero pure Minnie e Max, venuti a trovarci per farci gli auguri. Per la prima volta, Minnie si presentò non più vestita di nero ma con un vestito di un rosso così acceso che avrebbe potuto illuminarla persino la notte, talmente aderente da fasciarle il corpo minuto come una seconda pelle.

Non appena entrò in casa e mi vide, o, per meglio dire, non appena vide il mio outfit da lei tanto odiato - la felpa oversize e i jeans vecchi di secoli - un'ira furibonda le accese gli occhi, un'ira che, purtroppo, le si spense all'istante, quando notò Dante, seduto accanto a me.

Sgranò appena gli occhi, sbatté le palpebre, e alla fine un sorriso malevolo e spietato le curvò le labbra tinte di nero: «Riccioli Corvini, com'è che se dice? Chi scopa a Capodanno scopa per tutto l'anno?»

Pensavo che sarei morta a causa dei crimini di mio padre, scoprii invece che lo avrei fatto a causa del primo ragazzo a cui ero piaciuta.

La notte del primo gennaio la passai a casa Mitchell.

O, per meglio dire, fui incastrata a passarla a casa Mitchell.

Alle dieci di sera, quand'eravamo rimasti soli, dopo esser stata costretta a guardarmi coi gemelli sul divano la replica di Mamma, ho perso l'aereo, un film per cui quei due impazzivano - probabilmente perché trovavano affinità nel lato da piccolo criminale del protagonista - provai a sollevarmi per iniziare a prendere le mie cose così da tornare a casa, ma la voce di Dorian, d'improvviso tragica e spezzata, seduto accanto a me, mi bloccò: «Capisco, capisco, quindi è così, eh.»

Lo guardai confusa, ma lui aveva ancora gli occhi fissi sullo schermo. Dory, alla sua sinistra, si soffiò il naso con il suo fazzoletto, la luce bianca del televisore rese il suo viso un dipinto di lacrime: «Per quel rompipalle resti a dormì volentieri, visto che te scopa, per noi due poveri e innocenti bambini no.»

Spalancai la bocca, allibita, voltai il capo dietro di me, in direzione della cucina, dove Dante stava sistemando le stoviglie appena lavate nei loro appositi pensili. Ci dava le spalle, ma non avevo dubbi che aveva sentito tutto, sia i commenti dei suoi fratellini che il mio sguardo furioso su di sé.

«Non è così» balbettai disperata, ritornando a guardarli. «Devo tornare a casa per sistema-»

«Le puoi sistema' domani, Thaty, mica c'hai fretta» m'interruppe Dorian. «È pure periodo de festa, non te corre dietro nessuno, ma comunque tu preferisci torna' a pulì le fughe del pavimento con lo spazzolino piuttosto che sta' qua con noi.»

Un'altra tromba da parte di Dory e il suo fazzoletto. «Noi che semo pure orfani, senza babbo e mamma, dopo avelli persi così tragicamente, e quindi non potemo nemmeno dicce come i nostri altri amici» singhiozzò, la mano al petto, lacrime giganti a calcarle le guance diafane.

Dorian scosse la testa, l'aria profondamente delusa. «Per il piercing al pipo di quello stronzo resti, ma per due bambini innocenti come noi, che hanno sofferto così tanto nella loro breve e intensa vita, d'improvviso perdi il desiderio de dormì qua.»

«Quindi è così che funziona, quando se diventa adulti: le scopate valgono più della compassione» Dory esalò l'ultima parola con un gemito di dolore, coprendosi il volto con entrambe le mani.

«I piercing al pisello valgono più della tragica storia di due orfanelli innocenti» concordò il suo gemello, asciugandosi gli occhi con la coperta del divano che blandiva le gambe ad entrambi.

Di nuovo, rischiai di perdere i sensi a causa dell'imbarazzo e la vergogna dilagante. Non riuscivo a credere che stessero sfruttando il loro passato tragico solo per convincermi a restare lì a dormire e che io, pur consapevole di tale recita, mi stessi comunque secondo in colpa per questo.

«Non sono rimasta a dormire apposta, ieri!» mi difesi. «Mi sono addormentata per sbaglio, non è stata voluta come cosa!»

