Herbie
Mandar giù il ramen fu un'altra impresa impossibile, dato che ad ogni boccone mi sembrava di star masticando aria. Ancor più difficile fu cercare di non crollare e fingere di essere una ragazza come tante, seduta a quel tavolo dell'appartamento, con altra gente ad affiancarmi, come se nulla fosse e quello fosse un giorno quotidiano come altri, quando ogni mio pasto nel corso degli ultimi quattro anni l'avevo consumato in totale solitudine, in casa mia, nel silenzio della vergogna e dei sensi di colpa.
La sola nota positiva di tutta quella faccenda fu che i gemelli adorarono il ramen, erano così entusiasti che non fecero altro che canticchiare felici ad ogni boccone. Vederli sorridenti, estasiati da quella pietanza che gli era sempre stata sconosciuta fino ad allora, compensò il disagio che stavo provando fino a quel momento.
Anche Rosemary apprezzò molto, riempiendomi insieme ai due nanerottoli pestiferi di complimenti e nel sentirli la mia timidezza naturale aumentò a dismisura, irrigidendomi sulla sedia dove mi trovavo e inducendomi a chinare lo sguardo sul mio piatto.
Dante non disse nulla, e quella fu un'altra cosa per cui fui grata. Che mi avesse complimentata a sua volta o al contrario mi avesse criticata, il risultato sarebbe stato comunque lo stesso: mi sarei sentita ancor più male e la mia voglia di scappar via avrebbe raggiunto le stelle.
Tuttavia, scorgere gli occhi illuminati di Dory e Dorian, le loro guance arrossate dalla felicità mentre mandavano giù gli spaghetti, sciolse un po' il nodo che mi aveva attorcigliato lo stomaco.
Finito il pranzo, una stanchezza disumana mi cadde addosso con così tanta furia che ebbi l'impressione di esser sul punto di addormentarmi sulla sedia. Sapevo che quell'improvviso senso di sonno era dovuto per lo più alle notti intere passate a rotolarmi sul materasso per l'ansia di quel pranzo, incapace di addormentarmi, ma fu comunque umiliante.
«Giovanotta.»
Sussultai quando udii la voce di Rosemary accanto a me, mentre mi risollevavo in piedi dalla sedia, pronta ad aiutare i gemelli e Dante a sparecchiare il tavolo. Mi voltai a guardarla, addosso aveva un sorriso gentile che da troppo tempo non mi veniva rivolto. «Perché non ti siedi un attimo sul divano?» mi suggerì con voce calma, ed io serrai la mascella. «Hai cucinato per un sacco di ore, sarai stanca, un po' di riposo non può che farti bene.»
Mi morsi l'interno delle guance, imbarazzata dal fatto che la mia spossatezza risultasse così evidente ad occhio nudo, e mi chiesi cosa fare. La scelta più saggia sarebbe stata andarmene via di lì, ma era anche vero che, se mi fossi messa in macchina in quel momento, era molto probabile che mi sarei addormentata mentre guidavo. Avrei rischiato di far male a qualcuno o ucciderlo proprio se avessi sbandato a causa del sonno.
O forse... forse era meglio andare comunque in macchina e riposare lì per un po', sul sedile? In questo modo, non avrei dato fastidio a Dante. Tuttavia... c'era il rischio che qualcuno mi vedesse da fuori attraverso il finestrino e mi riconoscesse. E purtroppo non ero capace di dormire con la mascherina addosso, così da nascondere la mia identità.
«Thaty!» Dorian mi si avvicinò in fretta, mentre la sua gemella, oltre la penisola, stava lavando le stoviglie con Dante nel lavandino. «Che voi una coperta? Così te stai al caldo.»
Ogni mio nervo si irrigidì, avrei davvero solo voluto scomparire nel nulla, tutto pur di fuggire da quella famiglia che mi donava così tanto calore quando non me lo meritavo, ma davanti allo sguardo innocente di quel bambino, non trovai la forza di ribellarmi.
«N-No» balbettai. «Starò bene senza... Riposo solo... Solo qualche minuto.»
Lanciai un'occhiata di sottecchi a Dante. Mi dava le spalle, mentre lavava con Dory i piatti, ma ero certa avesse sentito tutto. Sicuro era alterato per la mia decisione di approfittare così del loro appartamento per farmi una pennichella, ma forse non voleva indispettire ancor più i gemelli, per questo non si era opposto.
Con passi meccanici, andai a sedermi sul divano in fondo alla sala. Come ricordavo, nonostante il suo aspetto vecchissimo e malconcio, era davvero morbido, una nuvola vera e propria, e questo aiutò il corpo a rilassarsi di poco, mentre mi costringevo a chiudere gli occhi, deglutendo a fatica, con le voci squillanti dei gemelli che insultavano Dante come al solito, lui che gli rispondeva a suo modo e Rosemary che commentava.
Non so perché, non so come, mi addormentai subito.
E non sognai niente.
Quando risollevai le palpebre appesantite, ero così intontita da non riuscire più a muovermi. Mi ci vollero fin troppi secondi per ricordarmi dove mi trovavo, e ora la mia testa era posata contro l'angolo dello schienale del divano, vi si era appoggiata addosso mentre mi ero addormentata.
La prima cosa che pensai, persino nello stordimento di quella sonnolenza, fu che non c'erano più le voci forti dei gemelli a riempire la sala, ma altre giunsero ben presto alle mie orecchie, proprio alle mie spalle, provenienti dalla cucina.
«Giovanotto» sentii dire da Rosemary, il tono rauco, «stai a fa' proprio lo stronzo, lascia che te lo dica.»
«Risparmiami la tua morale da nonna mancata, Rosemary, non ne ho bisogno» la voce di Dante era sicura e anche un po' irritata.
Strinsi le mani sulle cosce in due pugni, mi chiesi se fosse il caso di intervenire e avvisarli che mi ero svegliata, non volevo nemmeno immaginare quanto si sarebbe alterato Dante se avesse saputo che li stavo origliando, ma al contempo avevo anche paura che si alterasse proprio perché li avevo interrotti.
«Non te sto a fare la morale, te sto a notare che stai a fare lo stronzo più del solito» replicò decisa Rosemary. «C'hai due occhi che funzionano benissimo e un cervello capace de ragionare, so sicura che hai capito subito che quella giovanotta non ha fatto niente.»
Un macigno mi cadde nello stomaco, fu così violento che mi parve di perdere i sensi.
«Dicevano la stessa cosa del padre suo, Rosemé» sentenziò Dante, e il macigno si fece più grande e pesante. «Come credi che se la sia cavata in trent'anni, quel pezzo de merda, eh?»
Deglutii a fatica.
«Da quando sei uno che fa ricadé le colpe dei genitori sui figli loro?» domandò lei. «Lo so che te preoccupi per i fratelli tuoi, ma non te puoi mette a condannalla così, a quella giovanotta. C'ha il mondo intero a detestarla senza che sappia nulla de lei, e già questa è 'na gogna che non se merita, non t'aggiungere pure tu.»
Avrei voluto dir qualcosa, provare a spiegare che era tutto sbagliato, che era proprio quello che meritavo, ma non osavo parlare, perché inevitabilmente mi ritrovavo a sentirmi sollevata nell'udire le parole di quella sconosciuta, così tanto che gli occhi mi bruciarono quasi con rabbia.
«Me stai a di' che dovrei lasciarla fare in casa mia senza preoccuparmi? Sul serio?»
«Ce sta che te preoccupi, non è questo che te rimprovero. Quello che te sto a di' davvero» dichiarò severa Rosemary, «è che te stai a mette su un piedistallo per condannarla quando non sei nessuno per fallo.»
Chiusi le palpebre, mi costrinsi a respirare, perché più ascoltavo Rosemary, più l'aria mi fuggiva dai polmoni.
«È normale ave' sospetti, Rosemary, tu te stai a fa influenzà troppo da quelle cagate di telenovelas che te guardi ogni giorno. Ma la vita reale non è come quelle.»
«E tu te stai a fa influenzà troppo dal tuo passato.»
Silenzio.
Un minuto intero di silenzio.
