CAPITOLO 5 - JULIA.
"Qualcuno la salvò.
Ma chi ha iniziato a morire non smette mai di farlo."
( Alessandro Baricco )
Sarò in coppia con Liam. Con Liam, cazzo.
Lo saprà già? O dovrò spiegarglielo io?
Ho espressamente chiesto al professore di informare il mio compagno del mio... problema. Mi sento così stupida e così pazza. Ovviamente con "espressamente" intendo scritto su un foglio. Perché? Perché proprio lui? Tra tanti ragazzi intelligenti, tranquilli e con nessuna voglia di dialogare perché quello più sexy e spigliato di tutti? Sono spacciata. Sono spacciata. Lo scrivo a mia mamma.
"Sono spacciata" invio e so già che questo implicherà una lunga serie di messaggi senza sosta e una serie di ramanzine in seguito perché si sarà spaventata per nulla.
Ma sono spacciata.
Vorrei urlare. Vorrei poter avere la forza e la volontà di farlo. Vorrei.
"Così stiamo in coppia assieme" la sua voce mi fa sussultare. Non può essere così. E' solo un incubo. E' solo un brutto, bruttissimo incubo. Mi stringo nelle spalle e strizzo gli occhi più forte che posso sperando che questo mi riporti alla realtà. Una realtà che non comprende Liam Martin come mio compagno.
Ma quando li riapro è proprio di fronte a me, raggiante.
"Sono ancora qui" dice scocciato. Non posso crederci. E la mia espressione lo rivela, soprattutto perché sospiro stanca, ancor prima di aver iniziato.
Non può essere, non può essere. Non può essere.
"Purtroppo non sono stato... particolarmente attento oggi a lezione e non ho ben chiaro su cosa vada fatta la relazione" ottimo. Anche stupido. Perché tutto a me? E come glielo spiego ora?
Mi agito sul posto, guardo dappertutto: le sue scarpe, il cielo, i suoi muscoli niente male, gli alberi, ogni cosa, eccetto che nei suoi occhi azzurro ghiaccio.
Come diavolo mi sono cacciata in questo guaio? Come ho fatto a pensare di poter sopravvivere al college? Come ho potuto pensare che potesse funzionare?
"Dammi il tuo cellulare" rompe il mio silenzio imbarazzante. Stavolta lo guardo, visibilmente accigliata e stranita. Cosa vuole dal mio cellulare?
Sbuffa e tira fuori il suo. "Scrivimi il tuo numero" lo guardo impassibile senza, ovviamente, fare ciò che mi dice. Se c'è qualcosa che odio fare è obbedire. Io non obbedisco. Faccio ciò che io decido di fare.
Sbuffa ancora e butta gli occhi al cielo "Comunicheremo tramite messaggi. Ti scriverò quando puoi venire da me, dato che conosci già dove abito" alza un sopracciglio e ammicca divertito. Sono furiosa. Sta insinuando che passo davanti la sua confraternita per vedere lui? Non ha idea degli incubi, delle notti insonni e passate tra le strade solo per non pensare, solo per non ricordare. Per aver paura del buio e non dei ricordi. Per aver paura delle ombre dei passanti e non della sua nei miei ricordi, nei miei sogni.
Passare per la sua confraternita non era nei miei piani, è successo e basta. Ammetto che la seconda volta è successo per curiosità, ma questo non significa che lo faccia prettamente per lui. Volevo solo ricordare com'è essere normale.
Ma la normalità è anche questa: studiare con un compagno di classe e non posso arrendermi solo perché questo compagno è Liam Martin.
Diffidente, afferro il suo cellulare e digito velocemente il mio numero mentre lui continua con le parole "Di pomeriggio ho gli allenamenti e poi cose" lo guardo stranita "Sì, ho cose da fare. Quindi faremo di sera. Tranquilla, ti riaccompagno io" strizza l'occhio destro ma io mi limito ad un'espressione disgustata ed esausta. Sì, perché è sfinente ancor prima di iniziare. E' sfinente anche solo parlargli.
Riconsegno il suo cellulare senza aver segnato il mio nome, giusto per confonderlo un po' di più. Frugo nella borsa in cerca del mio cellullare ma lo sento urlare "Perfetto. Ti scriverò io" mentre corre dall'altra parte del campus. Letteralmente corre. Resto lì impalata mentre il suono dell'arrivo di un messaggio mi ricorda che il cellullare è nella tasca del giacchino. Mia madre.
