Gemelli
Mi svegliai alle sette e mezza di sera più stanca di prima, con un mal di testa acuto a dilaniarmi i pensieri.
Mi misi a sedere sul materasso privo di lenzuola, con solo il cuscino a decorarlo, e guardai fuori dalla finestra accanto al letto.
Era giù buio, il cielo s'era dipinto d'inchiostro, e io avevo di nuovo fame, nonostante i tre pacchetti maxi di patatine alla paprika e le due buste di marshmallow che mi ero divorata prima di andare a dormire.
E non solo avevo fame, ma proprio una voglia innata e irresistibile di un cesto di cosce di pollo fritte di quella friggitoria casareccia scoperta pochi giorni dopo essermi trasferita lì.
Un tempo, davanti a questi impulsi, ero capace di resistervi con una volontà ferrea e inamovibile, non li consideravo neanche, mi sfioravano a stento la mente, tanta poca importanza avevano per me.
Adesso, invece, guidavano ogni mia mossa e respiro, conducevano la mia vita e muovevano il corpo togliendo qualsivoglia potere fosse rimasto alla razionalità.
Mi arrendevo ad essi come la spiaggia del mare si arrendeva alle onde che andavano a divorarla e bagnarla, portar via i suoi granelli di sabbia per farli sprofondare negli abissi dell'oceano.
Mi mossi veloce, presi tutto il necessario: infilai i guanti, mi misi la mascherina chirurgica, sollevai il cappuccio della felpa nascondendovi dentro la chioma esplosiva dei miei ricci e indossai le scarpe da ginnastica.
Uscii di casa in fretta, attenta a tenere sempre il capo basso mentre percorrevo il corridoio del terzo piano del condominio, dove si trovava il mio monolocale.
A onor del vero, non m'importava granché di esser riconosciuta dagli estranei, ma avevo imparato nel corso degli ultimi anni che era più facile muoversi con quel camuffamento. In una metropoli grande come quella, poi, una persona che si vestiva come me, con mascherina e cappuccio alzato, non attirava poi così tanto l'attenzione. C'erano personaggi ben più particolari.
La friggitoria era a dieci minuti a piedi dal mio condominio. Avrei potuto usare la macchina per raggiungerla, dato che era un negozietto così piccolo da non disporre di consegne a domicilio, ma non mi andava. Preferivo camminare, quando potevo, soprattutto in un quartiere povero e distrutto come quello.
Non l'avevo ammesso a me stessa ad alta voce, ma sapevo perché.
Una parte di me, sicuramente, sperava di venir scoperta e per questo insultata e pestata per l'ennesima volta.
Ridicolo, davvero ridicolo: mi camuffavo per non esser beccata, ma al contempo non potevo che sperare che ciò accadesse.
Ormai ai miei occhi ero diventata un mistero grande quanto mio padre.
Una risata amara mi attraversò di nuovo, mentre percorrevo il marciapiede devastato dalle buche, le mani nella tasca gigante della felpa grigia, la borsa a tracolla a sbattermi contro la coscia ad ogni passo, con le macchine che mi sfrecciavano sulla strada alla mia destra e l'aria già fredda dell'autunno che riusciva a ghiacciarmi anche attraverso la mascherina.
Le case e i palazzi di quella zona erano davvero messi malissimo, ma non era una novità, considerata la povertà del quartiere. Le loro vernici erano sciolte, l'intonaco sbrindellato, i tetti rovinati dalle antenne abusive, i balconi con le ringhiere divorate dalla ruggine, i cortili dalle erbacce incolte e ingiallite perché mai nessuno si era preso cura di loro.
Mi sentivo come quel posto, adesso, la sua rappresentazione umana in tutto e per tutto.
Per questo l'avevo scelto.
Con gli occhi fissi ai miei piedi, proseguii, tutti i suoni si scioglievano nelle orecchie perdendo la loro individualità, l'unica cosa che sentivo era il mal di testa che ancora adesso non aveva smesso di pulsarmi nelle cervella.
«Luride pesti!»
Quell'urlo profondo fu così forte da sfondare l'ampolla di silenzio in cui mi ero rinchiusa.
Mi bloccai, sollevai lo sguardo: in uno degli edifici che affiancava il marciapiede da me percorso, a poco più di un metro da me, un negozio di vestiti dall'aria decisamente poco affidabile, qualcuno stava sbraitando con forza, un uomo senz'altro.
La porta del negozio si aprì, il proprietario della voce ne uscì fuori, un cinquantenne pelato dagli abiti logori, gli occhi carichi d'ira. In mano trascinava per il colletto le figure di due bambini che lanciò fuori, sul marciapiede.
I due piccoletti, un maschio e una femmina, una volta liberi, indietreggiarono a causa della spinta. Dovevano avere al massimo undici o dodici anni, a giudicare la loro statura e i volti ancora limati da lineamenti infantili. Avevano capelli così biondi da sembrare luce filata, lei lunghi, legati in una coda di cavallo che le arrivava alle spalle, lui, invece, rasati sui lati. I loro tratti così simili – nasino un po' all'insù, sopracciglia folte, pelle rosea, labbra carnose – e gli abiti che indossavano, un maglione azzurro e dei pantaloni neri, identici l'uno per l'altra, mi indussero a credere che fossero fratelli, forse addirittura gemelli.
Fissavano l'uomo che li aveva appena cacciati fuori dal proprio negozio con la rabbia a scavargli le fronti.
«Senti, brutto stronzo!» tuonò lei, la voce profonda, cavernosa. Avanzò fino a ritrovarsi davanti all'energumeno, per nulla spaventata, pura sfida addosso: «Ci hai venduto merda pura! Rivogliamo i soldi indietro!»
«L'avete distrutte voi, quelle maglie! Col cazzo che vi do il reso!»
«Ah! Non prenderci per il culo! Ti abbiamo pure portato lo scontrino!» intervenne allora il bambino, affiancando la sorella e assumendo la sua stessa espressione. «Non abbiamo manco sfiorato quelle maglie, appena le abbiamo provate a indossare si sono stracciate! Sei tu che vendi schifezze!»
Ero... sorpresa. Mai mi era capitato di incontrare dei bambini che usavano un linguaggio del genere, ma d'altro canto, prima di allora, avevo sempre vissuto in contesti molto diversi da quello.
Non potevo neanche avanzare col mio percorso, adesso, dato che quei tre occupavano il marciapiede e mi avevano bloccata dal proseguire.
Avrei potuto andare dall'altro lato della strada, ora che ci riflettevo, raggirandoli in questo modo, ma il mio corpo, per qualche motivo, non voleva spostarsi da dove si trovava.
Erano così adirati che neanche mi notarono.
Mi accorsi che la bambina stringeva una busta di plastica quando ci infilò la mano dentro e ne tirò fuori una maglietta rossa. Persino da dove mi trovavo, vidi subito l'immensa lacerazione che ne devastava il tessuto, proprio al centro.
«Guarda che merda ci hai dato! Ridacci subito i soldi, bastardo!»
«Col cazzo, coglioni! Siete voi che volete fottermi!»
«Sei tu che ci hai fottuto i soldi, bastardo!» strillò di nuovo lui. «Ridacceli subito!»
«Andatevene via o chiamo la polizia!»