«Voluta o no, l'hai fatto, è questo che conta, Thaty» replicò Dorian. «Se l'hai fatto per lui, mo' te tocca che lo fai anche per noi.»

«Altrimenti perderemo per sempre la fiducia nell'intera umanità» specificò Dory, lanciandomi un'occhiata veloce da sotto il suo fazzoletto.

«Finiremo per diventa' come quelli lì che dipendono sempre dalle scopate, pensando che so' l'unica cosa che conta nella vita per riceve solo un po' d'amore» continuò Dorian, proseguendo ad asciugarsi le lacrime con la coperta di lana.

«Io come minimo finirò in mezzo alla strada, vestita scollatissima per mostra' le mie tette stratosferiche, così da scopamme il primo che passa.»

«E io diventerò il suo pappone.»

«Che cosa?! Andiamo, non potete dire questo! Non funziona così! Ho una casa a cui devo ritornare! Ve l'ho detto, non sono rimasta apposta a dormire, la notte scorsa! È stato...» Udii alle mie spalle degli sghignazzi, l'ira andò a scavarmi la fronte, quando voltai lo sguardo e scorsi le spalle di Dante che sussultavano. «È stato lui che mi ha fatta addormentare e poi non mi ha svegliata in tempo!»

«Dannazione, dovevamo fa' così pure noi» affermò senza vergogna Dorian. «Com'è che non c'è venuto in mente, Dory?»

«Perché siete dei flagelli, ma ne avete ancora da imparare» rispose Dante in un attimo.

Non ci potevo credere! Balzai in piedi all'istante, fissando tutti e tre con rabbia. «Non ho nemmeno il pigiama! Non posso restare a dormire!»

«Sì che ce l'hai.»

La dichiarazione del primogenito della famiglia mi fece sussultare, tornai a guardarlo, stava uscendo dalla cucina, il sorrisetto birbante a cucirgli le labbra. «Puoi usare i miei» spiegò, sfacciato come non mai, andando a incenerirmi il viso.

«No che non posso!»

«Tocca che gliene compriamo di nuovi, ScopaThaty» gli disse Dorian. «Thaty c'ha l'aria de una che ama quelli super pelosi e morbidi, con le stampe degli animali cucciolotti addosso.»

La cosa più grave fu realizzare quanto ci avessero preso: erano proprio quelli i tipi di pigiami a cui andavo dietro prima, quando il mio mondo non era ancora crollato. Papà me ne regalava uno nuovo ad ogni solstizio d'inverno.

«Sì, sì, una de quelle che amoreggia alla follia per i pigiami a pezzo intero, quelli che c'hanno pure il cappuccio con le orecchie» asserì Dory, ripresasi miracolosamente dal pianto. «Che grande! Che donna! Una vera donna!»

«Il prossimo fine settimana, al mercato, ne compriamo un po', allora» rispose Dante, andando ad accrescere l'emozione nei suoi fratellini e l'imbarazzo in me.

«I pinguini, fratello mio, i pinguini ci devono stare per forza» ordinò Dorian. «È pure merito loro se mo' semo ricchi.»

«Ce stava 'na bancarella che vendeva roba simile, vediamo se ci sta pure 'sto sabato.»

«No che non li comprate! Non ho bisogno di nuovi pigiami, ho bisogno di ritornar-Ahhh! Dante! Lasciami! Non puoi fare così! Questo è sequestro di persona! Dante!»

Mai nella vita avrei pensato che avrei incontrato un uomo non solo capace di reggere il mio peso fino a issarmi sulla sua spalla come un sacco di patate, ma che lo avrebbe addirittura fatto per rapirmi e costringermi a dormire con lui e i suoi fratelli.

Perché fu così, fu quel che accadde.

Dormimmo insieme, sul letto matrimoniale di Dante. Non ricordo neanche come arrivammo a tutto ciò, so solo che ad un certo punto, parecchio tempo più tardi, mi ritrovai schiacciata tra Dory e Dorian da un lato e Dante dall'altro, in una culla primitiva e umana che mi era sempre stata ignota, ad affondare in un calore che nessuno dei miei guanti avrebbe mai potuto ritrasmettere alla pelle.