Come le spiegherò tutto questo casino?
***
Sono le nove e Liam non si è fatto sentire. Non mi meraviglio, a dire il vero. Sarà ancora impegnato con le sue "cose" di cui non voglio conoscerne neanche l'origine.
"Sei sicura di non volerti unire a noi?" Leila è la mia compagna di stanza ed è la persona più impegnata nelle cose inutili che io abbia mai conosciuto. E' sempre impegnata anche quando da studiare c'è solo qualche appunto. Non è frivola come sembra, è solo male organizzata e soprattutto una festaiola. Tuttavia, è stata una piacevole scoperta. E' divertente, spiritosa e soprattutto non mi costringe a parlare. Ovviamente non siamo di certo amiche per la pelle, ma è comunque una buona compagnia. Si limita alle domande basilari e a raccontarmi cosa le accade durante la giornata dato che non seguiamo corsi assieme e lei ha già un gruppetto tutto suo. E dato che ormai è chiaro che io non sono un tipo da gruppo, ci limitiamo a "conversare" qui in camera al termine delle nostre giornate.
Lei stasera è impegnata con delle sue amiche per una serata solo donne in discoteca ma non sarebbe stato il mio ambiente in passato, figuriamoci adesso che non parlo.
Scuoto il capo ma le sorrido come per dirle "grazie per avermelo chiesto".
"Va bene, allora ci vediamo domani. Ma non andare a letto ora, per piacere. La notte è giovane" strizza l'occhio destro e sferza fuori come un fulmine. Ovviamente non le do ascolto perché la notte sarà anche giovane ma io sono vecchia dentro ed ho bisogno di riposare dato che queste sono le uniche ore in cui lo faccio davvero. E poi, cosa dovrei fare qui di venerdì sera, da sola? Guarderei anche tutta la serie di The Walking Dead ma questo è il programma di domani sera e perché rovinarselo? Tanto tra qualche ora avrò qualche incubo e mi ce ne vorranno altre due o tre per potermi tranquillizzare e dormirne un altro paio. Quindi, perché affaticarsi per nulla?
Mi posiziono a letto e punto lo sguardo fisso fuori la finestra. Il vento mi ricorda che sono viva, che sono sopravvissuta. L'aria mi ricorda che rispiro ancora. Il vento mi tranquillizza.
La mia attenzione è catturata dall'albero fuori la mia stanza, con le sue foglie che si muovono veloci, al tempo giusto, ognuna per conto proprio, ognuna per la propria strada, ognuna con la propria storia.
Così come me. Per conto mio, per la mia strada, con la mia storia, ma a rallentatore. Non riesco ad ingranare la marcia, a fare più di così. A dare più di così. A sbloccarmi.
I ricordi sono ancora vividi e la paura ancora forte. Non passeranno così in fretta, non passeranno mai.
Il telefono vibra ed è probabilmente la cosa più emozionante della serata. Il punto è che non ho idea di chi possa essere, oltre la mia migliore amica, ma dubito che mi scriva a quest ora, di venerdì sera.
Sospiro stranita alla vista di un numero che non conosco ma di chi immagino sia.
"Raggiungimi, ti aspetto all'entrata." Ma è matto? Sono le nove di sera.
"E non accetto un "no" come risposta. Lascio il cellullare in camera, non tardare." Questo ragazzo è ufficialmente fuori di testa. Non potrò mai uscirne da questa situazione. Ma prima inizio e prima concludo il lavoro, giusto? E allora farò anche questo sforzo. D'altronde tra qualche ora mi sarei svegliata comunque e conto di poter dormire un po' di più domani mattina, mi auguro.
Mi alzo velocemente e cerco di dare un senso ai capelli e d'un tratto mi sembra che i miei vestiti non vadano più bene. I Jeans? I Pantaloni? Gli shorts? Oddio ma che cosa sto facendo? Mi sto davvero ponendo il problema di cosa indossare per andare a studiare? Quanto sono patetica.
Afferro un paio di jeans, le converse, una canotta e ci metto tutto il tempo che mi pare per ricompormi, dato che non mi dirà lui quando fare presto e quando no.
***
Non scherzava quando ha detto "Ti aspetto all'entrata" ma soprattutto con "non tardare", data l'espressione.