«Chiamala, brutto stronzo, vediamo se ne sei capace!» La bambina fece un altro passo in avanti, continuò a sfidarlo con gli occhi, il viso in alto, le sopracciglia contratte. Non sembrava minimamente preoccuparsi del fatto che quell'uomo, con un solo schiaffo, avrebbe potuto rivoltare sia lei che il fratello. «Voglio proprio vederti, a spiegare alla polizia perché vendi 'ste merde!»
Il viso di lui si stava facendo livido, la luce che gli stava scavando gli occhi era un annuncio chiaro ed evidente della violenza che stava per far uscir fuori.
Deglutii.
Non sapevo davvero che fare, per strada non c'era nessun altro a parte noi e le macchine che ci sfrecciavano accanto, e quei due bambini sembravano fregarsene alla grande del pericolo che stavano per correre.
Erano ancora troppo presi a insultarsi per rendersi conto di me, se fossi rimasta in silenzio e mi fossi allontanata senza fare rumore, avrei potuto svignarmela e lasciarli fare, senza correre il rischio di vedere la mia identità scoperta e impelagarmi in un problema di cui proprio non avevo bisogno.
Ma non riuscii a muovermi.
Fissavo quei due bambini, i loro volti contratti dalla rabbia e l'indignazione, il modo in cui se ne fregavano altamente dei rischi che stavano correndo a sfidare così un uomo il triplo di entrambi, e non potei che scorgere in essi il ricordo lontano di un'altra bambina.
Una bambina a me molto nota.
Capelli rossi, ricci, ma non come i miei che quasi potevano definirsi afro, le sue ciocche erano invece veri e propri boccoli naturali e ramati, uno spruzzo di lentiggini sul viso, una delicatezza innata a levigarle il volto.
Ma era tutta un'apparenza, quella delicatezza, lo era sempre stata.
Perché addosso, non appena lo riteneva necessario, vestiva la stessa collera indossata adesso da quei due piccoletti, una certezza tale da non sfaldarsi nemmeno di fronte ai pericoli più grandi.
E nel rivederla sui visi di quei due, non potei fare a meno di muovermi, con il cuore a contrarsi per il dolore, ad avanzare a marcia folle fino a frappormi fra loro e l'uomo che si stava facendo sempre più rosso per la furia.
«Chi cazzo sei tu, ora?» lo sentii strillarmi contro.
Mai ero stata una persona brava a litigare, nemmeno una volta, neanche da piccola.
Ero sempre stata quella che restava in silenzio, accettava ogni insulto senza osar pronunciare una parola di ribellione, che teneva il capo chino anche quando gli altri la spintonavano, quando la umiliavano in piazza pubblica.
Ma mi ritrovai comunque a fissare quell'uomo negli occhi, in quegli occhi iniettati di sangue, a scrutare il suo viso devastato dall'ira.
Agatha, io non sarei mai amica con una persona debole, te l'ho detto un sacco di volte, quando lo capirai?
«Vorrei vedere una delle sue maglie» dichiarai con un tono sicuro che nemmeno io credevo di poter tirare fuori, e lui sobbalzò. «Ora.»
«Chi cazzo sei tu?» mi tuonò ancora addosso, la voce un vero e proprio latrato da bestia.
Ma ormai più non potevo provare paura, avevo perso un simile sentimento dal giorno in cui il mio mondo era stato rivoltato, devastato per sempre.
«Mi faccia vedere una delle sue maglie» insistetti, «così potremo davvero decidere se sono stati questi bambini a rovinare il capo o se invece è un difetto della sua merce.»
Rivolsi uno sguardo alla vetrata del negozio: non avevo neanche bisogno di quella maglia, in realtà, solo a vedere gli abiti indossati dai manichini era evidente che erano stati prodotti con tessuti dalla qualità pessima; anche ad occhio nudo, così distante, non faticavo a immaginare la facilità con cui si sarebbero sbrindellati con un tocco di troppo.
«Fatti i cazzi tuoi, tossica di merda!»
Era uno dei quartieri peggiori della città, quello, perciò non ero poi così sorpresa di avere a che fare con truffe del genere. «Allora chiamerò io la polizia.»
Lui sussultò sul posto.
Nemmeno io riuscivo a spiegarmi da dove avessi trovato tutta quella sicurezza.
«Tanto voleva già chiamarla lei, no?» continuai. «A due bambini come loro forse non daranno retta, ma a un'adulta come me sì, non crede?»
Lui serrò la mascella con violenza. Ero certa che si stesse trattenendo dal darmi un pugno, ma forse temeva sul serio che chiamassi le autorità. Non poteva sapere chi ero, camuffata com'ero, perciò era impossibile che non mi credesse.
«Togliti quella cazzo di mascherina!»
Immaginai volesse lo facessi perché così mi avrebbe potuta riconoscere, se gli fosse capitato di incontrarmi nei giorni futuri, ma per fortuna avevo inventato una giustificazione. «Va bene, ma la avverto, ho un herpes alle labbra a uno stato gravissimo, non sarà un bello spettacolo e, soprattutto, correrà il rischio di venir infettato.»
Un altro sobbalzo da parte sua. Udii i due piccoletti alle mie spalle inspirare a fondo.
«Sto provando a curarlo in ogni modo, ma è davvero difficile, per questo indosso sempre la mascherina» proseguii, e davvero non seppi spiegarmi da dove diavolo stessi tirando fuori quella sicurezza nella voce, io che avevo sempre bisbigliato con tremiti e paure davanti a situazioni del genere.
Forse era perché, in realtà, non m'interessava più molto di quello che mi sarebbe successo in futuro.
Di morire, di soffrire, di venir picchiata a sangue.
Ormai ogni forma di dolore, anche la morte prossima, mi appariva quasi un sollievo, il solo e unico modo con cui potermi redimere.
«Anche così, vuole vederlo?»
Il viso di lui si stava facendo sempre più rosso. Non avevo idea se lo stessi convincendo o al contrario avessi appena condannato tutti e tre a un pestaggio tremendo. Continuò a scrutarmi con gli occhi neri già smaniosi dal desiderio di colpirmi ovunque, ma poi fece ridiscendere lo sguardo sulla mia felpa, la tasca anteriore dentro cui ancora si celavano le mie mani.
Supposi temesse la possibilità che fossi già in chiamata con le autorità o comunque qualcuno che avrebbe potuto testimoniare per quella scena.
Le sue narici fremettero, mentre infilava a sua volta una mano nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori una mazzetta di soldi. Li contò con le dita, per poi lanciarli nell'aria in un gesto di offesa.
«Non osate mai più venire a rompermi i coglioni, piccoli bastardi, o vi faccio fuori!» strillò con furia, mentre le banconote ci volavano attorno come lucciole di carta, per poi rientrare nel locale e richiudere la porta di legno alle sue spalle con un tonfo.
Chiusi gli occhi, presi un grosso respiro, mi chiesi come mai non avessi già preso a tremare.
«Muoviti, Dory! Recupera subito tutti i soldi!»
«Sta' zitto, Dorian! Lo sto già facendo!»
Mi girai: i due bambini erano intenti a ripescare ciascuna di quelle banconote in fretta e furia, col terrore che il vento se le portasse via. Erano dei veri e propri razzi, quasi mi spaventai a vederli, soprattutto perché, non appena le ebbero recuperate tutte, lei cominciò a contarle una ad una con la stessa serietà di un professionista e lui a controllarla.