Rosemary proseguì: «Te conosco molto bene, ragazzo. La so la ragione vera perché la giudichi così male, a quella giovanotta, e non è tanto perché temi c'abbia 'na montagna de cadaveri alle spalle. C'hai i neuroni che te funzionano ancora, miracolosamente, direi pure. L'hai capito che non c'entra un cazzo con il padre, l'hai vista con gli occhi tuoi, sta a fa' tutto quello che non dovrebbe fa' mai se davvero fosse complice sua e stesse recitando. Quello che te dà fastidio de lei è il motivo per cui s'è trasferita qui, la giudichi per questo.»
Mi parve che il mio intero corpo si fosse trasformato in pietra.
Dante attese qualche secondo, prima di rispondere: «Nessuno con un po' de cervello andrebbe a trovare quel pezzo de merda, dopo tutti quelli che ha sterminato, figurarsi trasferirsi apposta per farlo. Non ci vuole molto a capirlo.»
Era meglio se interrompevo subito quella conversazione, avevo paura che sarei scoppiata a piangere da un momento all'altro, ma ero così congelata sul posto da non trovare la forza di schiudere le labbra.
«Giovanotto, non sai un cazzo de quella ragazza.»
«Quindi me stai a di' che fa bene ad andà a trovare quel figlio de puttana?»
«Te sto a di' che né te né io sappiamo la storia sua, la storia sua vera, non quella riassunta dai telegiornali, quindi non c'avemo alcun diritto de stabilì se fa bene o male.»
«Ma per piacere, Rosemé, non mi prende per il culo. Quello lì è un pezzo de merda, merita solo de venì torturato da bestie come lui e poi ucciso nella solitudine più profonda.»
«Per noi è un pezzo de merda, per lei è un pezzo de merda e anche il suo babbo.»
Non piangere, non piangere, non piangere.
«Te l'ho ripetuto migliaia di volte, giovanotto» continuò Rosemary, la voce rauca. «Non se può mai sceglie che sentimenti provare per qualcuno. Se si potesse, la vita sarebbe più semplice per tutti noi, ma non è così. Al cuore non se comanda, men che meno per gente che è la nostra famiglia.»
«Al cuore forse non se comanda, per questo tocca usare il cervello che se comanda benissimo.»
«Posa quella toga da giudice che te sei messo addosso, ragazzo, non sei nella posizione pe' indossalla. Non solo metti a disagio lei, facendo così, ma anche i tuoi fratellini.»
«Che minchia c'entrano loro, ade'?»
«Perché credi che la difendano in 'sto modo, eh?»
Mandai giù una cascata di saliva, pesante e dura come il catrame.
«Non stai a giudicà solo lei, facendo così, ma anche loro due. Devi imparare a guardare al di fuori de te stesso, Da', e capire che al mondo non tutti so come te che appena te fanno male recidi subito il rapporto o te vendichi. Ognuno c'ha la sua storia dietro, diversa da tutte, non spetta a te decide se è bene o male se fa cose del genere. Te lo ripeto: te stai a fa' influenzà troppo dal tuo passato e non riesci a guardà in maniera oggettiva la situazione, quando quella ragazza non c'entra un cazzo con esso.»
Era meglio intervenire subito, stavo ascoltando dettagli privati di una situazione familiare in cui non c'entravo nulla, ma avevo troppa paura di essere detestata ancor più da Dante, e non avevo idea di come muovermi.
«Non lo sai manco, il motivo vero per cui quella giovanotta lo va a trovà, e anche se lei provasse a spiegattelo, tu la condanneresti lo stesso per principio. Togliete quegli occhiali col filtro del tuo passato che c'hai al naso e comincia a guardalla ad occhi nudi. Lei non è Jane, Dante.»
Che dovevo fare? Non lo sapevo più. Desideravo soltanto scoppiare in un pianto a dirotto e al contempo svanire, smaterializzarmi e non esistere più, perché ero divorata dai sensi di colpa dovuti al sollievo di sentire Rosemary difendermi così.
«Non la conosci affatto, a quella giovanotta, non sai niente di niente di lei, e non sai un cazzo nemmeno sul conto di quella bestia, se non i crimini ch'a commesso, ma non basta conoscere quelli per di' de sapè tutto de quell'uomo, per quanto orrendo possa sembrare. Ave' letto gli articoli de giornale su de loro non significa conoscelli davvero, perché so persone, non informazioni su un foglio, e sì, anche quel mostro è persona, se non lo fosse non sarebbe manco mai potuto esse mostro, purtroppo solo noi umani c'avemo 'sta possibilità de diventallo, non certo gl'animali.»
Avevo l'impressione di avere i polmoni bucati.
«Nemmeno lo sai che tipo de rapporto avevano quei due, prima che se venisse a scoprì tutta la merda che lui ha fatto, quindi fatte i cazzi tuoi, Da', perché non c'hai un minimo de diritto de mettete a sentenziare così su quello che lei deve o non deve fa'. È il babbo suo, non tuo, spetta solo a lei stabilì com'è giusto comportasse con lui, tu sei e resterai un estraneo in 'sta storia come il resto del mondo.»
I denti mi si stavano per spaccare, tanto stringevo la mascella.
Dante non rispose ancora, così Rosemary continuò: «Te lo dico per la millesima volta, perché c'hai una catena montuosa intera al posto del cervello tanto se' de coccio: per quanto 'na persona possa fericce, per quanto 'na persona possa facce del male, se è stata importante per noi, se è stata amata da noi e siamo stati amati da lei co' tutta l'anima, non è semplice separarcene. Il male che ce fa adesso non cancella il bene che c'ha fatto prima, non funzionano così i sentimenti, non so calcoli matematici dove la sofferenza negativa va ad annullà l'affetto positivo, purtroppo o per fortuna il cuore c'ha posto per entrambi. Non tutti so come te, Da', accettalo, a giudicarla così non la aiuti ma anzi la fai sta' ancora più male, e de dolore quella ragazza ne sta patendo abbastanza, ti ci vuoi mettere pure tu? La accusi de non usà il cervello, ma che pensi che invece tu stai ad usare il tuo? Te lo dico io, giovanotto, no. Te credi di poter dire cos'è giusto che lei deve fare e provare solo perché te ricorda Jane e per questo te fa incazzà, il cervello di cui ti vanti tanto non lo stai a usare manco per il cazzo.»
Non piangere, non piangere, non piangere.
Non sei in diritto per farlo, lo sai.
Strizzai gli occhi con furia, iniziai a pensare a un modo per interrompere la conversazione senza che capissero che avevo origliato per tutto quel tempo, quando un rumore sordo e forte esplose nell'aria, inducendomi a risollevare la palpebre.
«Rompiballe!» Dorian era uscito dalla sua stanza. «C'hai preso tu il nostro mazzo de carte Pokémon, ve'?»
«Fa' piano, giovanotto, la ragazza sta dormendo» lo avvisò Rosemary alle mie spalle e sia io che Dorian sussultammo, dal suo viso era evidente che se n'era completamente dimenticato e quando mi scrutò e si accorse che ero sveglia, Dory lo assalì alle spalle, saltandogli addosso.
«T'evo detto de fa silenzio, gemello scemo!» Entrambi mi guardarono preoccupati. «Scusalo, Thaty, non volevamo svegliarti, è che la nostra supposta nel culo c'ha de nuovo fregato le carte da gioco.»
«N-No, non è un problema» mi schiarii la gola, affrettandomi a rialzarmi in piedi. Ero più che grata di quell'interruzione, così non mi ero fatta scoprire da Dante. «Anzi, è meglio così, non potevo... non potevo dormire troppo a lungo.»
Dante mi superò dalle spalle e raggiunse i fratelli, Dory ancora sulla schiena di Dorian, li guardò con giudizio. Non sembrava per nulla turbato da quanto appena discusso con Rosemary, mi domandai se fosse perché era una persona brava a digerire in fretta quel genere di conversazioni o se fosse perché non gliene importava niente dell'opinione di quella donna.
«Avete saltato la scuola scappando dalla finestra» fece presente, «non solo, siete stati in giro senza il mio permesso, m'avete scassinato di nuovo la porta della stanza, fregato il taser e l'avete usato contro un'altra persona. Che v'aspettavate, che vi facessi gli applausi?»