"Credevo mi avessi dato buca" a differenza dell'espressione seria, la sua voce suona molto divertita. Gli risponderei che lo avrei fatto volentieri se non mi servisse ugualmente un compagno per la relazione e che farei davvero a meno di lui, ma è chiaro che non lo farò perché non posso e quindi mi limito ad un'espressione impassibile.
Tira fuori il cellullare e digita qualcosa velocemente. Che gran stronzo. Mi aveva detto che avrebbe lasciato il cellullare in camera. Lo guardo malissimo e lui se ne accorge ed è per questo che ride. Che gran bella faccia tosta. E con "bella" dico davvero bella. Mi odio così tanto perché vorrei non trovarlo maledettamente carino. Non dovrei. Non dovrei trovare più nessuno così carino.
Non dovrei.
"Vieni" mi indica il cancello alle sue spalle e solo ora mi rendo conto che è pieno zeppo di gente ubriaca, ragazze mezze nude e ragazzi che sono alla ricerca disperata di togliere quel che resta. Se per Liam questo è l'ambiente adatto per studiare non oso immaginare quello per dormire. Sono davvero davvero davvero nella merda.
Lo blocco immediatamente afferrandolo per un braccio e questo lo fa voltare interrogativo verso di me. Mi rifiuto di studiare così.
"Ok ti ho mentito. Non studieremo oggi. Vorrei che ci conoscessimo un po' meglio" conclude facendo spallucce, questo ragazzo è davvero fuori. Farmi arrivare fin qui, alle nove e mezza di sera, solo per conoscerci meglio, e per giunta fingendo di dover studiare? Ma cosa avrò mai fatto di male?
Scuoto il capo quasi disgustata e mi volto incamminandomi verso la strada di ritorno.
"No dai, aspetta" Liam mi rincorre, ma non ho intenzione di cambiare idea. "Cosa ti costa stare qui per un'oretta? Non dobbiamo per forza parlare, niente domande, prometto. E ti riaccompagno io, in auto." Mi blocco e un po' perché ci sto pensando davvero. Ci sto davvero pensando davvero? Dopotutto cosa potrà mai accadermi in una casa piena zeppa di strafatti, ubriaconi e venditrici di sesso? Niente, mi sembra ovvio. "Possiamo starcene anche in biblioteca se preferisci. Ma se vuoi tornare a casa perlomeno lascia che ti ci accompagni" stavolta sembra serio e questo mi piace. Non so perché ma le sue parole non mi infastidiscono. Se le avesse dette qualcun altro probabilmente sì, ma in qualche modo da lui suonano meglio.
Non so in che guaio mi stia cacciando, se me ne pentirò, ma tentare non sarà poi così grave, giusto? Non sarà peggio del starmene in camera da sola.
Ovviamente non rispondo alla sua richiesta, neanche con un cenno del capo. Mi volto buttando gli occhi al cielo e avviandomi verso il vialetto.
Lo sento ridacchiare mentre mi sta a qualche centimetro di distanza, ma io non lo accompagno e resto impassibile come sempre.
Il prato è ricoperto da bicchieri vuoti, vestiti, gente che si bacia e chi diamine me lo ha fatto fare? Come mi sono cacciata in questa situazione?
"Cosa studi?" chiede, mentre mi conduce verso il retro della casa. Aveva detto la biblioteca!
Ho un attimo di esitazione e mi blocco. Ma le luci e la gente allegra mi ricorda che non siamo soli, che non sono sola. Che posso farlo.
"Ti va bene se ci sediamo qui fuori o preferisci la biblioteca?" annuisco indicando una panchina distante dal chiasso degli ubriaconi ma comunque tra persone e vitalità. Direi che qui perlomeno si può conversare senza temere di perdere un orecchio o di ritrovarti delle mutande che ti cadano in testa.
Ci sediamo e fin ora, tutto ok. Il punto è che forse non sa che conversare con qualcuno che non usa le parole, di propria volontà, che non conosce il linguaggio dei segni, è diverso dal comunicare con qualcuno che invece lo fa. E posso assicurarvi che l'imbarazzo è parecchio, soprattutto quando, per l'ennesima volta, dopo cinque minuti di silenzio, sospira frastornato.
Ok, a male estremi... estremi rimedi.
Tiro fuori un pezzo di carta ed una penna. Il suo sguardo cade subito su ciò che sto facendo, che è una delle cose che più odio. Odio comunicare così, odio comportarmi così quando potrei utilizzare perfettamente la mia voce.