Avrei riso, se non fosse stato che più non sapevo come si facesse.
Sospirai, tornai a incamminarmi per la mia strada, pronta per andare alla friggitoria, quando d'improvviso, dopo aver percorso pochi metri, avvertii un colpo alla schiena così forte da farmi cadere in avanti.
«Ehi, tizia che ci ha aiutato, prima hai mentito, non è così?»
Ero atterrata per un pelo senza sfracellarmi la testa, in ginocchio, strappandoni così i jeans, aiutandomi con le mani per impedire alla faccia di schiantarsi contro il marciapiede, e quando risollevai il capo mi ritrovai i due piccoletti di fronte, inginocchiati a loro volta così che i nostri occhi fossero allo stesso livello.
Erano davvero fratelli e sicuro come la morte gemelli. Adesso che li vedevo da così vicino, la loro somiglianza era talmente forte, primitiva ed evidente da non lasciare più spazio a dubbi. Erano anche incredibilmente belli alla loro età, sarebbero cresciuti senz'altro fino a diventare dei ragazzi capaci di rubare il cuore a chiunque, con quelle ciglia folte e gli occhi ambrati, così diversi da quelli di mio padre seppur di un colore simile; i loro non sembravano custodire alcuna oscurità né nelle tonalità delle iridi né in quelle dell'anima.
E mi avevano appena dato un calcio volante sulla schiena per farmi cadere.
Non mi fissavano con rabbia, però, e nemmeno con sdegno, sembravano più che altro incuriositi, ma continuavano a calzare la stessa determinazione che li aveva indotti ad affrontare quell'energumeno, senza alcuna paura o timore.
«Mentito?»
«Non c'hai manco un po' d'herpes» dichiarò lui, indicando la mia mascherina. «Ci scommetto i miei due coglioni.»
Non potei fare a meno che sollevare le sopracciglia, sorpresa da un simile linguaggio in bocca a due creature così giovani.
«Non stai a nascondere l'herpes, con quella mascherina, ma la tua faccia» continuò la sorella, alla sinistra di lui. «Ce ne intendiamo, noi, di questa roba.»
Quasi mi preoccupavo della vita che dovevano aver condotto fino a quel momento per arrivare a dire simili parole, ma non mi riguardava, non ero neanche in diritto o nella posizione per provar pena per qualcun altro.
«Che c'è, stavi andando a comprare la droga?» ipotizzò lui.
«No, mi dispiace» intervenni prontamente. «La mia unica droga è la nicotina.»
Loro si scambiarono per qualche secondo lo sguardo, sembravano davvero capaci di comunicare col solo pensiero.
«Perché mi avete fatta cadere?»
«Eravamo curiosi» rispose la bambina. «Non sei di qui, vero? Sei arrivata da poco. Noi conosciamo tutti qua dentro.»
Mi accorsi che il fratello, adesso, mi stava fissando le mani con cui ero ancora appoggiata al marciapiede. «E mi sa pure che sei ricca da far schifo» commentò. «Dory, secondo te quanto costano quei guanti?»
«Almeno settanta dollari» gli rispose. «Ci scommetto il tuo cazzo.»
«Non scommettere sui cazzi degli altri, bastarda.»
«Ma io non ce l'ho, il cazzo.»
«Allora scommetti sul cazzo di Dante.»
Ero davvero allibita. Era la prima volta da quando il mio mondo si era rovesciato che mi ritrovavo a provare sentimenti del genere, diversi dall'agonia, lo smarrimento e la noia che invece mi travolgevano ogni giorno.
«No, che poi chi lo sente più, quello stronzo. Già ci rompe i coglioni ora che gli funziona, figurati se gli si spezza.»
«Ma se tu manco ce li hai, i coglioni.»
«Ehm, bambini...»
Risollevarono gli occhi su di me, i visi severi.
«Perché non mi avete chiamata, invece di colpirmi alla schiena?»
Dory schioccò la lingua. «C'hai l'aria di una che non si sarebbe fermata, sembravi volertene andare via a tutti i costi.»
«E poi a noi piace menare le persone.»
Iniziavo sul serio a preoccuparmi.
«Ehi, tizia che ci ha aiutata» mi richiamò lui, gli occhi di nuovo puntati alle mie mani. «Perché indossi quei guanti? C'hai l'herpes inventato pure lì?»
«È così strano che abbia dei guanti?»
«Non è ancora così freddo» replicò sicura lei. «Sei una di quelle che c'ha la mania del pulito?»
«O una di quelle a cui fa schifo toccare la gente?» suggerì lui.
Ero sempre più perplessa, ma in qualche modo quella situazione, quella sfacciataggine da parte loro era... confortante. L'esatto opposto della solitudine e del giudizio che ormai mi era ben noto.
E sapevo, lo sapevo bene, che non sarebbe durato a lungo, se mai avessero scoperto la mia identità.
«Ci sta, eh» continuò la bambina. «Ognuno c'ha i suoi problemi, anche Dante lo dice sempre. Dorian, tipo, c'ha la mania di scoreggiare nel sonno.»
«Quella sei tu, stronza» sibilò Dorian.
«Non è vero, io c'ho la mania di scaccolarmi quando nessuno mi vede.»
«Ti vedono eccome, solo che te ne sbatti i coglioni.»
«Non avevi appena detto che io non ce li ho, i coglioni?»
«Bambini, io-»
«Non ci chiamare bambini, tizia che ci ha salvato» m'interruppe lui. «Io sono Dorian, lei è Dorothea» presentò entrambi. «Non siamo bambini, c'abbiamo già dodici anni, che ti credi.»
Dorian e Dorothea... supposi che i loro genitori, dandogli quei nomi, volessero rimarcare ancor più il loro legame fraterno, il fatto che fossero gemelli.
«Non osare chiamarmi Dorothea» mi avvertì subito lei, «mi fa cagare. Provaci e ti strappo la lingua. Chiamami Dory, tutti lo fanno.»
«Oh...» Ero sempre più senza parole. «Va bene, ti chiamerò Dory.»
«E tu come ti chiami, tizia che ci ha salvato?» domandò Dorian.
Avvertii ogni mio muscolo irrigidirsi all'istante, non appena mi pose quel quesito.
Per quanto fossero bambini, non c'era possibilità che non sapessero chi fosse Agatha Reid, a meno che non fossero stati totalmente allontanati per tutta la vita da qualsiasi fonte di telecomunicazione, e non ne davano proprio l'aria.
I loro sguardi d'interesse, quella curiosità severa in viso, sarebbero scomparsi in un istante, non appena fossero venuti a sapere la verità.
Inspirai a fondo. «Lucinda» risposi alla fine.
«Stronzate» disse all'istante Dorian. «Non ti chiami Lucinda.»
«Come fai a saperlo?»
«So bravo coi bugiardi, io, non solo a menare» rispose. «Dante ci mente in continuazione, ormai c'ho fatto l'abitudine a scovare le stronzate.»
«Chi sarebbe Dante?»
«Uno stronzo» rispose Dory, suo fratello annuì. «Lo stronzo più gigante e stratosferico del mondo.»