«Sì» risposero in coro i gemelli, mentre lei scendeva dalle spalle del fratellino e gli si metteva affianco, fissando come lui Dante con aria orgogliosa.
«Facendolo, avemo salvato a Thaty» dichiarò Dory fiera.
«Avemo fatto soffrì 'no stronzo» dichiarò Dorian fiero.
«Avemo fatto i compiti» proseguì lei.
«Avemo magnato il ramen» continuò lui.
«Grazie a noi, presto c'avremo i soldi de Thaty, tu smetterai de scopatte cimici e soprattutto io e Dorian arriveremo ad avecce i peli e a non morì come i bambini in Africa.»
Dorian si posò una mano sul petto, gli occhi chiusi in un'espressione d'agonia. «Malnutriti.»
«Rinsecchiti.»
«A soffrì la fame.»
Dory singhiozzò e finse uno svenimento. «Con gli ossi che se vedono tutti.»
Il fratellino si abbracciò, strofinandosi le mani sulle braccia quasi stesse congelando. «E il freddo crudele della morte addosso.»
Le labbra mi tremarono nel tentativo di non scoppiare a ridere, specie quando Dante chiuse gli occhi per molti secondi, alla ricerca della pazienza. Rosemary, ora dietro di lui, sghignazzò e mostrò ai gemelli il pollice all'insù.
«Le carte Pokémon ve saranno proibite per le prossime tre settimane» affermò serio, ignorando i versi di protesta dei suoi fratellini. «Imparate a darme retta, scemi, e vedrete che risolverete tutto.»
«Per carità, che se te damo retta finimo per diventà scopacimici come te» replicò Dorian. «Meglio la morte.»
«La fame.»
«Il dolore.»
«Ve le farò provare tutte e tre, queste cose, se non v'azzittite subito.»
«Non prenderci per il culo, lo sappiamo già che c'hai palle solo per minacciare e scopare, fratello, non per ammazzare.»
«Scopare cimici» precisò Dorian.
«Ce dovresti solo daccene delle altre, di carte Pokémon, rompicoglioni» continuò Dory. «Grazie a noi e ai nostri cervelli, finalmente guarirai dalle cimici co' Thaty.»
«E manco te la meriteresti, a Thaty, tu, ma purtroppo non potemo facce adottare da lei, quindi tocca che te la prendi tu.»
«Come dice una gran donna, cioè io, se non puoi farti adottare da Thaty, adotti tu Thaty, così continuerà a cucinacce.»
«E soprattutto è ricca, non lo dimenticare.»
Nascosi le risate con continui colpi di tosse. Quei due gemelli avevano davvero la capacità di risollevare anche il mio umore più nero solo grazie alle loro battute.
Dante sospirò, si massaggiò le tempie con la mano, non potevo proprio biasimarlo per questo.
«A proposito, Thaty» mi chiamò d'improvviso Dorian. Si avvicinarono a me tutto d'un tratto, li guardai confusa quando entrambi mi puntarono gli indici contro: «Prossima domenica.»
«Volemo quello spagnolo.»
Corrucciai lo sguardo, sempre più perplessa. «Spagnolo?»
«Cocco madrupengo» rispose Dorian.
«Cocco macomeminchiasechiamapengo» rispose Dory.
Tutti i miei organi si congelarono, faticai persino a respirare. Non avevo preso in considerazione la possibilità che volessero ripetere quell'evento, e non volevo nemmeno sollevare lo sguardo dalle loro teste per guardare Dante, tremavo già al pensiero dei suoi occhi carichi d'ira per quella richiesta.
Strinsi le mani tra loro, torturandomi le dita. Sapevo quanto ci tenevano a quei piatti, sapevo che gli piacevano davvero, l'avevo visto coi miei occhi, ma ero anche ben consapevole che più mi stavano alla larga, meglio era. Iniziare ad avere frequentazioni vere e proprie... non era la scelta giusta.
E soprattutto... non potevo permettermelo.
Affatto.
Ogni sorriso che mi sfuggiva con loro, ogni risata, ogni goccia di felicità, venivano subito appuntati nella lista di peccati che poi avrei dovuto scontare più tardi, e avevo ormai imparato che Dio non mi avrebbe fatto patire quella condanna sulla mia stessa pelle, perché era una sofferenza troppo banale e semplice, sarebbe invece ricaduta sulle persone che mi circondavano e a cui mi stavo affezionando, quei due bambini innocenti che non avevano fatto nulla di male se non voler diventare miei amici.
Proprio come Betsy.
Aprii la bocca, cacciai dentro tutta l'aria disponibile, mentre provavo a modulare il tono di voce così che non filtrasse insieme anche la mia sofferenza, il rimpianto. «Non posso, mi dispiace» esalai alla fine. «Io... sarò molto impegnata, nei prossimi mesi, e non avrò tempo per... venire da voi e cucinare.»
Entrambi mi guardarono con fare divertito, arrossii con furia.
«Che c'hai da fare?» mi provocò Dorian.
Le dita presero a masticarsi tra loro.
«Cose da grandi» bisbigliai con un soffio, i loro sorrisi si fecero giganti.
Si strinsero nelle spalle. «Va bene» rispose alla fine Dorian, e ciò mi sorprese così tanto da indurmi a sgranarmi gli occhi. «L'avevamo immaginato, ch'avresti risposto così.»
«Che peccato» commentò Dory, iniziando a far dondolare la gamba sinistra in su e in giù. «Vorrà di' che d'ora in poi lasceremo tutti i nostri test di scuola bianchi.»
Ebbi un sussulto.
«Non risponderemo neanche a una sola domanda» continuò Dorian, assumendo la stessa posa della sorella.
«Ohi, bestie» Dante ci si avvicinò con passo duro, li fulminò con gli occhi.
«Prenderemo una F dietro l'altra» lo ignorò Dorian.
«Diventeremo scemi e rimbambiti» proseguì Dory.
«Come le cimici.»
«Non sapremo più manco aprì 'na porta, tanto saremo rincoglioniti» fischiettò lei.
«Ripeteremo l'anno fino a quando c'avremo sì i peli, ma pure le rughe da vecchiacci.»
«Bestie, volete morì in atroci sofferenze?»
«Tanto saremo troppo stupidi per capì de sta a soffrì» replicò Dorian. «Così rincoglioniti che manco potremo mettece i calzini da soli.»
«Finiremo sotto i ponti, senza diploma, ma non potremo manco scrive i cartelloni per chiede i soldi perché ce saremo dimenticati pure come fa quello.»
«Saremo costretti a rubà per sopravvive.»
«Ogni giorno col rischio de morì per mano de altri.»
«La scuola è importante» gracchiai ormai in preda al panico. «Davvero molto, molto importante. E voi siete intelligentissimi, se vi impegnate, riuscirete a studiare senza problemi. Non avete bisogno... Non avete bisogno di me per farlo.»
«No, ma non c'emo voglia de fallo» mi corresse Dory.
«Ce l'avremo se tu ce cucini» rimarcò Dorian.
Mi morsi con furia il labbro, fino a sentire il sapore del sangue. Non avevo idea di come comportarmi, perché per quanto scherzassero con le battute, avevo ormai intuito che erano veramente capaci di consegnare quei compiti senza neanche averli guardati.
«E poi a te piace insegnacce e cucinare, perché non vuoi farlo?»
Sobbalzai di nuovo, imbarazzata per esser stata scoperta così da Dorian, e sentii il rossore masticarmi tutto il viso.
"È proprio questo il problema" avrei voluto rispondere. "Non posso fare qualcosa che mi rende felice."
«È... pericoloso, avere a che fare con me» gracchiai alla fine. «Se continuaste a venire da me... correreste dei rischi e-e-»
«Allora vieni tu da noi» m'interruppe Dory.
«Vero, vero, c'emo anche la casa più grande.»
«E così il rompicoglioni non ci rompicogliona più, appunto, dato che non uscimo.»
«Può controllacce Rosemary, vero, Rosemé?» Dorian si voltò dietro col capo, guardò la signora che, di tutta risposta, gli fece l'occhiolino.