Scaccio via i pensieri negativi, almeno per quest'ora, e scrivo:
"Avevi detto niente domande. Comunque studio per diventare dottoressa. Tu?" ridacchia perché, mica aspetta che gli dia il foglio? No, legge nel momento stesso in cui scrivo. Cerca di afferrare la penna ma scuoto il capo ed indico quelle labbra... quelle labbra. Solo quelle labbra.
"Hai ragione ma per conoscersi qualcosa dovremo pur dirla. Studio farmacia ma in realtà sono un giocatore di Football. Miro a quello." Non mi stupisco che miri a diventare un giocatore professionista. Questo, però, non glielo dico. Almeno non esplicitamente.
Riprendo la carta e scrivo mentre, accanto a me, Liam legge attentamente.
"Ed io che pensavo che studiassi architettura del paesaggio." Ridacchia.
"Qualcosa mi dice che sei ironica, riccioli d'oro" ridacchia ancora e quel soprannome fa ridere anche me. Riccioli d'oro? Nessuno mi aveva mai chiamata così prima d'ora.
Lo guardo interrogativa, sperando che impari a leggere nei miei occhi.
"Sì, riccioli d'oro. Ti si addice" sorrido perché è orribile ma al tempo stesso adorabile. Faccio una faccia a metà tra il disgustata e metà divertita mentre lui se la ride divertito.
Non credevo potesse accadere ma, ragazzi, sto ridendo con una persona che non sia la mia migliore amica o la mia famiglia. Sta accadendo davvero.
Non posso non guardare i suoi occhi. Gli occhi di Liam sono un pozzo di acqua dolce in cui affondare. Sono penetranti, ammalianti, dolci e veri ed è per questo che bado dal tenermi alla larga eppure....
"Hey amico vieni a farti una birra" un mezzo cavernicolo dai capelli neri e gli occhi più azzurri di quelli di Lia, ma non veri quanto i suoi, arriva, mezzo ubriaco e barcollante seguito da una delle ragazze più belle che abbia mai visto. Completamente in rosa ma con un sorriso da mozzare il fiato. Insieme a loro altre due ragazze entrambe stupende e alcuni ragazzi fighi. E mi sembra chiaro che un figo potesse avere solamente amici fighi. Mi pare giusto.
"Quanto hai bevuto cazzone?" Liam sembra estremamente divertito, anche se non ne capisco il motivo. L'unica cosa che capisco è che stiamo per essere invasi da un gruppo di pazzi.
"Guarda ora cosa succede" mi sussurra all'orecchio, a mezzo centimetro dalla mia pelle. Trattengo il respiro e non so neanche io per quale motivo ma so che il suo contatto è energia pura. Rabbrividisco anche solo a ripensare le sue labbra così vicine alla mia pelle.
Arriva un ragazzo dai capelli rossi che da il cinque al "cazzone", così soprannominato da Liam. Non so bene cosa dicono ma è chiaro che sono ubriachissimi. Si posizionano uno di fronte all'altro mentre tutti li acclamano. Qualcuno urla "Rob" e altri "Sam", i due si inchinano all'altro e poi, non so per quale motivo, iniziano a volteggiare più forte possibile. Forte è un eufemismo.
"Sono sicuro che Rob cadrà a momenti. Sam non perde mai" ridacchia divertito e devo ammettere che tutta la scena lo è. Soprattutto quando il "cazzone" cade a terra stremato e, ovviamente, a causa dell'alcol.
"Lo sapevo" urla entusiasta alzandosi e dandosi una spallata con, credo, Sam.
Non posso crederci, sono finita davvero tra pazzi.
Si accalcano tutti attorno a Liam e al vincitore del gioco più stupido a cui io abbia mai assistito. Non so cosa si dicano ma li sento ridere. Cerco di restare calma, di non farmi prendere dalle mie paranoie e non pensare che siano per me. E infatti il momento dura un attimo perché Liam, divertito, mi raggiunge raggiante.
"Vieni" mi fa segno di seguirlo dentro, in casa. In silenzio lo seguo, sotto gli occhi attenti e le risatine soddisfatte degli amici. Vorrei poter dire che non è come sembra, ma poi rifletto e penso a quanto la mia vita non è come sembra e quindi, che senso avrebbe?
______
SPAZIO AUTRICE.
Hey, tu che stai leggendo questa storia e la stai amando, corri a leggere anche "Under the Sky" e non te ne pentirai. Dai, provaci, che ci fai ancora qui?
Bacini 💖
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