«Nemmeno il cesso più grande dell'universo potrebbe scaricarlo.»
«Vostro padre?»
«Dio, no! Mi sparerei ai coglioni, se fossi uscito dai suoi» esclamò indignato Dorian, sua sorella annuì.
Al di là del loro linguaggio scurrile, quei due erano davvero comici, sia nei gesti che nelle parole con cui sembravano continuare a comunicare tra loro, non solo con me.
«Quindi come ti chiami davvero, tizia che ci ha aiutato?»
Speravo di esser riuscita a deviare da quel discorso. Non seppi che rispondere.
Entrambi si accigliarono. «Oddio, sei una criminale?» domandarono a quel punto, le mie spalle ebbero un sussulto. «Una criminale che protegge dei ragazzini? Strano, ma simpatico sotto certi aspetti, non credi, Dorian?»
«Macché criminale!» ribatté l'altro. «Guardale gli occhi, Dory, manco è capace di pestare una formica. È lei quella che si fa pestare, semmai.»
Mi era ormai evidente che quei due, oltre che essere gemelli, erano anche incapaci di parlare di o con qualcuno senza insultarlo.
Eppure... anche così, dentro di me avvertito una strana sensazione al petto, a timbrarsi nei battiti del cuore. Quasi avessi voluto... ridere.
E non andava bene, non andava bene per niente.
Io più di tutti ero cosciente di quanto immeritevole fossi di una simile emozione.
E così, proprio per uccidermela una volta per tutte, dichiarai a voce sicura quella verità che tanto, prima o poi, avrebbero comunque scoperto: «Agatha, Agatha Reid.»
Gettai la bomba ad occhi aperti, pronta già a vedere le loro espressioni severe ma incuriosite trasformarsi in pure maschere di ribrezzo.
Ma non accadde.
Sbatterono le palpebre più e più volte, scorsi all'istante la consapevolezza di quanto appena dichiarato travolgerli, ma i visi non si corrucciarono, l'orrore non li masticò, nemmeno un po' di disgusto andò a calcargli i lineamenti.
«La figlia di quel pezzo di merda?» domandò Dory.
A fatica riuscii ad annuire.
«Quello lì che si pensa ha sterminato centinaia di persone?»
Inspirai a fondo, mi misi a sedere sulle cosce, trovai finalmente il coraggio di abbassare la mascherina e mostrare il mio volto.
Le loro sopracciglia si sollevarono, ma ancora non mostrarono alcuna repulsione.
«Wow» esalò Dorian, la bocca aperta in un "Oh" di stupore. «Sei davvero tu, cazzo.»
Anche la sorella aveva la stessa espressione stupita.
Non capivo, non capivo davvero.
Forse erano ancora troppo piccoli per comprendere l'orrore e la natura dei crimini di mio padre, pur coscienti di quali fossero, forse-
«Perché ti nascondi la faccia?» Dory interruppe le mie ipotesi, la guardai confusa. «È tuo padre il pezzo di merda, mica tu.»
Un altro battito di puro dolore andò a pulsarmi il cuore, ebbi persino la sensazione di star per svenire a causa di quello strazio, non ero sicura di come ancora riuscissi a pensare lucidamente, a parlare con loro.
«Non dovreste parlarmi così» riuscii a mormorare alla fine, «potrei essere pericolosa.»
«Ma se stai a trema come un chihuahua con l'asma e il Parkinson!»
Sobbalzai ancora. Mi accorsi quasi con vergogna che Dorian aveva ragione. Tremavo inesorabilmente, ovunque, persino le labbra non riuscivano a star ferme. Una vampata d'imbarazzo andò a colorarmi il viso e nel vederla i loro occhi parvero addirittura preoccuparsi.
Non riuscivo a capirmi proprio.
Avevo accettato quella realtà, la consapevolezza di essere la figlia del mostro Lawrence Reid da anni. Mai mi ero sentita umiliata nel sentirmela rinfacciare in continuazione dai mille poliziotti e giornalisti, sconosciuti e non. Mai mi ero ritrovata a terrorizzarmi per il giudizio di qualcun altro che non avevo la più pallida idea di chi fosse.
Perché sapevo di meritarmelo, sapevo che era tutto ciò di cui ero degna.
Ma guardavo quei due, adesso, e l'ignobile speranza che non facessero la stessa cosa arrivava a scavarmi cuore, polmoni e respiri. E mi sentivo ancora più mostro, così, ancora più bestia e disumana.
«Ti vergogni di essere la figlia di quello là?» Dory schioccò di nuovo la lingua. «Ma manco è colpa tua! Mica siamo noi a decide dai coglioni di chi uscire. Fidati, se fosse possibile, io e Dorian ne avremmo scelti senz'altro degli altri.»
«Confermo» dichiarò l'altro, serissimo. «Avrei scelto come minimo i coglioni di Brad Pitt: è ricco da fare schifo.»
«Secondo me so meglio quelli di Robert De Niro. Rifletti: c'ha avuto una figlia a più di ottant'anni, pensa se fossimo stati noi due al posto di quella bamboccia. Schiattato pochi anni dopo, c'avremmo avuto subito tutti i suoi soldi.»
«Vero, e magari saremmo pure stati fortunati e ci saremmo risparmiati quel cagacazzi di Dante.»
«Come fate a sapere che non sono sua complice?» sussurrai alla fine, con un tono sottile di voce.
«Beh, la polizia ha detto che non lo sei, no?» commentò Dory.
«Ha detto anche che l'ha fatto perché non ha trovato prove.»
Mi guardarono come se fossi deficiente. «Te stai a confessa?» domandò Dorian. «Sei la sua complice, quindi?»
Serrai la mascella e i pugni, mentre un'altra ondata di vergogna disumana andava a investirmi il viso.
«A me sembri solo un'immensa cretina, altro che complice» affermò decisa Dory. «A proposito, nelle foto eri molto più magra. Che hai messo peso? Prima c'avevi un fisico da modella, me lo ricordo.»
«Vero, adesso c'hai il fisico di una che scopa solo con gli Happy Meals.»
«Mica male, però, oh. C'hai delle tette fantastiche ora, si vedono pure con quel felpone che ti tieni addosso. Con tette del genere, me la tirerei un casino. Le tette so l'arma segreta de noi donne.»
«La seconda è la bocca che c'avete tra le gambe.»
«Chi te l'ha detta 'sta cosa? Dante?»
«No, ti pare? Quello stronzo non ci parla mai di 'ste robe, ma l'ho capito a guardarlo. L'unico momento in cui smette di romperci i coglioni è quando c'ha da fare con quella merda di Vicky.»
«Bleah, non mi ricordare quella demente, Dorian. Preferisco ficcarmi una trave nel culo per farmela uscire dalla gola che pensare a lei.»
«Lo so, secondo me è solo per questo che Dante se la scopa. Perché sa quanto ce sta sul cazzo.»
«Secondo me è perché quella baldracca c'ha le cimici nel cervello. Nessuna femmina intelligente saprebbe sopportarlo, quello stronzo.»
La noncuranza con cui mi trattavano, quella strafottenza con cui se ne fregavano di tutto e tutti, inclusa la mia storia, il mio passato, mio padre, erano continue coltellate al cuore che immancabilmente, però, finivano per esser subito medicate dalle stesse parole che le avevano provocate.