Ricordo solo che mi ritrovai in una confusione tale da non poter comprendere nessuno dei miei sentimenti, tra la parte di me che voleva scoppiare a piangere per il sollievo di aver finalmente scoperto cosa significasse far parte di una famiglia e quella che invece voleva fuggire il più lontano possibile, a nascondersi nella sua tana di dolore e sofferenze.

Ricordo solo che pensai, ammaliata dai loro respiri addormentati, così dolci e gentili da far sprofondare anche me nel sonno:

Eravamo proprio delle stupide, non è così?

Bastava così poco per riuscire ad amarci.

E invece ci siamo solo uccise.

«Signorina Reid?»

A fatica riesco a riaprire gli occhi.

C'è odore di disinfettante, tutto è troppo bianco e troppo sterile, le pareti e le lenzuola da cui sono avvolta, il lettino così piccolo che i piedi mi escono fuori. Una flebo attaccata al braccio, una tremenda confusione in testa, come se i pensieri si fossero fatti liquidi e qualcuno avesse iniziato a mischiarli insieme col cucchiaino.

Sono... in ospedale?

Sollevo le palpebre per guardare il dottore davanti a me, un uomo piuttosto giovane per la sua professione. Forse avrà appena quarant'anni. Capelli biondi e occhi chiari, ma mi sento ubriaca, confusa, fatico a mettere a fuoco quello che vedo.

«Cosa... sta succedendo?»

Lui mi sorride, in piedi accanto a me. Ha un sorriso gentile, mi ricorda quello degli infermieri che si sono presi cura di me dopo l'incidente. «Signorina Reid, sono il dottor Spencer. Può rispondere ad alcune domande?»

Sbatto furiosa le palpebre, lo guardo confusa. «Domande?»

«Può dirmi come si chiama?»

«Agatha... Agatha Reid.»

«Quanti anni ha?»

Che sta succedendo? Non riesco neanche a muovermi bene, è tutto troppo confuso. È persino mattina, la luce del sole illumina tutta la camera d'ospedale, ma sono sicura che un attimo fa era piena sera, ero a lezione, stavo preparando un risotto al... Al cosa? Non ricordo più. «Ventitré.» Mi guardo attorno, la stanza è completamente vuota, non c'è nessun altro lettino a parte il mio. «Cosa sta succedendo? Io ero a-»

«Signorina Reid, ha perso i sensi.»

Lo guardo sempre più confusa, il suo sorriso non si disfa. «I sintomi di un'appendicite in corso le hanno fatto perdere i sensi mentre era a lezione, i suoi compagni di corso hanno chiamato l'ambulanza e siamo dovuti intervenire in fretta per attuare un'appendicectomia.»

Di che sta parlando? «Appendicite? Ma... non veniva solo ai bambini?»

Il suo sguardo si addolcisce, o almeno così mi sembra. «È meno frequente, ma può capitare anche agli adulti. Non si preoccupi, però, è tutto risolto, ora, sono venuto a controllare se i suoi valori fossero stabili e se lei avesse ripreso coscienza. Purtroppo, oggi siamo a corto di personale, ci sono stati molti imprevisti che hanno portato a fraintendimenti e intoppi, ma tutto si è risolto per il meglio, non ha di che temere.»

«Io... Io non capisco... Io...» Strizzo gli occhi, un pensiero mi assale, scuotendomi sul letto. «Papà? Avete chiamato il mio papà? È qui?»

Il suo viso sembra farsi strano, un po' diverso, ma non capisco proprio. «Sì, è qui in ospedale, signorina Reid. Al momento, però... suo padre è particolarmente alterato, per questo non è ancora al suo fianco.»

«Papà? Alterato?»

«Come detto, siamo a corto di personale in questo periodo, oggi specialmente, e ciò ha portato a gravi errori... ed equivoci dovuti a coincidenze infauste, tra i vari membri dello staff.» Lo guardo sempre più smarrita. «Suo padre è venuto qui non appena è stato chiamato, in quanto suo contatto d'emergenza, tuttavia, mentre lei veniva operata, un'altra paziente col suo stesso nome, Agatha, aveva da poco perso tutte le sue funzioni vitali, perciò...»