Mi feci di marmo sul posto, stentavo a respirare, non fui nemmeno capace di mascherare le due emozioni che mi stavano masticando dentro: il desiderio di cedere a quella richiesta e il terrore di farlo e condannarli per sempre. Sentii entrambe calcarmi il viso, distruggerlo, raggrinzirlo e stenderlo ancora e ancora, in un ciclo eterno in cui una cercava di predominare sull'altra senza mai ottenere vittoria.
E non volevo nemmeno immaginare l'ira che Dante stava provando in quel momento, davanti alla richiesta dei suoi fratellini, al modo in cui di sicuro aveva pensato li stessi comprando di nuovo.
«Tanto lo sappiamo che non c'hai niente da fa, Thaty» mi fece presente Dory. «Che voi passà davvero tutte le tue giornate a casa senza fa' niente?»
«Almeno con noi te diverti e sorridi.»
Le mani mi facevano male, tanto le stavo contorcendo, e il cuore pulsava un dolore acuto ad ogni battito, lo diffondeva nelle vene e adesso tutto il corpo tremava per la sofferenza.
L'hai ammazzata tu! Me l'hai ammazza tu! Era la mia bambina! La mia bambina! E tu me l'hai portata via!
Fu difficile riprendere a respirare, nell'udire di nuovo la voce di Joanne in testa, a latrarmi contro, divorando qualsiasi pensiero speranzoso.
Non andava bene, così.
Io dovevo... dovevo solo fare una cosa.
Resistere fino al 5 agosto.
Solo questo.
Era l'unica cosa che potevo e dovevo fare.
«Non posso» soffiai alla fine, tentando disperata di non far tremare la mia voce, «non è una buona idea, e sono sicura che neanche vostro fratello è d'accordo, è meglio se-»
«Se ce sta Rosemary non è un problema.»
Lo stupore prevalse su qualsiasi forma di paura e timore provassi. Risollevai lo sguardo, e vedere quello severo di Dante, privo di giudizio, mi sconvolse ancor più. Non era sereno, ma nemmeno adirato, non c'era condanna negli occhi nocciola, e questo mi confuse così tanto che per poco non crollai a terra.
Rifeci cadere lo sguardo sul pavimento, sui miei piedi, le dita ad attorcigliarsi ancora.
E l'unica cosa che fui in grado di dire fu, con un sussurro a stento udibile: «Ok.»
Me ne pentii l'attimo dopo, non appena scorsi i sorrisi goduriosi dei gemelli.
Ma non ebbi modo di rimangiarmi la parola.
Era la mia bambina! La mia bambina!
Dieci minuti più tardi, finalmente fui in grado di uscire di casa dei gemelli pestiferi, dopo essermi accordata con Rosemary sugli orari con cui andare da loro.
Un buco nero di panico mi si era creato nello stomaco e stava divorando tutto, stentavo a concepire pensiero, tant'ero devastata da esso, incapace di comprendere cosa stessi facendo.
I dubbi mi stavano invadendo, avevo il bisogno primitivo di correre indietro, in quella casa, dire che non potevo più fare quanto appena accordato, per poi scappare via, ma mi facevano male tutti i muscoli e avevo paura che, se ci fossi riuscita, nel farlo sarei scoppiata anche in un pianto a dirotto.
Perché non lo sapevo, non lo sapevo più cosa stavo facendo.
Inspirai a fondo, la mascherina ancora abbassata, il cappuccio già a soffocare i capelli, infilai una mano nella tasca della felpa e tirai fuori il pacchetto di sigarette. Era meglio se cercavo un posto appartato dove andarmele a fumare, invece che farlo mentre camminavo, perché correvo il rischio di essere riconosciuta.
Ma... forse era meglio così? Se mi avessero fatto qualcosa dopo avermi riconosciuta... avrei avuto la scusa perfetta per cancellare quell'assurdo patto appena stretto coi gemelli. Se fossi stata fortunata, magari avrei trovato persino qualcuno che mi avrebbe pestata, e così proprio non avrei-
«Ohi.»
Saltai sul posto, masticata dalla paura nel sentire la voce di Dante alle mie spalle.
Dovevamo incontrarci sempre in quel modo, noi due, quand'eravamo da soli?
Non ebbi il coraggio di voltarmi verso di lui, fui costretta a sfilare subito la sigaretta dal pacchetto e accendermela. Sentivo la necessità della nicotina per trovare il coraggio per dirgli la sola parola che meritava di ricevere: «Scusami.»
Non gli diedi il tempo di rispondere: «A-Avrei dovuto essere più dura nel rifiutarli, non cedere così facilmente. Ti ho... ti ho costretto ad accettare, per colpa mia adesso-»
«Non avrei accettato, se non l'avessi voluto. Quei due saranno pure flagelli del demonio, ma non me faccio condizionà così da loro.»
Aspirai avidamente dalla sigaretta, accumulando più fumo possibile in gola, per poi sbuffarlo tutto insieme. Ero felice che gli dessi le spalle. Con lui finivo sempre sull'orlo di una crisi di pianto «Bene» bisbigliai alla fine, e feci per avanzare, «allora ci vediamo-»
«Quanto hai speso?»
Mi bloccai. «Speso?»
«Per il pranzo, quanto hai speso?»
Presi con forza un altro tiro, sollevai gli occhi al cielo, si era già fatto il tramonto, tra poco sarebbero arrivate le oscurità della notte a tinteggiarlo. «Nulla di che.»
«Non mi prendere per il culo.»
«L'ho fatto perché lo volevo» mugugnai a stento. «Non perché tu... mi dessi i tuoi soldi. È stata un'idea mia... quella di preparargli il ramen... per convincerli a studiare, perciò... è giusto che paghi io.»
Sentivo i suoi occhi sulla schiena, veri e propri pugnali che mi s'incastravano tra le vertebre. «E non voglio...» le parole sgorgarono da sole dalle labbra, «che mi paghi anche per i piatti successivi o per il resto... non mi piace... ricevere soldi così. E poi, come dice Dorian... sono ricca.»
Più continuava a guardarmi, più io mi irrigidivo e fumavo velocemente. Con la mano libera, iniziai a rigirarmi tra le dita la piccola croce del mio rosario, nel tentativo di smorzare la tensione. A quel punto, mi ritrovai a dire: «Non ti devi... preoccupare troppo.»
«In che senso?»
Presi l'ultimo tiro, buttai fuori il fumo e feci cadere il mozzicone per terra. «Appena papà verrà giustiziato, il 5 agosto...» mormorai, per poi irrigidirmi di nuovo. Sapevo che citare mio padre con lui era una pessima idea, ma forse, in quel modo, lo avrei potuto tranquillizzare. «Appena verrà giustiziato... me ne andrò via da qui.» Me ne andrò con lui. «Sono un po' di mesi, lo so, ma comunque-»
«Dove andrai?»
All'inferno.
Chiusi le labbra. Rimasi in silenzio per qualche secondo. «Non lo so ancora» sussurrai alla fine. «Pensavo... all'estero.»
Quella bugia mi cadde nello stomaco come un ceppo di fuoco, bruciandomi le viscere.
«Ad ogni modo... aspetta il 5 agosto, così poi... leverò le tende.» Mi strinsi nelle spalle, fissai la stradicciola davanti a me, risollevai la mascherina. «Ci vediamo.»
Ma non appena iniziai a camminare, udii il suono dei suoi passi, proprio accanto a me. Voltai il capo alla mia destra, stupefatta nel vederlo proseguire al mio fianco, il viso dritto davanti a sé, l'espressione severa di sempre.
«Che... Che stai facendo?»
«Ti riaccompagno alla macchina.»
Riportai lo sguardo alla stradicciola, con il buco nero che iniziava a divorarmi anche i respiri, ora. «Non ne ho bisogno» balbettai. «Non è... così distante.»
«Meglio, così facciamo prima.»
Ripresi a rigirarmi la croce tra le dita. «Non vedo... perché tu debba farlo.»
«T'ho già detto che non sono così stronzo come ti credi.»