Gli occhi presero a bruciarmi con furia, sbattei le palpebre nel tentativo vano di rinfrescarli.
«Non dovreste avvicinare persone come me» ripetei. «È pericoloso, correreste dei rischi. Dovreste tenere lontano gente co-»
«Senti, oh, ma che sei nostra madre?» m'interruppe per l'ennesima volta Dorian, il sopracciglio destro inarcato. «Semo noi a decide chi avvicinare o no.»
«Ci manca solo che oltre che dai coglioni di quel puttanone di nostro babbo siamo usciti pure dalle ovaie tue» confermò la gemella. «C'hai aiutato, quindi volevamo parlarti, tutto qua.»
Volevo parlarti, tutto qua.
Il ricordo di quel giorno di tanti anni prima, di quella bambina dai riccioli rossi e le lentiggini spruzzate sul viso, del suo sorriso fiero e sicuro, tornò a devastarmi come un tumore al sangue, andando a incancrenire tutto di me: organi, muscoli, nervi, parole e pensieri.
Ebbi l'impulso di vomitare, sentii la bile risalirmi dallo stomaco e iniziare a marciare feroce verso la gola, ma la costrinsi a ricadermi nel ventre, a non schizzar fuori così d'un tratto, quando meno ne avevo bisogno.
«I soldi...» bisbigliai. «Vi ha dato i soldi giusti?»
«Sì, sì, non ti preoccupare. Se non l'avesse fatto gli avremmo devastato le vetrate del negozio, che ti credi.» Dorian aveva l'aria più fiera che mai. «Dove stavi andando, Agatha?»
«Che nome brutto, Agatha» commentò Dory. «Quasi peggio del mio. Ce l'hai un diminutivo?»
«No.»
Entrambi fecero una smorfia di disgusto. «Che merda» continuò Dory. «Troviamolo noi, un diminutivo, Dorian.»
«E come? C'ha un nome troppo strano.»
«Aghy?»
«Bleah, che merda, Dory.» Un'altra smorfia. Schioccò la lingua, illuminandosi all'improvviso. «Thaty!»
«Ma così sembra una tata.»
«Appunto.»
Dory ci rifletté su, per poi annuire. «Vada per Thaty, allora.»
«Non credo che sia così che funziona la nascita di un diminutivo» commentai, incapace di trattenermi.
I due si strinsero nelle spalle. «'Stocazzo» replicò serio Dorian. «Tanto è come ti dobbiamo chiamare noi, mica gli altri. Che c'è, te fa così schifo?»
Le labbra ripresero a tremarmi, chinai lo sguardo per terra, sull'asfalto distrutto del marciapiede dove ancora ci trovavamo.
«Senti, Thaty» mi chiamò all'improvviso Dorian. «Noi c'abbiamo un codice morale, sai?»
«Un codice morale?»
Dory annuì, fiera di sé. «Sì, sì, ce lo siamo imposti. Cioè, in realtà l'abbiamo fregato a Dante, ma tu non dirglielo, per carità, che se no chi lo sente più a quello stronzo. Si gaserebbe un casino, direbbe di meritarsi la santità per essere riuscito nel miracolo che nemmeno Cristo potrebbe compiere: far fare qualcosa de buono a noi due bestemmie viventi.»
Mi ritrovai a domandarmi chi diavolo fosse questo Dante di cui tanto parlavano. Era evidente che, sebbene non facessero altro che riempirlo di insulti, era sicuramente una persona che gli stava particolarmente a cuore. Benché nel nominarlo le loro bocche si storcevano in smorfie di ribrezzo, non erano capaci di nascondere l'affetto che scavava gli occhi di entrambi, quel genere di luce che mi era ben nota, perché a mia volta l'avevo vista riflessa negli sguardi di chi sapevo mi aveva amata davvero.
«Quale sarebbe... questo codice morale?» domandai alla fine, dopo qualche attimo di esitazione.
«Se qualcuno ti salva il culo, tu dopo salvi il culo a lui» dichiararono solenni entrambi, nello stesso momento.
«Non... Non mi sembra una buona idea» bisbigliai alla fine, sentendomi di nuovo arrossire in viso per la vergogna e l'umiliazione dilaganti. «Non per una come-»
«Fottesega di chi sei, Thaty. C'hai salvato il culo, quindi ti siamo in debito lo stesso» mi bloccò ancora una volta Dorian.
«Per quanto ci riguarda, potresti pure esse la figlia segreta de Voldemort e Trump, 'stocazzo.»
«Ma so due maschi, Dory, come fanno ad avecce una figlia?»
«T'ho detto che ci stanno libri coi maschi incinti. Me li ha fatti legge Stephy a scuola. Come se chiamavano? Omegastrange?»
«Maschi incinti? E da dove lo sgravano il bamboccio? Ti prego non dirmi dal culo che vomito pure le budella.»
«Preferisci che escano dal cazzo?»
«Solo se è quello di Dante.»
«Non dovreste» ripetei, la voce sempre più scheggiata dalle lacrime che non osavo far uscire, e loro tornarono a fissarmi, le fronti corrucciate. «Vi ringrazio, ma non ho bisogno di essere aiutata in alcun modo. Non ho nessun problema.»
«Se non c'avessi problemi non nasconderesti la faccia.»
Trasalii. Sapevo che Dorian aveva fatto centro, ma inevitabilmente mi ritrovai ancora una volta a ridere con amarezza. I loro sguardi si fecero smarriti, forse addirittura apprensivi.
Mi risollevai da terra, mi rimisi in piedi, loro fecero altrettanto.
Li scrutai in silenzio per qualche secondo.
Erano completamente diversi da lei, quei due. Aspetto diverso, linguaggio diverso, condizioni economiche diverse, vestiti diversi.
Ma la sicurezza, la determinazione, quel fuoco negli occhi che le avevo sempre invidiato dal giorno stesso in cui ci eravamo parlate la prima volta, era lo stesso.
Fiamme di vita vere e proprie, che trasformavano anche quegli sguardi infantili in veri e propri tesori, che donavano ai loro volti immaturi un coraggio introvabile anche negli adulti più forti.
Era proprio grazie a quelle fiamme se anni e anni prima avevo imparato a guardare in faccia le persone, a non chinare subito il capo davanti agli altri.
Agatha, non abbassare mai la testa davanti a niente e nessuno. Pensi di salvarti così, ma sbagli. Perdi soltanto.
Guardai quei due bambini, quei due gemelli così bizzarri dalla faccia tosta assurda, sempre pronti a sfidarti col mento all'insù e un coraggio disumano a temprarli, mi ritrovai a pensare senza volerlo: Li avresti adorati, Betsy.
Un pensiero sufficiente per indurre di nuovo il cuore a piangere sangue.
«Questo è solo il risultato delle mie azioni» risposi alla fine, con altra pioggia a cadermi in gola, acida e deleteria. «Non preoccupatevi per me, non ho bisogno di alcun aiuto, ve l'ho detto. Ma grazie per averlo pensato.» Anche se sapevo di non meritarlo, lo credevo davvero, ero sul serio grata a quei due per avermi permesso di illudermi, anche solo per un secondo, di essere ancora umana. «Siete più buoni di quanto crediate.»