Non capisco proprio, le sue parole mi scivolano in testa e in parte le comprendo, ma mi è ancora difficile dare il corretto significato. Il dottor Spencer sorride ancora. «Non ha nulla da temere, signorina Reid. Suo padre ha le sue ragioni per essere così alterato, cercheremo di rimediare il più in fretta possibile all'errore, così che possa stare qui con lei di nuovo sereno. Quel che deve interessarle, al momento, è solo che lei sta bene ed è in salute, non ci sono state complicazioni all'operazione.»

Papà? Alterato?

Il mio papà?

«Dottor Spencer?»

«Cosa c'è?»

«Con chi è arrabbiato papà?»

Silenzio.

«Ad essere onesto, non glielo so proprio dire, signorina Reid.»

Mi risvegliai con un balzo.

Era lunedì mattina, era il mio monolocale, era la mia vita distrutta che si stava pian piano ricomponendo.

Erano le lacrime della consapevolezza a rovinarmi il volto.

Mi risollevai a sedere sul letto, la mia mano cadde sul ventre, sulla zona poco più in basso dell'ombelico, là dove si trovava la cicatrice di quel sogno. Ne percepii il sottile rilievo attraverso il tessuto del pigiama.

Un sogno che forse era sorto proprio perché il suo evento era stato citato da poco, come se la mia mente, nella sua incoscienza, avesse già iniziato a comprendere, non appena tale situazione era stata portata alla luce, collegandola alle dichiarazioni di mio padre.

E ora quel quadro astratto, senza senso perché privo di inizio e di fine, qual era Lawrence Reid ai miei occhi, d'improvviso mi apparve come un ritratto iperrealistico, con ogni dettaglio al suo posto, così evidente ai miei occhi che mi chiesi come fosse possibile che non ci fossi arrivata subito, ben prima di adesso.

Ora mi era chiara ogni cosa.

Era stato quello... proprio quello... il giorno specifico.

Il giorno in cui aveva capito di non potermi uccidere.

Tre mesi prima della scomparsa di Betsy.

E forse avrei dovuto urlare, forse avrei dovuto gridare, forse avrei dovuto piangere. Ero sempre stata sicura che il senso di colpa mi avrebbe masticata viva, una volta scoperta la verità, qualunque essa fosse, che mi avrebbe smembrata pezzo per pezzo fino a non lasciare più niente di me, se non il rimpianto di esser nata.

Eppure, davanti al pensiero che mi affiorò in testa, una sola cosa provai, un unico sentimento che di rado mi capitava di sperimentare.

Ma certo.

Ecco perché l'hai fatto, ecco perché l'hai scelta.

Perché volevi farmi soffrire.

La sola emozione che mi ero sempre rinnegata, colei che mi aveva fatto esplodere in quello stesso appartamento, settimane addietro.

Imperatrice dell'incoscienza.

L'ira.

Il telefono squillò solo cinque volte e mezzo.

«Agatha, sei tu?»

Fu la prima luce nell'eternità delle mie tenebre.

«Ciao... Lucas.»


Nota autrice:

So che vorreste un mio pippone-analisi, adesso, lo so.

MA NO PUEDE, MI DISP.

Il perché?

Perché mancano alcune cose, che verranno rivelate al prossimo capitolo, per poterlo fare. Se facessi l'analisi mo', sarei costretta a SPOILERARE una marea de robe.

Posso però dirvi alcune cose in merito a quanto si è visto finora.

Prima di tutto, vorrei che notaste il cambiamento "caratteriale" di Agatha che, senza che se ne renda conto, sta man mano diventando più sicura di sé, e questo lo si può vedere sia nel riflesso del suo rapporto con Dante che proprio con quanto accaduto con questi due plot twist finali.

Il primo: Agatha che capisce QUANDO Lawrence ha compreso di non poterla uccidere e automaticamente anche perché ha scelto Betsy.

"Simo, ma come ha fatto a capirlo?"

La questione importante riguardo a Betsy era se Lawrence avesse capito si non poter uccidere Agatha PRIMA o DOPO il rapimento di Betsy.

Se fosse stato dopo, infatti, ciò voleva dire che la ragione scatenante dietro tale sua scelta non per forza riguardava Agatha.