Parlare era così difficile che avrei voluto solo graffettarmi la bocca. «Non è questo...» biascicai. «È solo che... non capisco perché tu voglia... farlo.»
«Non l'avevi detto mica tu? Che non ti conosco affatto.»
Chinai il capo in basso, speranzosa che il cappuccio coprisse i miei occhi e il dolore che li stava dilaniando. «Mi sono già scusata per-»
«Sto a ditte che dato che ce dovremo avere a che fare per un bel po', a causa di quei due flagelli del demonio, me conviene conoscerti come dici te.»
Rimasi sorpresa, ma non così tanto. Aveva senso, quello che stava dicendo. Doveva assicurarsi che tipo fossi, che non fossi davvero come mio padre, per garantire la protezione dei due fratellini. In fondo, per quanto Rosemary sarebbe stata con noi, era comunque meglio sapere più cose possibili su di me.
O forse era per via di quello che la stessa Rosemary gli aveva detto prima... anche se ne dubitavo molto.
Avevano parlato di una certa Jane... mi domandai di chi si trattasse. Forse la madre dei tre fratelli? Da che ricordavo, Dante e i due gemelli avevano padri diversi, quindi era possibile.
Deglutii ancora. Non erano affari miei, non mi riguardavano.
Io dovevo solo cercare di farmi coinvolgere il meno possibile, anche in quella situazione così assurda. Sarei andata da loro, avrei studiato coi gemelli e poi sarei tornata a casa. Magari nel mentre avrei iniziato a cercare qualche scusa buona con cui rompere quel patto, sì.
Un'idea mi si infilò in testa. «Tu per caso... sai perché piaccio così tanto... ai tuoi fratelli?»
Continuai a guardare per terra, ma avvertii lo stesso i suoi occhi addosso. Ci fu silenzio per un bel po' di secondi. «Perché me lo chiedi?»
Mi mordicchiai il labbro già devastato dai denti. «Beh... magari... potrei... non so, provare a non farmi piacere da loro» suggerii a quel punto. «Così... non vorranno più la mia compagnia.»
Altri dieci secondi di silenzio. Volevo sparire.
«Non nel senso che li voglio... trattare male» mi affrettai a precisare. «Ma sai... ci sono sempre quelle cose che non ti piacciono... di alcune persone, no? Tipo... quelle che mangiano a bocca aperta. Quelle che ti vuoi tenere lontano... per questi motivi.»
Acido puro mi scartavetrò la gola sotto l'indagine del suo sguardo, e ovviamente mi ritrovai ad arrossire.
«Me stai a di' che tu saresti capace de mangiare a bocca aperta, se servisse?»
Chinai il capo ancora più in basso. Dio, che vergogna, volevo seppellirmi da sola.
«Di', ma li hai visti, a quei due demoni? Secondo te so i tipi che se scandalizzano per uno che mangia a bocca aperta?»
Mi feci rossa ovunque. Aveva ragione. «È un'idea stupida, lascia stare» balbettai alla fine.
Continuammo a camminare per qualche altro minuto in silenzio, e poi udii la sua voce: «Non era la prima volta che aiutavi a qualcuno a studiare, non è così?»
Trasalii. L'immagine vivida di Betsy mi invase la mente, lei che fingeva di aver perso tutti i suoi libri di scuola per rimandare il momento dello studio il più possibile, io che li cercavo in giro per la sua stanza con lei dietro che mi urlava "Fuoco! Fuoco!" per disorientarmi.
«Sì» sussurrai alla fine. Non aveva senso mentirgli, ormai, non su questo. Comunque mi avrebbe giudicata qualunque cosa dicessi. «Betsy era proprio... come loro due. Detestava studiare... quello che ci davano a scuola, e così io... io la aiutavo.» Strinsi con più forza la croce. «E poi... al centro parrocchiale... mi capitava spesso di dover... dare una mano ai bambini coi loro compiti.»
Avrei solo voluto scongiurarlo di smetterla di guardarmi così, perché anche se non lo guardavo a mia volta, i suoi occhi erano i più tremendi che mai mi fossi sentita addosso.
«Sospettavo fossi credente, vista la collana.»
Quasi ebbi voglia di ridere. «Già» dissi con un soffio. «Tu lo sei?»
Avevo esagerato? Era una domanda troppo personale? Non ne avevo idea. Era passato davvero troppo tempo da quando avevo potuto avere una conversazione del genere con un'altra persona per poter stabilire ciò che era normale e ciò che non lo era.
«No» rispose veloce, ma non sembrava turbato e questo mi tranquillizzò. «Mai stato.»
Annuii col capo.
«Niente tentativi di convertirmi?»
Non compresi se la sua fosse una battuta o meno, perciò risposi come mi venne più naturale: «Non credo mi riguardi... quello in cui credi o non credi, non sono nella posizione per farti... discorsi del genere.»
Lasciai andare la croce, ripresi a torturarmi le mani mentre svoltavamo in una stradicciola tra due edifici, diretti al parcheggio là vicino dove avevo lasciato la macchina.
«C'è una cosa che ti devo chiedere» disse all'improvviso, ed io sussultai ancora. «La tua fobia... come funziona esattamente?»
Non me l'aspettavo, non me l'aspettavo proprio da parte sua, una domanda del genere. «Beh...» mormorai, infilando le mani nella tasca anteriore. «Ormai... riesco a controllarla abbastanza. Posso toccare le persone normalmente, se la pelle è coperta. Tranne per gesti particolarmente intimi o... estesi, come gli abbracci o le carezze continue. Quelli... anche coi vestiti... mi fanno star male. Ma il problema più grande... si presenta quando tocco qualcuno a pelle nuda.»
«Non sei mai riuscita a toccare nessuno finora?»
Espirai con forza.
«Alcune persone sì» risposi alla fine.
Papà e Betsy.
Ma mi rifiutai di dirlo.
«Avviserò i demoni» disse, e ciò mi sorprese ancor più. «Cretini e figli de Satana come sono, rischiano de toccarti senza volerlo.»
Mi ritrovai senza volerlo a sorridere sotto la mascherina. «Non credo correrò rischi» risposi in automatico. «Sai... quando mi hanno salvata da quell'uomo... prima di portarmi via... la prima cosa che Dory mi ha chiesto era se potevo toccare le persone con i guanti.» A capo chino, proseguii: «Eravamo in una situazione d'emergenza... ma comunque se n'è ricordata. A discapito... di come parlano e prendono in giro... sono bambini molto sensibili, al punto da ricordarsi queste cose... anche in momenti del genere.» Il respiro mi si infranse contro la mascherina. «Di solito, la maggior parte degli adulti con cui ho avuto a che fare tendeva sempre a dimenticarsene... era molto difficile rispiegare loro la situazione... invece Dory e Dorian non l'hanno mai scordato, nonostante ci conosciamo da così poco. Sono davvero... buoni.»
I nervi mi si tesero di nuovo, mi chiesi se avessi sbagliato ancora. Forse... forse pensava che stessi facendo tutti quei complimenti ai suoi fratelli per finta, solo perché mi conveniva.
Ma lui non disse niente, ciò mi portò a sospirare di sollievo.
Mancava poco per arrivare al parcheggio, non vedevo l'ora di raggiungere la macchina e ritornarmene a casa, così avrei potuto fumare quanto volevo nella mia solitudine, a stemperare l'ansia con la nicotina.
Provai a sollevare un po' il capo verso di lui, quel tanto che bastava per scorgere le sue gambe che camminavano e le mani sui fianchi, mi accorsi che aveva le nocche un po' sbucciate. Mi domandai se fosse dovuto per quello che aveva fatto al tizio che mi aveva pestata e di cui mi aveva detto di non dovermi più preoccupare.
Avvertii l'ennesimo nodo allo stomaco, ripresi a guardare in basso sul terreno sdrucciolato, mentre i sensi di colpa tornavano a masticarmi dentro. Le aveva disinfettate, quelle sbucciature? Non si era nemmeno messo i cerotti per coprirle. Forse non li riteneva necessari.