Si guardarono confusi, per poi tornare a scrutarmi. Nelle loro iridi ambrate lessi tutta la solidarietà che da più di quattro anni non ricevevo, quella comprensione così umana e semplice da farmi credere di starmi scuoiando viva da sola, tant'erano atroci i sensi di colpa per esser felice di riceverla.
«Ora devo proprio andare» dissi alla fine. «Cercate di non mettervi nei guai di nuovo, ok?»
Non dissero più nulla, si scostarono finalmente per lasciarmi passare. Ripresi il mio cammino, dopo essermi rimessa la mascherina in viso, e ad ogni passo con cui avanzavo, i muscoli delle gambe piangevano sempre di più, bruciavano, abbaiavano a gran voce perché mi fermassi, tornassi indietro da loro, a ricevere di nuovo quella comprensione che tanto mi era mancata.
Ma imperterrito era il cuore, ben conscio di tutti i miei crimini, che li elencò uno ad uno per ignorare quelle urla, per condurmi un'altra volta nella stretta e angosciante strada della condanna.
«Ehi, Thaty!» strillò Dory alle mie spalle, ed io mi fermai, ma non osai voltarmi.
«Mica ti dobbiamo salvare il culo per forza oggi!» continuò Dorian.
«Possiamo aspettare! Certi debiti non si pagano subito!»
Fui grata del fatto che gli dessi ancora le spalle, perché così non poterono vedere il modo in cui il mio intero volto, i miei occhi, si contrasse dallo strazio, il pianto che mi riempì lo sguardo fino ad annegarmi la vista, ma che rifiutai di far colare in viso.
Non risposi, ripresi il mio cammino.
Mi ritrovai di nuovo a giocherellare con la piccola croce del mio rosario, a rigirarmela tra le dita. Domandai a Dio il solito quesito:
Un'altra tentazione, non è così?
Nota autrice
Ho davvero adorato scrivere questo capitolo per tanti motivi.
Il primo perché possiamo vedere quant'è rovinata l'attuale vita di Agatha, dopo che la natura del padre è stata svelata al mondo.
L'odio che prova per sé stessa, il concetto sbagliato che ha di Dio nei suoi confronti, l'incapacità di gestire la propria vita, di avere degli obiettivi.
Come avrete potuto intuire già dal primo capitolo e da questo, Agatha soffre di "Disturbo da alimentazione incontrollata" noto anche col nome di Binge Eating.
Un sacco di persone ne soffrono in realtà, anche senza saperlo, o lo sperimentano in occasioni sporadiche (io ad esempio ce l'ho sempre prima di qualche esame, ahimè)
Sì abbuffa di cibo non appena ne sente il bisogno, anche se in realtà non ha davvero fame, il suo è solo un impulso talmente tanto forte e violento da farla muovere subito e uscire di casa - cosa che non fa mai - solo per potersi abbuffare di nuovo col desiderio del momento.
Il suo rapporto col cibo è molto complicato e verrà rivelato ancor meglio nei prossimi capitoli. Vi voglio ricordare che Agatha, come detto in "Pollice" aveva una passione sfrenata per la cucina, prima che il suo intero mondo crollasse e che a dargliela fu proprio suo padre - lo stesso che ha fatto crollare il suo mondo.
Non c'è da sorprendersi poi così tanto, perciò, se ora il suo rapporto col cibo è completamente tossico e malsano.
Anche il suo concetto di spazio e tempo è diventato distorto: non mangia e non dorme più a orari regolari, non ha più hobby, non fa più niente.
Fuma e mangia soltanto.
Le uniche vere routine che ha mantenuto sono due: andare il martedì a trovare il padre e mantenere la casa pulita.
Il perché del primo caso mi pare evidente. Il secondo, invece, verrà approfondito in seguito.
Agatha ha anche un istinto autodistruttivo non da poco, e non mi riferisco solo al cibo, visto che ha di proposito scelto il quartiere più povero della città - e quindi inevitabilmente anche più pericoloso - nella speranza di aumentare le probabilità di venir odiata o addirittura pestata a sangue da chi la potrebbe riconoscere, com'è successo in passato.
Perché il quartiere in cui si trova non è il Dump - chi ha letto Apologia di Callisto sa - in cui l'omertà è all'ordine del giorno, anzi, una vera e propria regola non scritta.
L'omertà c'è in parte, sì, ma non certo per persone come Agatha, appena arrivata e già con una condanna addosso da parte del mondo.
Immaginatevi soltanto quanto la gente festeggerebbe felice, se qualcuno la menasse sul serio, lo considererebbe proprio un eroe.
E immaginatevi quanti, specie in un quartiere simile, sarebbero tentati di farlo alla sola idea di venir considerati davvero degli eroi per questo.
Forse alcuni di voi mi vorranno dire:
"Simo, non è che stai esagerando con questa cosa che tutto il mondo odia Agatha? Nel senso, cioè, va bene che è la figlia di un sociopatico serial killer/terrorista/nonsisacomechiamarlo, ma non ti pare troppo?"
Potrei quasi darvi ragione, se non fosse che, ahimè, purtroppo TROPPE persone sono così, e si è visto in tanti casi simili a questo. Vere e proprie esecuzioni pubbliche nei confronti di chi è odiato dalla maggior parte della popolazione, anche per motivi che ci appaiono ingiusti o giudizi superficiali dati senza conoscere davvero quella persona.
Inoltre, quando Agatha ed io diciamo "tutto il mondo" non intendiamo TUTTE le persone al 100% del mondo, ma la stragrande maggioranza di esse, specie negli Stati Uniti (il "mondo" di Agatha è letteralmente gli USA), mi pare ovvio. Certamente ci sarà chi crede nella sua innocenza, ma sono pochissimi e ad Agatha non interessa perché si ritiene indegna di ciò.
Stiamo anche parlando dell'America, muffins: un luogo in cui letteralmente quasi ogni giorno ci sono stragi nelle scuole provocate da adolescenti e la diffusione incontrollata delle armi, in cui hanno assalito il Campidoglio, in cui il razzismo è ancora dilagante (più di quanto non lo sia da noi) sia da parte della gente che della polizia stessa, in cui hanno creduto a Trump di potersi difendere dal COVID iniettandosi l'amuchina, etc...
E la notizia di quanto fatto da Lawrence ha reso Agatha e il padre famosi a livello degli attori più noti al mondo: Brad Pitt, Angelina Jolie, Leonardo Di Caprio, et similia...
Non è così irreale.
Vi ricordo anche che la storia è narrata dal POV di Agatha. Noi lettori sappiamo da subito che Agatha al 100% non era coinvolta negli omicidi compiuti da Lawrence, ma il mondo di fuori NON PUÒ ESSERNE CERTO perché, a differenza nostra, non è nella sua testa e non può leggerle i pensieri.
Non saprà mai se sta mentendo o meno, se il motivo per cui non ci sono prove a collegarla ai crimini di Lawrence è perché non era davvero coinvolta, perché se ne è disfatta in tempo, perché ha collaborato con lui in un modo tale da non lasciarne o perché semplicemente sapeva tutto ma ha voltato lo sguardo fingendo ignoranza.
Ai suoi occhi, Agatha è quella figlia che ha vissuto PER ANNI con un mostro mentre questo continuava ad uccidere e uccidere e spesso lo faceva NEL LORO STESSO CAPANNO IN CORTILE, e quando non lo faceva, là dentro comunque c'erano TUTTE le prove dei suoi crimini.