Se fosse stato prima, invece, palesemente la riguardava.

Una volta, sotto un commento, risposi che il giorno specifico di cui parla Lawrence è stato molto diverso per Agatha, per questo lei subito non ha potuto fare 2+2. Ora potete capire che intendevo.

Cioè che Agatha ovviamente, a causa dell'anestesia, dell'operazione e tutto quanto il resto, non lo ha vissuto come invece lo ha vissuto Lawrence dall'altro lato, colui che era stato chiamato per dirgli che la figlia aveva perso i sensi d'improvviso.

Da quanto il dottor Spencer ci dice, infatti, a causa di varie coincidenze e negligenze dello staff, si può intuire che c'è stata una sorta di scambio delle pazienti.

Cioè che mentre Agatha era in ospedale, un'altra Agatha fosse appena schiattata.

Ed ecco qui la formula magica:

Ospedale a corto di personale --> staff presente sobbarcato di stress e impegni doppi --> più possibilità di incorrere in errori dovuti a tale stress --> "Ah, tua figlia Agatha? Sorry, è SCHIATTATA"

Irrealistico, potreste pensare.

No.

Perché è successo a mia madre con SUA madre.

Le avevano detto che era appena diventata orfana e poi, mezz'ora più tardi: "Aspe! Ma intendevi un'altra Rosaria?? Nono, lei è viva, tranquilla!"

Rip. Nonna, sei stata amata da tutti
(E manco eri morta)

Tornando alla questione, vi vorrei fare notare che la prime emozione in assoluto che Agatha prova, davanti a quanto appena realizzato, è...

L'IRA

Agli inizi della storia, sarebbe sprofondata nei sensi di colpa estremi dandosi la colpa di tutto, qua invece è proprio incazzata nera.

E credetemi, Muffins: LO È DAVVERO, SUPER MEGA IPER EXTRA NERA

Il secondo: Agatha come prima persona in assoluto con cui vuole comunicare, una volta fatto 2+2, non è Dante, non è Minnie, è Lucas.

Il perché lo capirete al prossimo capitolo, ma anche questa è un'evoluzione immensa rispetto a prima, in cui a stento aveva il coraggio di leggersi le mail di lui.

Perché sì.

Il best papà evah, padre della best girl evah, Lucas George, sta per tornare.

Gran parte del prossimo capitolo sarà con lui.

SPACCA TUTTO, LUCAS.

Alcuni di voi m'hanno chiesto quanto manca alla fine del libro, sinceramente MANCO IO LO SO.

O meglio, io posso dire che ci stiamo avvicinando alla fine, ma quanti capitoli ci vorranno BHO.

Mancano ancora molti nodi da sciogliere e vi ricordo che io non metto mai personaggi/situazioni a casaccio (solo nella LCDC perché ero un'adolescema cogliona)

Vi sottolineo inoltre che nelle stories IG io ve lo avevo detto:

C'era un dettaglio che io avevo citato finora due volte, la prima nel capitolo "Sorelle" e la seconda nel capitolo "Testa di coccio" e si riferiva proprio al giorno dell'appendicite di Agatha.

Come faccio a ricordarmi questi capitoli? Me li sono riandata a vedere?

NO.

C'ho tutto programmato in una sorta di scaletta che più che scaletta è tipo tesina di maturità con tutti i collegamenti, per non ammattirmi perché c'ho il cervello scemo che dimentica tutto in 0.000001 secondi.

Dettagli parola chiave de sta storia, insieme a "Come dice una gran donna, cioè io."

Nei capitoli precedenti vi dissi due cose:

I traumi verranno vissuti da Agatha diversamente da come li viveva prima, con questo finale potete già intuire cosa intendevo.

Dante sarà direttamente coinvolto.

Perché davvero voi credete che il nostro Orange Boy, una volta aver scorto la sua Beagatha incazzata nera, se ne starà zitto e buono a farsi i cazzi suoi?

Pfffff

Mai, mai sottovalutare un Orange Boy e quello che potrebbe fare per la sua Beagatha.

Ci vediamo col prossimo capitolo e il best papà evah, Lucas George (Lucas, amorino mio, quanto m'eri mancato😭) sciau!

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