Guardai la mia borsa a tracolla, sul mio fianco destro, nera e di tessuto. Dopo il giorno di quel pestaggio, avevo iniziato a portare con me un po' di cerotti e pomate per sicurezza, nell'eventualità che i gemelli si mettessero di nuovo a rischio per darmi una mano, ma non... non ero sicura di poterglielo rivelare o di potergli suggerire di usarli, sentivo che mi avrebbe guardata ancor più male.
Finalmente arrivammo al parcheggio, una grossa landa di asfalto abbandonata, dal cemento rotto in più punti e con varie macchine sparpagliate quasi in un puzzle composto male e vuoto per tre quarti. Sollevai appena il capo un'altra volta, fissai la tasca gigante e laterale del suo pantalone. Era quel genere di tasca che veniva aggiunta sempre dopo, sopra il tessuto dell'indumento, grande quanto un piccolo tablet e dalla chiusura sempre aperta.
Forse potevo infilargli di nascosto i cerotti lì, senza che mi vedesse.
Mi rendevo conto che era inutile... di sicuro in casa sua ne aveva più che a sufficienza, e sempre di sicuro non li aveva messi perché non voleva, ma comunque... era colpa mia se aveva quelle abrasioni.
Si era fatto male a causa della mia ingenuità.
«Qual è la tua macchina?» mi chiese.
«Oh» mormorai, mentre infilavo la mano destra nella borsa, alla ricerca dei cerotti, tentando di non farmi vedere da lui. «È la Ford nera là.» La indicai, all'angolo del parcheggio, dietro una Smart arancione.
«Per essere ricca come Dorian dichiara, non usi granché i tuoi soldi.»
Non potevo biasimarlo per quel commento, la Ford era di un modello vecchissimo ed aveva decisamente avuto giorni migliori.
Mi sfuggì una risatina. «Prima avevo un maggiolino bianco» ammisi alla fine, mentre finalmente trovavo la scatolina dei cerotti dentro la borsa.
«Hai proprio l'aria de una da maggiolino.»
Arrossii. «Era... Era perché mi piaceva Herbie.»
«Herbie?»
«Sì...» mi schiarii la gola, mentre ci avvicinavamo alla Ford. «Herbie di Il maggiolino tutto matto della Disney» ammisi. «Da bambina... mi piacevano da morire i film su di lui, adoravo... la sua personalità e le battute che faceva e così... ho sempre voluto avere un maggiolino da grande.»
Era uno dei pochi film Disney che erano piaciuti anche a papà, e compiuti diciott'anni, proprio per quel motivo, mi aveva comprato quel maggiolino così simile ad Herbie come regalo. Quando l'avevo visto, ero impazzita così tanto dalla gioia che avevo assalito papà tra urla, risate e abbracci.
Mi ero divertita un mondo a guidarlo, avevo potuto davvero sognare, anche solo nella mente, di poter parlare con il vero Herbie.
Betsy, nel vederlo la prima volta, aveva commentato: «Forse la tua unica cotta senza piercing.»
«Me lo ricordo, a quel film» rispose. «Non me di' che l'hai chiamato davvero Herbie il tuo maggiolino.»
Arrossii furiosamente, non ci fu bisogno di risposta.
«L'hai venduto?» mi domandò lui a quel punto.
Un'altra stretta allo stomaco.
Non volevo rivelargli la verità, ma... era una notizia che era sfociata sui social, se avesse controllato avrebbe subito smascherato la mia bugia e si sarebbe alterato ancor più con me. «L'hanno... l'hanno vandalizzato... quattro anni fa, subito dopo... beh, lo sai.» Strinsi con più forza la scatoletta dei cerotti ancora nella borsa. «Era troppo... troppo devastato perché potessi risistemarlo e così...»
Lo udii inspirare.
In verità, vedere la mia amata macchina ridotta in quel modo, somigliante più a una scatoletta di tonno uscita fuori da una compressa... non era stato niente in confronto alla scritta rossa che i vandali avevano lasciato sulla portiera distrutta.
Assassina.
«Era... Era comunque messo male di suo, ormai, ora che ci penso» mi misi a blaterare senza senso, nel tentativo disperato di fargli capire che non mi volevo lamentare della cosa. «Quindi... è stato meglio così.»
Dio, non sapevo più cosa stavo dicendo. Per fortuna lui non rispose, ma comunque i suoi occhi continuavano a predarmi e questo mi metteva sempre più a disagio.
Finalmente arrivammo alla mia macchina, trovai il coraggio di guardarlo in faccia. Mi sorpresi di nuovo della sua altezza. Io superavo il metro ottanta, era la prima volta che mi ritrovavo a sentirmi minuta in presenza di qualcun altro. Mi stava davanti, a mezzo metro da me, gli occhi fissi nei miei, ed io mi domandai quando avrei potuto approfittarne per mettergli i cerotti in tasca, visto che adesso non potevo proprio, dato che mi stava guardando in quel modo.
«Mmm» mugugnai. «G-Grazie per... avermi accompagnata.»
«Se non li vuoi, i soldi» disse tutto d'un tratto, «che vuoi che faccia per ripagare il favore de far studiare quelle due belve?»
Lo guardai confusa, lui aggrottò la fronte. «Ti sorprenderà, ma non so il tipo che ama sta' in debito con qualcuno. I soldi non te servono, ma ci sarà qualcos'altro che ti piacerebbe avere, no?»
«Non esiste.»
La risposta uscì automaticamente dalla mia bocca, me ne vergognai l'istante dopo, soprattutto nello scorgere lo stupore nel suo sguardo. «Nel senso... non ho nulla... ho già tutto, in quel senso, non ho bisogno di niente, non è perché... sei tu che non voglio nulla, è solo che...» Ero ormai di nuovo in preda al panico. Poi, d'improvviso, mi bloccai, presa da un'idea. «Mmm... una cosa forse ci sarebbe.»
«Cosa?»
«Tu conservi... conservi tutti i test che hanno fatto a scuola Dory e Dorian, giusto?»
Si accigliò. «Sì, perché?»
«Potresti darmeli?»
Davanti alla sua confusione, mi affrettai a spiegare: «Per capire... per capire a che livello sono... e dove fanno più errori! Così, sai, quando andrò da loro... la prossima volta, mi sarà più facile... aiutarli.» Il volto mi stava di nuovo andando a fuoco. «Non è perché... voglio prenderli in giro o farmi gli affari vostri, davvero.»
Palle di fuoco mi incendiarono le guance. «Se non vuoi darmeli... puoi anche solo mandarmi i commenti finali che gli lasciano gli insegnanti... già quelli saranno una buona base da cui partire.»
«Vuoi esse ripagata con gli orrori de quelle due bestie?»
Riassumere il controllo fu tremendo. «Dory e Dorian hanno... difficoltà a livello grammaticale» spiegai. «Uno dei motivi per cui hanno voti così bassi è proprio questo: perché non conoscono la grammatica. Anche se danno le risposte giuste, comunque vengono considerate sbagliate perché scritte male. Se leggessi un po' dei loro test, potrei capire quali sono le difficoltà più grandi che hanno per sistemarle.» Ero ormai fuoco puro. «Sarà anche un modo per... abituarli ai contesti diversi dal loro. Potranno comprendere... quando parlare con il loro linguaggio e quando utilizzarne uno più cortese, ecco.»
Mi morsi la lingua non appena vidi di nuovo la sorpresa scavargli lo sguardo. Avevo parlato troppo ancora una volta. Indirettamente gli avevo detto che non sapeva crescere bene i suoi fratelli minori. «S-Scusa, non intendevo dire che tu non–»
«Perché vai sempre in panico così, quando c'hai da di' qualcosa?»
Mi bruciarono gli occhi, mi costrinsi a sbattere le palpebre più e più volte, mentre con la mano ancora dentro la borsa stringevo smaniosamente il pacchetto di cerotti.
Non sapevo proprio come spiegarglielo.
Non ne avevo idea.
Non sapevo come dirgli che da quando il mio mondo era crollato, qualunque cosa facessi non andava bene, proprio come una volta. Che sorridessi, piangessi, mentissi, dicessi la verità, mi isolassi o uscissi di casa. Non c'era mai la risposta giusta, non esisteva la risposta giusta per me, solo sbagli continui e ripetuti per cui venir condannata.