Viene davvero difficile credere che lei NEANCHE UNA VOLTA nel corso di tutti quegli anni, da che era solo una bambina, sia entrata là anche solo per sbaglio/curiosità/istinto. Che non si sia accorta proprio di nulla, niente di niente.
Ci sono stati tanti indizi, oltre al capanno, nel corso degli anni, che avrebbero potuto far insospettire Agatha, e anche questo il mondo lo sa. Per quanto "genio" del crimine Lawrence fosse, era inevitabile che ne lasciasse alcuni alla figlia con cui viveva insieme da anni. Lei stessa lo ha confermato.
Il punto è che noi lettori - consapevoli dell'affetto profondo che la lega al padre, del fatto che a sua volta Agatha ha un SEGRETO (cosa non nota invece al mondo), vera e unica causa per cui ha sempre obbedito all'ordine di non entrare nel capanno - possiamo comprendere il suo punto di vista, il motivo per cui non ha indagato troppo su quelle "stranezze" del padre.
Il primo, perché, per l'appunto quello è suo padre. E per quanto forse sia tremendo da dire, nessun figlio che ama il proprio genitore, davanti a certe incongruenze penserebbe mai "Deve essere senz'altro un assassino spietato, un mostro, un serial killer".
Suvvia, muffins, siamo onesti, quanti di noi davanti al nostro papà che amiamo con ogni nostra particella, che mai ci ha dato motivo col suo carattere e affetto di farci credere di poter far del male a qualcuno, che ci ha letteralmente salvato la vita, nel vederlo passare così tanto tempo in un luogo chiuso, a farsi i fatti suoi, a cui ci vieta di accedere, penseremmo: "ODDIO, È UN MOSTRO CHE SQUARTA LE PERSONE, GENTODIGIOTTOHHHHH"?
Io, lo ammetto, penserei che c'ha qualche passione/fetish strano di cui si vergogna moltissimo.
E io sono UNA FANATICA ASSURDA DEL CRIME, muffins, sul serio. Eppure, lo stesso, davvero non riuscirei subito a fare il collegamento per il mio papà che amo con tutta me stessa e a cui devo TUTTO.
Forse si potrebbe pensare che fa qualcosa di criminale, sì, ma non certo A QUESTI LIVELLI.
Questo intendeva Agatha, quando ha detto a Lawrence "Sospettavo che tu non fossi del tutto una brava persona".
Sospettava che il padre facesse qualcosa di illegale - capirete poi meglio quali fossero i suoi sospetti - ma di nuovo MAI avrebbe pensato a orrori del genere.
E no, non venite a farmi la morale alla "Se sospettassi che mio padre fa qualcosa di anche solo un po' illegale lo denuncerei subito" perché non è così semplice, per niente.
Il secondo, perché Agatha, pur sapendo che suo padre le nascondeva QUALCOSA (che ripeto, MAI si era immaginata di un genere simile), non si sentiva in diritto di svelare quel segreto, quando lei si rifiutava di mostrare il suo. A suo modo, voleva essere corretta con il padre, non fare l'ipocrita.
L'ironia crudele di tutto ciò è che nel tentativo di fare la cosa giusta ha inevitabilmente sbagliato.
Il terzo, collegato visceralmente al primo, è che Agatha NON POTEVA rivelare il suo segreto (e di conseguenza pretendere/desiderare di scoprire quello del padre), perché l'ha giurato a Dio. E per lei quel giuramento è SACRO, INVIOLABILE, per nessun motivo al mondo può infrangerlo.
Il quarto, forse il più importante tra tutti, collegato al primo, che l'ultima vittima era proprio LA SUA MIGLIORE AMICA: Betsy. Quale figlia mai penserebbe che a fare scomparire/forse uccidere quella che considera la sua stessa sorella sia stato proprio suo padre?
Sì, insomma, di nuovo, SENTIMENTI UMANI che, inevitabilmente, ci condannano, almeno in casi del genere.
Ma che il mondo di fuori NON CONOSCE E NON PUÒ NEMMENO VEDERE, perché non è come noi lettori, non è nella testa di Agatha.
Al contrario, proprio perché ne è fuori, tende molto di più a sospettare di lei, SPECIE per Betsy.
Vi ricordo che la gente è bravissima a giudicare e condannare subito gli altri, gli sconosciuti famosi per situazioni simili, ad odiarli per principio rifiutandosi di approfondire la questione.
Lo spaventoso potere della gogna pubblica (che sia sociale o fisica) non è MAI da sottovalutare.
Spero di essermi spiegata abbastanza.
Tornando al discorso Agatha masochista che spera di essere pestata a sangue e per questo sceglie il luogo in cui le probabilità che ciò accada sono più alte:
Agatha cerca di condurre una vita "normale" solo in apparenza, come sorta di contentino da dare a sé stessa e a quel poco di razionalità che le è rimasta, camuffandosi per non farsi riconoscere, ma dentro di sé continua a sperare di venire punita dal mondo per quelli che ritiene essere i suoi crimini.
Eppure, anche con sentimenti simili, davanti alla visione di due bambini volgarissimi, dalla faccia tosta assurda, che rischiano di venir presi a calci da un uomo molto più grande di loro, trova il coraggio di farsi avanti e difenderli.
E quando lo fa, abbiamo uno scorcio sul suo passato, in particolar modo sulla prima e unica amica che abbia mai avuto: Betsy.
È proprio perché quei due bambini gliela ricordano che trova la forza di intervenire.
Anche così, senza troppe descrizioni, riusciamo a intuire che persona fosse Betsy, quale fosse il suo carattere, già in parte mostrato nello scorso capitolo.
Una che, volgarmente parlando, come direbbe mi nonna dalla sacra caponata (che ormai chi mi conosce sa che è la mia istituzione) C'HA DU COGLIONI COSÌ *Allunga le braccia al massimo*
Lo potevamo intuire già da quanto detto su di lei al capitolo precedente:
Diede un calcio volante allo stomaco del ragazzo che tentò di baciare Agatha a tradimento.
*tira su col naso e se lo soffia col fazzolettino ricamato*
LA MIA DONNAH.
Betsy, come detto già, è una figura importantissima per Agatha, anche adesso che è morta.
Lei e Lawrence sono state le mani con cui si è risollevata nonostante tutte le rotture che ha dentro.
In questo capitolo viene spiegato che fu proprio Betsy a insegnare ad Agatha a NON chinare il capo davanti alle persone, a sconfiggere la sua profondissima timidezza una volta per tutte e affrontare così gli occhi degli altri coi propri.
Sì, se non si è capito, sono una grande fan di Betsy.
Il secondo motivo per cui ho amato scrivere questo capitolo mi pare evidente:
Dorian e Dorothea.
Li amo. Punto.
Volgarissimi, sfacciati, quasi imbarazzanti a sentirli, e per questo li amo alla follia.
Non li ho resi così solo perché possano apparirci comici, il classico stereotipo dei gemelli casinisti nato da Harry Potter, ma per ben tre motivi diversi:
1) Nonostante la loro giovane età, hanno conoscenze che tanti non hanno nemmeno da adolescenti, mostrate non solo dal loro linguaggio volgare ma anche da come si comportano e cosa (si) dicono. Solo da questo possiamo in parte intuire in che contesto hanno vissuto e il loro passato.
2) Sebbene vogliano apparire adulti oltre ogni modo, non mancano senza volerlo di mostrare una sorta di immaturità evidente: affrontare un tizio il triplo di loro fottendosene dei pericoli, far cadere a terra Agatha solo perché gli va, continuare a percularla ancora e ancora, sempre e solo perché gli va.
3) Pur essendo infantili sotto tanti aspetti, sotto altri sono invece maturi come troppi adulti mai saranno: se ne fregano di chi Agatha è figlia, se ne fregano del fatto che quasi tutti pensano che può essere una complice del padre, se ne fregano dell'odio che la gente prova nei suoi confronti. Lei li ha aiutati, quindi vogliono conoscerla e ricambiare il favore, tutto qui.
Si fidano del loro istinto e giudizio. Guardano Agatha, pensano "Macché, una così sa farsi solo pestare a sangue" e perciò se ne sbattono le palle di ciò che si sospetta di lei.
Da un lato, molto maturo, dall'altro, certo, rischioso, perché, come si sa bene, non sempre le prime impressioni sono quelle giuste.
Ah, un'altra cosa.
"Davvero due dodicenni possono avere simili conoscenze culturali sui casi di cronaca nera? Vabbè che è un caso super mega iper famoso, ma COSÌ TANTO?"
SÌ.
Ve lo posso assicurare, e sapete perché?
Perché io pure ce le avevo, alla loro età.
Avevo più conoscenze sui casi di cronaca nera che sul sesso (causa genitori iper mega cattolici).
Strano ma vero, ai bambini si tende a non parlare MAI di sesso e tutto ciò collegato ad esso, ma non si hanno problemi a citare (senza entrare nei dettagli più cruenti, mi pare ovvio) casi di cronaca nera.
A dodici anni, conoscevo anche casi famosi avvenuti quando manco ero nata o poco dopo che ero venuta al mondo, io che sono del '98: Erika e Omar (avvenuto nel 2001), il delitto di Cogne del 2002, oppure l'incidente del Vermicino (il bambino di nome Alfredino morto in un pozzo nonostante i mille tentativi di salvarlo) avvenuto addirittura nel 1981.
Quando mamma mi raccontò la storia di Alfredino, a grandi linee, piansi come una fontana per una settimana intera.
L'esempio più lampante tra tutti che mi viene in mente è il caso di Sarah Scazzi, il famosissimo Delitto di Avetrana, avvenuto quando io avevo dodici anni e di cui si è parlato letteralmente OVUNQUE qua in Italia per i successivi cinque anni. Non passava un solo giorno senza che non venisse citato/raccontato/aggiornato al pubblico.
Mi ricordo ancora come se fosse ieri il tremendo giorno in cui, costretta da mia nonna (non quella della caponata) a guardarmi con lei "Chi l'ha visto?" (programma che da allora ho ODIATO con tutta me stessa), mentre stavano intervistando la madre di Sarah, Concetta, ricevettero la notizia che la polizia aveva trovato il cadavere della ragazza e la riportarono IN DIRETTA TELEVISIVA davanti alla stessa mamma della vittima che ancora non sapeva niente.
Ebbero pure il coraggio di chiedere a Concetta "Che facciamo, interrompiamo l'intervista?"
Ma no, dico io, continuate pure a parlarle come se nulla fosse, dai! Ha solo scoperto che la figlia scomparsa è stata trovata morta nella casa della sua stessa sorella, che vuoi che sia! Nulla di che! Già che ci siete perché non le offrite tè e pasticcini e non le chiedete come si sente?
Che odio, giuro, che odio. Da allora, ho bandito quel programma dalla mia vita PER SEMPRE, con grande disappunto di mia nonna, che lo usava anche come scusa per passare il tempo assieme (e perché era la sua passione)
Mi so fatta perdonare iniziando a guardarmi Forum con lei. Almeno quello sapevo che erano tutte stronzate (lo sapeva anche lei ma non gliene fotteva 'na ciola)
Ecco, quindi sì, non è così strano che due dodicenni sappiano chi è Agatha - già di per sé iper mega famosa non per bei motivi. Figurarsi poi gemelli così, che già da come parlano e si comportano lasciano intuire che sono cresciuti in un ambiente "poco protetto" in cui quelli che li circondavano parlavano di cose del genere e argomenti simili e pesanti anche davanti a loro, fottendosene altamente che fossero bambini.
Di sicuro non c'hanno mai avuto il parental control alla televisione (che all'epoca mia manco esisteva)
Però li amo, sul serio, li amo troppo. Anche perché, proprio grazie a loro, si può scorgere anche la profonda lotta e guerra che sta tormentando Agatha:
Pensa di meritare di essere odiata da tutto e tutti, VUOLE essere odiata da tutto e tutti, SI ODIA ogni giorno insieme a tutto e tutti...
Eppure, al contempo, una minuscola, minicicciola parte di lei, non può che essere felice nel sapere che c'è qualcuno che ancora sarebbe disposto a conoscerla, a volerla aiutare, a non fermarsi solo al giudizio che il mondo le ha dato e che lei dà a sé stessa.
E la cosa più dolorosa è che di fronte a questa parte minuscola di sé, questa minicicciola speranza di essere se non amata, almeno compresa, Agatha pensa di essere ancora più un mostro, di doversi odiare di più.
Addirittura crede che sia una TENTAZIONE di Dio per farla cedere alla speranza, così da poter confermare di nuovo la sua mostruosità e punirla.
*Si soffia il naso*
Che contraddizione, eh? Che trip mentale assurdo.
Ma riflettiamoci: è più che umano.
Pensate solo a quando desideriamo qualcosa ma non pensiamo di meritarla, e allora più la desideriamo, più ci sentiamo in colpa e indegni di averla.
Come dissi in "Apologia di Callisto" nessun essere umano è coerente con sé stesso al 100%, specie chi ha passati del genere.
Dorian e Dory, come ormai avrete potuto immaginare, saranno personaggi FONDAMENTALI nella storia e per Agatha.
E indovinate chi altro lo sarà?
Mi pare ovvio, Dante.
Insultato oltre ogni modo dai gemelli pestiferi, ma amato altrettanto da loro.
Chi è Dante?
Sicuro non il padre dei due.
È forse un...
BEDDE BOI?
O sarò di nuovo cascata nella mia malattia di saper scrivere solo Bidet Boy?
Lo scopriremo, muffins, lo scopriremo, vedrete.
Dai racconti di Dory e Dorian, però, avrete sicuramente intuito alcune cose:
Dante e i due gemelli si insultano sempre, in continuazione.
Sono legatissimi tra di loro e si vogliono molto bene - pur insultandosi sempre (e forse proprio per questo lo fanno).
Dante c'ha una donna: Vicky. È la sua fidanzata? La sua scopamica? Non è niente di tutto ciò? È più di tutto ciò?
Lo scopriremo.
Quello che certo è:
Dory e Dorian LA ODIANO PROFONDAMENTE.
Vabbuò, ho esagerato di nuovo col mio pippone-analisi, ma citando i due gemelli:
STOCAZZO.
Sciau!
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