Avevo il terrore che se glielo avessi rivelato, sarei entrata nel torto anche così, sarei apparsa un'ingrata che si lagnava delle conseguenze delle sue azioni per attirare pietà altrui, invece che accettarle da persona matura.
Mi sentivo in un labirinto senza uscita, a vagare fra i lunghi corridoi alla ricerca di una fuga che mai mi sarebbe stata concessa.
«È s-solo che» balbettai, e nel sentire la mia stessa voce, così acuta e spezzata, pregai di morire lì sul momento, «so i sospetti che creo... alle persone... per via... di mio padre, quindi ho un po' il timore che...»
Una luce ignota gli accese gli occhi, mi vergognai così tanto che quasi scoppiai a piangere, ma mi contenni. Se avessi ceduto alle lacrime, avrei solo peggiorato la situazione e l'opinione già pessima che aveva di me.
Si sta di nuovo fingendo la vittima di tutta questa situazione.
«Ad ogni modo» dissi alla fine, tornando a fissarmi i piedi, dopo essermi schiarita la gola, «decidi con calma, ora... ora devo andare a casa.»
Strinsi con furia il pacchetto dentro la borsa. Non c'era possibilità che glielo potessi lasciare in tasca senza che lui se ne accorgesse, ormai l'avevo capito, ma al tempo stesso mi rifiutavo di non darglielo. Era per colpa mia se si era sbucciato le nocche delle mani, d'altro canto. Deglutii ancora a fatica e in un impeto di coraggio che mai avrei creduto di possedere estrassi la scatolina tra le mie dita dalla borsa e mi avvicinai a lui.
«Cosa-»
Gliela ficcai in tasca il più in fretta possibile, per poi correre verso la macchina aperta poco prima e spalancare la portiera. «Grazieperavermiaccompagnata, buonagiornata» buttai fuori tutto d'un fiato, per poi mettermi sul sedile, rinchiudermi dentro l'abitacolo e avviare il motore.
Non ebbi la forza di guardarlo in faccia, quando andai via.
Agatha, lo sai cosa devi dire allo specchio, vero?
Ho sbagliato.
Ho sbagliato.
Ho sempre sbagliato.
Nota autrice
Azzzz.
Lo sentite questo profumo?
Lo sentite?
Se chiama:
Sensi de colpa profondissimi de Bidet/Bad Boy.
Eau de Dante n. 1
(Chanel glie fa 'na pippa)
'Sto profumo se sta a diffonde, e v'assicuro che Dante già lo sta a sentì bene, per via de tanti fattori:
1) La strigliata che gli ha fatto Rosemary (la terza eroina de questa storia dopo I NOSTRI EROI GEMELLI) che per me era IMPORTANTISSIMA da far presente, visto che è la realtà dei fatti di tutte queste situazioni che ci sono note solo attraverso la telecronaca. Per quanto noi possiamo conoscere i FATTI di simili vicende, non sapremo MAI UN CAZZO sulla storia delle persone che le coinvolgono, inclusi sia i carnefici che le vittime. Quindi sì, potemo giudicà, ma solo fino a 'na certa e SOLO per le cose che SAPPIAMO, di certo non per quelle che non conosciamo affatto, come nel caso di Dante su Agatha, che non ha la più pallida idea di quanto fosse viscerale e importante il rapporto che lei aveva con suo padre e men che meno il suo passato di TRAUMI.
Parlando di ciò, come il minicicciolo spoiler che vi dissi e che qui è stato spiegato un pochino meglio, Dante è molto di parte per quanto riguarda il suo giudizio su Agatha per il fatto che la condanna tantissimo perché lei va ancora a trovare il padre. Come spiegato qui, il motivo è uno:
Jane.
Chi minchia è Jane?
Jane Austen?
Jane Eyre?
JANE DOE?
Jane era in realtà SPOILER SPOILER SPOILER.
Ma penso ce se possa arrivà, solo che non c'ho voglia de davve la soddisfazione de dirvi se c'avete azzeccato o meno.
Dante, come ormai avrete intuito sia dal discorso che gli ha fatto Rosemary sia dai capitoli precedenti, è uno che se gli fai male (e non intendo solo fisicamente, anzi), te stacca subito dalla sua vita, uno di quelli che quando un rapporto inizia a farsi un po' troppo doloroso, lo spezza immediatamente. Il perché di ciò verrà spiegato in seguito e sì, è dovuto proprio alla famosa Jane. Allo stesso tempo, Dante c'ha il difetto - che è comune a TUTTI noi ahimé - de pensà che dato che lui reagisce in un modo in un determinato contesto, tutti quanti dovrebbero fare come lui.
Ma non funziona così, ed è questo che gli ha fatto presente Rosemary. Perché siamo tutti diversi e unici, ognuno col proprio carattere e la propria storia alle spalle, e perciò reagiamo in maniera diversa davanti a determinate situazioni.
Ed è ingiusto condannare subito, invece che cercare di comprendere.
Ahimè, come sempre dice Rosemary e anche Dory in realtà, Dante è de coccio, fa molta fatica a comprendere questa cosa, anche se, ormai si sarà visto, sta provando un po' a smollarsi questo suo difetto per comprendere meglio Agatha, per questo l'ha riaccompagnata e per questo le ha fatto tutte quelle domande.
2) Dante, già da adesso, ve lo dico, ha ormai compreso che Agatha non c'entra un cazzo con i crimini del padre. È davvero troppo palese. Come ho scritto sotto un commento del capitolo scorso, Agatha sta facendo tutto quello che NON DOVREBBE MAI FARE se fosse davvero complice de suo padre e stesse mentendo e recitando ancora, e Dante - pur de coccio - non è mica scemo, a questo c'è arrivato.
Il problema è che lui, i gemelli e Rosemary sono gli unici che si sono voluti avvicinare abbastanza a lei per poterlo capire, il resto del mondo, invece, ha giudicato da lontano, senza mai provare a conoscerla sul serio.
E qui inizia il primo brivido de senso de colpa per Dante (iniziate a tirà fuori i popcorn, muffins).
3) Dante ha compreso benissimo anche quant'è buona Agatha solo dal fatto che lei era restia ad accettare di continuare a frequentare i gemelli, seppur fosse palese a tutti quanto lo desiderasse perché con loro si diverte ed è felice. Se lo era evidente a Dory e Dorian, due bambini, figurarsi a lui che è un adulto. Appena loro hanno minacciato de non studiare mai più e lasciare tutti i loro compiti in bianco, Agatha è andata completamente nel panico perché non vuole che si danneggino così, e di nuovo Dante questo l'ha visto eccome coi suoi due occhi.
Sempre per questo, ha accettato di farla venire a casa loro.
Inoltre, Agatha, durante la loro conversazione, trova il coraggio di esprimersi meglio e parlare con "un po' più" di sicurezza proprio quando si tratta dei gemelli, per descrivere non solo le loro difficoltà ma anche i loro tanti pregi. Un altro elemento che gli ha fatto intendere non solo la bontà della protagonista, ma anche quanto già si è legata ai suoi fratellini e soprattutto che non è una che giudica dalle apparenze.
Dory e Dorian sono due gemelli volgarissimi e tremendi, diciamocelo, quindi potete immaginare quanti li criticano solo per questo. Agatha però ha guardato oltre a ciò, oltre alla superficie, si è accorta subito del loro animo gentile, cosa che molti (*coff coff* cimici soprattutto *coff coff*) non fanno.
Vi ricordate quanto detto nella nota autrice del capitolo precedente? Che per conquistare davvero er corazòn de Dante masculo bello c'era solo un modo principale?
I suoi fratellini.
E indovinate chi, nel sentire i suoi fratellini non solo venir criticati ma senza giudizio, per spiegar meglio le loro difficoltà scolastiche così da poterle risolvere, ma anche elogiati tantissimo per le loro qualità a cui nessuno bada, perché sempre vengono visti dalle apparenze, ha appena - inconsciamente - dato non 200, bensì la bellezza di +300 punti a colei che ha fatto tali commenti?
+ 50 per aver detto che Dory e Dorian sono sensibili, perché si so subito ricordati della sua afefobia e ha subito detto che sarebbero stati attenti a lei e a quel suo problema, quando lui stesso invece se ne preoccupava
+ 100 per aver chiesto i vecchi test dei gemelli per poter studiare bene le loro difficoltà, senza accontentarsi di andare a casa loro, prendere i compiti e aiutarli a fare
+ 150 (i più importanti in assoluto) perché non ha detto DI VOLER CAMBIARE I GEMELLI e il loro linguaggio appreso nel contesto in cui vivono, ma di voler invece aiutarli a comprendere le situazioni in cui utilizzare quello e le altre situazioni in cui utilizzarne uno più cortese
E indovinate sempre chi, dopo aver visto una Fiat sgommargli davanti per scappar via in fretta e furia, ritrovandosi un pacchetto di cerotti in tasca s'è trovato - inconsciamente sempre - a dare altri +50 punti?
4) Dante sta iniziando finalmente a comprende la vita demmerde che ha avuto Agatha nel corso degli ultimi quattro anni, da quando s'è saputo il segreto del padre di lei. E sta iniziando finalmente a comprende perché lei si scusa sempre l'attimo dopo aver detto qualsiasi cosa. Ovvero che questo suo comportamento in apparenza così contraddittorio è dovuto al fatto che qualunque cosa lei faccia viene sempre condannata da tutti, al punto che pure quando gli ha detto che le hanno vandalizzato la macchina a cui teneva tantissimo, si è ritrovata subito a giustificare i suoi aguzzini dicendo che tutto sommato la macchina stava già messa male, quindi non importava chissà quanto.
Una bugia palese per cercare disperatamente di non venire accusata di nuovo.
Un conto è pensare soltanto che è odiata dal mondo, un conto è vedere con i tuoi stessi occhi i risultati che tale odio ha portato alla mente di quella ragazza.
Aggiungendo poi il fatto che lei NON può toccare NESSUNO, immaginatevi che solitudine sta vivendo, e questo, finalmente, Dante lo sta a capì - pur de coccio.
E indovinate di nuovo chi adesso sta già iniziando a magnasse i gomiti per come s'è comportato da stronzo a tutti gli incontri precedenti? SPECIE quando s'è trovato quei cerotti in tasca e s'è reso conto che colei che glieli ha messi lì in così tanta fretta e furia è talmente a disagio in sua presenza da non avere neanche il coraggio di darglieli in faccia perché ha paura che lui la condanni e/o giudichi anche per un gesto così semplice e gentile?
Ve vedo, muffins, ve vedo.
State già alle macchinette dei popcorn, ve'?
Ce stanno anche Dory, Dorian e Rosemary, non temete.
Tutti noi già così:
La coscienza di Dante, nel mentre:
Con questo, riassumendo il rapporto Agatha - Dante:
Dante: + 550
Agatha: - 120 (e ringraziamo che non è scesa ancora)
AZZZZZZZZZZZZ pt. 2
Il divario se sta a fa sempre più grande, ben 430 punti di distanza tra i due, e Agatha è pure ancora in zona negativa.
E volete sapere perché il punteggio su Dante di Agatha è rimasto lo stesso?
Perché era scalato di ben – 50 punti quando, durante la sua conversazione con Rosemary, lui DI NUOVO le ha dato della senza cervello perché va a trovare il padre, giudicandola per l'ennesima volta.
Per poi risalire a + 50 quando le ha chiesto come funziona la sua afefobia.
Quindi se so compensati e si ritorna al punteggio de prima – 120.
E no, il fatto che lui l'abbia accompagnata, ahimè, non va ancora a favore suo. Agatha come detto è terribilmente a disagio in presenza di Dante. Come lei ribadisce più volte ha il terrore di dargli la risposta sbagliata davanti alle sue domande e per questo di venir giudicata ancora più da lui. Quindi, come sempre lei dice, avrebbe preferito non l'avesse fatto.
Vi ricordo le tre premesse fondamentali del capitolo precedente:
- Dante è stato stronzo con lei fino a mo'
- Il mondo la condanna
- Agatha non ha più autostima, solo odio per sé stessa
Quindi non c'è da sorprendersi così tanto. Pur essendo Dante il suo tipo al mille per mille, ormai la nostra povera crista c'ha proprio la fobia (e non quella del tocco soltanto) de venir condannata per qualsiasi cosa.
Il fatto che Dante come prima cosa in assoluto ad ogni loro incontro l'abbia insultata/accusata di essere senza cervello perché va a trovare il padre (per non dire quando l'ha accusata indirettamente o di aver ucciso la sua migliore amica col padre o comunque di fottersene della sua morte) cancella qualsivoglia forma d'attrazione (che già di per sé so quasi del tutto scomparse, causa vita demmerde che sta conducendo da quattro anni)
Ormai state iniziando a conoscere Agatha, quindi potete immaginare in parte come proseguirà un po' la loro vicenda.
Agatha c'ha un solo obiettivo in testa:
Non peggiorare il giudizio che Dante ha di lei.
E secondo voi, come perseguirà questo obiettivo, dato che è certa che qualunque risposta gli dia o qualunque cosa gli dica, lui la condannerà uguale?
Mi pare ovvio: cercando di evitarlo ancor più di quanto già non stia facendo adesso.
"Se non ho a che fare con lui, non posso sbagliare ai suoi occhi" Is the ragionamento complicated de Agatha.
E in effetti c'ha un suo senso.
Perché lei non ha la più pallida idea di come Dante adesso se stia sentendo un pezzo di merda incredibile per come s'è comportato e dopo aver finalmente compreso quanto è spaventata da lui.
E lui... Lui ora dovrà trovare il modo di dimostrarle che il suo "non sono così stronzo" è vero, non si deve limitare più solo a diglielo.
Mentre lei tenterà di evitarlo il più possibile.
AZZZZZZZZZZZZZZ pt. 3
Dante, amoruccio bello, me sa che te conviene diventà credente perché ne avrai di strada da fare per rimediare e forse solo Dio te potrà da' 'na mano.
E no, sia chiaro, con questo non voglio dire che Dante adesso è STRACOTTISSIMO de Agatha, innamorato perso, mi pare ovvio che è troppo presto.
Sto a di', però, che se sta interessando molto a lei, questo sì, per tutti i motivi elencati qua sopra. E non solo per quelli, ma anche perché per quanto de coccio, coglione e scopacimici Dante può esse, sa riconoscere un'ingiustizia quando ce l'ha davanti, e Agatha ne è la piena reincarnazione.
E soprattutto, sa riconoscere quando una persona, pur vivendo un'ingiustizia simile, riesce comunque a mantenere una bontà profonda nell'animo, quando in pochissimi, al posto suo, ne sarebbero in grado.
Quindi sì.
Dante.
Detta in modo papale papale, da vera lady:
SE' NELLAMMERDA.
Ahhhhh, se chiudete gli occhi e ascoltata attentamente, potreste iniziare anche voi a sentire un rumore... Un'eco lontana di un 🔨 che inizia a colpire qualcosa...
Qualcosa de molto caro al nostro masculo.
Se il suo omonimo si era gettato tra le fauci della friendzone, il nostro Dante, invece, si è buttato nelle fauci della memettiadisagiozone, che sotto troppi aspetti...
È persino peggio della friendzone.
Almeno l'omonimo suo da Beatrice lo riceveva il saluto.
La Beatrice de Dante, invece, la nostra Agatha, lo saluta sì, ma scappando in macchina senza guardarlo e fuggendo via l'attimo dopo sempre senza guardarlo.
AZZZZZZZZZZZZZ pt. 4
Bene, concluso ciò, torno ai miei doveri di studentessa fallita.
Ah.
V'avviso così non me cercate con le forche più avanti.
V'ho fatto ridere in questi capitoli e anche molto.
Quindi indovinate cosa ce sarà al prossimo capitolo per compensà a tutte 'ste risate?
Esatto.
TRAUMA.
Ce se rivede al prossimo capitolo co' Agatha e - soprattutto - Lawrence (e non nel passato di Agatha, ma nella narrazione presente), muffins!
E, ovviamente:
IL TR💖UMA.
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